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    Giorgetti: “La manovra? Servono sacrifici da tutti. Troveremo un equilibrio”

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    In vista dell’imminente legge di bilancio – che il governo Meloni licenzierà ufficialmente il prossimo 15 ottobre in Consiglio dei ministri per poi essere approvata definitivamente dal Parlamento entro fine anno – Giancarlo Giorgetti si appella a tutti i soggetti economici e bancari affinché facciano dei sacrifici: anche il settore della difesa. L’Italia è “impegnata in un percorso particolarmente esigente di rientro. Rientreremo sotto il 3%” in termini di deficit “nel 2026, mentre altri come la Francia lo faranno nel 2029”, ha dichiarato il ministro dell’Economia intervenendo all’evento Future of Finance Italy Economic Outlook 2024 di Bloomberg. “Di certo gli interventi maggiori saranno di riduzione delle spese – ha aggiunto – ma servirà un contributo sul fronte delle entrate”.Alla successiva domanda sul fatto se verranno tassati gli utili delle aziende della difesa, considerando che beneficiano di una situazione peculiare di mercato visto il contesto geopolitico internazionale, Giorgetti ha risposto: “Evidentemente sì”. Poi, l’aggiunta: “Non ci sarà più la narrativa come in passato sugli extraprofitti bancari dal momento che in quel momento le banche facevano più profitti”. L’esponente di governo ha inoltre spiegato che oggi, con le guerre e le tensioni internazionali e anche la situazione in Medio Oriente, l’industria di chi produce armi “va bene chi produce armi, beneficiando di una situazione di mercato favorevole che produce utili superiori”, ma in generale “facciamo tutti parte di un Paese che deve mettere a posto conti. La chiamata alla contribuzione è per tutti”. In ogni caso, chiosa, il deputato della Lega è più che “convinto che alla fine troveremo una situazione equilibrata”.A proposito del concetto di “extraprofitti” il ministro Giorgetti sottolinea che non sia corretto utilizzare questo termine quando si afferma che verranno tassati anche “i profitti e i ricavi, e sarà uno sforzo che l’intero Paese deve sostenere ovvero individui, ma anche società piccole, medie e grandi”, perché in questo caso di va a tassare “i profitti a chi li ha fatti: è uno sforzo che tutto il sistema paese deve fare”. Le aziende “non fanno beneficenza – prosegue – quindi i contributi volontari non esistono”, ha aggiunto precisando i contorni dei possibili provvedimenti. “Esiste l’articolo 53 della Costituzione” che prevede che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche “in ragione della loro capacità contributiva”. Poco dopo un comunicato del Mef preciserà che, per quanto riguarda le entrate, si chiederà “uno sforzo alle imprese più grandi che operano in determinati settori in cui l’utile ha beneficiato in qualche modo di condizioni favorevoli esterne affinchè contribuiscano con modalità sulle quali è in corso un confronto”. Quindi non è allo studio “nessuna nuova tassazione per gli individui mentre le aziende più piccole sono già interessate al Concordato biennale preventivo”.Più in generale, i dati di finanza pubblica per quest’anno “andranno meglio degli obiettivi che abbiamo dichiarato a mercati e commissione Ue e su cui qualcuno dubitava. L’obiettivo di deficit del 4,4% sembrava irrealistico, ora l’abbiamo aggiornato al 3,8% – conclude Giorgetti -. Stiamo dimostrando che non solo rispettiamo gli obiettivi ma addirittura facciamo meglio, continuiamo con questo atteggiamento serio, prudente, responsabile, ritengo che la credibilità sia fondamentale. Questo governo deve dare un messaggio di credibilità, le cose che dichiariamo facciamo”. LEGGI TUTTO

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    Oggi Commerz, domani Generali

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    Al momento non è dato sapere quali prescrizioni la Bce imporrà per legittimare l’aggregazione tra Unicredit e Commerzbank, qualora vengano superati i non pochi veti minacciati dal governo tedesco. Possiamo però registrare la buona predisposizione della presidente Christine Lagarde, secondo cui le fusioni tra banche europee non vanno ostacolate, bensì incoraggiate perché creano vantaggi per tutti. Il che non è poco di fronte all’eloquente silenzio della Bundesbank, la banca centrale tedesca in altre circostanze pronta a far sentire la sua voce severa. Per non dire del plauso del mercato, che descrive l’operazione come la prima concreta pietra verso la creazione dell’Unione bancaria che, insieme a quella dei mercati, aiuterebbe a cementare l’Unione Europea nello spirito dei padri fondatori proprio quando ne ha più bisogno. Ciò non significa dare per definita l’operazione: sebbene ci siano pochi dubbi sull’esito finale – soprattutto dopo che il Rapporto Draghi ha messo in guardia da pericolosi arrocchi – altri passi dovranno essere compiuti. Il tentativo di boicottaggio messo in atto dal governo Scholz, che allo scopo avrebbe attivato un esercito di sicari pronti a intimidire quanti hanno sposato le ragioni dell’aggregazione, potrebbe infatti richiedere interventi politici che richiamino al rispetto delle regole proprio coloro, Germania in primis, che le hanno fortemente pretese. In ogni caso, un punto d’arrivo può fin d’ora essere fissato: si è infranto un tabù – il veto alle acquisizioni transfrontaliere – a lungo tacitamente condiviso in nome di una malintesa sovranità nazionale che, nei fatti, ha finora tradito il concetto di Unione. LEGGI TUTTO

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    Trasporti del futuro, biocarburanti decisivi

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    «Nel futuro della mobilità, e con una prospettiva di neutralità tecnologica, i biocarburanti hanno un ruolo fondamentale». Nella sua analisi è risoluto Alessandro Sabbini, responsabile delle Relazioni Istituzionali di Enilive e responsabile dei Rapporti Istituzionali Centrali di Eni, intervenuto al forum annuale di Wave – Smart Mobility (nella foto) tenutosi ieri presso l’auditorium del Museo dell’Ara Pacis a Roma.Organizzato da Core, l’evento ha riunito figure di spicco del mondo politico e aziendale per fare il punto sulle novità, in chiave sostenibile, del settore trasporti in ambito urbano, extraurbano, nonché del mondo della logistica, sempre più attenta all’impatto ambientale.L’evento è stato organizzato con il contributo dei main partner Enel, Eni e Gruppo FS Italiane, degli official partner Jaguar Land Rover, RideMovi e Unipol e con il patrocinio del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’assessorato alla Mobilità di Roma Capitale e Rai. Media partner dell’evento è stata Rai Pubblica Utilità.Presentato durante il forum anche il sondaggio realizzato da Youtrend in esclusiva per Wave, da cui emerge che, nonostante tutto, rimaniamo a tutti gli effetti un popolo di automobilisti, anche se le abitudini stanno cambiando nelle generazioni più giovani. In Italia si usa ancora tantissimo l’automobile privata, soprattutto se si paragona l’utilizzo dell’auto a quello degli altri mezzi di trasporto disponibili sia pubblici che privati. Un numero su tutti: l’auto privata è utilizzata almeno una volta a settimana dall’87% degli intervistati.Il forum ha quindi approfondito come le tecnologie emergenti e le politiche nazionali stanno trasformando le aree urbane, con un focus su mobilità sostenibile, elettrica e intermodale. LEGGI TUTTO

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    Tim, da Tesoro e Asterion 700 milioni per Sparkle

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    La proposta era attesa da mesi, alla fine ieri sera è arrivata: il ministero dell’Economia e delle Finanze e Retelit (azienda di telecomunicazioni controllata dal fondo spagnolo Asterion) hanno presentato a Tim un’offerta di 700 milioni di euro per rilevare il 100% di Sparkle, la società dei cavi internazionali da tempo promessa sposa dello Stato italiano. Si tratta di una proposta non vincolante (valida fino al 15 ottobre) migliorativa almeno dal punto di vista della struttura rispetto a quella dello scorso febbraio, quando la coppia Mef-Asterion si era fermata a 600 milioni con una componente variabile di 150 milioni, che tuttavia presentava condizioni difficili da raggiungere. Adesso, invece, l’offerta prevederebbe un importo più alto nell’immediato e senza incertezze.Ora il consiglio d’amministrazione di Tim (che potrebbe riunirsi già la prossima settimana) valuterà l’offerta e intavolerà il discorso per arrivare all’offerta vincolante, in un percorso che difficilmente si concluderà prima di tre o quattro mesi.Dovessero essere queste le cifre, si parlerebbe di una netta plusvalenza perché Sparkle ha un valore di bilancio di 481 milioni. Ma non è tanto – o comunque non solo – questo l’aspetto più rilevante per il gruppo guidato dall’amministratore delegato Pietro Labriola, ma il fatto che la cessione di Sparkle significa chiudere il cerchio dell’operazione di scorporo della rete: ceduta Netco (confluita in Fibercop) al consorzio guidato dal fondo americano Kkr, i 700 milioni dell’operazione serviranno ad abbattere ulteriormente il debito (previsto a 7,5 miliardi entro la fine di quest’anno senza la cessione di Sparkle) e, perché no, potrebbero essere in parte utilizzati per remunerare gli azionisti o per fare nuovi investimenti, magari in qualche società in grado di alimentare la crescita della nuova Tim. Il tutto in attesa che si avveri l’ultimo passaggio del progetto: le nozze o comunque l’accordo sinergico tra Tim e Open Fiber entro l’inizio del 2027, condizione necessaria per far scattare l’ulteriore pagamento di un earn-out di 2,5 miliardi, cifra che potrebbe contribuire a risolvere in modo definitivo il problema del fardello debitorio. Oggi è attesa la reazione del titolo in Borsa di Tim, che lentamente ha ripreso quota fino a raggiungere la soglia degli 0,25 euro per azione (ieri a +0,2%a 0,247). Certo, analogamente con quanto accaduto per il closing sulla rete, l’abbassamento del debito e un progressivo miglioramento della redditività possono portare le agenzie di rating a migliorare ulteriormente il loro giudizio sull’affidabilità creditizia di Tim, con ulteriori alleggerimenti sul fronte degli oneri. LEGGI TUTTO

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    Dalle auto elettriche al diktat green: l’allarme di Confindustria

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    Luci e ombre della corsa al green. Opportunità e rischi. L’industria italiana attraversa l’epoca della transizione ecologica non senza preoccupazioni, anche a motivo di alcuni orientamenti di Bruxelles che inseguono l’ideologia verde trascurando gli aspetti economici e di sviluppo. “La linea fra decarbonizzazione e deindustrializzazione è molto sottile. Non possiamo permetterci di perdere settori industriali o filiere nel nostro Paese. Abbiamo chiesto di poter ragionare di nuovo sul Green deal”, ha dichiarato al riguardo il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. In una conferenza stampa a Bruxelles, il manager ha affrontato l’argomento senza lesinare critiche agli aspetti più controversi delle norme europee sulla materia.Auto elettriche, Confindustria: rivedere i tempiIn particolare, Orsini si è soffermato sulle politiche riguardante la mobilità, con riferimento alla crisi del settore automobilistico. E con la richiesta all’Ue di rivedere la roadmap sulla transizione all’elettrico. “Le imprese non fanno nuovi investimenti nell’auto se non c’è uno spiraglio, un’apertura sull’obiettivo del 2035 perchè gli investimenti hanno un ritorno di 7-10 anni, la tempistica 2035 va riaperta”, ha affermato il presidente di Confindustria. Secondo il manager andrebbe anticipata la valutazione sullo stato del settore in relazione alle norme europee, che prevedono nel 2035 lo stop della nuova produzione di auto a benzina e diesel. L’Ue ha fissato la suddetta valutazione nel 2026, il governo italiano e altri governi premono invece per un anticipo alla prima parte del 2025, proprio a fronte delle difficoltà del mercato dell’auto.Gli errori di Timmermans”Quanto allo stop al motore termico al 2035, crediamo che quella non sia la via. Sì alla via invece alla neutralità tecnologica e alla salvaguardia del know-how dei Paesi. Non è che siamo contro l’auto elettrica o quella ibrida: diciamo che è una questione di tempi. Non abbiamo tecnologia, non siamo pronti”, ha rimarcato il numero uno di Confindustria. “Bisogna riconoscere un errore che nasce da un senso di colpa sulla spinta del Dieselgate e che forse per una spinta di Timmermans molto forte, abbiamo fatto scelte sbagliate allora”, ha affermato ancora Orsini, menzionando anche il tema del costo dell’auto elettrica, che “non raggiunge la capacità di spesa per l’auto di un italiano medio, che è di 20mila euro”.I dazi sulle auto elettriche cinesiIl presidente di Confinndustria si è quindi dichiarato favorevole ai dazi sulle auto elettriche d’importazione cinese. “Non possiamo non pensare di non incrementare i dazi sulle auto cinesi. Noi siamo a favore”. “La guerra dei dazi tra Cina e Usa non ci entusiasma”, ha proseguito il presidente, ribadendo la necessità di “difendere la nostra filiera” e di stare al contempo “molto attenti, perché i dazi possono penalizzarci”. Sul tema, dunque, l’approccio migliore dovrebbe essere quello di una “interlocuzione di lungo termine”. Oraini ha quindi contestato l’attuale impostazione della direttiva Ets, ovvero lo strumento adottato dell’Unione Europea per contrastare i cambiamenti climatici. Come Confindustria, “chiediamo la revisione dell’Ets subito. È un tema di concorrenza: gli investimenti verso l’Europa stanno crollando, perché i vincoli europei sono troppo alti”, ha tuonato. Poi una nota critica anche verso il proprio settore. Nella fase in cui il Green Deal è stato concepito e negoziato, l’associazionismo imprenditoriale italiano avrebbe potuto “fare di più”.Il ruolo “fondamentale” di Fitto”La diagnosi sulla transizione verde è chiara, non possiamo pensare a una deindustrializzazione del nostro Paese. Ma adesso serve la cura, in cui ci sono importanti temi, come quello del tempo e della finanza. Sono temi competitivi e abbiamo chiesto un bagno d’umiltà, anche in relazione ai ragionamenti fatti nel rapporto Draghi sulla competitività”, ha concluso. A Bruxelles, Orsini ha anche espresso soddisfazione e ottimismo per la designazione di Raffaele Fitto come prossimo commissario europeo italiano “Sarà un ruolo politico fondamentale per un paese come l’Italia, un ruolo anche politico fondamentale, di trattativa con le altre commissioni nelle logiche di ragionamento politico fra industria, ambiente e coesione”. LEGGI TUTTO

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    Inflazione ridotta all’1,8%. Ora la Bce non ha più alibi

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    A forza di guardare la pagliuzza dell’inflazione la Bce ha perso di vista la trave della stagnazione. Ma ora i dati sui prezzi al consumo, scesi in settembre all’interno dell’eurozona all’1,8% e quindi sotto il target della banca centrale, non lasciano più alibi a Francoforte. La cui unica missione nella riunione in calendario il prossimo 17 ottobre deve essere una sola: tagliare i tagli almeno di un altro quarto di punto. Nella speranza che la mossa di alleggerimento, la terza dopo il mini-ciclo inaugurato lo scorso giugno, non giunga fuori tempo massimo.Dopo mesi di tentennamenti giustificati dalla (presunta) resilienza del ciclo economico, il rischio è infatti che il deterioramento congiunturale si sia spinto così in profondità da rendere inefficace nel breve periodo l’azione della politica monetaria. La discesa agli inferi degli indici manifatturieri, che è il riflesso amplificato della crisi in cui versa soprattutto l’automotive europeo, dà la misura della gravità della situazione. Servirebbe quindi una terapia d’urto, come quella prescritta da JP Morgan, Goldman Sachs, Pnb Paribas, Barclays, Nomura e perfino dalla solitamente cauta Deutsche Bank. Tutte convinte che la Bce dovrebbe mettere in agenda una riduzione del costo del denaro per ognuna delle prossime riunioni fino a giugno ’25, in modo da ricollocare i tassi fra il 2 e 2,25% rispetto all’attuale 3,50%. Una proiezione inimmaginabile solo fino a qualche settimana fa, quando un ulteriore ammorbidimento non era dato per scontato. Alla luce degli ultimi dati sull’inflazione, mai così bassa dall’aprile 2021 e con un deciso ripiegamento anche in un Paese come la Germania (1,8%) che più di tutti ha pagato l’effetto dello choc energetico e degli aumenti salariali, i mercati assegnano invece ora l’85% di possibilità che fra due settimane l’Eurotower riduca il costo del denaro. Corroborando magari la decisione (come già fatto dalla Federal Reserve) con l’indicazione che il momento della svolta è arrivato. Un segnale atteso per mesi dall’Italia, dove i picchi del carovita sono solo un brutto ricordo (+0,8% i prezzi in settembre) e un accesso al credito più agevolato sarebbe di conforto per famiglie e imprese. Tassi più bassi darebbero inoltre più respiro alle finanze pubbliche, anche se è ormai sfumato il risparmio di circa tre miliardi di euro che sarebbe derivato quest’anno dalla minor spesa per interessi se l’azione di Francoforte fosse stata più energica. LEGGI TUTTO

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    Fincantieri in Canada per la sfida da 65 miliardi

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    Il Canada si prepara a lanciare una delle gare d’appalto più grandi (e miliardarie) al mondo nel settore dei sottomarini. E secondo quanto risulta a il Giornale, Fincantieri sarà tra i player internazionali in campo per cercare di assicurarsi l’affare.D’altra parte, l’ad Pierroberto Folgiero ha detto che l’azienda è impegnata nel diventare leader dell’underwater e sta focalizzando in questa direzione gli sforzi di sviluppo con nuovi investimenti, alleanze e gare. E proprio a maggio, il gruppo Leonardo ha ceduto il business Underwater Armaments & Systems (UAS) a Fincantieri. L’esperienza comunque non manca: la società italiana costruisce sottomarini dal 1900 e da 25 anni collabora con la tedesca ThyssenKrupp Marine Systems (Tkms), da mesi nel mirino di Folgiero.Il cuore del progetto canadese è un ambizioso programma di rinnovamento della propria flotta sottomarina. In definitiva, dovrebbe essere la più grande gara d’appalto globale per l’industria navale, poiché il Paese vuole acquisire 12 nuovi sottomarini a propulsione convenzionale, tre volte di più di quelli di cui dispone oggi, per un valore tra i 40 e i 65 miliardi di euro.La marina canadese è attualmente dotata di quattro sottomarini di classe Victoria, acquistati dal governo britannico alla fine degli anni ’90. Ottawa deve però alzare il livello di difesa e sicurezza. Con lo scioglimento dei ghiacci, l’Oceano Artico e il passaggio a Nord Ovest del Canada rischiano di diventare più che mai un nuovo spazio di competizione e c’è già chi scommette che entro il 2050 sarà la rotta marittima più efficiente tra l’Europa e l’Est. LEGGI TUTTO

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    L’inflazione rallenta allo 0,7%. È il dato minimo da inizio anno

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    Buone notizie sul fronte dell’inflazione. Secondo le stime preliminari dell’Istat diffuse ieri, nel mese di settembre 2024 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, diminuisce dello 0,2% su base mensile e aumenta dello 0,7% su base annua, dal +1,1% del mese precedente. «A settembre, secondo le stime preliminari, – commenta l’Istituto nazionale di statistica – l’inflazione scende a +0,7%, il livello più basso registrato da inizio anno. Il calo del tasso d’inflazione si deve ancora all’evoluzione dei prezzi dei Beni energetici (-8,7% da -6,1% di agosto), ma risente anche del rallentamento su base tendenziale dei prezzi di alcune tipologie di servizi (ricreativi, culturali e per la cura della persona e di trasporto)». LEGGI TUTTO