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    Multe e sospensione dei crediti: così cambia il superbonus | Le novità

    Sono diverse le novità del nuovo decreto riguardante il Superbonus e i bonus edilizi, dallo stop alla cessione del credito fino ad arrivare agli sconti in fattura. Inoltre vengono ampliati i controlli preventivi per quanto riguarda le operazioni sospette. Il decreto introduce misure urgenti in materia di agevolazioni fiscali al fine di tutelare la finanza pubblica nell’ambito edilizio e in quello dell’efficienza energetica. Palazzo Chigi ha indicato che l’intervento è stato motivato anche dall’analisi dei più recenti dati ufficiali dell’Istat. Questi dati hanno portato a una revisione al rialzo del deficit relativo al 2023, che è stato fissato al 7,2%.Questa revisione segue quelle già effettuate per gli anni 2021 e 2022. Ecco tutte le novitàIl regime sanzionatorioIl decreto varato durante la seduta del Consiglio dei Ministri introduce diverse modifiche significative. In primo luogo prevede l’eliminazione delle opzioni residue che consentono ancora l’uso dello sconto in fattura o della cessione del credito al posto delle detrazioni, per gli interventi effettuati dopo l’entrata in vigore delle nuove norme. Ecco tutti gli aggiornamenti.Multe e informazioniAl fine di far conoscere le grandezze finanziarie ed economiche che riguardano le agevolazioni il decreto prevede l’introduzione di alcune misure finalizzate a ottenere maggiori informazioni che riguardino la realizzazione degli interventi che possono ottenere dei sostegni. Nel caso in cui venisse omessa la trasmissione delle informazioni, che riguardano gli interventi già avviati, viene definita l’applicazione di una sanzione amministrativa di 10mila euro, i nuovi interventi, invece, saranno gravati dalla decadenza dell’agevolazione fiscale.Sospensione crediti impostaAl fine di evitare che i soggetti che hanno debiti nei confronti dell’erari usufruiscano dei bonus edilizi il decreto prevede la sospensione, fino a concorrenza di quanto dovuto, della possibilità di usare i crediti di imposta riguardanti le agevolazioni in ambito edilizio nel caso in cui ci siano iscrizioni a ruolo oppure incarichi dati agli agenti della riscossione riguardanti le imposte erariali oppure ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate per importi che oltrepassano i 10mila euro. Questo vale nel caso in cui siano scaduti i termini di pagamento e, come cita il testo, “purché non siano in essere provvedimenti di sospensione o non siano in corso piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza”.Crediti Ace LEGGI TUTTO

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    Animali domestici, boom (anche di assicurazioni): 7 consigli prima di scegliere

    In Italia ci sono circa 65 milioni di animali domestici. Più del totale dei cittadini italiani che sono ormai meno di 60 milioni. Circa 10 milioni di gatti e circa 9 milioni di cani. Qualche milionata di pesci (non solo rossi) e poi criceti, pappagallini e chi più ne ha più ne metta. Secondo l’ultimo rapporto Eurispes questa fauna domestica si concentra in un terzo della popolazione italiana. Il 32,7% dei nostri connazionali dichiara di possedere almeno un “pet”. Attorno a questo boom è cresciuta una vera e propria economia, la chiamano la pet economy.Le fonti di spesaIn Italia si stima una spesa complessiva di 3,5-4 miliardi di euro per la cura e la sopravvivenza dei nostri amici animali. Le principali voci di spesa?CiboCuccia, gabbietta o lettieraSpese veterinarie ordinarieSpese veterinarie straordinarieGiochi e accessori per la puliziaSpese per l’igiene del nostro animaleLe spese veterinarie e le visite sono certamente una delle voci di spesa più importanti in assoluto per chi vuole adottare un cane o un gatto. Il costo di una visita veterinaria può variare molto anche da luogo a luogo, perché come sappiamo ci sono città più costose. In linea di massima la visita costa dai 30 euro ai 100 euro circa.Non dimentichiamo che bisogna considerare anche i vaccini obbligatori (per i cani) e quelli consigliati (per i gatti): parliamo di una spesa periodica fra i 10 ed i 50 euro a vaccino. I cani ed i gatti devono inoltre sottoporsi ad una visita di sverminazione che costa circa 30 euro e almeno una volta ogni uno-due mesi devono sottoporsi all’applicazione dell’antiparassitario, che può costare fino a 50 euro circa, a seconda del tipo.Inoltre fra i costi fissi di tenere un cane o un gatto bisogna contare anche la sterilizzazione e la castrazione che spesso sono necessarie. I costi possono variare, a seconda della specie di animale e della razza: in linea di massima vanno dai 100 ai 200 euro circa. Queste sono solamente le spese base, più o meno necessarie, che ogni padrone di cani e gatti deve affrontare per l’animale.Di fronte all’aumento dei costi legati al mantenimento dei propri animali domestici e alla necessità di proteggere comunque il loro benessere, la copertura assicurativa rappresenta una risposta sempre più diffusa tra coloro che desiderano mantenere un rapporto sano e sostenibile con i propri amici pet. Secondo una recente indagine condotta dalla compagnia assicurativa Con.Te, nel 2023 si è registrato un incremento della distribuzione delle polizze Cane e Gatto di oltre il 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.Le formule più richieste sono quelle che tutelano maggiormente il cucciolo: il 65% dei pacchetti più venduti nel 2023 sono quelli più completi, che includono Spese Veterinarie, Responsabilità Civile, Assistenza e Tutela Legale. La copertura per Spese Veterinarie, cure mediche e interventi chirurgici è particolarmente apprezzata in quanto permette di scegliere il proprio veterinario di fiducia. Questo rappresenta infatti una rassicurazione per i padroni di animali domestici. Anche le polizze che includono la copertura per eventuali incidenti o malattie sono particolarmente diffuse, poiché forniscono una sicurezza aggiuntiva contro gli imprevisti.Sette pensieri prima di scegliereProprio per contenere gli imprevisti – anche di natura economica – è opportuno fare una piccola riflessione prima di decidere di acquistare o comunque adottare un pet. Una check-list necessaria deve comprendere queste riflessioni: LEGGI TUTTO

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    Altro che produrre in Italia: Stellantis licenzia ancora

    In casa Stellantis continua l’emorragia forzata di lavoratori. Il gruppo guidato da Carlos Tavares e i sindacati metalmeccanici torinesi (eccetto la Fiom) hanno siglato un accordo per l’uscita volontaria incentivata di 1.520 lavoratori occupati in 21 società del gruppo sul territorio: 733 le uscite incentivate nelle strutture centrali (impiegati e quadri) e 300 quelle riferibili alle Carrozzerie di Mirafiori.Tagli di personale continui, dunque, seppur concordati con i sindacati, nonostante il gruppo continui a ribadire «la centralità dell’Italia nell’ambito delle sue attività globali e a dimostrarlo sono gli investimenti per diversi miliardi fatti di recente per nuovi prodotti e siti produttivi, tra cui la Gigafactory di Termoli e le piattaforme Stla Medium e Stla Large, rispettivamente a Melfi e Cassino». Situazione che sembra preoccupare anche la Borsa visto che ieri il titolo ha perso il 2,1% a 26,58 euro.A giustificazione della necessità di ridurre il personale, Stellantis evidenzia come «l’automotive mondiale sta cambiando velocemente e l’Italia ha un ruolo cruciale da svolgere attraverso questa trasformazione epocale». «La transizione energetica – viene sottolineato – ha portato a dover utilizzare al meglio la capacità sia in termini di asset sia di risorse, minimizzando gli impatti legati alla trasformazione e garantendone un futuro solido. Gli accordi in corso di realizzazione con i sindacati rientrano nel percorso definito nell’intesa quadro da poco siglata».Duro il commento del leader Fiom, Michele De Palma, e del segretario nazionale Samuele Lodi, i quali definiscono l’accordo alla pari di un macigno in vista dei prossimi incontri, i «Tavoli Stellantis», convocati al ministero delle Imprese e del Made in Italy. «È un piano per spegnere il lavoro», ribadiscono i due sindacalisti. Da qui l’invito al premier Giorgia Meloni di chiedere spiegazioni e reali garanzie sulle produzioni in Italia all’ad Tavares. LEGGI TUTTO

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    Rai scende dalle Torri: vendita del 15% vicina

    La Rai è pronta al riassetto di Rai Way. Negli ultimi giorni Viale Mazzini avrebbe impresso un’accelerata all’ipotesi di cessione del 15% della controllata. Un’intenzione che aveva suscitato forte disappunto nei fondi azionisti, i quali in una lettera rivolta al cda della tv di Stato avevano levato molte proteste.Ora però la Rai, detentrice del 65% di Rai Way, sta studiando la nuova ripartizione delle quote, in virtù delle ormai sempre più insistenti voci di una fusione con Ei Towers, controllata per il 60% da F2i e per il restante 40% da Mediaset. Il primo passo verso la prossima governance potrebbe essere il dpcm sul tavolo del governo atteso dopo Pasqua. Potrebbe essere il passo decisivo per lo sblocco dell’operazione con Ei Towers, eliminando la soglia del 30% introdotta dall’esecutivo Draghi nel 2022, secondo cui la tv pubblica non può ridurre la sua partecipazione oltre tale limite. Naturalmente, il consolidamento di Rai Way è al centro del piano industriale approvato lunedì scorso. LEGGI TUTTO

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    Mps, il Mef è sotto il 30%. E la Borsa fiuta Unicredit

    Il Tesoro cede sul mercato un altro 12,5% di Mps. Si compie così una nuova tappa del processo di uscita dal capitale dell’istituto senese, dopo che lo scorso novembre era stata ceduta una quota del 25% ricavando 920 milioni di euro. La procedura scelta è quella dell’accelerated book building, che prevede la cessione a investitori qualificati italiani ed esteri fuori mercato. L’operazione è avvenuta attraverso un consorzio di banche costituito da BoFa Securities, Citigroup, Jefferies e Mediobanca nel ruolo di consulenti. Al ministero dell’Economia ora rimane una fetta del 26,7 per cento. L’istituto senese, che si è apprezzato molto in Borsa con il piano di risanamento realizzato dal ceo Luigi Lovaglio, presidente Nicola Maione, ha affrontato il collocamento con una linea guida di prezzo tra 4,15 e 4,25 euro, quindi con uno sconto minimo sulla quotazione di Borsa. Il Mef dovrebbe incassare una cifra oltre i 650 milioni con il quale rientrerebbe quasi interamente dagli 1,6 miliardi versati per l’aumento di capitale a novembre 2022. Il Tesoro si impegna a non vendere ulteriori quote per 90 giorni senza l’ok degli advisor e salvo esenzioni.Intanto, ieri un report di Barclays è tornato a tratteggiare Unicredit come protagonista del risiko bancario. La strategia dell’istituto guidato da Andrea Orcel è sempre la stessa: aspettare il momento giusto (e i prezzi giusti) e poi mettere a segno una o più acquisizioni. Di recente Orcel ha delineato un identikit più preciso della potenziale preda: deve generare sinergie e avere un «ritorno di almeno il 15%», stante che i radar dell’istituto restano attivi su Est Europa, Germania e Italia. Partendo da qui, gli analisti britannici hanno valutato e soppesato i dossier che il ceo di Unicredit potrebbe valutare. Del resto, parole del banchiere, «sarebbe una delusione» se il capitale in eccesso (quantificato dagli analisti in 13,2 miliardi) non trovasse il modo di essere impiegato almeno in parte per espandere il business dell’istituto. Secondo Barclays, Unicredit ha la capacità di «acquisire in contanti la maggior parte dei suo omologhi più piccoli mantenendo una riserva di capitale». Guardando all’Italia, il ritorno sugli investimenti potrebbe superare il 15% in almeno tre casi: Banco Bpm (con un range tra il 12 e il 16%), Mps (13-17,2%) e Bper (14,9-16,5%). Gli analisti fanno notare che un altro criterio chiave per individuare il giusto target sarebbe quello che consentisse a Unicredit di mantenere la sua politica sui dividendi (quindi con un pay out del 90%). Anche in questo caso la lista si restringerebbe sulle stesse tre banche: Banco Bpm, Mps e Bper. LEGGI TUTTO

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    Truth Media, il gruppo editoriale di Trump vola in Borsa

    Le azioni del gruppo media di Donald Trump, Truth Media, salgono del 40% durante il primo giorno di contrattazioni al Nasdaq. Il valore della partecipazione dell’ex presidente USA nella società è aumentato notevolmente. Trump Media & Technology Group gestisce la piattaforma di social media Truth Social. Ecco tutti gli aggiornamenti.Cosa è accadutoIl valore di Trump Media prima dell’inizio delle contrattazioni era stimato intorno ai 6,8 miliardi di dollari, la cifra è destinata a crescere considerevolmente se i primi profitti delle azioni saranno confermati. Le azioni sono elencate sotto il simbolo “DJT”, utilizzate da The Donald nella sua precedente avventura in borsa con la società Trump Hotels and Casino Resorts nel 1995. Trump possiede quasi il 60% della società. Il titolo già nel premercato era dato in netto rialzo come effetto della finalizzazione della fusione dello stesso con Digital World Acquisition (Dwac). Tutto ciò è accaduto nonostante Trump Media & Technology abbia registrato perdite per 49 milioni di dollari nei primi nove mesi del 2023, su ricavi per soli 3,4 milioni contro gli oltre 37 milioni di dollari, scrive Cnbc, pagati di interessi passivi.L’accordoIn quanto all’accordo questo fornisce al gruppo mediatico di Donald Trump il capitale che serve per far fronte anche ad alcuni problemi legali e finanziari che riguardano l’ex presidente degli Stati Uniti. Il gruppo comprende la piattaforma Truth Social. Inoltre ha favorito anche il fatto che migliaia di azionisti di Dwac, circa cinquemila, abbiano rifiutato la fusione con il gruppo di Trump, percependo 10,87 dollari per ogni azione posseduta, con una perdita del 75% rispetto alla chiusura di mercoledì scorso, ovvero l’ultimo giorno disponibile, alla cifra di 42,90 dollari. LEGGI TUTTO

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    Mps, nuovo collocamento di azioni: il Tesoro vende il 12,5%

    Nuovi aggiornamenti su Mps. Dopo il primo collocamento di novembre, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha reso noto di aver avviato una procedura accelerata di raccolta ordini per la cessione di 157.461.214 azioni ordinarie di Banca Monte dei Paschi di Siena corrispondenti a circa il 12,5 per cento del capitale sociale della Banca, attraverso un consorzio di banche costituito da BofA Securities, Citigroup Global Markets Europe Ag, Jeffries e Mediobanca in qualità di Joint Global Coordinators e Joint Bookrunners, con l’obiettivo di promuovere il collocamento delle suddette azioni presso investitori qualificati in Italia e investitori istituzionali esteri.Nella nota diramata nel pomeriggio, nell’ambito dell’operazione che riguarda Mps è previsto che il Mef si impegni con i Joint Global Coordinators e Joint Bookrunners a non vendere sul mercato ulteriori azioni della Banca per un periodo di 90 giorni senza il consenso degli stessi Joint Global Coordinators e Joint Bookrunners e salvo esenzioni, come da prassi di mercato. I termini finali dell’operazione saranno comunicati al termine del collocamento.Il collocamento del pacchetto di azioni Mps sta avvenendo a un range di prezzo compreso tra 4,15 euro e il prezzo di chiusura odierna di Borsa, cioè 4,256 euro. Secondo quanto riportato da Radiocor, al livello minimo lo sconto sul prezzo di chiusura è del 2,5 per cento circa. Se la cessione delle azioni avverrà a questi valori, l’incasso per il dicastero di Giancarlo Giorgetti si aggirerà tra 653 e 670 milioni di euro. A valle dell’operazione il Mef manterrà una quota del 26,7 per cento. LEGGI TUTTO

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    Biglietti aerei, tasse fino a 9 euro. Assaeroporti in pista per ridurre l’addizionale

    Ridurre l’addizionale comunale incide fino a 9 euro sul costo del biglietto aereo, inoltre finanzia le misure estranee al settore. Lo afferma Assaeroporti che in una lettera a Parlamento e Governo chiede di “abbassare l’imposta su tutti gli scali a 2,5 euro, destinando 1,5 euro al Fondo del Trasporto Aereo e un euro ai Comuni aeroportuali”. Ecco tutti gli aggiornamenti in merito alla proposta.La tassaAttualmente i passeggeri che partono dagli aeroporti italiani devono pagare una tassa, nota come addizionale comunale, sui diritti di imbarco la quale cambia da città a città. Gli importi da versare sono compresi tra 6,5 e 9 euro. La tassa si somma direttamente al costo del biglietto aereo. L’imposta, che non solo può far lievitare i costi dei voli, sembra essere oggi non coerente rispetto agli scopi previsti dalla legge originaria. Nel tempo i provvedimenti che Assaeroporti definisce “poco chiari” e “contraddittori” hanno fatto lievitare l’importo causando danni ai territori e alla collettività. Un esempio sono i 3,5 euro versati genericamente all’Inps. Alcune iniziative hanno per brevi periodi abolito l’addizionale comunale su alcuni scali.L’obiettivoL’obiettivo di Assaeroporti è quello di portare la tassa a 2,5 euro in cinque anni mantenendo solamente le quote riservate al comparto che ammontano a 1,5 e 1 euro destinate, rispettivamente, al Fondo del Trasporto Aereo, il quale è stato molto importante durante la crisi pandemica, e ai Comuni aeroportuali. Questa misura incentiverebbe la connettività aerea e la competitività del sistema aeroportuale a livello nazionale. Inoltre verrebbero mantenute le quote riservate al Fondo del Trasporto Aereo e ai Comuni aeroportuali al fine di garantire la stabilità necessaria al comparto. Così facendo i lavoratori sarebbero tutelati e verrebbero date le risorse adeguate alle amministrazioni locali grazie a un gettito specifico dedicato al settore.Il commento di Assaeroporti LEGGI TUTTO