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    Caltagirone a Nagel: “Dici cose false”

    Volano gli stracci, comunicati e contro-comunicati sullo sfondo dell’Offerta pubblica di scambio di Mps su Mediobanca. Ieri per primo è sceso in campo l’azionista Francesco Gaetano Caltagirone per denunciare due affermazioni ritenute non veritiere dell’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, che aveva parlato di “anomalie” sul modo in cui il ministero dell’Economia ha venduto l’ultima tranche di azioni Mediobanca e su affermazioni che lasciavano intendere l’esistenza di un piano concordato a più passaggi tra i soci per mettere le mani su Mediobanca.Caltagirone si è focalizzato su dichiarazioni rilasciate nel corso della conferenza stampa seguita all’approvazione a maggioranza da parte del cda di Mediobanca del comunicato inerente all’offerta di Mps. “È falso – afferma la nota dell’imprenditore romano – che Caltagirone abbia realizzato significativi acquisti di azioni Mps ad aprile o comunque a ridosso della convocata assemblea del 17 aprile scorso, quando sarebbe stato compravenduto il 12% del capitale”. Allo stesso modo, prosegue il socio proprietario di circa il 10% di Mediobanca e Mps, “è falso che il Gruppo Caltagirone abbia offerto lo stesso prezzo degli altri aggiudicatari nella procedura di Abb con la quale in data 13 novembre 2024 il Mef ha ceduto partecipazioni in Mps, come dimostra il fatto che il prezzo offerto da Caltagirone era superiore a quello di aggiudicazione, il che dimostra che esistevano offerte a prezzo inferiore a cui il prezzo finale fissato dal bookrunner si è allineato”.Il desiderio di fare chiarezza probabilmente nasce anche in considerazione del fatto che è in corso un’indagine della Procura, che sta scandagliando le modalità di vendita di quel 15% di Mps poi finito proprio a Caltagirone (3,5%), Delfin (3,5%), Banco Bpm (5%) e Anima (3%). A maggior ragione in giorni in cui l’Ops su Mediobanca è in corso e gli investitori potrebbero essere disorientati. Nel tardo pomeriggio, tuttavia, è arrivata la replica di Mediobanca che respinge le accuse di falso a Nagel confermando l’affermazione sugli acquisti di Mps poiché Caltagirone ha triplicato “la propria partecipazione da novembre 2024 ad aprile 2025”. Inoltre, Nagel nella nota nega di aver “commentato il prezzo della procedura di Abb con la quale in data 13 novembre 2024 il Mef ha ceduto partecipazioni in Mps”. Tutto chiarito? Neanche per sogno, perché poco dopo è arrivata in redazione la contro-replica di Caltagirone, che riporta il passaggio incriminato in una nota di Piazzetta Cuccia. “È bene che si legga quanto scritto su detto documento a pagina 81 che qui si riporta: tali anomalie includono il fatto che i quattro offerenti hanno presentato pressoché simultaneamente offerte con lo stesso identico premio (5%) rispetto al prezzo delle azioni Mps”. Caltagirone poi precisa di aver raggiunto il 9% di Siena due mesi prima dell’assemblea del 17 aprile. Sorprenderebbe, a questo punto, se in un tale polverone la Consob non intervenisse per chiedere di fare chiarezza. LEGGI TUTTO

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    Moneta, pmi soffocate dai resi Amazon

    Pmi italiane messe all’angolo dal gigante Amazon. Costrette a piegarsi a regole imposte dal big Usa, tra cui la gestione dei resi, che si traduce in migliaia di pacchi restituiti con merce invendibile e commissioni esorbitanti. È questo il cuore dell’inchiesta, che apre il nuovo numero di Moneta, in edicola domani con Il Giornale, Libero e Il Tempo. L’indagine fa luce su un sistema che pesa sulle piccole imprese in un momento delicato per il commercio italiano, aggravato dalla minaccia dazi. La soluzione per l’export del Made in Italy potrebbe però risiedere in nuove rotte commerciali. A confermarlo, in un’intervista, è il viceministro delle Imprese, Valentino Valentini, che disegna scenari e strategie, tracciando una nuova mappa del commercio globale. LEGGI TUTTO

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    Muro Antitrust, Aponte scende da Moby. Msc cederà il suo 49% al gruppo Onorato

    Il colosso Msc di Gianluigi Aponte (nella foto) ha rinunciato ad acquisire la compagnia di navigazione Moby e cederà il 49% della società all’azionista di maggioranza, ovvero il gruppo Onorato.In particolare, come si legge nel documento pubblicato ieri dall’Antitrust, sono stati comunicati all’autorità “gli impegni alla cessione immediata del 49% detenuto nel capitale di Moby con rinuncia al corrispettivo a favore dell’azionista di maggioranza, alla rinuncia immediata al pegno sul 51% del capitale di Moby e alla cessione del credito verso Moby a società terza indipendente e/o abbattimento totale o parziale dello stesso in tempi brevi, già entro fine 2025”.L’Antitrust aveva avviato un’istruttoria lo scorso novembre nei confronti della Shipping Agencies Services (Sas) controllata da Msc, di Moby e di Grandi Navi Veloci (Gnv) per verificare l’esistenza di possibili restrizioni della concorrenza a seguito della prevista acquisizione di Moby. In particolare, il faro acceso dal Garante puntava ad accertare “possibili violazioni dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”, che tutela appunto la concorrenza all’interno del mercato comune. L’indagine dell’Antitrust si concentrava sul legame strutturale tra le compagnie di navigazione Moby e Gnv e sul rischio di monopolio nelle rotte dei traghetti in particolare verso la Sardegna. La vicenda non è comunque ancora chiusa: come si legge ancora nel documento pubblicato dall’Agcm, serve prima una consultazione degli operatori del mercato ed “eventuali osservazioni sugli impegni presentati dalle società Sas, Gnv e Moby dovranno pervenire per iscritto entro e non oltre il 16 agosto 2025”. Poi, “eventuali rappresentazioni” da parte delle stesse tre società “della propria posizione in relazione alle osservazioni presentate da terzi sugli impegni, nonchè l’eventuale introduzione di modifiche accessorie agli stessi, dovranno pervenire per iscritto all’Autorità entro e non oltre il 15 settembre 2025”. LEGGI TUTTO

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    Fondazione Enel, nuovo comitato scientifico e sguardo all’estero

    Fare impresa, puntando su formazione e ricerca scientifica. È l’obiettivo della Fondazione Enel, guidata da Flavio Cattaneo, che ha presentato il nuovo Comitato scientifico. Ne fanno parte rappresentanti di università di primo piano a livello mondiale, tra cui il Massachusetts Institute of Technology (MIT) e Harvard. “Tutte le evoluzioni economiche partono da una ricerca scientifica e le imprese che hanno basato il loro sviluppo sull’innovazione sono cresciute più delle altre”, ha sottolineato lo stesso top manager. E ancora: “Investire nella ricerca aiuta le aziende a crescere più delle altre, ma perché questo accada, occorre investire in essa, fornendo strumenti e risorse capaci di creare davvero sviluppo tecnologico e visione”.L’attività della Enel Foundation non si limita però all’Italia. All’interno del Piano Mattei, sono stati infatti avviati corsi manageriali sulla transizione energetica in Marocco, programmi per sostenere l’imprenditoria africana nel settore delle energie rinnovabili e iniziative per la creazione di start-up locali. In questo contesto, sono stati inaugurati due centri di formazione, uno in Kenya e uno in Sudafrica. Inoltre, la Fondazione sviluppa progetti anche in America Latina, con l’obiettivo di contribuire concretamente ad affrontare le sfide legate ai cambiamenti climatici. Tra i temi al centro dello studio, la resilienza delle reti elettriche.L’iniziativa ha ricevuto il sostegno anche del vicepremier e ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, che ha evidenziato il valore strategico del progetto: “La fondazione Enel è uno strumento fondamentale per la crescita dell’Italia” e rappresenta “un passo avanti per favorire la rete della ricerca e dell’innovazione a livello europeo e mondiale”. LEGGI TUTTO

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    Sigarette, stop all’obbligo di accettare pagamenti col Pos: cosa hanno deciso i giudici

    La recente sentenza di un giudice di Pace di Genova è pronta a infliggere un duro colpo all’obbligatorietà del Pos, contro cui già in più di un’occasione il governo Meloni aveva cercato di intervenire con l’obiettivo di limitarne la portata: i tabaccai non devono essere costretti ad accettare pagamenti con carta di credito o debito nè per le sigarette né per altri beni sottoposti a monopolio di Stato.Il motivo alla base di tale sentenza è molto semplice, ed è da ricercare nel risicato margine di guadagno che hanno i rivenditori su tali prodotti: la commissione applicata al pagamento con Pos abbatte quasi integralmente la piccola somma, per cui il rifiuto ad accettare questa forma di transazione è per il giudice più che lecito.Il caso risale al 2024, quando un tabaccaio rifiutò di concedere la possibilità di pagare un pacchetto di sigarette con carta di credito a un cliente, il quale contattò la guardia di finanza. Il rivenditore fu colpito da un verbale di contestazione, e il tentativo di impugnarlo dinanzi al prefetto di Genova risultò vano. Deciso a non cedere, il tabaccaio si è quindi rivolto anche al giudice di Pace, che gli ha dato ragione: dopo la sentenza il verbale è stato annulato, così come la sanzione che l’esercente avrebbe dovuto versare per aver rifiutato di accettare il pagamento con Pos.Alla base della sentenza una legge risalente al 2010, poi modificata nel 2017, secondo cui è fatto divieto a un negoziante di incrementare il prezzo di un prodotto qualora l’acquirente voglia pagare con carta di credito o debito, ovvero tramite mezzi elettronici.”Il tabaccaio, autorizzato dal monopolio dello Stato, agisce nell’esclusivo interesse del beneficiario del pagamento, al quale riversa interamente il prezzo dei prodotti del Monopolio, avendo diritto unicamente a una percentuale”, spiega il giudice nella sentenza. LEGGI TUTTO

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    La sicurezza economica

    C’è un punto, nella dialettica ormai strutturale tra Roma e Bruxelles, che dovrebbe restare fuori da ogni negoziato: la sicurezza nazionale. Non solo quella militare, che ci viene spontaneo associare a radar, confini e difesa armata. Ma quella economica, altrettanto decisiva, e forse ancor più insidiosa, proprio perché spesso silenziosa e dissimulata dietro operazioni di mercato apparentemente «ordinarie». Ieri il ministro Giancarlo Giorgetti lo ha nuovamente ribadito con fermezza, rispondendo alla Direzione generale della Concorrenza europea, che si è detta infastidita dall’attivazione del Golden Power da parte del governo italiano sul tentativo di scalata del Banco Bpm da parte di Unicredit. Un’operazione che, sebbene combattuta con estrema animosità, nelle carte può sembrare un’ordinaria vicenda di mercato. Ma che, nei fatti, rischia di mutare per sempre una parte del paesaggio bancario italiano, alterando equilibri delicatissimi, e in prospettiva riducendo la capacità del Paese di esercitare il controllo su uno dei pilastri del proprio sistema finanziario. Nessuno ha detto che l’operazione non s’ha da fare, semplicemente sono stati posti dei paletti destinati a ridurre questi rischi potenziali.Ebbene, Giorgetti ha posto un confine. Non negoziabile. A Bruxelles che solleva questioni, risponde con un linguaggio netto ma misurato, che la sovranità economica è parte integrante della sovranità nazionale. E che, su questo, non si può accettare che la Commissione Ue si arroghi un diritto di ultima istanza. Quest’ultima può avere voce, può vigilare sull’antitrust, può intervenire laddove si registrino distorsioni palesi della concorrenza. Ma non può sostituirsi ai governi nel valutare cosa rappresenta un rischio sistemico per la sicurezza nazionale.Chi scrive condivide in pieno questa posizione. Per una ragione semplice: nessun ordinamento comunitario può cancellare la prerogativa fondamentale di uno Stato di preservare la propria infrastruttura strategica. In un momento in cui l’Europa è sotto assedio militarmente, per il protrarsi della guerra in Ucraina; economicamente, per l’aggressività con cui le superpotenze si contendono asset industriali e tecnologici è impensabile disarmare i governi nazionali sul terreno della vigilanza economica.Il Golden Power non è una distorsione del mercato. È un anticorpo, un dispositivo di ultima difesa adottato da molti Paesi dagli Stati Uniti alla Germania con maggiore frequenza e minori scrupoli di quanto faccia l’Italia. Non si tratta di nazionalismo economico, ma di realismo strategico. Di comprensione del contesto. Di dovere istituzionale verso i cittadini e verso il sistema economico nazionale.È dunque legittimo, e persino doveroso, che il governo italiano imponga condizioni su operazioni di consolidamento bancario che possono generare effetti irreversibili. Non stiamo parlando di fusioni industriali in settori marginali. Qui si gioca la partita del credito, della tenuta dei risparmi, del rapporto fiduciario tra lo Stato e il suo sistema finanziario. LEGGI TUTTO

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    Stellantis spegne l’idrogeno: crolla il titolo in Borsa (-6%)

    Stellantis dice stop al programma di sviluppo della tecnologia a celle a combustibile a idrogeno. È il primo effetto concreto della nuova gestione del gruppo affidata ad Antonio Filosa. La Borsa, in scia al rebus dazi e al profit warning lanciato da Renault, ora nelle mani del ceo «ponte» Duncan Minto, le cui azioni sono precipitate a 34,21 euro (-17,13%), penalizza fortemente anche il titolo Stellantis: -6,21% a 8 euro. Il gruppo, infatti, si potrebbe anche ritirare dalla joint venture Symbio (300 milioni investiti nel 2023 per il 33,3%), insieme a Michelin e Forvia. Stellantis, a questo punto, non prevede più l’adozione di furgoni Pro One alimentati a idrogeno prima della fine del decennio. Una nota imputa le ragioni del passo indietro «alla limitata disponibilità di infrastrutture per il rifornimento di idrogeno, agli elevati requisiti di capitale e alla necessità di maggiori incentivi all’acquisto da parte dei consumatori». La produzione in serie avrebbe dovuto iniziare quest’estate a Hordain, in Francia (furgoni di medie dimensioni) e a Gliwice, in Polonia (grandi dimensioni). Nessun impatto, è stato assicurato, sulla forza lavoro. L’approfondimento di Jean-Philippe Imparato, capo di Stellants per l’Europa allargata: «La decisione è stata presa in un contesto in cui l’azienda si sta mobilitando per rispondere alle stringenti normative europee sulle emissioni di CO2. Il mercato dell’idrogeno rimane un segmento di nicchia, senza prospettive di sostenibilità economica a medio termine. Dobbiamo fare scelte chiare e responsabili per garantire la nostra competitività e soddisfare le aspettative dei nostri clienti con la nostra offensiva di veicoli elettrici e ibridi».Anche Renault ha messo in liquidazione il suo impianto di veicoli commerciali a idrogeno di Flins (Yvelines) all’inizio del 2025. «Non c’è mercato, stiamo vendendo auto in perdita», l’avvertimento dell’ex ceo Luca De Meo rivolto ai parlamentari francesi, soprattutto «a causa della quantità di idrogeno verde (prodotto da energie rinnovabili e assai caro) ancora insufficiente». Solo Toyota, Hyundai e Bmw continuano a credere nell’idrogeno, con piccoli programmi di sviluppo e alcuni veicoli in circolazione. LEGGI TUTTO

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    Lovaglio manda a casa Nagel: “Nuovo ad per Mediobanca”

    «Il controllo di Mediobanca è raggiungibile con il 35% delle azioni, ma sono fiducioso che l’offerta ci porterà oltre al 66%» e se la scalata andrà a segno, «Alberto Nagel non sarà più il ceo della banca di piazzetta Cuccia». È chiara la risposta data ieri mattina dall’ad del Monte dei Paschi, Luigi Lovaglio, alla giornalista di Bloomberg Tv che lo ha ospitato negli studi di Londra, dove è volato in questi giorni per incontrare gli investitori. L’uscita del top manager milanese viene, dunque, anticipata in modo esplicito da Lovaglio che, senza citarlo direttamente per nome, ha detto: «Sta mostrando di non essere interessato al progetto. L’ho chiamato e non mi ha risposto al telefono, quindi penso che dovremo guardare a un nuovo ceo e sarà una persona brillante, di livello internazionale, che farà tutto il suo meglio per mantenere e motivare tutto il personale attuale e attrarre i talenti». L’ad del Monte ha comunque assicurato che il nome Mediobanca «resterà perché è uno dei valori in cui crediamo, è un forte valore. Uno dei punti del progetto è che lo stiamo costruendo su due brand, Montepaschi e Mediobanca, con la qualità e le eccellenze che sono in entrambi gli istituti», ha aggiunto. Verranno mantenuti anche i marchi Compass e Mediobanca Premier, si tratta, infatti, di «una combinazione di due realtà e non di una fusione» e in questo senso, «l’aspetto più difficile in operazioni di questo tipo è conciliare due diverse culture», sostiene Lovaglio. Quanto al ruolo dei grandi azionisti privati di Mps come il gruppo Caltagirone e Delfin, Lovaglio ha sottolineato che «sono stati di supporto sin dall’inizio» dell’operazione, «ma mi hanno lasciato decidere tutto, non ho avvertito alcuna interferenza nelle mie attività».Il banchiere ha poi detto che se all’inizio, a gennaio, la discussione era sul perché fare l’operazione, e su quale era la logica industriale, «adesso è: cosa succede dopo settembre, quando inizierete ad avere il controllo di Mediobanca?». L’Ops partita il 14 luglio si concluderà l’8 settembre, «quindi ora è un dialogo molto più proattivo», ha aggiunto riferendosi agli investitori istituzionali e rispondendo a una domanda sull’obiettivo del roadshow londinese.«Penso che il razionale sia piuttosto semplice, ovvero creare molto valore per tutti gli stakeholder. E con questo intendo dire: per i clienti, perché stiamo ampliando la proposta di valore; per i dipendenti, perché sarebbe un posto fantastico per sviluppare il loro potenziale; per l’economia, perché sosterremo le aziende nella loro crescita», ha poi spiegato l’ad dell’istituto senese ai microfoni di Bloomberg. «Ma soprattutto per gli azionisti, in quanto sarebbe un deal fantastico, li stiamo ricompensando con un dividendo del 100% mantenendo al contempo una posizione forte in termini di capitale per ulteriori potenziali ricompense». D’altronde, «se una crescita dei dividendi a doppia cifra è mancanza di valore, penso proprio che dovremmo andare a rivedere aritmeticamente qual è il significato di doppia cifra».La grande sfida sarà ottenere la fiducia del team di Mediobanca, «e per farlo è chiaro che molto dipenderà dal nuovo ceo, sono fiducioso che sarà una persona eccellente e che saprà fidelizzare le persone che lo circondano», ha ribadito Lovaglio. Che non ha, però, ancora un nome in mente. LEGGI TUTTO