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    ADM, nasce un Gruppo di Studio per monitorare l’impatto delle nuove politiche doganali internazionali

    L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) rafforza il presidio strategico sulle dinamiche del commercio globale. Il Direttore dell’Agenzia, Cons. Roberto Alesse, ha istituito un Gruppo di Studio e Analisi con l’obiettivo di valutare l’impatto delle recenti modifiche tariffarie sulle esportazioni e importazioni italiane, in particolare per i comparti produttivi di rilevanza strategica per l’economia nazionale.Una squadra di alto profiloIl nuovo organismo sarà presieduto dallo stesso Direttore Alesse e potrà contare su una squadra di alto profilo: tra i partecipanti figurano l’Ambasciatore Fabrizio Saggio, Consigliere Diplomatico del Presidente del Consiglio, e i direttori di vertice dell’Agenzia. Il coordinamento strategico sarà affidato al Prof. Gaetano Caputi, Capo di Gabinetto del Presidente del Consiglio.Il compito del Gruppo è ampio e delicato: analizzare l’evoluzione delle politiche doganali internazionali, con un focus particolare sui regimi daziari che coinvolgono i prodotti italiani. Il monitoraggio riguarderà i flussi di import-export con i Paesi Terzi e l’andamento dei tributi doganali in termini di accertamento, riscossione e versamento.Gli scambi commercialiL’iniziativa nasce in un momento cruciale: nel solo 2024, gli scambi commerciali tra Unione europea e Stati Uniti hanno raggiunto un valore di circa 865 miliardi di euro. Le recenti mosse tariffarie annunciate dalla Casa Bianca potrebbero avere ripercussioni significative sul sistema produttivo nazionale. Il Gruppo di Studio sarà quindi chiamato a produrre relazioni tecniche di supporto per la Presidenza del Consiglio, orientando possibili interventi a tutela degli interessi economici italiani. LEGGI TUTTO

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    Confindustria: “L’economia del mare asset strategico per il futuro del Paese”

    Confindustria ha presentato oggi a Roma il documento strategico “Economia del Mare: azioni strategiche per la maggiore competitività del nostro Paese”, un piano organico per rafforzare uno dei comparti più dinamici e promettenti dell’economia nazionale. A illustrarne contenuti e obiettivi è stato Mario Zanetti, delegato del presidente di Confindustria per l’Economia del Mare, che ha richiamato con forza l’attenzione su un settore che “vale ormai l’11,3% del Pil italiano, con un impatto diretto di oltre 76 miliardi di euro, più di un milione di occupati e 230mila imprese”.Il documento presentato da Zanetti parte da un dato inequivocabile: negli ultimi anni, l’Economia del Mare ha conosciuto una crescita costante, consolidandosi come uno dei principali driver di sviluppo per il sistema Paese. “Ogni euro investito nel nostro settore genera quasi due euro di valore” ha sottolineato Zanetti, evidenziando come comparti come la cantieristica navale esprimano un potenziale moltiplicatore ancora più rilevante.Una visione industriale per il futuro del mare italianoL’approccio delineato da Confindustria si fonda su tre driver strategici: Infrastrutture e Portualità, Vettori e Flotte, Persone e Competenze, sostenuti da leve trasversali come l’accesso a risorse finanziarie per favorire le transizioni energetica e digitale, la semplificazione normativa e amministrativa e una comunicazione mirata a costruire una nuova cultura industriale attorno alla competitività del settore.“Serve una strategia politica unitaria e sistemica che rafforzi il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo e sui mercati globali”, ha dichiarato Zanetti, sottolineando come il sistema marittimo italiano non possa più permettersi politiche frammentate e interventi disomogenei.Portualità: più modernità, più sostenibilità, più competitivitàTra i temi centrali, quello delle infrastrutture portuali: secondo Zanetti, “i porti italiani devono diventare hub moderni, intermodali, connessi e sostenibili, se vogliamo affrontare le sfide globali”. Servono investimenti mirati per il potenziamento infrastrutturale, lo sviluppo dell’intermodalità ferro-porto, la digitalizzazione dei processi logistici e doganali, e la transizione energetica attraverso l’elettrificazione delle banchine e l’adozione di combustibili alternativi.Altro punto chiave è la governance. Zanetti ha auspicato “una regia più efficace e coordinata per evitare concorrenza interna tra porti italiani e per valorizzare il ruolo delle comunità economiche locali nelle scelte strategiche”.Non meno rilevante il tema del Pnrr e dei fondi Ets, che secondo Confindustria devono essere canalizzati con precisione verso interventi strutturali e innovativi, rendendo i porti italiani veri protagonisti della transizione green e digitale.Flotte e vettori: norme più semplici e transizione sostenibileIl settore dello shipping è un altro pilastro dell’Economia del Mare che richiede attenzione. “Registro Internazionale e Tonnage Tax non bastano più: serve semplificazione normativa e un quadro chiaro per accompagnare la transizione energetica senza penalizzare la competitività delle nostre flotte” ha spiegato Zanetti.La decarbonizzazione va affrontata in modo pragmatico, garantendo equilibrio tra obiettivi ambientali e sostenibilità economica delle imprese, mentre sul fronte delle norme europee “è essenziale evitare squilibri con gli standard internazionali, per non compromettere la competitività del nostro shipping”.Anche per la cantieristica navale – settore in cui l’Italia è leader mondiale – Zanetti ha invocato “politiche industriali mirate che ci consentano di consolidare il nostro primato”.Sul diporto nautico, è stata denunciata l’eccessiva burocrazia che spinge molte imbarcazioni a battere bandiere estere, mentre per la pesca Zanetti ha ribadito la necessità di “investire nel rinnovo delle flotte per garantire sicurezza, efficienza e sostenibilità, anche in coerenza con le normative europee”.Capitale umano: il gap da colmareNon meno cruciale è il tema delle competenze. “Esiste un grave mismatch tra domanda e offerta di lavoro qualificato nel nostro settore: servono percorsi formativi più aderenti alle reali esigenze delle imprese, con focus su competenze digitali, logistica, lingue e transizione energetica” ha dichiarato Zanetti.Per colmare il divario, Confindustria propone un potenziamento degli ITS e dell’offerta universitaria, incentivi per chi assume giovani con profili tecnici specializzati, e un maggiore dialogo tra mondo produttivo e istituzioni.“Inserire l’Economia del Mare tra le aree strategiche del Piano Mattei rappresenterebbe un segnale concreto della centralità di questo comparto per il futuro del Paese” ha aggiunto Zanetti.Confindustria come interlocutore per un nuovo modello di sviluppoIn conclusione, Mario Zanetti ha ribadito che “per far crescere davvero l’Economia del Mare serve una visione condivisa tra industria e istituzioni, una governance moderna e investimenti mirati su infrastrutture, flotte e capitale umano”. 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    Dazi USA, Istituto Friedman: “No alla guerra delle tariffe, l’unica soluzione è la libertà economica”

    “L’Istituto Milton Friedman esprime forte preoccupazione per i dazi del 30% imposti dal Presidente Trump alle importazioni dall’Unione Europea, in vigore dal 1° agosto 2025. Seguendo i principi del nostro riferimento, il premio Nobel Milton Friedman, ribadiamo che il protezionismo è una politica economicamente dannosa, che penalizza i consumatori e frena la prosperità. Questi dazi […] LEGGI TUTTO

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    Ilva, incombe la bomba esuberi

    Che vada in porto il Piano A o il Piano B, sull’ex Ilva di Taranto sta per esplodere una bomba occupazionale. Se infatti il sindaco di Taranto, Piero Bitetti spiega che la rinuncia alla produzione Dri (piano a) non sarebbe un problema così grande perché lascerebbe a casa circa 700 addetti, omette di spiegare cosa comporterebbe il Piano B ovvero scegliere solo i tre forni elettrici per la decarbonizzazione dell’acciaieria e non anche i tre impianti di preridotto, collegati ai forni che però hanno bisogno della nave di rigassificazione per essere alimentati. «Passare da un sistema di 6 milioni di tonnellate di acciaio da ciclo integrato (altoforno+convertitore) ai cicli elettrici comporterebbe un massimo di 3.500 dipendenti (comprese le lavorazioni a valle) e personale in eccesso non sarebbe sopportabile dall’impianto, quindi il vero sacrificio occupazionale sta lì», spiega al Giornale il professore del Politecnico di Milano ed esperto del settore siderurgico Carlo Mapelli.Esemplificando, dunque, nel Piano A con forni elettrici e Dri avremo un massimo di 4.500-5.000 addetti e nel Piano B appena 3.500. Due dati rilevanti alle luce del fatto che i dipendenti Ilva sono 10mila e che si dovranno dunque gestire tra i 5.000 e i 6.000 esuberi. Che poi il governo stia studiando ammortizzatori sociali, ricollocamenti o altre forme di sostegno si può intuire, ma il tutto andrà verificato con i sindacati oggi e sicuramente la strada per un accordo non sarà in discesa.«Non accetteremo di fare le comparse o prendere atto di ciò che decideranno il governo e gli enti locali. Prima di sottoscrivere qualsiasi accordo vogliamo sapere come si difendono tutti i posti di lavoro, se ci sono le condizioni del risanamento ambientale e della continuità produttiva, discutendo del piano industriale. Per questo abbiamo chiesto un incontro urgente al ministro Urso e alla presidenza del Consiglio» per oggi, ha detto il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. «Siamo di fronte a una situazione drammatica, davanti a un bivio finale di una vertenza che da tredici anni colpisce migliaia di lavoratori e intere comunità. O si pongono serie e concrete condizioni e garanzie occupazionali, ambientali e produttive, condivise da tutte le parti per rilanciare l’ex Ilva oppure si arriverà a una fermata definitiva, con un disastro senza precedenti», ha proseguito. LEGGI TUTTO

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    Casasco: dal Pd tardive scoperte, Fi ha presentato da mesi piano industriale serio e concreto per l’Italia e per l’Europa

    “È singolare che il Pd si accorga solo oggi della necessità di adottare una politica industriale, dopo anni passati a sostenere scelte ideologiche e anti-industriali. Al contrario Forza Italia, lavora da tempo con serietà e visione alla sfida della reindustrializzazione. Già lo scorso gennaio infatti, abbiamo presentato un Piano industriale strategico e dettagliato per l’Italia e per l’Europa, affrontando in modo sistemico il problema della deindustrializzazione con soluzioni precise, che toccano sia gli aspetti orizzontali del sistema produttivo sia le singole filiere industriali strategiche.Un piano che è stato divulgato e distribuito a tutte le forze politiche, compreso il Pd, e che il Vicepremier Antonio Tajani ha presentato anche in Europa, in occasione del Congresso del PPE di Valencia, adottato dal PPE come emendamento sulla competitività, rappresentando un contributo concreto di Forza Italia al dibattito”. Lo dichiara Maurizio Casasco, deputato di Forza Italia e Responsabile Dipartimento Economia del partito azzurro.”Abbiamo denunciato tempestivamente i rischi di un declino industriale strutturale – prosegue Casasco – aggravato da anni di scelte ideologiche come il Green Deal europeo, voluto e perseguito dalla sinistra senza alcuna valutazione delle ricadute sull’occupazione, sull’industria e sulla competitività del nostro continente. Forza Italia ha sempre sostenuto che la sostenibilità debba camminare insieme alla crescita industriale e non contro di essa, in quanto il sistema economico e sociale vanno di pari passo. Il nostro Piano, che abbiamo definito un vero e proprio ‘Growth Deal’ per l’Italia e per l’Europa, ha l’obiettivo di rafforzare la competitività e la produttività del nostro sistema produttivo, stimolando gli investimenti in Ricerca e Sviluppo e quindi la capacità di fare innovazione”.”Questa necessità emerge anche chiaramente dal confronto internazionale: nella media del biennio 2021-22 (ultimi dati disponibili per la comparazione), le spese in R&S sono state pari al3,5% del Pil negli USA (di cui il 2,8% effettuate dal settore privato) e del 2,5% in Cina (1,9% le imprese), dati superiori alla media UE27, ferma al 2,3% del Pil, di cui solo l’1,5% è effettuato dalle imprese.Le imprese europee non solo investono meno in R&S, ma sono concentrate su settori a media tecnologia, che garantiscono ritorni di crescita più contenuti rispetto ai settori ad alta tecnologia – aggiunge – Tra le priorità del nostro piano, c’è il rafforzamento e la difesa dei pilastri del manifatturiero e del Made in Italy – dall’automotive al food, dalla moda all’arredamento, dal design alla tecnologia – settori che sono i veri custodi di una sapienza antica e pregiata. Basti pensare che il 70% dei prodotti di alta moda venduti dai brand francesi è prodotto da mani esperte in Italia, spesso da piccoli artigiani che vanno protetti. Un’altra priorità è la valorizzazione dei settori industriali strategici per la sicurezza, la salute e lo sviluppo sociale del Paese, come il farmaceutico, la difesa, l’aerospazio e l’IT. Questi settori si distinguono per il maggior valore aggiunto al sistema Paese, un elevato indice di competitività e capacità di sviluppare R&S (nuovi brevetti), la crescita dell’occupazione qualificata e un significativo surplus commerciale.Il nostro piano prevede inoltre politiche mirate ad attrarre investimenti industriali e produttivi con centri decisionali in Italia, con una speciale attenzione per le aree del Mezzogiorno. Esso include lo sviluppo di nuove politiche volte a: ridurre il costo dell’energia e la dipendenza energetica dai paesi esteri; ridurre la dipendenza strategica nell’approvvigionamento delle materie prime da Cina ed India; potenziare l’attrazione dei capitali finanziari; garantire lo sviluppo, formazione e retention delle nuove competenze, in particolare STEM; ridurre significativamente la burocrazia per le imprese; garantire una Pubblica Amministrazione e una giustizia efficiente, con un fisco collaborante e non oppressivo; accelerare la capacità di attrazione degli investimenti in R&S, lo sviluppo di innovazione di prodotto (nuovi brevetti), scalando l’intelligenza artificiale e i dati digitali; sviluppare nuove opere e infrastrutture, potenziando la logistica; sviluppare nuovi mercati di sbocco – aggiunge Casasco – Il nostro obiettivo immediato è arrestare il declino industriale. LEGGI TUTTO

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    In Borsa scoppia la token-mania. Faro delle Authority su Robinhood

    Azioni che non sono azioni e che addirittura permettono di investire su società non quotate. L’esperimento messo in piedi da Robinhood, che propone agli investitori europei azioni tokenizzate di aziende private quali OpenAI e SpaceX, non è passato inosservato e sta facendo storcere il naso simultaneamente alle autorità di regolamentazione e alle stesse società private […] LEGGI TUTTO

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    Patuelli fa fronte comune con Confindustria: “Ires premiale potenziata o si torni all’Ace”

    “Vanno disinnescati i dazi o si rischia una nuova recessione. Di fronte alle crisi le banche sono molto esposte, come più complessi e sensibili anelli di connessione tra i fattori dell’economia”. Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha esordito così nel suo discorso davanti alla platea riunita nell’auditorium della Bocconi per l’assemblea dell’associazione dei banchieri italiani. Patuelli ha anche spronato l’Europa ad assumere rapidamente maggiori responsabilità con nuove regole istituzionali per non essere paralizzata da veti di piccole minoranze, e a trasformare il Mes (il meccanismo europeo di stabilità, ndr) in un organismo della Ue “con le stesse regole di trasparenza della Bce verso il Parlamento europeo e con finalità più coerenti alle nuove sfide”. LEGGI TUTTO

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    ACEA alla Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina: infrastrutture moderne per un futuro europeo

    ACEA ha preso parte alla Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, un evento internazionale che si è svolto con l’obiettivo di pianificare e coordinare gli interventi per la rinascita del Paese in un’ottica post-bellica. Il gruppo, guidato dall’Amministratore Delegato Fabrizio Palermo, è stato protagonista di un importante momento di confronto sul tema delle infrastrutture, portando la propria esperienza e visione strategica per un processo di ricostruzione basato sul principio del build-back-better — ovvero un modello di ripresa che punta non solo a ricostruire, ma a farlo ai più alti standard attualmente disponibili sul mercato.Il contributo di ACEASi è concentrato sull’importanza di infrastrutture moderne e resilienti, in grado di sostenere la futura integrazione europea dell’Ucraina. Durante il panel The Road to Recovery – Modern Infrastructure, è intervenuto Pierfrancesco Latini, Chief International Officer del gruppo, sottolineando il potenziale di ACEA come partner strategico per la ripartenza del Paese. Latini ha ricordato come ACEA sia il primo operatore idrico in Italia, con 10 milioni di abitanti serviti, e il secondo in Europa. Un’esperienza che il gruppo ha già esportato all’estero, raggiungendo complessivamente altri 10 milioni di utenti. A ciò si aggiungono le attività di distribuzione elettrica per la città di Roma, e quelle nel settore ambientale, con impianti di termovalorizzazione già attivi e il progetto del nuovo impianto WTE (waste-to-energy) a servizio della Capitale. LEGGI TUTTO