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    Boom dei pagamenti digitali, ora il Fisco punta sull’incrocio dei dati

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    Negli ultimi tre anni, l’Italia ha registrato una crescita significativa nell’adozione dei pagamenti digitali. Il numero di terminali Pos è passato dai 2,7 milioni del 2021 ai 3,5 milioni previsti per la fine del 2024, segnando un aumento del 30%. Parallelamente, il valore complessivo delle transazioni cashless è salito da 332 a 481 miliardi di euro, con ben 357 miliardi movimentati direttamente tramite Pos, sia con carte fisiche che virtuali. Un’evoluzione che, oltre a trasformare le abitudini di spesa, offre all’Agenzia delle Entrate una preziosa fonte di dati per il contrasto all’evasione fiscale.Sebbene ogni esercente sia obbligato per legge a dotarsi di un Pos – con sanzioni in vigore dal 2022 per chi rifiuta pagamenti elettronici – il vero motore della diffusione dei pagamenti digitali sembra essere stato l’innovazione tecnologica. Le nuove soluzioni e offerte commerciali hanno inciso più di normative spesso incoerenti, come il rialzo del limite per l’uso del contante da 2.000 a 5.000 euro o la fine del cashback di Stato. Anche il tax credit sulle commissioni per i piccoli esercenti, dopo una breve parentesi al 100%, è tornato al 30%.Le norme a favore dei consumatori, invece, restano in piedi: la lotteria degli scontrini e l’obbligo di pagamenti tracciabili per ottenere detrazioni fiscali del 19% su spese come visite mediche o attività sportive per i figli. Nel frattempo, il contactless ha raggiunto livelli di utilizzo straordinari: il 90% delle transazioni con carta avviene ormai senza inserire il Pin, per un totale di 291 miliardi di euro nel 2024.Il dibattito sul tetto al contante ha perso rilevanza, nonostante Banca d’Italia lo consideri uno strumento utile contro l’economia sommersa. Tuttavia, la lotta all’evasione tramite Pos ha due limiti strutturali: da un lato, nulla impedisce che un accordo tra le parti porti comunque a pagamenti in nero; dall’altro, non è scontato che ogni transazione elettronica corrisponda a uno scontrino fiscale.Per questo motivo, dal 2026 entrerà in vigore l’obbligo di collegare i Pos ai registratori di cassa, così da incrociare in tempo reale gli incassi con la certificazione fiscale. Un passaggio cruciale anche per gli obiettivi del Pnrr, che secondo le stime prudenziali della Legge di Bilancio 2025 potrebbe generare almeno 50 milioni di euro di gettito aggiuntivo solo in termini di Iva. LEGGI TUTTO

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    Aumentano gli stipendi statali: da aprile scatta l’indennità di vacanza contrattuale

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    A partire dal mese di aprile, i dipendenti pubblici vedranno un incremento nelle loro buste paga grazie all’attivazione della nuova indennità di vacanza contrattuale. Questo meccanismo di compensazione ha l’obiettivo di sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori durante il periodo di transizione tra la scadenza di un contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) e il rinnovo del successivo.Gli importi previstiL’importo dell’indennità varia in base al ruolo e alla fascia di appartenenza. Per il personale ministeriale, ad esempio, il beneficio economico oscilla tra i 16 e i 46 euro mensili. La Ragioneria Generale dello Stato ha già stabilito gli importi relativi ai Ccnl del triennio 2025-2027, sebbene le trattative per il rinnovo non siano ancora iniziate. Infatti, sono ancora in corso le negoziazioni per i contratti relativi al periodo 2022-2024, con l’eccezione di quello delle funzioni centrali, sottoscritto a gennaio.Le dinamiche delle trattative sindacaliIl percorso per il rinnovo dei contratti pubblici si presenta complesso, con i sindacati Cgil e Uil che continuano a fare pressione per ottenere maggiori risorse per i comparti della sanità e delle funzioni locali. Tuttavia, le risorse economiche a disposizione del governo sono limitate, rallentando il processo di negoziazione. Nel frattempo, i dati dell’Aran evidenziano come gli aumenti salariali previsti dai nuovi contratti abbiano consentito agli stipendi pubblici di mantenere il passo con l’inflazione.L’indennità in dettaglioDa aprile a giugno, l’indennità di vacanza contrattuale corrisponderà allo 0,6% dello stipendio tabellare, per poi salire all’1% a partire da luglio. Questo incremento si traduce in un aumento mensile che può arrivare fino a 46,23 euro per i dirigenti di prima fascia delle funzioni centrali, mentre le elevate professionalità riceveranno 28,86 euro. I funzionari vedranno un incremento di 21,14 euro, gli assistenti poco più di 17 euro e gli operatori 16,54 euro.Nel comparto sanitario, un dirigente medico potrà percepire fino a 36,17 euro, mentre un assistente riceverà circa 17,86 euro. Per il personale scolastico, gli importi varieranno tra i 13,69 e i 36,17 euro, mentre nel settore universitario l’oscillazione sarà tra i 16,64 e i 36,17 euro. Gli enti di ricerca registreranno importi più elevati, con i dirigenti che potranno percepire fino a 78,54 euro.Prospettive future e impatto economicoSecondo le previsioni, gli aumenti salariali garantiti dal Ccnl 2025-2027 varieranno tra il 5,4% e il 7,2%, con un incremento stimato del 7,1% per le funzioni centrali. Considerando il periodo 2019-2027, l’Aran ha calcolato un aumento retributivo medio di 562 euro per i ministeriali, 530 euro per gli infermieri e 395 euro per i dipendenti degli enti locali. LEGGI TUTTO

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    Come andare in pensione al 100% dello stipendio con il Tfr (e qualche strategia)

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    Raggiungere la pensione con un assegno pari all’ultimo stipendio è un sogno per molti lavoratori, ma potrebbe essere più realizzabile di quanto si pensi, soprattutto per chi ha ancora molti anni di carriera davanti. Secondo un’analisi di Andrea Carbone, fondatore di Smileconomy, pubblicata su L’Economia del Corriere della Sera, il Tfr può giocare un ruolo chiave nella costruzione di una pensione adeguata, soprattutto se investito in un fondo pensione.Il peso del Tfr sulla pensione futuraPer i lavoratori dipendenti più giovani, destinare il Tfr a una forma di previdenza integrativa potrebbe essere sufficiente per garantirsi una pensione pari al 100% dello stipendio. Per chi invece è più vicino all’età pensionabile, il solo conferimento del Tfr potrebbe non bastare, rendendo necessari versamenti aggiuntivi, il cui importo varia in base all’età e al profilo di rischio dell’investimento scelto.Simulazioni effettuate su lavoratori di 30, 40 e 50 anni con stipendi netti tra 1.800 e 2.200 euro mensili mostrano che, grazie al requisito di pensione anticipata contributiva per chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi, l’età pensionabile oscilla tra i 65 anni e 3 mesi per i 50enni e i 67 anni e 2 mesi per i 30enni. In assenza di previdenza integrativa, il tasso di sostituzione (ossia il rapporto tra pensione e stipendio) si attesterebbe tra il 70% e il 72%.L’integrazione del Tfr in un fondo pensione potrebbe portare queste percentuali fino al 105% per un 30enne che investa in una linea ad alto rischio (con l’80% del portafoglio in azioni globali e il 20% in obbligazioni governative europee). Per chi ha 40 o 50 anni, il tasso di sostituzione salirebbe tra il 77% e il 90%, con investimenti più prudenti. Tuttavia, per centrare il 100% dello stipendio, sarebbero necessari versamenti aggiuntivi: dai 119 euro mensili per un 40enne con profilo di rischio elevato, fino a 843 euro per un 50enne che opti per una linea a basso rischio.L’impatto della crescita dei redditiLe cose cambiano se si ipotizza che lo stipendio aumenti dell’1,5% sopra l’inflazione ogni anno. In questo scenario, pur avendo una pensione più alta in termini assoluti, il tasso di sostituzione si abbassa tra il 55% e il 61%, poiché l’assegno pensionistico non riuscirebbe a tenere il passo con la crescita del reddito. In questo contesto, il solo conferimento del Tfr potrebbe garantire un tasso di sostituzione tra il 66% per un 50enne con investimenti a basso rischio e l’82% per un 30enne con un portafoglio più aggressivo. Ne conseguirebbe un aumento dei versamenti aggiuntivi necessari per raggiungere il 100% dello stipendio: da 148 euro al mese per un 30enne con investimenti ad alto rischio, fino a 1.422 euro per un 50enne con strategia prudente.Lezioni da trarre: iniziare presto e investire con criterioDall’analisi emergono due principi fondamentali per una pensione più sicura: LEGGI TUTTO

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    Piazza Affari, suona l’allarme trasloco

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    L’allarme politico è alto, con Borsa Italiana – parte del gruppo Euronext che ha sede ad Amsterdam, ma forte baricentro a Parigi – che rischia di vedere decentralizzate alcune funzioni cruciali. «Guardiamo con preoccupazione a ciò che sta accadendo a Piazza Affari», ha detto ieri il leader di Forza Italia, Antonio Tajani. «Non vogliamo che le nostre aziende in futuro siano quotate in altri Paesi europei. La Borsa di Milano deve poter continuare a essere italiana e milanese perché le aziende italiane hanno il diritto di essere quotate in Italia». Il messaggio è indirizzato, in particolare, al ministro dell’Economia: «Invitiamo anche Giancarlo Giorgetti a fare in modo che Borsa Italiana resti in mani italiane senza l’invasione di altri e senza il trasferimento di quotazioni fuori dal nostro Paese».Proprio quest’ultimo punto era stato toccato di recente dall’azzurro Maurizio Casasco, responsabile economico di Forza Italia. In un’interpellanza alla Camera, l’onorevole sottolineava il rischio che funzioni nevralgiche come la vigilanza “real time“ e “post trade“, oltre alle autorizzazione per le quotazioni azionarie e obbligazionarie, possano essere trasferite a Parigi. I timori sorgono dopo la presentazione del nuovo piano industriale di Euronext, «Innovate for Growth 2027», che secondo Casasco rappresenterebbe un decentramento sotto mentite spoglie. Un rischio oggettivo, anche perché Consob e Bankitalia potrebbero avere difficoltà a esercitare la vigilanza se alcune funzioni core fossero trasferite fuori dai confini nazionali. Il ridimensionamento di Milano preccupa anche i lavoratori, che nel corso del 2024 hanno scioperato proprio per questo. La proposta di Casasco, quindi, è di premere affinché Piazza Affari diventi l’hub europeo per le Piccole e medie imprese che sono la spina dorsale dell’ecosistema italiano.«L’Italia è il Paese delle Pmi e le ha sempre difese in Europa. Sarebbe logico che tutte le imprese con capitalizzazione sotto il miliardo di euro avessero Milano come punto di riferimento». Nonostante la sede legale del gruppo Euronext – che comprende le Borse di Parigi, Amsterdam e Bruxelles – sia in Olanda, la sede francese ricopre un ruolo centrale. Attualmente nell’azionariato figura una partecipazione dell’8% di Cassa depositi e prestiti e una dell’1,5% di Intesa Sanpaolo. Anche la francese Caisse des dépôts et consignations possiede l’8% mentre con un 5,3% figura la belga Société Fédérale de Participations et d’Investissement. LEGGI TUTTO

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    “Tesla trascurata, Musk scelga tra il suo gruppo e Washington”

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    L’allarme politico è alto, con Borsa Italiana – parte del gruppo Euronext che ha sede ad Amsterdam, ma forte baricentro a Parigi – che rischia di vedere decentralizzate alcune funzioni cruciali. «Guardiamo con preoccupazione a ciò che sta accadendo a Piazza Affari», ha detto ieri il leader di Forza Italia, Antonio Tajani. «Non vogliamo che le nostre aziende in futuro siano quotate in altri Paesi europei. La Borsa di Milano deve poter continuare a essere italiana e milanese perché le aziende italiane hanno il diritto di essere quotate in Italia». Il messaggio è indirizzato, in particolare, al ministro dell’Economia: «Invitiamo anche Giancarlo Giorgetti a fare in modo che Borsa Italiana resti in mani italiane senza l’invasione di altri e senza il trasferimento di quotazioni fuori dal nostro Paese». LEGGI TUTTO

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    India, Golfo e Mercosur gli anti-dazi

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    Spremersi le meningi. Ecco un’espressione colorita, credo familiare a molti fin da tempi della scuola, che suggerisce con piglio risoluto di far funzionare il cervello per trovare la soluzione a un problema. Questione oggi quanto mai attuale nel contesto dell’economia reale davanti alla mossa spiazzante del presidente Usa Donald Trump in materia di dazi. La soluzione a tali misure protezionistiche non può essere certo quella di alzare un muro con gli Stati Uniti per assecondare chi vorrebbe, in nome di ideologie vetuste, una guerra commerciale con lo storico e più importante alleato. Come se di guerre in giro per il mondo non ve ne fossero purtroppo già in abbondanza. Detto perciò che va mantenuta la fondamentale partnership con Washington, si fa pressante la necessità di aprirsi ad altri mercati avviando strategici percorsi collaborativi. Vale a dire: promuovere alternative relazionali credibili agli ambiti canonici. Ad esempio con una realtà enorme come l’India, i paesi del Golfo o con il Mercosur. LEGGI TUTTO

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    Banca Ifis tratta per Euclidea Sim

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    Dopo l’Opas lanciata sulla Illimity di Corrado Passera, Banca Ifis avrebbe puntato il mirino su Euclidea sim per dare vita a un polo del private banking. La trattativa, secondo quanto ha rivelato ieri Citywire Italia, è ancora in corso ma, se l’operazione andasse in porto, i clienti imprenditori potrebbero così affidare a Ifis i propri risparmi da investire usufruendo anche della piattaforma fintech di Euclidea Sim da affiancare poi alla divisione di risparmio gestito di Illimity. Contattata da Il Giornale, Ifis non commenta. In una recente intervista lo stesso presidente di Ifis, Ernesto Fürstenberg Fassio (foto), aveva annunciato l’intenzione della banca di entrare nel mercato del private banking: «Puntiamo a lanciare nel 2025 una nostra divisione Private per garantire una piattaforma di investimento e wealth management. Abbiamo già registrato il marchio che conterrà il nome della nostra famiglia, e abbiamo individuato anche una sede dedicata a Milano». Quanto all’offerta su Illimity, l’iter procede senza intoppi. Il governo ha rinunciato al diritto di veto (golden power). Il calendario prevede l’assemblea straordinaria il 17 aprile, per conferire la delega al cda a procedere con l’aumento di capitale a sostegno dell’operazione. LEGGI TUTTO

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    Giravolta degli ambientalisti su Tesla

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    La Tesla di Elon Musk è sempre più nei guai e in caduta libera. E non solo alla voce immatricolazioni. Quella che fino a poco tempo fa era considerata come l’auto paladina del green, avendo di fatto lanciato nel mondo la corsa all’elettrico, annessi e connessi, ora si trova a dover affrontare una sorta di rovescio della medaglia. Vengono infatti messe in discussione le affermazioni della casa automobilistica relative alle emissioni di CO2. È quanto risulterebbe alla società francese Greenly, specializzata nelle misurazione dell’impronta di carbonio. A parlarne, in un ampio servizio, è il magazine ecologista online Green Planner. «Tesla – si legge – avrebbe sovrastimato di oltre il 40% i benefici ambientali attribuiti alla propria flotta elettrica nel 2023». Ecco allora sorgere non pochi interrogativi in tema di trasparenza. In sintesi, Tesla – secondo quanto riporta il magazine, facendo riferimento alle stime di Greenly – ha dichiarato di aver evitato l’emissione di 20 milioni di tonnellate equivalenti di CO2, mentre il dato riscontrato riguarderebbe 10,2-14,4 milioni di tonnellate, quindi con una sovrastima tra il 26% e il 49%. Tesla a parte, «questo problema di trasparenza – come rileva Green Planner – potrebbe minare la credibilità di tutto il settore elettrico». Una domanda è legittima: si farebbe strada un Electric gate?Una considerazione è però d’obbligo: perché tutto questo viene a galla proprio ora e non prima che Musk fosse entrato a far parte dello staff di Donald Trump con tutto quello che ne è conseguito? Le rilevazioni di Greenly sul modo di calcolare le emissioni di CO2 (si parla di mancanza di trasparenza e di dati gonfiati) si aggiungono, infatti, ai già tanti problemi che affliggono la casa automobilistica Usa dalla fine del 2024.Martedì si conosceranno le immatricolazioni di Tesla a febbraio in Europa, dopo la pesante caduta di inizio anno (-45,2%). Male l’azienda anche in Italia: -54,5% a febbraio e -44,5% nei primi due mesi del 2025. Negli Usa, invece, il calo nel mese scorso sarebbe stato del 10 per cento. Una situazione molto difficile originata da atteggiamenti di protesta, ma anche ideologici da parte degli automobilisti.Negli Usa, in proposito, c’è chi si disfa della propria Tesla sulla scia delle polemiche per i tagli di Musk, ribattezzato «Mr. Forbici», alla spesa federale. Tali vetture, infatti, hanno rappresentato l’1,4% delle permute totali fino al 15 marzo, rispetto allo 0,4% dello stesso mese del 2024, segnando il livello più alto mai toccato dal marchio. Dissenso e proteste riguardano anche gli investitori e la piazza: il prezzo delle azioni è sceso del 42%, mentre i lavoratori hanno manifestato davanti le concessionarie e non sono mancati atti di vandalismo come è capitato anche in Italia.In Germania sono preoccupati i taxisti al volante di una Tesla. Molti clienti, negli ultimi mesi, stanno scegliendo di non salire sull’automobile elettrica americana, contestando il sostegno di Musk al partito di destra AfD e la sua collaborazione con il presidente Usa. LEGGI TUTTO