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    Industria, nuova battuta d’arresto a maggio: produzione a -0,7%

    Dopo il lieve rimbalzo registrato ad aprile, la produzione industriale italiana torna a scendere. A maggio 2025, secondo i dati diffusi oggi dall’Istat, l’indice destagionalizzato ha segnato un calo dello 0,7% rispetto al mese precedente. Un arretramento che riporta l’industria in territorio negativo, confermando le difficoltà strutturali di un settore che fatica a trovare slancio.Anche su base annua il bilancio è deludente: corretto per gli effetti di calendario, l’indice segna una flessione dello 0,9% rispetto a maggio 2024 (con un giorno lavorativo in meno), mentre il dato grezzo mostra un calo ancora più marcato, pari al -3,8%.Il leggero recupero di aprile, che aveva interrotto una lunga fase di contrazione durata oltre due anni, sembra quindi essersi rivelato un episodio isolato. Nella media del trimestre marzo-maggio si registra comunque un lieve aumento dello 0,6% rispetto ai tre mesi precedenti, segno che il comparto resta in una fase di stagnazione con variazioni mensili altalenanti.A maggio, l’unico comparto in crescita su base mensile è quello dell’energia (+0,7%), mentre risultano in calo i beni intermedi (-1%), i beni di consumo (-1,3%) e restano stabili i beni strumentali. Su base annua, l’energia si conferma il motore principale del settore, con un incremento del +5,3%. Tutti gli altri aggregati merceologici segnano invece il passo: i beni strumentali calano dello 0,2%, i beni di consumo dell’1,8% e i beni intermedi del 2,7%.Tra i singoli settori, i maggiori incrementi tendenziali si registrano nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+6,1%), nelle attività estrattive (+5,1%) e nella fornitura di energia elettrica, gas e vapore (+4,7%). Le performance peggiori riguardano la fabbricazione di mezzi di trasporto (-5,6%), i prodotti farmaceutici (-5,2%) e i prodotti chimici (-4%). LEGGI TUTTO

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    Flessibilità, giovani e inclusione: cosa prevede il piano pensioni Inps per il 2030

    L’Istituto nazionale di previdenza sociale si prepara a imprimere una svolta nella discussione sulle pensioni. Non si tratta più solo di gestire l’eredità di misure transitorie, ma di disegnare un assetto stabile e proiettato al futuro. Il cantiere è aperto, e il progetto ha già un nome: Libro Bianco Pensioni 2030. L’annuncio è arrivato dalla direttrice generale dell’Inps, Valeria Vittimberga, che ha descritto il documento come un’iniziativa aperta al confronto con imprese, parti sociali e terzo settore. L’obiettivo? Costruire un sistema previdenziale più dinamico, inclusivo e sostenibile.Il tramonto delle formule temporaneeLe misure che negli ultimi anni hanno permesso di anticipare l’uscita dal lavoro si avviano al capolinea. Quota 103, così come l’attuale configurazione di Opzione Donna e dell’Ape Sociale, potrebbero non sopravvivere oltre il 2025. La loro proroga, in un quadro di finanza pubblica già teso, sembra improbabile. Resta sul tavolo anche la questione dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, che comporterebbe uno scatto di tre mesi a partire dal 2027. Il governo valuta la possibilità di sospendere l’aumento, ma la scelta richiederà coperture finanziarie concrete.Una nuova rotta per le uscite flessibiliCon il possibile tramonto delle misure straordinarie, si affaccia una nuova ipotesi: permettere l’accesso alla pensione a 64 anni per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 e ha almeno 25 anni di contributi. È una via già tracciata dall’ultima legge di bilancio, ma attualmente riservata ai lavoratori con carriera interamente contributiva. Per accedervi, l’assegno mensile deve superare una certa soglia – oggi pari a tre volte l’importo dell’assegno sociale – anche attraverso il supporto della previdenza integrativa. Dal 2030, i requisiti diventeranno più rigidi: serviranno 30 anni di versamenti e un assegno superiore a 3,2 volte quello sociale. Tra le ipotesi sul tavolo, c’è la possibilità di ampliare questo canale anche ai lavoratori con contribuzione “mista”, rendendolo più accessibile e flessibile.Il baricentro si sposta sulle nuove generazioniL’Inps punta ad affrontare le fragilità dei lavoratori intermittenti, delle carriere discontinue e dei giovani, oggi penalizzati da prospettive previdenziali incerte. Il presidente dell’Istituto, Gabriele Fava, ha sottolineato più volte l’importanza di rafforzare l’occupazione stabile come leva per garantire l’equilibrio del sistema. E non è un caso che il Libro Bianco voglia mettere al centro anche strumenti di tutela per chi ha svolto lavori di cura, attività gravose o ha sperimentato precarietà lavorativa. LEGGI TUTTO

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    Ferrero vuole Kellogg. Affare da tre miliardi

    Ferrero sta per comprarsi un pezzo di storia americana. Il gruppo di Alba, secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, è infatti vicina a chiudere un accordo da circa tre miliardi di dollari per l’acquisizione del conglomerato di cereali per la colazione WK Kellogg. La fusione transatlantica che mira a unire due storici gruppi alimentari potrebbe essere portata a termine già entro la fine di questa settimana, salvo imprevisti dell’ultimo minuto nei colloqui.WK Kellogg è l’azienda basata a Battle Creek, nel Michigan, che produce negli Usa i famosi Froot Loops, i Frosted Flakes, i Rice Krispies e una varietà di altri cereali che finiscono al mattino insieme al latte sulle tavole degli americani. Oggi ha un valore di mercato di circa 1,5 miliardi di dollari e un debito di oltre 500 milioni di dollari. È stata costituita nell’ottobre 2023 come parte dello spin-off di Kellogg della sua attività di cereali in Nord America.Si tratta, appunto di un pezzo di storia degli States: l’invenzione dei Corn Flakes risale al 1894 quando il fondatore Will Keith Kellogg, portò alla nascita dell’azienda all’inizio del ventesimo secolo. Si racconta che il cereale a base di grano sia nato per caso, ma che abbia poi rivoluzionato l’industria della colazione. Di recente è finita sotto pressione per il mutamento di abitudini dei consumatori. Ed è anche nel mirino dell’amministrazione Trump per l’uso di coloranti artificiali nei suoi prodotti, una delle crociate portate avanti dal nuovo Segretario alla Sanità Robert F. Kennedy Jr. Il comparto degli snack è in generale al centro di un consolidamento. LEGGI TUTTO

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    “Basta parole, sui dazi accordo subito Ue-Usa”

    C’è ottimismo sui mercati per il raggiungimento di un accordo tra Washington e Bruxelles. A Piazza Affari il Ftse Mib ha guadagnato l’1,6% a 40.821 punti, dopo aver toccato un nuovo massimo da ottobre 2007. A sua volta Francoforte ha segnato un rialzo dell’1,4%, Parigi dell’1,4%. Fuori dall’Eurozona, Londra è invece salita dello 0,15 per cento.C’è tempo fino al 1 agosto per chiudere la trattativa e i contatti tra le due sponde dell’Atlantico vanno avanti. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (in foto), ieri ha sottolineato che l’Europa preferisce «una soluzione negoziata», pur preparandosi «a tutti gli scenari». Anche il commissario al Commercio Maros Sefcovic ha ribadito che trovare un accordo con gli Usa è la priorità. In un intervento davanti alla plenaria del Parlamento europeo, a Strasburgo, ha sottolineato che le trattative stanno continuando con «discussioni costruttive», «buoni progressi» e l’obiettivo di arrivare a una «dichiarazione congiunta» o a un «accordo di principio». Che, comunque, non sarebbe la fine, ma «il principio di un nuovo inizio», perché fornirebbe «un quadro su cui continuare a costruire» gli accordi successivi, ovvero per aprire la strada a «un futuro accordo commerciale Ue-Usa a pieno titolo», ha spiegato Sefcovic. Aggiungendo che il 99% dei settori industriali chiede «soluzioni negoziate». Proprio ieri il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, e il presidente degli industriali francesi (Medef), Patrick Martin, hanno firmato un «appello congiunto all’azione» perché «l’Europa sta vacillando, le sue fabbriche chiudono, le sue bollette energetiche aumentano. La sua voce si affievolisce. Il suo peso geopolitico si riduce. In un mondo segnato dagli choc geopolitici, l’indecisione rappresenta la minaccia più grave. L’Europa deve scegliere: competere o declinare». Anche nella guerra dei dazi, aggiungono, «il commercio è potere. Va usato». A Berlino, intanto, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha affermato davanti al Bundestag di nutrire un «un cauto ottimismo» sul fatto che si possa arrivare «nei prossimi giorni, o entro la fine del mese, a un accordo con gli Usa» che sarà possibile «soltanto se gli Stati europei collaboreranno in modo stretto fra loro. La Germania da sola non potrà ottenere nulla», ha concluso.In attesa della lettera alla Ue (che «è un accordo», Trump dixit), il Financial Times ieri ha però scritto che l’Unione europea si ritroverà con dazi più elevati rispetto a quelli concordati dagli Stati Uniti con la Gran Bretagna. Secondo l’FT, Bruxelles è pronta a siglare «un’intesa quadro temporanea» che fissi le «tariffe reciproche» al 10% ma la Ue «non si aspetta di ottenere lo stesso accesso al mercato americano dell’acciaio, delle automobili e di altri prodotti britannici soggetti a dazi settoriali». LEGGI TUTTO

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    Il gruppo Acea in cima al podio nel settore idrico

    Le società del Gruppo Acea attive nel settore idrico ai primi posti in Italia per continuità del servizio, riduzione delle perdite e qualità dell’acqua depurata. A sancirlo è stata Arera – l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente – che ha recentemente approvato i risultati finali dell’applicazione del meccanismo incentivante della qualità tecnica del […] LEGGI TUTTO

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    Unicredit-Bpm, Bruxelles precisa: “Niente di deciso sul Golden Power”

    «Non abbiamo preso alcuna decisione. Non abbiamo nemmeno concluso alcuna valutazione preliminare e non è stata inviata alcuna lettera. A fine maggio abbiamo inviato un paio di domande all’Italia, abbiamo ricevuto la risposta e stiamo esaminando la questione». La portavoce della Commissione europea per i Servizi finanziari, Lea Zuber, ieri ha smentito così le indiscrezioni rilanciate due giorni fa da Bloomberg su un imminente intervento a gamba tesa contro il governo Meloni da parte dell’Antitrust europeo guidato dalla socialista Teresa Ribera. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ieri si è limitato a dire: «Aspettiamo, sono cose che non so e di cui non posso parlare». Il titolo Unicredit ha però continuato a correre in Borsa segnando un + 4,6 per cento. Nel frattempo, il Tar del Lazio ha tenuto l’udienza sul ricorso di Unicredit contro le modalità di esercizio del Golden Power da parte del governo in relazione all’Ops sul Banco Bpm. Ma il dispositivo della sentenza, con anche le motivazioni, sarà pubblicato nelle prossime ore, comunque entro il 16 luglio. «A noi pare che la motivazione del provvedimento sia inattaccabile sotto tutti i profili. Si tratta di capire entro e con quali limiti il governo possa intervenire. Ci auguriamo che si arrivi alla conclusione che l’impostazione non possa essere messa in discussione», ha affermato uno degli avvocati dello Stato nel corso dell’udienza. «Se ritenete che ci siano profili di incertezza – ha proseguito – chiediamo che la vicenda sia rimessa alla Corte di Giustizia Ue». Chiunque perda, tra governo e banche coinvolte, è quasi scontato che ricorra in secondo grado al Consiglio di Stato. LEGGI TUTTO

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    Un’Agenzia di riscossione per i Comuni

    I Comuni sono in bolletta perché non sanno riscuotere i tributi locali e chiedono un’agenzia di Riscossione dedicata. È bastato che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ricordasse un’ovvietà del genere che l’opposizione è insorta, definendo l’esecutivo «un governo di strozzini, oltre Dracula». Certo, nel 2024 sono stati recuperati 33,4 miliardi di euro, il risultato più alto di sempre. Ma come, vien da chiedersi, il ministro non era amico degli evasori?L’idea di Giorgetti è la creazione di un nuovo ente di riscossione in cui far entrare l’associazione dei Comuni Anci o l’Ifel (l’Istituto per la finanza e l’economia locale) «dedicato esclusivamente alla gestione e al recupero dei tributi locali, con personale specializzato e capace di integrare e incrociare i dati». Si avvarrebbe, secondo il ministro, anche delle «economie di scala presenti a livello nazionale», come «il patrimonio informativo e una rafforzata interoperabilità delle banche dati», in sinergia «con una struttura informatica avanzata» fornita da «partner come Sogei e PagoPa». L’esempio è semplice: «Se l’Agenzia delle Entrate deve scegliere tra perseguire chi deve 250mila euro di Irpef e chi deve 250 euro di Tari è chiaro a chi dedica energie», ha sottolineato il titolare di via XX Settembre nell’audizione in Commissione Federalismo Fiscale, secondo cui «c’è una riscossione che funziona benissimo e una che non funziona affatto e ciò crea una discriminazione tra cittadini».Eppure, dalla morte di Equitalia – carrozzone amato dalla sinistra e sciolto nel 2017 – la capacità di far pagare le imposte locali è lentamente calata, lasciando un magazzino fiscale di imposte comunali arretrate mostruoso. Parliamo di 25 miliardi di euro, di cui circa 6 miliardi realmente esigibili. Sono risorse distribuite in modo non uniforme sul territorio nazionale: con valori maggiori concentrati in alcune regioni, in alcune grandi città e nei comuni medio-piccoli soprattutto delle regioni del Centro-Sud. La media di riscossione è del 78%, un Comune su 10 è sotto al 55%. L’obiettivo dichiarato del governo è di svuotare il magazzino da quasi 1,3 miliardi di euro: il 76% delle oltre 291 milioni di cartelle a fine 2024 in mano a 16,3 milioni di italiani è sotto mille euro ed è sostanzialmente esigibile al 10%, in attesa degli esiti della rottamazione Quater e del via libera alla Quinques da 120 rate, su cui c’è la resistenza di una parte della maggioranza.Per il leader di Italia Viva Matteo Renzi l’agenzia di Riscossione Enti Locali sarebbe «un nuovo carrozzone per piazzare amici e parenti», il Pd Antonio Misiani si schiera con i Comuni lumaca e invoca «una proposta non centralistica, altrimenti si va nella direzione sbagliata». Eppure era stata la Corte dei Conti lo scorso marzo, sempre in Commissione Federalismo Fiscale, a lanciare l’allarme sul cosiddetto tax gap tra i tributi realmente versati e quelli teoricamente dovuti: «La riscossione dei principali tributi locali», già complicata dalla difficile situazione di alcuni contribuenti, è figlia «della ridotta capacità di accertamento, imputabile a profili organizzativi non adeguati». Mancano 5 miliardi di Imu non riscossa (pari al 22%) e circa il 40% della Tari. Se lo dice la Corte dei conti va bene, se lo chiedono i sindaci pure e se lo dice il governo no? LEGGI TUTTO

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    Il Biscione apre ai soci: “Collaborazione possibile ma solo finanziaria sul network in Germania”

    “Vogliamo crescere come broadcaster europeo, ma non ci interessa avere una tv in Germania”. L’obiettivo della campagna tedesca di Mfe sta tutta in queste parole del suo numero uno, Pier Silvio Berlusconi. Il Biscione è impegnato in una battaglia finanziaria per la conquista di ProsiebenSat, emittente tv bavarese. Ma l’essenza di questa partita dipende anche dalle sfumature. Per questo era importante sentire dalla voce di Berlusconi, che ne ha parlato alla stampa durante la serata dell’8 luglio, alla presentazione dei palinsesti Mediaset, quali sono i punti cardine della sfida in corso.Primo, l’obiettivo: crescere come broadcaster generalista paneuropeo. Che significa una cosa sola: integrare Prosieben nel sistema crossmediale che Mfe sta costruendo in Europa, con l’Italia e la Spagna. Aggiungendoci la Germania, primo mercato pubblicitario continentale, ma non come asset, bensì come terza gamba di un sistema unico che sfrutta sinergie in termini di efficienza, tecnologie, piattaforme web.Secondo: come arrivarci? Anche se Pier Silvio “non è questione di controllo” bensì di “poter dire la nostra negli organi chiamati a decidere” è difficile pensare di centrare l’obiettivo senza che la presenza di Mfe nel capitale di Prosieben diventi decisiva per mettere al comando un proprio management. E qui le cose si complicano: Mfe, che ha già il 30%, ha lanciato un’Opa totalitaria su Prosieben offrendo un corrispettivo misto di azioni e cash pari a 5,74 euro. Ma Ppf, gruppo finanziario ceco azionista con il 16%, ha lanciato un’altra Opa a 7 euro, finalizzata a raggiungere non più del 29,9%. All’orizzonte c’è un’assemblea che Mfe ha convocato il 31 luglio per proporre, eventualmente, un rilancio sul prezzo. Entrambe le Opa si concluderanno il 13 agosto. Come finirà?Al centro della questione ci sono i rapporti con Ppf. Ma, dice Pier Silvio, “per leggi magari un po’ obsolete non ci possiamo parlare e non ci parliamo, perché invece ci sarebbe terreno fertile”. In pratica è un’apertura: “Una collaborazione è assolutamente possibile. Un socio forte più finanziario, con esperienza nel mondo dei media non ci dispiacerebbe, ma noi vogliamo avere la possibilità di indirizzare il nostro progetto paneuropeo”.In altri termini, alla fine delle due Opa, i due gruppi potrebbero mettersi d’accordo. Ma per Berlusconi, che ha ancora in mente lo scherzetto che il gruppo Vivendi gli ha giocato nove anni fa, provando a scalare il gruppo, un socio deve essere esclusivamente finanziario: “Nei casi di collaborazione che ho sperimentato si va in difficoltà. Si può essere soci anche paritetici, ma un progetto industriale così ambizioso devi farlo in autonomia”. In ogni caso per Mfe non ci potranno essere compromessi rispetto al progetto industriale: “Così non si può andare avanti”, dice con riferimento alle performanca scadenti del gruppo tedesco.La partita a scacchi continuerà ancora per un mese. Ma pochi scommettono che finirà il 13 agosto. Di sicuro, aggiunge Berlusconi, “il prezzo che, nel caso di rialzo dobbiamo decidere, sarà il prezzo più alto che siamo disposti a pagare e il prezzo giusto al quale siamo disposti a vendere”. Come a dire che Mfe non è disposta a svenarsi: “Se capiamo che l’operazione Prosieben costa troppo, cambiamo strada, ma certo non saremo rinunciatari. Noi vogliamo il nostro progetto paneuropeo”. LEGGI TUTTO