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    Subito nel salva-casa le difformità lievi, poi Testo unico. Salvini: troveremo sintesi nel centrodestra

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaInterventi di breve termine incentrati sulla semplificazione delle norme per sanare lievi difformità esterne o interne degli edifici e interventi di lungo termine per arrivare a un riordino sostanziale e complessivo del Testo unico per l’edilizia. Sono i due punti che l’Ufficio legislativo del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ritiene necessari e che ha illustrato ai partecipanti alla terza riunione del Tavolo tecnico “Piano Casa e semplificazione delle norme per l’edilizia” secondo quanto riferisce il Consiglio nazionale degli ingegneri (Cni) in una nota. «Il punto nodale dell’incontro – spiega il Cni – ha riguardato la riforma e semplificazione delle norme in materia di edilizia che consentirebbero di superare una serie di criticità che oggi caratterizzano il sistema della domanda e dell’offerta di alloggi».Particolare attenzione alle difformità lieviNel corso dell’incontro, spiegano gli ingegneri, «particolare attenzione è stata prestata alla classificazione delle difformità lievi, che non pregiudicano la sicurezza degli edifici e l’interesse collettivo ma che molto spesso si rivelano, nel quadro normativo attuale talvolta contraddittorio, difficili da superare facendo sì che le unità immobiliari non siano assogettabili né a compravendita né a locazione». Il Consiglio nazionale degli ingegneri, rappresentato presso il Mit dalla Consigliera Irene Sassetti, ha predisposto un documento di osservazioni proponendo alcune semplificazioni e sta lavorando per »classificare con chiarezza ciò che dal punto di vista tecnico rientra nella categoria di “difformità lieve”» sempre dando priorità al rispetto della sicurezza della struttura dell’immobile. Nella stagione dei Superbonus, a partire dal 2021, tecnici e committenti si sono trovati «di fronte a difficoltà talvolta insuperabili», osserva il Cni, con »allungamento dei tempi» o rinuncia alle opere perché «molti Comuni hanno richiesto l’avvio di procedure estremamente complesse, ridondanti, rispetto all’esiguità dell’irregolarità».Loading…Salvini: salva-casa non è condono, non è per zone sismische«Sulla casa stiamo lavorando non per condonare abusi esterni, ma per aiutare milioni di famiglie che non riescono a comprare o a vendere casa loro» ha ribadito ai giornalisti il leader della Lega Matteo Salvini, a margine di un appuntamento del partito a Torino. «È un problema – ha sottolineato – che riguarda la maggior parte delle case italiane e sta bloccando gli uffici comunali. Per quanto mi riguarda va regolarizzato: il cittadino paga, il Comune incassa, e il mercato riparte. Mi sembra una cosa assolutamente ragionevole, che ovviamente non riguarda le zone sismiche, archeologiche o le ville abusive sulle spiagge». «Bisogna fare velocemente – ha rimarcato il vicepremier – siamo alla quinta riunione con decine di soggetti, stiamo costruendo il provvedimento insieme agli ingegneri, agli architetti, ai geometri, ai notai, alle cooperative, alle imprese, ai proprietari».«Presenteremo salva-casa a tutti, troveremo sintesi»«Assolutamente sì, appena il testo sarà definito verrà presentato a tutti, e penso sarà un guadagno per tutti» ha aggiunto Salvini rispondendo, a margine di un appuntamento della Lega a Torino, alla domanda se il centrodestra riuscirà a trovare una sintesi sul testo del piano salva-casa. LEGGI TUTTO

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    Pa, paura della firma e rischio processi per danno erariale: sprint sulla proposta di FdI

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaStop alla responsabilità erariale sugli atti che siano stati preventivamente vistati dalla Corte dei Conti e obbligo di copertura assicurativa per coloro che abbiano responsabilità nella gestione di risorse pubbliche. Ma anche multa fino a due annualità del trattamento economico complessivo per il pubblico ufficiale responsabile di procedimenti legati al Pnrr e al Pnc (Piano nazionale per gli investimenti complementari) sui quali si accumuli un ritardo superiore al 10% del tempo complessivo previsto per la conclusione. Il centrodestra accelera sulla questione della “paura della firma” da parte di sindaci e amministratori pubblici in generale, con una proposta di legge a firma di Tommaso Foti (presentata il 19 dicembre 2023) che il 4 aprile ha iniziato l’iter in commissione alla CameraAmministratori non giudicabili se atti hanno superato controllo preventivo della Corte dei ContiQualora l’atto abbia superato «il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, e quindi – si legge nella relazione introduttiva – sia stato vistato e registrato, non sarà più possibile sottoporre a giudizio per responsabilità erariale gli amministratori che lo abbiano adottato». Il superamento del controllo preventivo «avrà effetto “tombale” sulle eventuali criticità dell’atto, mentre ad oggi è possibile sottoporre a giudizio anche gli amministratori che abbiano adottato atti vistati e registrati dalla stessa Corte dei conti».Loading…Obbligo di assicurazione per gli amministratori pubbliciÈ introdotto inoltre l’obbligo di copertura assicurativa per coloro che abbiano responsabilità nella gestione di risorse pubbliche, prevedendo la «facoltà per l’amministrazione di appartenenza di destinare una parte del trattamento economico accessorio spettante al dirigente o funzionario alla stipulazione di una polizza assicurativa, idonea a garantire che l’amministrazione stessa possa sempre e comunque ottenere il pieno risarcimento del danno patrimoniale ascrivibile a colpa grave del dirigente medesimo». L’obiettivo è quello di garantire in tal modo «il risarcimento completo della lesione patrimoniale subita dalla pubblica amministrazione, a prescindere dalle condizioni economiche del soggetto responsabile, generalmente inadeguate a fronte di danni di rilevante entità». La necessità di prevedere una copertura assicurativa obbligatoria si fonda «sul preoccupante dato statistico secondo il quale viene recuperato solo il 10 per cento del credito complessivo maturato dalla pubblica amministrazione sulla base di sentenze definitive»Tempi dimezzati per il controllo degli appalti del PnrrSi prevede inoltre il «dimezzamento dei termini per effettuare il controllo relativamente agli appalti connessi all’attuazione del PNRR e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) e l’anticipazione del controllo stesso al momento dell’aggiudicazione, invece che alla stipulazione del contratto».Sanzione pecuniaria legata alla non attuazione del PnrrSi dispone infine una «misura sanzionatoria pecuniaria finalizzata a sollecitare la conclusione dei procedimenti connessi all’attuazione del PNRR e del PNC». Nel dettaglio, al pubblico ufficiale responsabile di tali procedimenti, «in relazione ai quali si verifichi, per fatto a esso imputabile, un ritardo superiore al 10 per cento rispetto al tempo stabilito per la conclusione del procedimento, si applica, sulla base del grado di colpevolezza, una sanzione pecuniaria compresa tra un minimo di 150 euro e un massimo fino a due annualità del trattamento economico complessivo annuo lordo». LEGGI TUTTO

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    Non solo Bari, campo largo sparito anche a Firenze. In alto mare a Campobasso, Potenza e Cagliari

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaI 40 giorni dall’elezione di Alessandra Todde a governatrice della Sardegna nel segno del campo largo sembrano un’era geologica fa. Dopo il naufragio delle primarie baresi, anche guardando alla cartina geografica in vista dell’election day di giugno, il campo largo Pd-M5s appare un obiettivo sempre più lontano. L’alleanza regge in Basilicata dove Pd ed M5s con Avs, +Europa e socialisti sosterranno lo stesso candidato: Piero Marrese, presidente della provincia di Matera che si batterà contro l’azzurro Vito Bardi che corre per il centrodestra.Strade separate in PiemonteStrade separate, invece, per quanto riguarda le regionali in Piemonte. Dopo vari tentativi di dialogo con M5s e a fronte di una impasse interna sul nome da presentare l’assemblea regionale Dem ha indicato Gianna Pentenero che sarà sostenuta anche da Avs, +Europa e da due liste civiche. M5s andrà per la propria strada. E schiera Sarah Disabato, presidente del gruppo consiliare pentastellato a Palazzo Lascaris e coordinatrice regionale M5s.Loading…Rottura a FirenzeInsieme alle europee si voterà anche per il rinnovo delle amministrazioni comunali di sei capoluoghi di regioni tra i circa 3.700 Comuni chiamate alle urne. E non solo a Bari il campo largo si allontana. E’ il caso anche di Firenze dove, senza che ci siano state primarie, per quanto riguarda l’area di centrosinistra i candidati in campo sono già tre: Sara Funaro, assessora all’Educazione, al Welfare e all’immigrazione del Comune di Firenze, sostenuta da Pd, Sinistra italiana, Azione e +Europa. Italia viva ha invece una propria candidata: Stefania Saccardi e a sinistra di Funaro corre Dmitrij Palagi, sostenuto da Sinistra Progetto Comune. Nessun nome, ancora dai pentastellati. Mentre si attendono anche le mosse di Tomaso Montanari, lo storico dell’arte che ha lanciato l’associazione 11 agosto.Situazione in alto mare a Potenza, Campobasso e CagliariTutto ancora da decidere, invece, a Potenza dove si attende l’esito del voto regionale. Per il centrodestra, invece, si punta alla riconferma del sindaco capoluogo, Mario Guarente caldeggiato dalla Lega. In alto mare è la situazione anche a Campobasso. Non sono escluse, infine, le primarie per quanto riguarda Cagliari. Massimo Zedda dei Progressisti, è attualmente l’unico nome sul tavolo, avendo già da tempo avanzato la sua candidatura dicendosi anche disponibile a sottoporla a primarie. Il centrodestra ha intanto già schierato ufficialmenteCampo largo in pista a PerugiaCampo largo, invece, a Perugia dove l’intesa si salva attorno a un nome civico, quello di Vittoria Ferdinandi. La candidata – premiata con l’onorificenza di Ordine al Merito dal presidente Mattarella per un progetto di inclusione di ragazzi con disturbi mentali – è sostenuta da Pd, M5s, Avs, Azione, Prc e liste civiche. Si batterà con un’altra donna, la candidata del centrodestra e da liste civici è infatti Margherita Scoccia, assessore del Comune. LEGGI TUTTO

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    L’elezione diretta del premier e i nodi non risolti: che cosa ci dice la riforma del governo

    I tre casi previsti di soluzione delle crisiCaso uno: «In caso di revoca della fiducia al Presidente del Consiglio eletto, mediante mozione motivata, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere». Qui tutto chiaro: si torna dritti alle urne, e quindi è improbabile che venga presentata tale mozione di sfiducia a meno di non volere la fine della legislatura. Caso due: «In caso di dimissioni volontarie del presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone». Il premier ha dunque la facoltà di chiedere e ottenere lo scioglimento anticipato se c’è una crisi politica extraparlamentare che gli faccia venire meno il supporto di un partito della maggioranza. Caso tre: «Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il Presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio». Nel caso in cui il premier eletto non voglia tornare alle urne ha dunque due opzioni: o tentare la strada del reincarico e magari provare a cambiare la maggioranza, sostituendo ad esempio il partito che gli ha tolto l’appoggio con un partito dell’opposizione, oppure può passare la mano ad altro esponente della maggioranza che a quel punto non potrà più essere sostituito («una sola volta nella legislatura»).Il caso (non normato) della mancata fiducia su un provvedimentoMa che cosa accade nel caso in cui l’eletto viene battuto nel voto di fiducia su un provvedimento? Il caso semplicemente non è stato normato. Per volontà della Lega, per la precisione, che evidentemente vuole riservarsi la possibilità di disarcionare l’eletto senza rischiare il ritorno alle urne. Secondo il presidente della commissione Balboni e secondo la ministra Casellati, suffragati da alcuni costituzionalisti vicini al governo, questo caso rientra in quello delle dimissioni volontarie e dunque l’eletto potrebbe essere rimandato di fronte alle Camere per verificare la sussistenza del rapporto fiduciario. Per i critici e per molti altri costituzionalisti, invece, nel caso di sconfitta sul voto di fiducia le dimissioni sono obbligate, non volontarie, e dunque l’eletto non potrebbe chiedere lo scioglimento delle Camere e potrebbe essere sostituito. L’interpretazione del testo è dunque incerta, e la non risoluzione di questo nodo espone al non banale rischio di un potenziale conflitto tra poteri dello Stato, ossia il premier eletto e il presidente della Repubblica.Il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica….Le altre modifiche riguardano l’articolo 59, con l’abolizione dei senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica (saranno senatori a vita di diritto solo gli ex presidenti della Repubblica) e gli articoli 88 e 89: da una parte viene abolito il semestre bianco, ossia quel periodo di tempo che coincide con gli ultimi sei mesi del settennato del Capo dello Stato in cui non è possibile sciogliere le Camere; dall’altra vengono rafforzati i poteri del presidente della Repubblica togliendo la controfirma a tutta una serie di atti (la nomina del presidente del Consiglio, la nomina dei giudici della Corte costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alla Camere). Inoltre, intervenendo sull’articolo 83, si rafforza il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica con la previsione che per la sua elezione la maggioranza assoluta invece dei due terzi dei voti del Parlamento riunito scatta dopo il sesto scrutinio invece che dopo il terzo…. e i suoi poteri realiMa è vero, come sostiene il governo, che i poteri del presidente della Repubblica non vengono toccati dal Ddl Casellati? Formalmente è vero, ma nella sostanza politica il suo ruolo ne esce fortemente ridimensionato. Come si è visto analizzando i nuovi articoli 92 e 94, la risoluzione delle crisi politiche ha sbocchi predeterminati nella maggioranza dei casi. Il Capo dello Stato deve sciogliere le Camere se glie lo chiede il premier eletto, perdendo così il suo vero potere politico che è appunto lo scioglimento. E nel caso in cui il premier decida di passare la mano invece di tornare alle urne i paletti per la nomina del successore impediscono quelle soluzioni di governi tecnici o del presidente che gli inquilini del Colle hanno scelto negli ultimi anni. In sostanza, se questa riforma della Costituzione fosse stata in vigore, non sarebbe stato possibile dar vita al governo di larghe intese presieduto da Mario Monti nel 2011 né a quello presieduto da Mario Draghi nel 2021, in quanto né Monti né Draghi erano parlamentari eletti in collegamento al premier. Allo stesso modo il presidente Sergio Mattarella non avrebbe potuto nel 2018 nominare premier Giuseppe Conte alla guida del governo giallo-verde (M5s-Lega), in quanto non parlamentare.Il problema della flessibilità del sistema in caso di crisi esterneCerto, le ultime due legislature sono state particolarmente movimentate perché gli esiti elettorali sia nel 2013 sia nel 2018 non hanno prodotto un vincitore certo che fosse in grado di formare una maggioranza. Con un sistema elettorale maggioritario che produca un vincitore certo il ruolo del presidente della Repubblica sarebbe naturalmente ridotto: egli dovrebbe semplicemente prendere atto del risultato delle elezioni, come per altro accaduto nel 2022 con la netta vittoria del centrodestra a guida Meloni e prima ancora con le vittorie del centrodestra a guida Silvio Berlusconi e del centrosinistra a guida Romano Prodi. Il problema, per i critici, è che il Ddl Casellati disegna un sistema troppo rigido di uscita dalle crisi di governo, mentre occorrerebbe lasciare maggiore flessibilità per affrontare eventuali concomitanze esterne come potrebbero essere una pandemia, una grave crisi internazionale o una guerra. LEGGI TUTTO

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    Le aziende: bandi Pnrr difficili da decifrare e poco dialogo con la burocrazia

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaBandi Pnrr difficili da decifrare e poco dialogo con i sogetti appaltanti. Per questi motivi tre imprese italiane su quattro trovano complesso e faticoso partecipare alle gare del Recovery Plan e accedere ai relativi fondi. Lo rileva un sondaggio condotto dall’Osservatorio Pnrr di The European House – Ambrosetti (Teha) presentato a Cernobbio, secondo cui il 77% delle imprese che ha partecipato a un bando ha dichiarato «di aver riscontrato difficoltà» legate principalmente alla «complessità di interpretazione» (28%) e allo «scarso dialogo con il soggetto appaltante» (23%). Il sondaggio ha coinvolto 450 amministratori delegati e vertici delle principali società italiane membri del Teha Club.Transizione 4.0 fa la parte del leoneMetà dei rispondenti ha dichiarato di non aver partecipato ad alcun bando «a causa della limitata varietà dei settori produttivi» coinvolti. Tra i partecipanti è emerso che il 36% ha presentato un progetto nell’ambito di Transizione 4.0. Di questi solo l’8% ha sfruttato le risorse per finanziare progetti già programmati prima del Pnrr mentre il restante 92% se ne è servito come volano per nuovi investimenti o ammodernamenti.Loading…La bestia nera della burocrazia Rispetto al rapporto con la pubblica amministrazione l’indagine non evidenzia miglioramenti né nella chiarezza delle informazioni fornite, né nella riduzione dei carichi burocratici, né nella riduzione dei tempi di risposta ed elaborazione delle pratiche. L’Osservatorio di Teha conferma che il 2024 sarà un anno «cruciale» per l’avanzamento del Pnrr, nel corso del quale dovranno essere raggiunti ben 113 obiettivi, di cui 19 legati a riforme e 94 legati a investimenti, con un passaggio dalla fase preparatoria a quella di realizzazione delle opere.Italia seconda per fondi ricevuti in percentualeA livello di erogazione, ad oggi l’Italia ha ricevuto 102,5 miliardi di euro, il 54% del nuovo finanziamento totale. L’importo corrisponde al raggiungimento della quarta rata, collegata agli obiettivi di giugno 2023. Il Governo italiano ha, però, già richiesto la valutazione della quinta rata comunicando di aver raggiunto anche tutti gli obiettivi previsti per la fine del 2023. Qualora la Commissione approvasse anche la quinta rata, l’Italia avrebbe ricevuto complessivamente 113 miliardi di euro, oltre il 58% del finanziamento totale. Attualmente l’Italia si posiziona fra i Paesi con la più alta percentuale di avanzamento percentuale dei fondi ricevuti, seconda solo alla Francia, con 102,5 miliardi di euro erogati, pari al 54% del nuovo finanziamento totale.Ci attende uno sprint finaleCon la revisione approvata dalla Ue nel novembre 2023, il numero di traguardi e obiettivi è stato significativamente aumentato, passando da 527 a 617, con un ampliamento degli obiettivi climatici e della transizione digitale. A livello finanziario la revisione del 2023 ha portato a un incremento della dotazione da 191,6 a 194,4 miliardi di euro. Il nuovo piano prevede uno “sprint finale” più accentuato, con un numero significativamente maggiore di obiettivi da raggiungere nelle fasi conclusive. A partire dalla settima rata fino al termine del piano, sono previsti 348 obiettivi, 99 in più rispetto alla versione precedente. LEGGI TUTTO

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    Salari e risparmi: quei dati

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaDopo la pubblicazione dei dati Istat sulla diminuzione del potere d’acquisto, sul risparmio delle famiglie ai minimi dal 1995 e sull’aumento della pressione fiscale con l’Irpef al top, le opposizioni sono partite all’attacco mettendo all’indice le politiche del Governo Meloni. Sia il Pd che Conte hanno accusato la premier di non aver fatto nulla di quanto promesso e, anzi, di descrivere un Paese di segni positivi che non c’è. Naturale che la sinistra, soprattutto in campagna elettorale, cerchi il lato più scuro dei numeri per mettere all’angolo il Governo ma una domanda dovrebbe farla anche a se stessa. Ossia, come mai con queste cifre non riescono ad aumentare il consenso?E’ vero pure che andrebbe fatta un’analisi più precisa dei dati che ciascuno tira dalla propria parte. La maggioranza illumina quello sull’occupazione, che continua a essere buono, l’opposizione quello dell’erosione dei salari, ma sia per gli uni che per gli altri questi numeri si traducono in domande e scelte. La premier, per esempio, ha già detto che vorrebbe – ha usato il condizionale – confermare il taglio del cuneo fiscale anche con la prossima legge di bilancio ma è evidente che con il quadro illustrato ieri dall’Istat diventa più necessario e urgente. La prudenza è dovuta alla difficoltà di bilancio, come ripete Giorgetti che anche ieri è stato a Palazzo Chigi in vista della presentazione del Def. Sta di fatto che se il cammino è pieno di spine, la sinistra non riesce a trovare la chiave per approfittarne.Loading…Infatti, sia il Pd che i 5 Stelle non si muovono – nei sondaggi – da quella fascia rispettivamente del 20% e del 16% come se gli elettori non vedessero una ricetta alternativa. Ma c’è? Dopo l’exploit della proposta sul salario minimo che ha visto tutto il fronte compatto – da Conte a Calenda – quel treno si è fermato. Mancano proposte chiare, misure-bandiera mentre la destra è sempre in grado di srotolare le sue. Che siano il taglio del cuneo, il Piano Mattei o il salva-case, riescono a dire qualcosa agli elettori. Non tutte le proposte sono concludenti, eppure lo schieramento avversario non ne beneficia. Come se non arasse il campo ma vi facesse solo delle brevi incursioni, dei raid: ora sul salario minimo, ora sulla sanità.Ecco, anche puntare il dito contro quello che il Pd ha chiamato “condono” di Salvini non basta se poi manca una proposta sulla casa, sui bonus edilizi, sugli affitti. Così anche il lato scuro dei numeri di Meloni non diventa un assist per l’opposizione. E anche quel metodo indicato dai leader – di trovarsi insieme solo sui contenuti – non sta funzionando. I contenuti non ci sono, gli scandali giudiziari sì, si veda Bari, e le alleanze saltano. LEGGI TUTTO

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    Bari, rottura Pd-M5s: niente primarie. I due partiti correranno divisi

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaMancava solo l’ufficializzazione pure in casa Pd. A metà mattinata è arrivato il post con il quale Vito Leccese, candidato del PD alle primarie, ha preso atto delle parole di Conte e di quelle del suo sfidante, Michele Laforgia (5Stelle), e ha confermato che il 7 aprile non vi sarà l’appuntamento elettorale per scegliere il candidato di centrosinistra alla poltrona di sindaco di Bari, dopo il decennio di Antonio Decaro. Leccese ha anche confermato: «Resto in campo anche senza primarie».Al macero 25mila schede stampateDopo il post è arrivata pure la disdetta degli alberghi e della struttura sportiva che domenica avrebbero dovuto essere utilizzate per ospitare i sei seggi delle primarie. Andranno quindi quasi sicuramente al macero, perché non utilizzate, tutte e 25.000 schede stampate con i nomi dei due candidati.Loading…Rottura Pd-M5sDopo lo strappo di Conte durante il comizio in piazza Libertà nella stessa giornata degli 8 arresti per corruzione elettorale e voto di scambio – quest’oggi sono iniziati gli interrogatori – è dunque rottura tra Pd e 5Stelle. Nè si crede molto nell’eventualità che l’ex premier, ancora a Bari per una serie di incontri, possa poi vedersi con Elly Schlein, pure nel capoluogo, per quello che avrebbe dovuto essere, alle 18.30, il comizio di chiusura in piazza Umberto in vista delle primarie. La Schlein dovrebbe quindi prendere atto, a sua volta, che Conte ha sotterrato le primarie e procedere oltre per una battaglia, senza perimetro ampio, tutta a sinistra, tra Laforgia e Leccese.Margini ristretti per un ripensamentoLaforgia dal canto suo spiega di aver cercato sempre la soluzione unitaria e che dopo gli arresti per corruzione di ieri aveva chiesto di sospendere di comune accordo l’organizzazione delle primarie, e «dunque attribuire a Conte ogni decisione è irresponsabile, oltre che falso. Gli indagati avrebbero partecipato alle primarie». La posta in gioco per Laforgia «non è la mia candidatura a Sindaco, nè quella di Vito Leccese, bensì il futuro della coalizione di centrosinistra e dell’intera città, che corre il rischio di commissariamento e del rinvio delle amministrative ». Dal Pd è arrivato una sorta di appello finale: il segretario regionale, Domenico de Santis, dice: «Speriamo in un ripensamento». LEGGI TUTTO

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    Dalla bufera giudiziaria alle primarie Pd-M5s saltate: cosa sta succedendo a Bari?

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaUna nuova bufera giudiziaria con una inchiesta per voto di scambio piomba sul voto per le comunali di Bari e spacca il centrosinistra che, in un clima già teso, si preparava a celebrare domenica prossima le primarie per scegliere il candidato sindaco unitario. Il leader del M5S, Giuseppe Conte, in città per partecipare ad una iniziativa elettorale a sostegno di Michele Laforgia, si sfila dalle primarie del 7 aprile annunciando che «non ci sono più le condizioni» per svolgerle seriamente» e confermando il sostegno al proprio candidato. Un scelta che dal Nazareno definiscono «incomprensibile». «Se il Movimento 5 stelle pensa di vincere da solo contro la destra proceda pure – fanno sapere i dem – Ma abbia rispetto per la città di Bari, per gli elettori di centrosinistra e non pensi di dare lezioni di moralità a nessuno. Il Pd resta al fianco di Bari che ha già dimostrato quanto sia importante il Pd come presidio di legalità e di buona amministrazione». La decisione del leader M5s potrebbe creare una pesante spaccatura con i dem che, si ragiona in ambienti del partito democratico, potrebbe portarli a sostenere il loro candidato senza cercare una mediazione nell’ambito del campo largo, che ora esce decisamente ammaccato da questa vicenda.L’inchiesta per voto di scambioL’inchiesta giudiziaria che ha fatto irruzione nella politica pugliese ha portato otto arresti e ha toccato la giunta regionale guidata da Michele Emiliano (della quale fa parte anche il M5s) con l’assessora regionale Pd, Anita Maurodinoia, soprannominata ’lady preferenze’, indagata per voto di scambio che si è dimessa dall’incarico e dal partito. Ai domiciliari sono finiti suo marito, Sandro Cataldo, leader del movimento ’sud al centro’ e il sindaco di Triggiano Antonio Donatelli. Le accuse sono di compravendita di voti (pagati anche 50 euro l’uno) per le elezioni in due comuni della provincia di Bari e per le regionali.Loading…Schlein: non tolleriamo voti comprati«Il Partito Democratico – dice la segretaria del Pd, Elly Schlein, – non accetta voti sporchi. Non tolleriamo voti comprati. Chi pensa che la politica sia un taxi per assecondare ambizioni personali senza farsi alcuno scrupolo non può trovare alcuno spazio nel partito che stiamo ricostruendo, qui deve trovare porte chiuse e sigillate».La commissione di accesso inviata dal Viminale a BariL’inchiesta segue altre due indagini sul presunto voto di scambio che, nei mesi precedenti hanno portato agli arresti di due ex consigliere comunali di Bari, con l’ombra anche di infiltrazioni mafiose, tanto che a Bari è al lavoro da giorni la commissione di accesso inviata dal Viminale che valuterà se ci siano infiltrazioni mafiose nell’amministrazione e deciderà se sciogliere il Comune. Il caso Bari è anche all’attenzione della commissione parlamentare antimafia che nei prossimi giorni sentirà anche il governatore pugliese, Michele Emiliano e il sindaco Antonio Decaro.I rapporti incrinati tra Emiliano e DecaroTra gli ultimi due il rapporto è stato incrinato dal presunto incontro che, secondo quanto raccontato pubblicamente (e poi parzialmente rettificato) dal governatore durante una manifestazione a Bari, sarebbe avvenuto diversi anni fa con la sorella del boss di Bar Vecchia, Antonio Capriati. Il sindaco ha smentito di essere mai stato presente e commenta questa nuova inchiesta dicendo di «non essere sorpreso». E aggiunge: «Per primo, durante le ultime elezioni, ho fatto delle denunce circostanziate, ne ho fatte tre. Due di quelle erano per persone che votavano per me, per liste legate al mio nome». E mentre il centrosinistra è in fiamme e il centro destra non ha ancora un candidato sindaco, la premier Meloni interviene sul caso Bari e le polemiche per l’invio della commissione del Viminale e ribadisce: «Possiamo discutere se la norma sullo scioglimento Comuni è adeguata, ma non si può chiedere che amministrazioni di sinistra siano trattate diversamente dalle altre». «Non entro nel merito, la questione non è politica, ma questo governo – ha aggiunto – ha sciolto diversi Comuni e nessuno si è stracciato le vesti. Questa Italia in cui la sinistra ha più diritti degli altri non mi è mai piaciuta». LEGGI TUTTO