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    In Nuova Zelanda si è spiaggiato uno dei cetacei più rari al mondo

    Caricamento playerSulle spiagge della provincia di Otago, in Nuova Zelanda, è stato trovato un grosso cetaceo spiaggiato che si ritiene sia una balena dai denti a pala, o mesoplodonte di Travers (Mesoplodon traversii), considerata la specie di cetacei più rara del mondo: non ne è mai stata avvistata una viva. Per confermarne l’identificazione comunque occorrerà aspettare i risultati dei test del DNA, per cui ci vorrà qualche settimana.
    La balena dai denti a pala (che tecnicamente non è una balena, ma un cetaceo dello stesso sottordine dei delfini) è un mammifero che si ritiene viva principalmente nell’oceano Pacifico meridionale. Probabilmente gli individui della specie passano la maggior parte del tempo in acque profonde, per cui è particolarmente difficile incontrarne. Proprio per questo non conosciamo praticamente nulla del loro comportamento, anche se si suppone sia per molti versi simile a quello di altri cetacei di specie imparentate.
    La scoperta sulla spiaggia di Otago, avvenuta vicino alla cittadina di Taieri Mouth, è ritenuta particolarmente promettente dagli scienziati perché la carcassa di cinque metri era in un buono stato di conservazione. Trevor King, il professionista che si è occupato dello spostamento del corpo dalla spiaggia a una cella frigorifera, ha detto al Washington Post che l’animale doveva essere morto da molto poco quando è stata recuperata, dato che non puzzava.
    La Nuova Zelanda deve occuparsi spesso di cetacei spiaggiati sulle proprie coste, e ha quindi elaborato un sistema piuttosto rapido per gestire le carcasse. Questo include la consultazione con le comunità māori, la popolazione nativa della Nuova Zelanda, che vivono nell’area in cui vengono trovate. Le balene sono animali sacri per i māori, e si possono prelevare dei campioni solo nel caso in cui la comunità dia il proprio assenso. In questo caso i campioni sono stati inviati all’Università di Auckland (la città principale del paese). Intanto le autorità neozelandesi stanno collaborando con Te Runanga o Otakou, la comunità māori che vive nella zona del ritrovamento, per decidere come gestire il corpo del cetaceo spiaggiata.

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    Secondo Kirsten Young, una ricercatrice dell’Università di Exeter (in Inghilterra) che si era occupata di alcuni dei ritrovamenti precedenti, il buono stato di conservazione della balena dai denti a pala trovata a luglio potrebbe permettere di dissezionarla: sarebbe il primo caso in cui gli scienziati riescono a farlo.
    Finora sono stati trovati solamente sette campioni di balena dai denti a pala, di cui quattro completi: il primo fu un frammento di mandibola inferiore trovato sull’isola di Pitt, nelle isole Chatham (vicino alla Nuova Zelanda) nel 1874. Il suo scopritore fu il naturalista Henry Travers, a cui è stata poi intitolata la specie. Sulla mandibola c’erano anche due denti rettangolari, che ricordavano le pale usate dai balenieri per separare lo strato di grasso delle balene dalla pelle.

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    Negli anni Cinquanta fu trovato un frammento di cranio a White Island, sempre in Nuova Zelanda, e nel 1993 ne fu trovato un altro sull’isola Robinson Crusoe, in Cile: solo nel 2002 i tre frammenti furono riconosciuti come appartenenti alla stessa specie.
    Il primo individuo intero fu trovato solo nel 2010: una femmina adulta e un cucciolo si spiaggiarono nella regione di Bay of Plenty, nel nord della Nuova Zelanda. Furono le prime balene coi denti a pala complete a essere trovate, ma furono identificate come tali solo nel 2012. Nel 2017 fu trovata un’altro individuo spiaggiato, sempre in Nuova Zelanda. In quei casi però non fu possibile studiarne approfonditamente i corpi, a causa del loro deterioramento.

    – Ascolta anche: “Sonar”, un audio documentario sui modi in cui il suono e il linguaggio costruiscono la realtà LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    I procioni sono originari del Nord America, ma negli ultimi decenni si sono diffusi anche in aree urbane di altri paesi del mondo dove erano stati portati come animali da compagnia o come attrazioni all’interno di zoo privati. Sono animali con grandi capacità di adattamento agli ambienti nuovi e sono rapidi a riprodursi, per cui si trovano bene nelle città, dove mangiano dalle ciotole degli animali domestici e dai bidoni della spazzatura e fanno vari danni. A Francoforte sull’Oder, dove vivono i due procioni presenti in questa raccolta, ne vennero introdotti due sul territorio novanta anni fa e oggi ci sono quel tipo di problemi. Tra gli altri animali un longhorn del Texas tra le strade di una cittadina in Pennsylvania, un pangolino nato da poco, una capra nubiana e un orso polare e un chea – sapete cosa è un chea (o kea)? – alle prese con rimedi contro il caldo. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Negli anni Ottanta sulla piccola isola di Anma, nella contea del Yeonggwang (Corea del Sud), vennero introdotti una decina di cervi sika, le cui corna erano utilizzate nella medicina tradizionale. Ad anni di distanza il loro numero è cresciuto fino a raggiungere un migliaio, al punto che gli abitanti dell’isola sono esasperati dai danni che causano ai raccolti e al territorio e chiedono che vengano classificati come fauna selvatica dannosa (e non come bestiame) in modo da mettere in atto un programma di abbattimento. Nelle foto di animali della settimana c’è uno di questi cervi che prova a sfuggire a un abitante che vorrebbe anestetizzarlo con una cerbottana, che fa parte di un bel reportage dell’agenzia Reuters. Completano la raccolta un po’ di animali nati da poco: un rinoceronte bianco, una renna, un pinguino di Humboldt, tre pulcini di tucano e due di suricato nati al parco delle Cornelle in provincia di Bergamo. Per finire con il salto di due delfini e un’elegantissima berta maggiore. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Qualche anno fa in Sudafrica è stato avviato un progetto sperimentale che prevede di iniettare un materiale radioattivo nei corni dei rinoceronti, che consentirebbe di individuare più facilmente le parti di corno che vengono asportate dagli animali e trafficate illegalmente (rilevandole in appositi sensori installati ad esempio negli aeroporti ai confini nazionali), nella speranza di limitare il fenomeno. Tra le foto di animali della settimana c’è un rinoceronte nella zona del Limpopo a cui è stato appena effettuato il procedimento. Poi orsi che fanno la doccia – questi sono in uno zoo, ma sapreste cosa fare se ne incontraste uno? –, il salto di una megattera, due procioni che si fanno cercare, un cane brutto e uno famoso sui social network. LEGGI TUTTO

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    Stanno aumentando anche le zecche

    Caricamento playerÈ il periodo dell’anno in cui tante persone fanno escursioni sui sentieri di montagna indossando pantaloni corti: ma passeggiando nei boschi e dove c’è l’erba alta si può rischiare di essere morsi da una zecca dei boschi, cosa che può comportare dei rischi. Questi animali infatti possono trasmettere due malattie pericolose per le persone, la borreliosi di Lyme e l’encefalite da zecche, presenti in Italia dalla metà degli anni Ottanta e dal 1994 rispettivamente.
    In Europa i casi di contagio registrati sono in aumento da anni e si ritiene che c’entri il cambiamento climatico. Le temperature più alte allungano il periodo di attività annuale delle zecche e favoriscono la loro proliferazione e la loro diffusione territoriale: in alta montagna fa troppo freddo, ma si trovano anche tra i 1.200-1.400 metri di altitudine. Sono quindi cresciute le popolazioni di questi animali e con esse le probabilità di essere morsi da individui vettori dei batteri che causano la malattia di Lyme o del virus dell’encefalite. Ci sono comunque varie precauzioni per evitare di essere morsi, e nel caso dell’encefalite esiste anche un vaccino, che è consigliato a chi è più esposto al rischio di incontrare zecche ed è gratuito per i residenti in aree particolarmente interessate dalla loro presenza.
    Cosa sono le zeccheLe zecche sono piccoli animali ematofagi, che cioè si nutrono del sangue di altri animali: per succhiarlo penetrano la pelle con il loro apparato boccale, detto rostro. Non sono insetti ma aracnidi, come i ragni e gli acari, e ne esistono numerose specie. Le zecche che possono mordere le persone non sono le stesse interessate al sangue dei cani e nella classificazione scientifica sono chiamate Ixodes ricinus. Vivono generalmente nei prati e nei boschi, tra l’erba alta e il fogliame, perché si trovano bene in condizioni fresche e umide – non bisogna temere di incontrarne nei parchi cittadini. D’inverno si rifugiano sotto il fogliame o sotto le rocce, e rimangono in uno stato di inattività, mentre con l’aumentare delle temperature cercano animali da parassitare.
    Percepiscono l’anidride carbonica e il calore emessi dal corpo degli animali più grandi e così si accorgono della presenza di un possibile ospite: a quel punto si spostano sull’estremità di una pianta, che si tratti di un filo d’erba o di un arbusto, e si aggrappano – non saltano e non hanno ali – poi all’ospite. Il morso di solito è indolore perché nella saliva delle zecche è presente una sostanza che ha un effetto anestetico. Se non vengono rimosse prima, le zecche succhiano il sangue dell’ospite per alcuni giorni e poi si lasciano cadere.
    Le malattie che le zecche possono trasmettereAl di là del fastidio legato al morso, i problemi più gravi legati agli incontri con le zecche derivano dai patogeni che possono essere presenti – ma non sempre, è importante saperlo – nella saliva di questi animali.
    Tra questi patogeni, in Europa, ci sono il Borrelia afzelii e il Borrelia garinii. Sono batteri che le zecche possono “raccogliere” succhiando il sangue di animali selvatici come roditori, caprioli, cervi, volpi e lepri, e che causano la borreliosi di Lyme. È una malattia che causa sintomi che riguardano la pelle, le articolazioni, il sistema nervoso e gli organi interni, più o meno gravi. Il primo sintomo è spesso una macchia rossa sulla pelle che ha origine nel punto del morso e da lì si espande: nelle settimane o nei mesi successivi si possono sviluppare diversi sintomi neurologici o cardiaci, che se la malattia non viene correttamente riconosciuta (non è sempre facile) e curata possono diventare cronici. Se viene diagnosticata si cura con una terapia antibiotica.
    Non esistono invece terapie per l’encefalite da zecche, o più propriamente “meningoencefalite”, spesso chiamata anche con l’acronimo inglese TBE. È causata da un virus del genere Flavivirus, simile a quelli responsabili della febbre gialla e della dengue. Nel 70 per cento dei casi una persona morsa da una zecca portatrice del virus non sviluppa sintomi, o ne manifesta di lievi. Nel restante 30 per cento dei casi invece si hanno sintomi simili a quelli di un’influenza, dunque febbre alta, mal di testa o mal di gola, stanchezza e dolori muscolari. Dopo 8-20 giorni di apparente benessere alcune delle persone che hanno questo decorso (tra il 10 e il 20 per cento) possono sviluppare altri sintomi, più gravi: confusione, perdita di coordinazione, difficoltà a parlare, debolezza degli arti e convulsioni. In una minoranza dei casi, specialmente tra le persone più vulnerabili, la malattia può essere mortale.
    Secondo i dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), tra il 2012 e il 2022 sono stati registrati ogni anno tra i 1.900 e i 3.700 casi di TBE all’incirca, di cui la maggior parte in alcuni paesi dell’Europa settentrionale, centrale e orientale. Nel 2022, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, i paesi più interessati sono stati Cechia, Germania, Svezia, Lituania e Polonia. In Italia nel 2022 i casi confermati sono stati 104: nei dieci anni precedenti non erano mai stati più di 55.
    Per quanto riguarda invece la malattia di Lyme, negli ultimi anni ci sono stati circa un migliaio di casi certificati in Europa, ma i dati sono carenti. In Italia la malattia è più presente rispetto alla TBE e finora è stata riscontrata soprattutto nelle regioni settentrionali e in particolare in Friuli Venezia Giulia, dove venne registrato il primo caso, Veneto (in particolare la provincia di Belluno) e Lombardia.
    Come evitare i morsi di zeccheSe tra la primavera e l’autunno si fanno passeggiate nei boschi o attraversando prati con l’erba alta in collina e in montagna sotto i 1.400 metri, conviene prendere alcune precauzioni per evitare i morsi di zecche. Il sito dell’Istituto superiore di sanità consiglia di indossare un cappello e coprire le gambe con calze, pantaloni lunghi e stivali (preferibilmente di colore chiaro, per vedere più facilmente eventuali zecche), e di non addentrarsi nelle zone con l’erba alta. Suggerisce inoltre di esaminare il proprio corpo e i propri abiti alla fine dell’escursione, per verificare di non avere zecche addosso; tendono a mordere soprattutto sulla testa, sul collo, dietro le ginocchia e sui fianchi.
    Se si scopre di avere una zecca attaccata, è utile avere a portata di mano una pinzetta (preferibilmente a punte sottili), dei guanti e una boccetta in cui conservarla successivamente. Bisogna rimuovere la zecca il prima possibile perché la probabilità di contrarre un’infezione dipende anche dalla durata del morso. Per farlo si deve indossare i guanti, avvicinare la pinzetta il più possibile alla superficie della pelle e poi usarla per staccare la zecca «tirando dolcemente» e «cercando di imprimere un leggero movimento di rotazione». Esistono anche strumenti specifici per quest’operazione.
    È importante non schiacciare il corpo della zecca mentre la si toglie perché così si potrebbe causare un rigurgito dell’animale e aumentare le probabilità di trasmissione di un virus o di un batterio. Bisogna inoltre ignorare alcune credenze piuttosto diffuse secondo cui per rimuovere una zecca bisognerebbe usare alcol, benzina, acetone, trielina, ammoniaca, olio o oggetti arroventati: causare una sofferenza alla zecca aumenterebbe sempre il rischio di provocarle un rigurgito. È bene invece disinfettare la zona del morso dopo la rimozione. Se il rostro, cioè la bocca della zecca, rimane all’interno della cute bisogna estrarlo con le pinzette o con un ago sterile.
    Per quanto riguarda la zecca rimossa, conviene conservarla in una boccetta con alcol al 70%: nel caso in cui si manifestino dei sintomi di un’eventuale malattia successivamente al morso, avere a disposizione i resti biologici dell’animale può essere utile per identificare correttamente la malattia e curarla al meglio. Nel caso in cui dopo il morso si sviluppasse uno o più sintomi della borreliosi di Lyme (compreso l’arrossamento della pelle che si allarga) o della TBE bisogna contattare il proprio medico.
    E i vaccini?Negli Stati Uniti esisteva un vaccino per la malattia di Lyme che però non si poteva usare in Italia perché in Europa sono presenti diverse e più numerose specie di batteri, hanno smesso di produrlo e sono in corso i test per l’approvazione di un nuovo vaccino. Esiste invece un vaccino per la TBE, disponibile in Italia e raccomandato alle persone più a rischio di morsi di zecche.

    – Leggi anche: Le zanzare invasive sono sempre più diffuse in Europa LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Tra gli animali fotografati in settimana ci sono: un pollo sopravvissuto a un grosso incendio in un mercato di Bangkok, in Thailandia; un boa constrictor, o boa costrittore (che come dice il nome uccide le sue prede stritolandole), rimesso in libertà in Colombia; un cane in un seggio elettorale per le elezioni europee in Ungheria. Poi tre formichieri in un parco faunistico in Messico e due leoni marini: uno che si fa i fatti suoi in California e un altro a cui viene chiesto un pronostico per la prima partita degli Europei di calcio, che sono iniziati venerdì sera con Germania-Scozia. LEGGI TUTTO

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    C’è un po’ troppa preoccupazione per il vermocane

    Caricamento playerDa alcuni mesi è stata segnalata nel Mediterraneo una maggiore presenza del vermocane, un piccolo animale marino descritto come vorace e in grado di causare punture particolarmente dolorose. Le notizie sui suoi frequenti avvistamenti, per lo più da parte dei pescatori, hanno suscitato una certa attenzione e qualche apprensione, complici titoli e articoli di giornale con toni alquanto allarmati in vista della stagione balneare, anche se in realtà le probabilità di incontro con i vermocani durante una nuotata sono basse, così come il rischio di essere urticati dalle loro setole.

    – Ascolta anche: La puntata di “Ci vuole una scienza” dedicata al vermocane

    I vermocani appartengono alla specie Hermodice carunculata, che a sua volta fa parte della grande classe dei policheti, comprendente circa 13mila specie diverse, ottomila delle quali sono presenti nel Mediterraneo. La loro presenza, in particolare lungo le coste del sud Italia, è attestata da almeno un paio di secoli e il loro nome può variare a seconda delle regioni e delle zone. Talvolta vengono chiamati “vermi di fuoco” o “vermi di mare”, per via della loro particolare forma e della loro colorazione rossastra.
    A prima vista un vermocane ricorda un millepiedi. Il suo corpo è infatti schiacciato e suddiviso in segmenti, il cui numero varia a seconda della lunghezza degli individui. Considerato che un vermocane adulto può raggiungere i 15-30 centimetri, i segmenti che lo costituiscono possono arrivare a 150. Ciascuno dei segmenti è dotato di “parapodi”, cioè delle piccole appendici muscolari che i vermocani utilizzano per muoversi sul fondale e per accennare qualche movimento quando una corrente li mantiene sospesi nell’acqua.
    (Wikimedia)
    Ogni segmento è inoltre ricoperto di setole minuscole che si ritiene contengano tossine urticanti, che questi animali utilizzano per difendersi dai predatori. I vermocani si muovono infatti molto lentamente sul fondale e in questo modo riescono a ridurre il rischio di essere cacciati da altri animali. Al tempo stesso, il sistema di difesa consente a questi animali di avvicinarsi alle prede, solitamente ricci di mare, molluschi, stelle di mare (echinodermi) e all’occorrenza pesci. I vermocani si muovono tra le alghe, i coralli e le rocce del fondale fino a 40 metri di profondità, anche se spesso possono essere osservati nelle acque più superficiali dove può avvenire qualche incontro con chi ha deciso di fare una nuotata.
    Le setole dei vermocani sono molto delicate e si spezzano facilmente quando entrano in contatto con qualcosa, compresa la pelle umana. Si conficcano negli strati più esterni della pelle e causano in poco tempo una forte irritazione, che viene di solito descritta come paragonabile a quella causata da alcune specie di meduse, anche se meno dolorosa. Nella zona interessata dal contatto si hanno una forte sensazione di bruciore e di prurito, talvolta accompagnata da un intorpidimento dove si sono conficcate le setole. Solo in casi rari possono esserci nausea e una sensazione di affanno, magari indotta dallo stress conseguente all’incontro imprevisto con un animale poco conosciuto e dall’aspetto poco incoraggiante.

    Non è ancora completamente chiaro se siano solamente le setole a causare l’irritazione o alcune sostanze al loro interno, probabilmente urticanti. Nel caso di un contatto viene comunque consigliato di provare a rimuovere le setole utilizzando del nastro adesivo, da applicare sulla parte e rimuovere nella direzione verso cui puntano le setole. L’uso di un panno caldo può aiutare a denaturare le eventuali sostanze urticanti, cioè a modificarne le caratteristiche fisiche in modo da ridurne l’effetto; viene anche suggerito l’uso di alcol sulla parte interessata per provare ad alleviare il dolore.
    I rischi derivanti da un contatto con vermocani sono stati esagerati su alcuni giornali, così come i racconti sull’effettiva probabilità di entrare in contatto con questi animali. I vermocani sono per lo più animali notturni e di giorno si nascondono sotto gli scogli, particolare che rende ulteriormente difficile un contatto diretto. L’aumento segnalato, e da verificare, della loro popolazione nel Mediterraneo da parte dei pescatori è invece valutato con attenzione perché potrebbe indicare qualche rischio per alcune specie ittiche, vista la voracità dei vermocani. La loro maggiore presenza è stata indicata già da un paio di anni da chi effettua la pesca lungo le coste di Sicilia, Calabria, Puglia e Campania.
    Per verificare la distribuzione e la popolazione di vermocani nel Mediterraneo, da qualche tempo l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale gestisce il progetto “Worms Out” in collaborazione con altre istituzioni ed enti di ricerca. L’iniziativa serve a raccogliere dati ecologici e biologici, sia attraverso le segnalazioni degli avvistamenti sia tramite l’utilizzo di trappole collocate in mare. Per le segnalazioni è possibile utilizzare l’applicazione per smartphone avvistAPP, già sviluppata per il tracciamento di specie ittiche nel Mediterraneo. È stato inoltre preparato un questionario per valutare il livello di conoscenza e la quantità di avvistamenti da parte della popolazione.
    La raccolta di dati sarà importante per stimare l’andamento della popolazione di vermocani nel tempo, approfondendo le possibili cause del loro aumento. Il principale indiziato è l’aumento della temperatura media del Mediterraneo dovuto al riscaldamento globale. Il Mediterraneo è tra i bacini che si stanno scaldando più velocemente sul pianeta e le maggiori temperature favoriscono la proliferazione di alcune specie, talvolta a scapito di altre. LEGGI TUTTO

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    Come fanno i pitoni a digerire corpi umani interi

    Venerdì scorso in Indonesia il corpo di una donna di 45 anni, scomparsa da un giorno, è stato trovato nello stomaco di un pitone lungo cinque metri. È successo vicino al villaggio di Kalempang, nella regione di Sulawesi Meridionale. È raro che i grandi serpenti che vivono in foreste tropicali attacchino le persone, ma negli ultimi anni ci sono stati altri casi, sempre sull’isola di Sulawesi. L’anno scorso un pitone di 8 metri era stato ucciso mentre stritolava un agricoltore. Nel 2018 un altro pitone, di 7 metri, aveva ingoiato una donna di 54 anni e l’anno precedente era successo a un 25enne con un serpente di 4 metri.Secondo David Penning, professore associato di Biologia della Missouri Southern State University che in passato aveva discusso di questi casi con il sito di divulgazione scientifica Live Science, «accade probabilmente più spesso che ci siano incidenti con pitoni e boa tra le persone che ne tengono in casa senza le misure di sicurezza necessarie», ma è possibile che con l’aumento della deforestazione e la conseguente riduzione dell’habitat naturale di questi animali gli attacchi letali aumentino. In Indonesia così come in altri paesi tropicali ci sono comunità di persone che vivono in zone rurali molto vicine alle foreste.
    È probabile che il pitone che ha ucciso la donna di Kalempang fosse un pitone reticolato (Malayopython reticulatus), la specie di serpenti che raggiunge le lunghezze maggiori nel mondo. Vivono in molti paesi del Sud-Est asiatico e non sono velenosi. Uccidono le proprie prede facendo loro degli agguati e poi avvolgendosi attorno al loro corpo: non le soffocano, ma stritolandole ne bloccano la circolazione del sangue causando un arresto cardiaco, e conseguentemente la morte. Gli individui più piccoli mangiano soprattutto roditori, ma anche pipistrelli, mentre i serpenti più grossi predano mammiferi di dimensioni maggiori, comprese scimmie, suini e cervi, oltre ad animali di allevamento o domestici.
    Riescono a ingoiare prede anche molto grosse rispetto alla propria massa corporea, che ingeriscono intere. Sono in grado di aprire moltissimo le proprie mascelle grazie a legamenti molto flessibili e di solito ingoiano le prede a partire dalla testa. I corpi umani sono particolarmente complessi da ingerire per via della forma delle spalle, più larghe della testa, ma se una persona non è molto alta, come si è visto a Sulawesi, i pitoni reticolati più grandi possono effettivamente riuscire a ingoiarla.
    La più stupefacente caratteristica dei pitoni reticolati e di altre specie di pitoni e serpenti è la capacità del loro stomaco di digerire le grosse prede ingoiate intere (vestiti inclusi, nel caso delle persone). Per farlo rimodellano il proprio apparato digestivo, ingrandendo sia lo stomaco che l’intestino, che durante i periodi di digiuno occupano pochissimo spazio nel loro corpo. Ma soprattutto producono una grande quantità di succhi gastrici molto acidi (quelli che anche negli umani servono a disgregare il pasto in sostanze più semplici) che permettono di scomporre una preda che non è stata masticata e che, in alcuni casi, può avere un peso simile a quello del serpente che l’ha ingerita. Per quanto riguarda l’intestino, le cellule sulle sue pareti si allungano fino a quattro volte, per assorbire zuccheri e altre sostanze nutritive dal cibo già passato dallo stomaco.
    Nel processo digestivo aumentano anche le dimensioni del cuore del serpente – la crescita può essere del 40 per cento – per pompare più sangue e aumentare così la circolazione di ossigeno nel corpo: complessivamente c’è un grosso aumento dell’attività metabolica. Crescono anche le dimensioni di altri organi, come il fegato e i reni. Questo grosso dispendio di energie, compensato dalla digestione della preda, è comunque raro nella vita dei pitoni: dopo aver digerito un grosso animale possono passare anche vari mesi senza mangiare, contando unicamente sull’energia ricavata dal pasto precedente.
    Il pitone che ha ucciso la donna di Kalempang è stato trovato dagli abitanti del villaggio poco lontano da dove la donna era stata vista l’ultima volta, intento a digerire. L’ingrossamento del suo corpo ha fatto intuire cosa fosse successo: il pitone è stato ucciso e tagliato per recuperare i resti della donna. LEGGI TUTTO