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    Le compagnie aeree sono pronte a decollare. Anche in Borsa?

    Settimana negativa con il FTSE MIB che lascia sul campo l’1,1%. Nonostante la FED abbia lasciato invariati i tassi di interesse, non ha tuttavia mancato di sottolineare che il lavoro non è ancora finito e che i tassi potrebbero aumentare ancora entro la fine dell’anno. In riduzione il numero delle future flessioni attese per il 2024 che passano da quattro a due. Pesanti anche i titoli dello STAR e dell’EGM, i cui indici scendono del 2,7% e 1,3% rispettivamente. Una politica monetaria più aggressiva del previsto, aumenta il rischio di investimento e sfavorisce le small caps.Tra le best performer settimanali troviamo tre banche (quando i tassi si muovono al rialzo o rimangono elevati a lungo, le banche ne beneficiano): Unicredit con un +7,3%, Banco BPM con +6,7% e MPS con una crescita del 6,6%. Unicredit ha annunciato l’intenzione di lanciare una tranche del programma di riacquisto di azioni proprie per un massimo di 2,5 miliardi di euro nel 2023, confermando inoltre l’obiettivo di distribuzione totale per il 2023 di 6,5 miliardi di euro, contro i 5,25 miliardi del 2022 che significa un rendimento del 16%. Banco BPM e MPS beneficiano invece dei soliti rumors legati a possibili operazioni straordinarie.In negativo troviamo CNH Industrial, che nella settimana scende dell’8,8% nonostante la società abbia comunicato l’acquisto di oltre 122.000 azioni proprie, arrivando a detenere oltre 33,5 mln di azioni. Negativa anche Saipem (-7,7%), nonostante il prezzo del petrolio abbia continuato a crescere quale effetto del taglio della produzione dell’Arabia Saudita e della Russia. Discesa anche per Hera (-7,5%), in assenza di notizie rilevanti.Negli ultimi mesi le compagnie aeree sono finite nell’occhio del ciclone a causa della variazione dei prezzi dei biglietti (nota la vicenda che ha visto contrapposte Rayanair e il Governo Italiano sul caro voli). Del resto, le compagnie aeree, al pari di tutte le altre imprese private, tendono a scaricare sugli utenti finali i maggiori costi (in questo caso del carburante). Non può ovviamente esistere un prezzo politico imposto ad una società privata. E come se si imponesse alle banche di stipulare i mutui ad un tasso non remunerativo del capitale.A parte questa digressione, esistono numerose compagnie aeree nel mondo classificabili come appartenenti a uno dei quattro macro segmenti di business: vettori a servizio completo, low cost, charter e cargo. Gran parte delle compagnie aeree, operano attraverso la strategia del “Revenue Management”, ovvero vendere il prodotto o servizio giusto, al momento giusto, attraverso il canale giusto al momento giusto. Occorre chiaramente prevedere i livelli di domanda cercando di ottimizzare il servizio offerto e il prezzo.Le compagnie aeree sono una parte importante dell’economia, ma le loro azioni non sono sempre state un buon investimento. I prezzi delle azioni delle compagnie aeree si muovono con i cicli economici e le recessioni del passato hanno causato diversi fallimenti.Negli ultimi anni il settore aereo ha vissuto un consolidamento importante: oggi quattro compagnie aeree controllano per esempio circa l’80% del mercato statunitense. La pandemia ha causato cambiamenti nei modelli di domanda di viaggio che, se reggono, dovrebbero dare una spinta alle compagnie aeree negli anni a venire. Il passaggio al “lavoro da casa” e al “lavoro da qualsiasi luogo” ha creato una domanda per tutto l’anno di viaggi, contribuendo ad appianare quello che è stato storicamente un settore tendenzialmente ciclico in cui la domanda aumenta in estate e diminuisce intorno a gennaio.Ma i nuovi venti contrari hanno complicato le cose. Il conflitto in Ucraina e il corrispondente aumento dei prezzi del petrolio hanno impedito che gran parte di queste entrate aggiuntive raggiungessero i profitti (il prezzo del carburante rappresenta fino al 30% dei costi totali di una compagnia aerea). Le compagnie aeree sono sopravvissute alla pandemia senza grossi fallimenti, e quelle principali sembrano abbastanza sane tanto da continuare a superare le turbolenze recenti economiche. Non dobbiamo comunque dimenticare che spesso e soprattutto in Europa, le compagnie aeree sono state in buona parte ricapitalizzate dai rispettivi Governi e/o hanno emesso ammontari cospicui di obbligazioni, spesso con rendimenti molto elevati. Probabilmente ci vorrà ancora del tempo prima che le condizioni si normalizzino. L’International Air Transport Association, l’organizzazione commerciale del settore aereo, ha previsto che una ripresa completa difficilmente avverrà prima del 2024, (previsione fatta prima dell’invasione russa dell’Ucraina).Nel frattempo da gennaio a fine agosto 2023 il numero di persone che hanno viaggiato in aereo è stato pari ai livelli pre-pandemia, secondo i dati della Transportation Security Administration. Parallelamente anche i prezzi delle azioni delle compagnie aeree sono decollati. Complessivamente per esempio, i 19 titoli del gruppo industriale Trasporti-Aerei di IBD hanno guadagnato nello stesso periodo circa il 50%.Esiste un rischio nell’investire nelle singole compagnie aeree? Certo che si, e probabilmente questo è anche superiore alla media, viste le recenti turbolenze del settore. Alcune cose sono fuori dal controllo di chiunque. La pandemia di coronavirus, come noto, ha bloccato i viaggi aerei in tutto il mondo. Verso la fine del 2022, il settore aereo è stato sconvolto da temperature gelide, forti venti e nevicate derivanti da una massiccia tempesta invernale che ha coperto più della metà degli Stati Uniti, costringendo gran parte della rete aerea statunitense a chiudere.Diverso è ovviamente l’investimento in obbligazioni piuttosto che azioni. Per quanto riguarda il primo, dal momento che in Europa le compagnie aeree sono a partecipazione statale (leggi Air France) o rappresentano comunque una nazione (British Airways, Iberia, Lufthansa), riteniamo che le stesse abbiano un rischio contenuto rispetto al rendimento che sono in grado di offrire.Per smorzare il rischio dell’investimento in azioni, è possibile farlo anche con gli ETF. L’ETF US Global Jets si concentra per esempio specificamente sulle compagnie aeree, mentre l’ iShares Transportation Average ETF e l’ SPDR S&P Transportation ETF assegnano ciascuno più del 25% delle proprie partecipazioni alle compagnie aeree. LEGGI TUTTO

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    Satispay ha fame di nuovi mercati e lancia l’app dedicata ai buoni pasto

    Nel mondo sempre più digitale delle transazioni finanziarie e dei pagamenti mobili, Satispay, il rinomato “unicorno” fondato e guidato da Alberto Dalmasso, sta svelando un nuovo e innovativo strumento: Satispay Buoni Pasto. Questa nuova iniziativa sta cambiando completamente il mercato dei buoni pasto in Italia. Verrà offerto un sistema di pagamento esclusivamente digitale che sarà disponibile a partire dall’1 ottobre presso oltre 70mila pubblici esercizi, supermercati, pub e pizzerie presenti sulla loro vasta rete di pagamento.Le commissioniLa vera svolta con Satispay Buoni Pasto è l’eliminazione quasi totale delle commissioni infatti gli esercenti non dovranno più preoccuparsi di commissioni onerose per importi fino a 10 euro. Per importi superiori, verrà applicata una tassa di soli 20 centesimi. Il modello di business in questione è rivoluzionario in un settore noto per le commissioni molto alte che spesso vanno dal 12 al 15%, e dove i tempi d’incasso possono arrivare fino a 120 giorni.L’innovazioneAlberto Dalmasso, co-fondatore e CEO di Satispay, ha affermato: “Satispay Buoni Pasto cambia totalmente le regole del gioco e punta ad avviare una trasformazione del comparto. L’obiettivo è creare uno strumento apprezzato sia dagli utenti che dagli esercenti che, come soggetti chiave del tessuto imprenditoriale locale, non devono essere caricati da commissioni insostenibili, oggi pagate per evitare di perdere la clientela”. Non si tratta solo di una novità in termini economici ma anche etici poiché le aziende che adotteranno Satispay Buoni Pasto contribuiranno a migliorare il servizio sia per i dipendenti che per gli esercizi commerciali di prossimità. L’iniziativa promuove la creazione di policy di welfare aziendale allettanti per consentire alle imprese italiane di essere attrattive in un mercato del lavoro estremamente competitivo.Il Wallet personaleI buoni pasto di Satispay sono completamente digitali e verranno inseriti all’interno di un wallet separato e attivato nell’app Satispay del dipendente con il codice azienda specifico. Il lavoratore potrà pagare tramite il buono pasto e con questa azione coprirà eventuali importi extra con il suo e-wallet personale. Si tratta di un’azione rapida e smart, proprio come il classico pagamento con l’app Satispay, senza la necessità di specificare alla cassa l’uso dei buoni pasto.I buoni pasto in ItaliaNel caso in cui il lavoratore non utilizzasse i pagamenti mobili di Satispay, potrà saldare la differenza in contanti o con altri mezzi di pagamento. Satispay Buoni Pasto sta chiaramente ridefinendo il panorama dei buoni pasto in Italia, con commissioni ridotte e un focus sull’efficienza digitale. Questo passo avanti potrebbe avere un impatto significativo sia sugli esercenti che sui lavoratori, aprendo la strada a una nuova era di pagamenti digitali e welfare aziendale. LEGGI TUTTO

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    “17 milioni per il diritto allo studio”: la risposta del governo ai “tendisti”

    Più fondi per la scuola. È in arrivo una novità nel panorama dell’istruzione universitaria italiana. Il Consiglio dei Ministri ha approvato una norma cruciale che cambierà il destino di migliaia di universitari nel paese. L’esecutivo vuole che tutte le borse di studio siano assegnate agli studenti che ne hanno diritto, eliminando la categoria degli “idonei non beneficiari,” che oggi conta ben 5mila persone. È un chiaro passo che dimostra quanto per il governo Meloni sia importante salvaguardare gli studenti universitari nonostante le critiche negli anni da parte della categoria nei confronti della premier.La decisioneSono stati allocati oltre 17 milioni di euro. Attualmente alcuni studenti, nonostante siano già stati inseriti nelle graduatorie dei vincitori di sussidi presso diversi enti regionali in Italia, sono ancora in attesa dei benefici economici che meritano. Le borse di studio sono una risorsa preziosa per gli studenti universitari per coprire spese cruciali come l’acquisto dei libri, i costi dei trasporti o almeno una parte dell’affitto per coloro che vivono fuori sede. Il caro-vita è una realtà che pesa sui giovani universitari, che spesso si trovano divisi tra lo studio e la ricerca di lavoretti per sostenere il proprio percorso di istruzione.La parola all’esecutivoIl ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, ha sottolineato l’importanza di questa scelta, affermando che il governo sta compiendo un passo fondamentale per sostenere il diritto allo studio che è una priorità per l’esecutivo. Questo finanziamento proviene da una collaborazione stretta tra il ministero dell’Università e il ministero dell’Economia e delle Finanze. Circa 7,5 milioni di euro saranno forniti direttamente dal Mef, mentre i restanti 10 milioni di euro verranno recuperati dal ministero dell’Università e della Ricerca dai finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza. Nel marzo dello scorso anno Bernini aveva esteso la platea dei destinatari aumentando il valore richiesto dell’Isee e incrementando la somma in base all’adeguamento Istat.Le regioniIn merito alle regioni che maggiormente beneficeranno di questa decisione si tratta di Veneto, Lombardia, Molise e Calabria. Lo stanziamento permetterà di assegnare le borse di studio a 4.947 idonei non beneficiari che stanno frequentando corsi di studio universitari e istituzioni dell’Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica (Afam) nell’anno accademico 2022-2023.La legge di bilancioAll’interno della legge di bilancio del 2022, sono stati stanziati ulteriori 500 milioni di euro con la finalità di incrementare le borse di studio fino a 700 euro, grazie ai precedenti 500 milioni di euro. L’obiettivo del ministero dell’Università e della Ricerca è fornire una borsa di studio a almeno 336mila studenti entro l’ultimo trimestre del 2024.La situazione italianaAttualmente nel Belpaese durante il 2021 solo il 26,8% dei 30-34enni possedeva un titolo di studio terziario, una percentuale bassa se si considera che in Unione Europea la media ammonta al 41,6%. Con questa decisione, il governo Meloni sta lavorando per colmare questo divario e garantire a un numero maggiore di giovani l’accesso all’istruzione superiore. LEGGI TUTTO

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    Quel Monte sorretto dal Tesoro che pesa sul contribuente

    D’accordo che in questi giorni i riflettori sono accesi sullo scontro sul cda di Mediobanca, tuttavia converrebbe tenerli altrettanto in funzione per illuminare un’altra realtà del nostro mondo finanziario, la più antica, la più discussa: il Monte Paschi di Siena. Un’illuminazione opportuna per non dimenticare quanto quell’istituto pesi da anni sulle casse pubbliche e quindi sulle tasche degli italiani.Mps naviga in acque agitate da tempo immemore. Vive da quel dì il tempo dello sfarinamento. Eppure non viene giù del tutto. Perché lo Stato, che ha il cuore d’oro quando deve venire in soccorso dei big o presunti tali, inietta periodicamente denari a garantirne la sopravvivenza. Alla voce sussidi e aumenti di capitale visto che il Tesoro ne è azionista di maggioranza assoluta si parla di un esborso complessivo negli anni intorno ai trenta miliardi. Per prendere tempo in attesa che qualcosa di virtuoso accada. Invece, nulla di significativo, di risolutivo avviene. Ultimamente le cose sembrano andare meglio, ma Mps resta un problema molto serio. Il Tesoro vorrebbe liberarsi del pesante fardello, non tanto e non solo per compiacere l’Europa, piuttosto per liberarsi finalmente della viziosa iniezione. Ma al momento non se ne parla, viste le perdite secche che sarebbe costretto a subire. E poi ci sono ancora troppi interessi che gravitano da quelli parti. Siena è più di un territorio, è un reticolo di relazioni, di contaminazioni, di influenze. Il punto è che Mps non ha mai reciso il cordone ombelicale con la politica e il rosso non è soltanto il segno di una difficoltà mercantile. Il punto vero è che è troppo piccola per essere grande e troppo grande per essere piccola. E il mercato ama poco le ambiguità. Non tollera le banche troppo avvinghiate al potere, troppo dipendenti. Quelle che ritengono il territorio di appartenenza non il luogo per esercitare come converrebbe, ma il luogo dove far prevalere logiche di dominio. LEGGI TUTTO

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    Asal Assoallestimenti: “Stop a norme che violerebbero la concorrenza”

    “Concentrazione nelle mani delle poche società pubbliche che hanno la titolarietà a gestire i quartieri fieristici, lesione della libertà di impresa e della competitività, dispersione di un patrimonio di conoscenze e competenze di una parte rilevante del tessuto produttivo del Paese”, Asal-Assoallestimenti di FederlegnoArredo punta il dito contro alcune misure del Dl Asset che modificano il testo Unico delle partecipazioni pubbliche e ribaltano anche la sentenza del Consiglio di Stato nei confronti di Italian Exibition Group.“Ci opponiamo, nella speranza che venga fermata sul nascere una misura che avrebbe pesanti conseguenze per un settore, quello degli allestitori, che solo da quest’anno ha ricominciato ad avere il segno positivo, dopo il blocco totale dovuto al Covid e al conseguente stop di fiere ed eventi che rappresentano il core business del settore”, sottolinea l’associazione che aggiunge: “In in questi anni numerose società pubbliche che gestiscono spazi fieristici hanno acquisito società di servizi che operano all’interno delle fiere, fra cui anche gli allestimenti, creando una gravissima situazione di distorsione della concorrenza. L’emendamento mira dunque a rendere legittimo ciò che invece è anticoncorrenziale”.Motivo per cui Asal “chiede con forza che il testo Unico non sia modificato e sia lasciata libertà agli imprenditori di scegliere l’allestitore da cui farsi realizzare il proprio spazio all’interno delle fiere. Lo stand è il biglietto da visita per ogni azienda e per i suoi prodotti e lasciare che siano altri a decidere chi deve realizzare quel biglietto è palesemente una forzatura e un obbligo che, senza scomodare la libera concorrenza del mercato, va persino contro il buon senso. Ci aspettiamo che proprio il buon senso venga utilizzato per bloccare questa richiesta di modifica che porterebbe i quartieri fieristici a operare come veri e propri monopolisti”. LEGGI TUTTO

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    Tari: quando non va pagata la tassa sui rifiuti

    Fra i tributi che gli utilizzatori di un immobile (sia proprietari che affittuari) sono tenuti a versare c’è anche la Tari (tassa sui rifiuti). Destinata a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti dei comuni, l’imposta è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte in condizioni di produrre rifiuti. Ma ci sono situazioni in cui non ne è previsto il pagamento. Ecco quali.Come nasce e come funziona la TariIntrodotta con la Legge di stabilità per il 2014, in sostituzione delle precedenti Tariffa di igiene ambientale (Tia), Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu) e Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), faceva parte dell’imposta unica comunale (Iuc) insieme con l’imposta municipale propria (Imu) e il tributo per i servizi indivisibili (Tasi).Peculiarità della Tari, quella di essere un’imposta che deve raggiungere il pareggio di bilancio, cioè l’importo raccolto dal Comune deve esattamente coprire i costi senza generare ulteriori entrate. L’Autorità di Regolazione per Energia e Reti e Ambiente (Arera), che ha il compito di regolare e controllare il settore dei rifiuti a livello nazionale, ha emanato lo scorso gennaio una delibera che stabilisce i nuovi criteri per i comuni, da usare per stabilire i loro regolamenti in materia di rifiuti. In genere, l’importo della Tari viene suddiviso in due o tre rate, da versare rispettivamente entro la fine di aprile, entro la fine di luglio, entro il 31 dicembre.Principali casi di esenzionePartiamo dal presupposto che se la casa è vissuta, la Tari deve essere pagata dal contribuente, che si tratti del proprietario stesso o di un affittuario, qualora sia in essere un contratto di locazione. Se la casa non è utilizzata, la Tari non va pagata. Elemento per dimostrare che un’abitazione non è utilizzata è l’assenza di utenze, come l’allaccio alla rete idrica, al gas o alla rete elettrica. La mancanza di tali utenze conferma che l’abitazione non è abitata e che, di conseguenza, non produce rifiuti. Altro elemento che conferma il mancato utilizzo della casa è l’assenza di arredo. Questi casi devono essere dimostrati al comune in cui insiste l’abitazione, e che invia la Tari.Attenzione: sui casi di esenzione ci possono essere differenze tra i vari comuni. Per alcuni, ai fini dell’esenzione potrebbe andare bene accertare l’assenza di mobili, per altri potrebbe invece essere necessaria l’assenza di utenze (acqua, luce o gas).Differente il discorso per la Tari sulla seconda casa, utilizzata soltanto per pochi mesi all’anno: in questo caso la Tari si paga, ma in misura ridotta. Per i non residenti, che vivono per la maggior parte dell’anno in un’altra casa, il comune è tenuto ad applicare una riduzione dell’imposta. Solitamente sono le delibere a stabilire in quale misura percentuale, diversamente, sarà necessario presentare ricorso.La riduzione della Tari prevista per le case abitate soltanto pochi mesi all’anno è trattata specificamente dalla Legge di Stabilità 2014, già citata, in cui è previsto che il comune stabilisca esenzioni o riduzioni nei casi di: abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano dimora, per più di sei mesi all’anno, all’estero; locali differenti dalle abitazioni e aree scoperte adibiti a uso stagionale o non continuativo, ma ricorrente; fabbricati rurali ad uso abitativo.A discrezione dei ComuniOgni comune possiede comunque la facoltà di introdurre con proprio regolamento esenzioni e riduzioni in favore delle fattispecie specifiche individuate dalla legge, che, in quanto connesse a una minore attitudine a produrre rifiuti, diano luogo ad un minor gettito da inserire tra i costi del piano finanziario. Esenzioni e riduzioni che interessano rispettivamente: abitazioni con unico occupante, attività di prevenzione nella produzione di rifiuti (in particolare utenze domestiche che abbiano avviato il compostaggio domestico), compensando le riduzioni tariffarie con la quantità di rifiuti non prodotti; ancora: esenzioni e riduzioni in favore di ulteriori tipologie ritenute dall’ente locale meritevoli di tutela, a prescindere da una minore produttività di rifiuti delle utenze; in questi casi, il comune dovrà finanziare la misura facendo ricorso a risorse derivanti dalla fiscalità generale e differenti, quindi, dai proventi del tributo.Se si vive in affittoChi vive in affitto è esonerato dal pagamento della Tari? La risposta è duplice: si (per un certo periodo) e no. Vediamo perché. Per capire chi paga la tassa tra inquilino e proprietario bisogna considerare il tempo di permanenza nell’immobile. L’inquilino è infatti obbligato a pagare la Tari in caso di detenzione di durata superiore a 6 mesi. In caso contrario, la tassa non è dovuta dall’utilizzatore, ma resta esclusivamente a carico del proprietario.Quando il servizio non è “all’altezza”La legge prevede, oltre ai casi di esenzione, alcune situazioni in cui è possibile richiedere la riduzione della Tari. Due le tipologie: obbligatorie e facoltative, che possono essere introdotte dai comuni.Per quanto riguarda, in particolare, quelle obbligatorie, ci sono casi specifici in cui la tassa sui rifiuti si paga solo in parte: quando cioè il servizio di raccolta è effettuato in violazione della legge, o quando i cassonetti della spazzatura sono troppo distanti dalla propria abitazione.Quando il servizio di raccolta dei rifiuti è insufficiente e quando le strade delle città sono piene di spazzatura, la Tari è dovuta per un massimo del 20% della tariffa. Lo stesso sconto dell’80% spetta in caso di interruzione del servizio per motivi sindacali, o per impedimenti organizzativi imprevedibili, che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall’autorità sanitaria di danno o pericolo alle persone o all’ambiente.La Tari può inoltre essere ridotta, si badi, ridotta, nelle zone in cui non è effettuata la raccolta e l’imposta dovuta sulla base della tariffa deliberata dal comune non dovrà superare il 40%, da calcolare in base alla distanza dal più vicino punto di raccolta.Esenzione: a chi spetta l’onere della prova e come regolarsiSe il Comune invia una bolletta Tari al cittadino che non la ritiene giustificata, tocca a quest’ultimo dimostrare all’ente che la tassa non è dovuta ai sensi di legge (o in base al regolamento comunale). Se dunque l’utente riceve un avviso di pagamento o un accertamento esecutivo Tari e ritiene indebite tali notifiche, deve avviare una contestazione. Questa prima azione deve essere fatta mediante un ricorso in autotutela Tari, molto semplice in quanto può essere presentato direttamente al comune e in carta semplice.Se il comune accoglie il ricorso in autotutela, annulla l’atto e la questione si chiude. In caso di rigetto, invece, il contribuente dovrà valutare un eventuale ricorso in commissione tributaria. Si tenga presente comunque che, se i motivi per l’esenzione sussistono chiari ed evidenti, difficilmente l’ente rigetterà la richiesta, affrontando un eventuale ricorso in commissione tributaria e il rischio di perdere. LEGGI TUTTO

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    Ricorso al Tar: come presentarlo e quanto costa

    Ricevere un’ordinanza di demolizione di un immobile su cui non si è d’accordo, non rientrare in graduatoria (o in una posizione a proprio avviso troppo bassa) dopo aver partecipato a un concorso pubblico, aver subito una bocciatura scolastica ritenuta ingiusta, oppure ancora, ritrovarsi vicino un abuso edilizio, o vedere negato l’accesso ad alcuni atti. Tutte situazioni, queste, per le quali si può pensare di presentare ricorso al Tar. Ma quali sono le procedure e i costi per un’azione di questo tipo? E che cosa succede se il ricorso non viene accolto? Vediamolo insieme.Che cos’è il Tar, funzione del ricorsoIl nostro ordinamento giuridico prevede diverse tipologie di Tribunali, ognuno con una propria giurisdizione e competenza. Tra questi rientra il Tar, o Tribunale amministrativo regionale, un tribunale di primo grado, organo giurisdizionale dedicato alle questioni che interessano cittadini e Pubblica Amministrazione, che si tratti dello Stato, della Regione, della Provincia o del Comune. Capita che la Pubblica Amministrazione possa commettere errori, dovuti in genere alla massiccia burocrazia presente nel nostro Paese: finalità di questo organo è quella di garantire una tutela rapida ed efficiente nei confronti della macchina amministrativa, garantendo ai cittadini di potersi difendere e far valere i propri diritti e interessi.In Italia ci sono 20 Tar, uno per ogni regione, con specifiche competenze territoriali. Ogni Tar è composto da presidente e cinque giudici amministrativi. Il più famoso è sicuramente quello del Lazio che, oltre ad essere il Tribunale Amministrativo con più controversie iscritte a ruolo, è dotato anche di una competenza funzionale, che lo rende uno dei tribunali più importanti in Italia.Il ricorso al Tar è uno strumento processuale attraverso il quale è possibile agire in giudizio, tramite ricorso, appunto, e non tramite atto di citazione (come per il processo civile), e chiedere tutela al Giudice competente. Si può ricorrere al Tar per chiedere l’annullamento di un atto della Pubblica Amministrazione, od ottenere il risarcimento del danno, causato da un atto della stessa.I gradi di giudizio previsti sono due, di questi, il secondo compete al Consiglio di Stato. Se dunque si dovesse perdere la prima causa, si può tentare con il secondo grado, sottoponendo la questione ai giudici del Consiglio, che emetteranno la sentenza definitiva.Ricorso al Tar: procedura e terminiEcco come si compone l’iter di questa azione legale.Primo passo, la presentazione della richiesta di annullamento, modifica o ritiro dell’atto della PA contro cui si ricorre. Sarà necessaria l’assistenza di un avvocato, soprattutto per la stesura della richiesta e il suo invio; il ricorso in proprio, ossia senza avvocato, rientra solo nei casi previsti per i Mini Urp (Uffici relazioni con il pubblico con funzioni ridotte, da cui il prefisso mini);Apriamo qui una parentesi: è possibile agire in giudizio senza avvocato solo ed esclusivamente in determinate materie, in particolare per tutte le controversie riguardanti la trasparenza amministrativa, comprese quelle sull’accesso agli atti, ed in materia elettorale. È bene inoltre precisare che si può usufruire di tale servizio solo nel caso in cui il cittadino sia in possesso di un indirizzo di posta elettronica certificata e solo qualora il ricorso venga depositato direttamente presso il Mini Urp, che si occuperà di tutti gli adempimenti necessari. Si tenga comunque presente che presentare un ricorso senza l’aiuto di un avvocato di fiducia potrebbe privare il ricorrente di una reale cognizione di ciò che si dovrebbe o si potrebbe fare durante il processo, oltre che di vedersi consigliare la strategia processuale migliore al fine di ottenere il cosiddetto “bene della vita”.Detto questo, proseguiamo con il secondo passaggio, la notifica: ricevuti gli atti, il Tar li notifica alla Pubblica Amministrazione chiamata in causa; terzo passaggio, l’avvio del contraddittorio, durante il quale il ricorrente e la controparte trasmettono memorie, scritti, prove, testimonianze, difese al Tar, che in ogni momento può chiedere chiarimenti e documenti aggiuntivi; viene fissata poi l’udienza, durante cui, dinanzi al giudice, le parti possono discutere la questione; si giunge infine alla delibera: una volta chiara la situazione, i giudici si riuniscono in Camera di Consiglio, ed emettono la sentenza.I termini da seguire per la presentazione del ricorso al Tar, sono i seguenti: entro 60 giorni dalla notifica o pubblicazione dell’atto amministrativo ritenuto ingiusto, entro 30 giorni dalla notifica o pubblicazione di un provvedimento relativo ad appalti, entro 120 giorni dalla notifica o pubblicazione dell’atto, in caso si intenda chiedere il risarcimento danni, che può essere chiesto anche durante la causa stessa ed entro 120 giorni dalla sua conclusione.Quali tempiStando ad alcune recenti statistiche, pare che in Italia i ricorsi al Tar durino almeno due anni. Si tratta naturalmente di una media, molto in realtà dipende dal carico di lavoro del Tar, cui si presenta il ricorso. I ricorsi presentati, ad esempio, al Tar del Lazio potrebbero durare di più perché, come anticipato, si tratta di un tribunale con particolari competenze funzionali, e dunqe particolarmente oberato di procedimenti.Quali costi e a chi spettanoCome per altri tipi di processo, anche il ricorso al Tar prevede che sia il ricorrente a far fronte alle spese, che non si possono stabilire a priori, dal momento che ogni processo è diverso ed ha caratteristiche proprie. In generale, i costi medi variano dai 3.500 ai 4.000 euro, importo che può subire aumenti anche in base alla parcella dell’avvocato, determinata dall’esperienza professionale, dal grado di specializzazione, dal carico di lavoro, etc.Per non precludere la possibilità di ricorrere a questo strumento anche alle fasce meno abbienti, il legislatore ha previsto che tutti i cittadini che appartengono ad una fascia di reddito bassa possano usufruire di apposite agevolazioni, tra cui il patrocinio gratuito, destinato a coloro che dichiarino un reddito inferiore a 11.528,41 euro, così come disposto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002: viene dunque assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, tributario, contabile, negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente, quando le sue ragioni risultino fondate in maniera manifesta.In caso si vinca, in caso si perdaQualora il ricorso venga accolto, la controparte (che in questo caso è un organo o un ente della Pubblica Amministrazione), deve annullare, modificare o revocare l’atto per cui si è presentato ricorso, rifondere le spese legali, risarcire l’eventuale danno.Poiché il ricorso al Tar rappresenta una vera e propria causa dinanzi ai giudici, chi perde è tenuto a pagare alla controparte le spese legali (che non sono irrisorie) e riconoscere anche l’eventuale risarcimento danni. Il consiglio pertanto è quello di pensarci bene prima di presentare ricorso, e di procedere solo se si è pienamente sicuri delle proprie ragioni. LEGGI TUTTO

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    La Bce manda la Germania al tappeto

    Non sempre repetita iuvant. Da amante del teatro qual è, Christine Lagarde ha concesso ieri all’Europarlamento una perfetta replica di quanto mandato in scena in occasione dell’ultima riunione della Bce. È un copione ormai mandato a memoria, con la solita tiritera sul carovita ancora elevato accompagnata dalla «nostra ossessione per il mandato sui prezzi», sull’approccio «basato sui dati» e sulla consapevolezza del dolore inflitto alle famiglie, poiché il 30% ha sulle spalle un mutuo indicizzato. Altrettanto impeccabile la riproposizione di quel passaggio con cui, una decina di giorni fa, l’Eurotower aveva spiegato che i tassi hanno ormai raggiunto livelli che, «mantenuti per un periodo sufficientemente lungo, daranno un contributo sostanziale al tempestivo ritorno dell’inflazione al nostro obiettivo». Stessa identica frase, ma con due reazioni opposte da parte dei mercati: plaudenti a metà mese nella convinzione che l’era dei restringimenti monetari fosse a fine corsa; in ribasso ieri (-0,6% il Ftse a Milano copme l’Eurostoxx600).Questa divergenza ha una spiegazione: Francoforte continua a opporre un muro di gomma alla possibilità di cambiare rotta, con una coazione a ripetere preoccupante poiché raggruma la convinzione e la supponenza che l’eurozona non verrà contagiata dalla stagflazione. E invece, basterebbe gettare anche uno sguardo distratto ai Bund tedeschi, il cui rendimento è balzato al 2,78% e ai massimi dal luglio 2011 (l’acme della crisi del debito sovrano), per capire che la Germania è sempre più il malato d’Europa, il Paese in cui l’indice di fiducia delle imprese picchia verso il basso da cinque mesi di seguito, come rivelato ieri dall’Ifo, e che fa allargare le braccia a Standard&Poor’s («Ci attendiamo che Berlino si contragga di più dello 0,2% quest’anno»). E se la Germania arranca come una locomotiva ottocentesca davanti a una salita, sono dolori per gran pèarte dei partner di Eurolandia. A cominciare dall’Italia, visto che l’anno scorso l’interscambio commerciale è stato pari a 168 miliardi di euro.Così, è alla Germania che si deve la crescente avversione al rischio evidenziata ieri dai mercati azionari e che tracima anche sul versante dei titoli di Stato. Lo spread Btp-Bund è salito da inizio mese da 163 a 187 punti, e solo l’ascesa del rendimento del decennale tedesco ha impedito un surriscaldamento superiore e ben più preoccupante. Ma è sul lato dei tassi d’interesse che si percepisce l’allarme, col Btp al 4,68% (sui massimi dalla fine dell’anno scorso) e l’Oat francese al 3,33%, un livello senza riscontri nell’ultimo quinquennio.Il tutto accade mentre la Bce continua a drenare liquidità (-1.000 miliardi in 12 mesi), all’interno del consiglio si accarezza l’idea di rottamare anzitempo il Pepp (il piano di acquisti contro la pandemia) e il nuovo scudo anti-spread di Francoforte presenta paletti così stringenti per poter entrare in azione da essere un’arma spuntata contro eventuali blitz speculativi. Poi ci sarebbe il mondo reale, dove il petrolio che veleggia verso i 100 dollari al barile non promette nulla di buono. Ma tranquilli: «Con la crisi energetica che si smorza (sic) – sostiene Madame Bce – i governi possono ritirare le misure di aiuto per evitare pressioni inflazionistiche». Magari con un occhio ai bilanci, poiché «il debito sovrano va abbassato» adottando «politiche anticicliche». Andersen, con le sue fiabe, non avrebbe saputo fare di meglio. LEGGI TUTTO