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    Ilva, ecco i due piani per il salvataggio

    Due opzioni, due strade, separano l’ex Ilva di Taranto da un nuovo futuro. La prima è considerata più ardua, ma conferma il piano di decarbonizzazione originario del governo, la seconda, invece, coinvolge Taranto, Genova e un sito del Sud, con molte probabilità Gioia Tauro. Dopo quasi otto ore di confronto, si è concluso con un rinvio di una settimana (a martedì 15) il match tra il governo e le istituzioni coinvolte che dovrebbe definire il futuro del polo siderurgico pugliese. Al momento, nessuno strappo si è consumato e la riunione è stata definita dal Mimit come “molto proficua” consentendo “di approfondire tutti i fattori in campo”, ha detto il ministro Adolfo Urso secondo cui “si è delineata una soluzione che ora avrà bisogno degli approfondimenti tecnici e anche della definitiva approvazione da parte degli enti locali”, ha spiegato.Di fatto, però, l’ex Ilva è ancora di fronte a un bivio. Nel primo caso, si farà tutto a Taranto: forni elettrici e Dri, grazie al gas della nave rigassificatrice.In base a un documento riservato consultato dal Giornale, sono tre le fasi chiave previste per un impiego di circa 8-9 miliardi in 7-8 anni: la prima prevede la sostituzione di 2 milioni di tonnellate annue prodotte di acciaio da ciclo integrale con una produzione equivalente da un primo EAF (forno elettrico ad arco), alimentato con DRI ottenuto da un primo impianto di preriduzione che trasforma il minerale di ferro in ferro metallico (DRP) e dotato di un sistema di cattura e stoccaggio della Co2; una fase 2 che prevede la sostituzione di 2 milioni di tonnellate annue prodotte di acciaio da ciclo integrale con una produzione equivalente da un secondo forno elettrico ad arco, alimentato con DRI con le stesse caratteristiche della fase 1 e una terza fase che prevede la sostituzione di altri 2 milioni di acciaio da ciclo integrale con una produzione equivalente da un terzo forno elettrico sempre alimentato con DRI. La data ultima per la demolizione degli altoforni esistenti è il 2033.Nel caso in cui, però, gli enti locali non accettassero la nave rigassificatrice in porto o, come emerso ieri, nella zona della diga che ha un fondale di 24 metri consono allo scopo, si apre uno scenario che prevede 3 forni elettrici a Taranto, che andranno gradualmente a sostituire gli altoforni, 3 o 4 Dri in un sito del Sud che possa sfruttare i fondi di coesione e alimenterà Taranto con contratti di servizio (molto probabilmente Gioia Tauro) e un forno elettrico a Genova che possa alimentare in autonomia i siti liguri. Questa seconda opzione, o piano b, sarebbe quella considerata più probabile e prevederebbe un nuovo bando di gara con una nuova procedura relativa. Tutto questo perché, senza nave rigassificatrice, e secondo quanto ricostruisce una fonte al Giornale, “per alimentare tre forni elettrici e gli impianti a valle (alimentati dall’energia prodotta dal calore residuo degli altoforni esistenti) servono 2,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Una strada possibile aumentando la portata del Tap, ma sicuramente insufficiente per alimentare anche gli impianti Dri”.L’obiettivo, in entrambi i casi, contempla la continuità produttiva e l’ottenimento dell’Aia, l’autorizzazione ambientale integrata necessaria per entrambi i progetti.Quanto all’occupazione, martedì saranno convocati i sindacati, ma entrambi gli scenari non contemplano un mantenimento tout court degli attuali dipendenti. La promessa è quella di valutare, decidere e poi però firmare, motivo per cui si ventila uno slittamento della conferenza dei servizi – che dovrebbe decidere sull’autorizzazione integrata ambientale – prevista per il 10 luglio. LEGGI TUTTO

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    Trattativa sui dazi, Trump avverte: “L’Ue ci sta trattando bene, lettera entro due giorni”

    Il presidente statunitense Donald Trump a ruota libera sui dazi, durante una riunione di gabinetto. Ai giornalisti, ha detto che sono in arrivo altri accordi commerciali, soprattutto sotto forma di lettere che stabiliscono unilateralmente le tariffe da parte degli Stati Uniti. “Gli accordi sono per lo più un mio accordo con loro”, ha detto Trump. “Stiamo scegliendo una cifra bassa ed equa”. Il presidente ha aggiunto che gli Stati Uniti applicheranno una nuova tariffa del 50% sulle importazioni di rame. “Oggi ci occupiamo del rame. Credo che li metteremo al 50%”. Trump ha inviato 14 lettere, ieri, fissando aliquote tariffarie sulle importazioni tra il 25% e il 40%, a partire dal primo agosto. Durante la riunione di gabinetto, ha dichiarato di considerare le lettere “come accordi”. Gli Stati Uniti invieranno una lettera all’Unione europea questa settimana, “probabilmente tra due giorni”. Poi, se l’è presa con i membri del blocco dei Brics – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e altri Paesi – che pagheranno un “dazio aggiuntivo del 10%”. “Quello che stanno cercando di fare è distruggere il dollaro, in modo che un altro Paese possa prendere il controllo e diventare la valuta standard”, ha detto Trump, aggiungendo che permetterlo sarebbe “come perdere una guerra”.In precedenza, aveva affermato che non ci saranno ulteriori proroghe per negoziare nuovi accordi, dopo la nuova scadenza del primo agosto. “Non c’è stata alcuna modifica a questa data e non ci saranno cambiamenti. In altre parole, tutti i soldi saranno dovuti a partire dal primo agosto 2025. Non saranno concesse proroghe”, ha scritto in un post su Truth Social. Gli attuali dazi hanno fruttato 100 miliardi di dollari finora, quest’anno, ha dichiarato il segretario al Tesoro, Scott Bessent, durante la riunione di gabinetto. Ha aggiunto che le entrate tariffarie potrebbero salire a 300 miliardi di dollari entro la fine del 2025. Trump ha poi annunciato genericamente nuovi dazi sul settore farmaceutico (fino al 200%) e dei semiconduttori. LEGGI TUTTO

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    Sull’Ilva anche la mazzata delle cause

    Alla vigilia dell’incontro clou per l’ex Ilva di Taranto, emerge per il polo siderurgico – qualsiasi sia il suo destino – un quadro finanziario complicato da numeri non lusinghieri, ma soprattutto gravato da una valanga di cause legali pendenti. Secondo la seconda relazione semestrale al 31 dicembre 2024, visionata dal Giornale, e depositata dai commissari il 30 giugno, su Acciaierie d’Italia spa (ex Ilva) pendono cause in corso per circa 400 milioni. Nel complesso, una quarantina di cause hanno un valore stimato, ma altre 27 non sono determinate o stimabili. Facilmente, dunque, il conto potrebbe salire a mezzo miliardo di euro. Buona parte, circa 340 milioni, per conto dell’ex azionista esautorato Arcelor Mittal. In sostanza, dunque, il commissariamento dell’azienda che ha spinto fuori dalla gestione aziendale i soci privati, non si è esaurito lì spingendo, come prevedibile, la multinazionale a rivendicare una serie di presunti diritti con un massiccio ricorso agli avvocati e un numero vario di cause per conto delle sue diverse controllate.Oltre all’ex socio, tra i nomi noti troviamo Cimolai che chiede almeno 520mila euro, Conai-Consorzio Nazionale Imballaggi con mille euro, Intesa Sanpaolo con almeno 520mila euro, Bper Factor con 94 milioni, Elmec (indeterminato), Snam Rete Gas con almeno 520mila euro. Guardando ai numeri al 31 dicembre 2024, il quadro non è buono, ma sicuramente migliore di quello attuale. Da inizio anno, infatti, si è perso per strada un altoforno e la produzione si è ridotta al lumicino.Nel dettaglio, nel periodo che va dal 1 settembre al 31 dicembre 2024 (definito arbitrariamente semestrale), l’azienda ha registrato ricavi per 687mila euro, un ebitda in rosso per 218mila euro, ebit negativo per 607mila euro e una perdita netta di 634 mila euro. Il tutto, accompagnato da 2,9 milioni di debiti, di cui 1,5 concorsuali (la voce comprende il totale dei crediti ammessi all’udienza di verifica delle domande tempestive del 19.06.2024). Impietose le disponibilità liquide: 127mila euro.Rilevante anche il numero e il valore delle consulenze che, per 4 mesi arrivano a 2,92 milioni: 927mila euro sono andati a Boston Consulting, 488mila euro a McKinsey & Company, 724mila euro a Bdo Italia Spa, 497mila euro allo studio BeLex, 37mila euro a Gran Thornton Consultants, 36mila euro a Comin &Partners, 63mila euro agli avvocati Marco Annoni e Luisa Torchia, 114mila euro al prof. Corrado Gatti, 36mila euro alla società di revisione Audirevi. LEGGI TUTTO

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    Eni-Algeria asse più forte contratto da 1,3 miliardi

    Eni rafforza la sua presenza in Algeria con la firma di un importante contratto per lo sviluppo del giacimento di Zemoul El Kbar, situato nel sud-ovest del Paese, vicino al confine con la Libia. La cerimonia si è svolta ad Algeri, presso la sede della compagnia statale Sonatrach, alla presenza dell’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi (in foto), e del ceo di Sonatrach, Rachid Hachichi. L’accordo prevede un investimento complessivo di 1,35 miliardi di dollari, di cui 110 milioni saranno destinati all’esplorazione e 1,24 miliardi allo sfruttamento del giacimento, la cui produzione attesa di gas destinato alla vendita si aggira intorno ai 9,3 miliardi di metri cubi l’anno. Il contratto avrà una durata trentennale, con una prima fase di sette anni che verrà dedicata alle attività di ricerca.Oltre al contratto principale, Eni e Sonatrach hanno firmato un accordo complementare che stabilisce le modalità di commercializzazione del gas secco estratto dal giacimento, destinato all’esportazione. Hachichi ha sottolineato come questo contratto miri a chiarire gli aspetti legati alla vendita e distribuzione del gas prodotto, rafforzando così le prospettive energetiche del Paese nordafricano. LEGGI TUTTO

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    La corsa all’intelligenza artificiale: gara aperta con Stati Uniti e Cina

    Nella corsa all’intelligenza artificiale, Stati Uniti e Cina viaggiano a ritmi vertiginosi con L’Europa che cerca di tenere il passo. La sfida, infatti, è complessa e si gioca su più fronti: infrastrutture, investimenti e regolamentazione. Ma la partita vera che si sta delineando è quella della sicurezza nazionale. Sul piano della capacità di calcolo, il divario è marcato. Secondo l’ultima classifica stilata da TOP500, che monitora i supercomputer più potenti al mondo, tra l’80% e il 90% della potenza computazionale globale è concentrata tra Stati Uniti e Cina mentre L’Europa risulta marginale nel confronto. Anche sul fronte dell’adozione dell’AI da parte delle imprese il cammino è in salita.Secondo gli ultimi dati Eurostat/Istat, in Italia solo l’8% delle aziende utilizza soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, contro una media europea del 13%. Il divario si accentua tra le grandi imprese: nel nostro Paese la percentuale si ferma al 32%, mentre la media Ue si attesta al 42%. Ancora più evidente è la distanza negli investimenti. Negli ultimi 11-12 anni, Stati Uniti e Cina hanno attratto complessivamente circa l’80% degli investimenti globali nel settore, lasciando all’Europa solo il 7%. L’Italia, in questo scenario, si ferma a uno scarno 0,2%. Non mancano le ombre nemmeno sul piano della compliance normativa. Con l’entrata in vigore dell’AI Act europeo, molte imprese sono chiamate a rivedere processi e governance tecnologica. Ma oggi, circa il 95% delle grandi aziende italiane non ha ancora definito un percorso strutturato per garantire la conformità delle proprie soluzioni AI. Intanto, il ritmo dell’innovazione globale continua ad accelerare: dal 2024, viene rilasciata in media una nuova versione di modello linguistico ogni due giorni, tra nuove release e aggiornamenti di quelli già esistenti. LEGGI TUTTO

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    Petrolio, l’Opec decide l'”avanti tutta”. E alza la produzione di 548.000 barili

    L’Arabia Saudita, la Russia e altri sei produttori di petrolio dell’Opec+ hanno concordato di aumentare la loro produzione di petrolio di 548mila barili al giorno ad agosto, più di quanto previsto dal mercato e dagli analisti che si aspettavano un aumento più contenuto. La mossa dell’organizzazione, che da aprile ha abbandonato anni di tagli alla produzione, punta a sfruttare la domanda robusta dei mesi estivi nell’emisfero nord e a riconquistare quote cedute a rivali come gli shale drillers statunitensi. Il prossimo passo potrebbe arrivare già il 3 agosto, quando i Paesi produttori torneranno a riunirsi per valutare se aggiungere un altro aumento di circa 548mila barili a settembre, chiudendo così con un anno di anticipo il piano di riattivazione dei 2,2 milioni di barili al giorno di capacità tagliata nel 2023. A giugno, la guerra di dodici giorni tra Iran e Israele ha scosso l’oro nero, spingendo per breve tempo il Brent sopra gli 80 dollari, poiché il mercato temeva un’interruzione delle forniture dallo Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa il 20% del greggio mondiale. Alla fine, questa minaccia non si è concretizzata. Al contrario, la guerra ha rafforzato la decisione dell’Opec di aumentare la produzione “nell’improbabile eventualità che la produzione e la capacità di esportazione dell’Iran vengano interrotte”.Gli analisti mettono in guardia su un possibile surplus nella seconda parte dell’anno. Le scorte globali stanno crescendo di circa un milione di barili al giorno, complici un rallentamento della domanda cinese e l’aumento della produzione dalle Americhe, Stati Uniti, Brasile. L’Agenzia internazionale dell’energia prevede un surplus significativo, e gli esperti di banche d’affari come JPMorgan e Goldman Sachs stimano prezzi in discesa verso i 60 dollari al barile o meno nel quarto trimestre. I future sul Brent hanno già perso l’8,5% nel 2025, spinti dall’espansione dell’offerta e dall’incertezza legata alla guerra commerciale voluta da Donald Trump, che potrebbe pesare sulla crescita globale. A Washington, paradossalmente, l’amministrazione Usa potrebbe però accogliere con favore l’aumento della produzione: prezzi più bassi del greggio aiutano a contenere l’inflazione e sostengono l’economia americana. LEGGI TUTTO

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    Trump alla Ue: “Dazi al 17% sul cibo”

    Gli Stati Uniti minacciano di colpire le esportazioni di prodotti alimentari della Ue con dazi del 17 per cento. L’avvertimento, secondo quanto riporta il Financial Times, è stato consegnato al commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, durante gli incontri dei giorni scorsi a Washington. Che, evidentemente, non hanno fatto molti progressi. «Dopo aver discusso lo stato di avanzamento della questione con i nostri Stati membri, la Commissione si impegnerà nuovamente con gli Usa sul merito nel fine settimana. Al tempo stesso, ci stiamo preparando all’eventualità che non si raggiunga un accordo soddisfacente», ha dichiarato il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill.Donald Trump ha, intanto, cominciato a inviare ieri le prime «10 o 12» lettere per informare i partner commerciali dei dazi che dovranno pagare dall’inizio di agosto. L’ennesimo penultimatum in vista della scadenza del 9 luglio. Il presidente Usa la prossima settimana dovrebbe dividere i Paesi in tre grandi gruppi: l’attuale «pausa» tariffaria reciproca rimane per i partner con cui è stato raggiunto un accordo di principio, con possibili agevolazioni tariffarie in una fase successiva. Le precedenti tariffe specifiche per Paese verranno ripristinate laddove non sia stato ancora raggiunto un accordo di principio (il che significherebbe il 20% per la Ue fino alla conclusione dell’accordo). Infine, il ripristino dei dazi per Paese fino a nuovo avviso per i partner con cui i negoziati stanno andando male. Non è ancora chiaro come la Casa Bianca classificherà la Ue. Trump ieri ha, comunque, avuto una conversazione telefonica con la presidente Consiglio Giorgia Meloni, con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, e anche con il preContinuano le controversie sui commerci È guerra continua tra l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina sidente francese, Emmanuel Macron.Con tutti e tre i leader la discussione ha riguardato l’Ucraina e le tariffe. LEGGI TUTTO

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    La minaccia di Trump all’Ue: dazi al 17% sui prodotti agricoli

    Nuovo capitolo della guerra commerciale tra Usa e Ue. Secondo quanto riportato dal Financial Times, l’amministrazione di Donald Trump avrebbe minacciato di colpire le esportazioni agricole europee con dazi del 17 per cento. La notizia è stata confermata da tre persone informate sulle discussioni.Secondo quanto emerso, il presidente americano vuole che Bruxelles conceda alle aziende a stelle e strisce ampie esenzioni dalle normative e riduca il surplus commerciale con gli Stati Uniti. In base a quanto ricostruito, il monito sarebbe stato espresso al commissario europeo per il Commercio Maroš Šefčovič nel corso degli incontri avvenuti a Washington e oggi sarebbe stato trasmesso agli ambasciatori dei 27 Stati membri a Bruxelles. Uno sviluppo degno di nota che arriva a pochi giorni dalla scadenza del 9 luglio, dopo la quale Washington ha dichiarato che imporrà dazi del 20 per cento su tutti i prodotti Ue in caso di mancato raggiungimento di un accordo.Sul dossier è intervenuta anche Giorgia Meloni. Secondo il premier, sui “possiamo dirci soddisfatti per aver ricostruito un dialogo” con gli Stati Uniti, ma “vedremo nei prossimi giorni cosa succederà. Io non posso dirlo”. “La Commissione europea”, ha aggiunto intervenendo in collegamento all’evento “Forum in Masseria 2025”, presso Masseria Li Reni, a Manduria, “segue la trattativa con gli Stati Uniti sui dazi, noi abbiamo lavorato perchè tra le due sponde dell’Atlantico ci fosse un rapporto franco, ma costante, teso a cercare di risolvere insieme i problemi”.La Commissione riprenderà il confronto con gli Usa sui contenuti durante il fine settimana, l’annuncio del portavoce della Commissione europea per le questioni commerciali Olof Gil: “La posizione dell’Ue è stata chiara fin dall’inizio: siamo a favore di una soluzione negoziata con gli Stati Uniti, e questa rimane la nostra priorità – le sue parole all’Adnkronos – sono stati compiuti progressi verso un accordo di principio durante l’ultimo round di negoziati che si è svolto questa settimana”.Nelle scorse ore il segretario Šefčovič ha parlato di “una settimana di lavoro produttivo” e di una “buona riunione” con la controparte americana. Ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha ribadito di auspicare “un accordo di principio” che consenta alle parti di proseguire i colloqui in attesa di un accordo definitivo. “Come sempre, nei negoziati, che non si sa mai quando si concludono con successo, puntiamo al 9 luglio. È un compito enorme, perché abbiamo il più grande volume commerciale a livello mondiale tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, 1,5 trilioni di euro, una quantità molto complessa ed enorme. In effetti, ciò a cui puntiamo è un accordo di principio, perché con un volume così grande in 90 giorni un accordo nei dettagli è impossibile. Puntiamo a un accordo di principio, che è quello che ha fatto anche il Regno Unito” le sue parole in un punto stampa ad Aarhus, in Danimarca. LEGGI TUTTO