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    Lavori mai eseguiti, il condòmino deve comunque pagare le spese

    Può capitare di vivere in un condominio dove i lavori di manutenzione sembrano un miraggio. In queste situazioni molti proprietari si pongono la stessa domanda: “Perché pagare le spese condominiali se gli interventi non vengono mai eseguiti?”La tentazione di smettere di pagare le quote è forte, quasi una forma di “protesta” contro la cattiva gestione. Ma attenzione: le norme e i giudici sono molto chiari su questo punto, e il rischio di questa scelta può rivelarsi ben più grave del problema iniziale.Spese condominiali: un obbligo “a prescindere”Partiamo da un concetto fondamentale: ogni proprietario di un appartamento in condominio ha l’obbligo di contribuire alle spese per la manutenzione e la gestione delle parti comuni (come il tetto, le scale, la facciata, l’ascensore), in proporzione ai propri millesimi. Lo dice l’articolo 1123 del Codice civile.E questo obbligo resta anche se i lavori non vengono fatti, o se il servizio non viene erogato come dovrebbe. Perché? Perché le spese sono considerate necessarie per garantire la gestione e la conservazione dell’intero edificio, indipendentemente dall’effettiva esecuzione degli interventi.Il rischio per chi smette di pagareSe si decide di non versare la propria quota, l’amministratore può agire per recuperare le somme, chiedendo un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. In parole semplici: il giudice può ordinare il pagamento anche senza un processo lungo, e il provvedimento può portare al pignoramento del conto corrente o dello stipendio.Inoltre si dovrà pagare non solo la quota arretrata, ma anche gli interessi di mora e le spese legali.Cosa può fare un condòmino insoddisfattoSe si abita in un condominio dove le opere di manutenzione non vengono mai avviate o eseguite, ci sono alcune azioni che si possono intraprendere senza rischiare conseguenze legali, e cioè:impugnare la delibera che ha deciso di rinviare o non eseguire i lavori, se si ritiene che sia contraria alla legge o al regolamento condominiale (ma ci sono solo 30 giorni di tempo dalla comunicazione del verbale);chiedere la revoca dell’amministratore per gravi irregolarità nella gestione (articolo 1129 del Codice civile);rivolgersi al giudice per ottenere un provvedimento che obblighi il condominio a eseguire gli interventi necessari;richiedere un risarcimento se l’omessa manutenzione ha causato danni diretti al proprio appartamento (come infiltrazioni o guasti). LEGGI TUTTO

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    La sfida dei prestiti alle pmi

    Ma su cosa i banchieri dovrebbero concentrare l’attenzione e dunque l’attività? Secondo ragionevolezza la risposta dovrebbe essere scontata: sull’erogazione del credito. La realtà dice che le cose non stanno propriamente così. L’erogazione del credito a imprese, a quelle di più ridotte dimensioni (il problema non tocca le realtà cosiddette grandi) e alle famiglie normali, è perlomeno deficitario. E non da oggi. Sta scritto nella storia del Belpaese.Il ministro Giorgetti, intervenuto all’assemblea dell’Abi, si è rammaricato di questo deficit di attenzione. Ha detto: «L’economia non cresce grazie al risparmio in sé, ma quando viene raccolto per essere prestato e investito». Con questo governo i numeri dell’economia italiana sono buoni e questo avrebbe dovuto motivare le banche a svolgere con premura e fiducia l’attività che, per natura, le caratterizza. Ovviamente non sta accadendo. Ingrate a dir poco. E allora il ministro dell’Economia ha avuto gioco facile nel ricordare come gli eccezionali rendimenti riconosciuti agli azionisti sono stati possibili anche se non soprattutto «grazie alle garanzie pubbliche prestate in occasione del Covid». E che purtroppo , non si sa perché , continuano! LEGGI TUTTO

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    Ilva, incombe la bomba esuberi

    Che vada in porto il Piano A o il Piano B, sull’ex Ilva di Taranto sta per esplodere una bomba occupazionale. Se infatti il sindaco di Taranto, Piero Bitetti spiega che la rinuncia alla produzione Dri (piano a) non sarebbe un problema così grande perché lascerebbe a casa circa 700 addetti, omette di spiegare cosa comporterebbe il Piano B ovvero scegliere solo i tre forni elettrici per la decarbonizzazione dell’acciaieria e non anche i tre impianti di preridotto, collegati ai forni che però hanno bisogno della nave di rigassificazione per essere alimentati. «Passare da un sistema di 6 milioni di tonnellate di acciaio da ciclo integrato (altoforno+convertitore) ai cicli elettrici comporterebbe un massimo di 3.500 dipendenti (comprese le lavorazioni a valle) e personale in eccesso non sarebbe sopportabile dall’impianto, quindi il vero sacrificio occupazionale sta lì», spiega al Giornale il professore del Politecnico di Milano ed esperto del settore siderurgico Carlo Mapelli.Esemplificando, dunque, nel Piano A con forni elettrici e Dri avremo un massimo di 4.500-5.000 addetti e nel Piano B appena 3.500. Due dati rilevanti alle luce del fatto che i dipendenti Ilva sono 10mila e che si dovranno dunque gestire tra i 5.000 e i 6.000 esuberi. Che poi il governo stia studiando ammortizzatori sociali, ricollocamenti o altre forme di sostegno si può intuire, ma il tutto andrà verificato con i sindacati oggi e sicuramente la strada per un accordo non sarà in discesa.«Non accetteremo di fare le comparse o prendere atto di ciò che decideranno il governo e gli enti locali. Prima di sottoscrivere qualsiasi accordo vogliamo sapere come si difendono tutti i posti di lavoro, se ci sono le condizioni del risanamento ambientale e della continuità produttiva, discutendo del piano industriale. Per questo abbiamo chiesto un incontro urgente al ministro Urso e alla presidenza del Consiglio» per oggi, ha detto il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. «Siamo di fronte a una situazione drammatica, davanti a un bivio finale di una vertenza che da tredici anni colpisce migliaia di lavoratori e intere comunità. O si pongono serie e concrete condizioni e garanzie occupazionali, ambientali e produttive, condivise da tutte le parti per rilanciare l’ex Ilva oppure si arriverà a una fermata definitiva, con un disastro senza precedenti», ha proseguito. LEGGI TUTTO

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    Unicredit alza lo scontro su Bpm: “Uso del Golden Power illegittimo”

    Dopo la sentenza del Tar del Lazio che ha accolto parzialmente il ricorso con il quale Unicredit contestava la legittimità del Golden power esercitato dal governo per l’Ops sul Banco Bpm, l’istituto guidato da Andrea Orcel (nella foto) ieri ha diffuso un comunicato che alza i toni dello scontro sia con Piazza Meda sia con il governo.Nella nota di Unicredit si legge, infatti, che gli azionisti di Banco Bpm «sono stati esposti non solo all’uso illegittimo del Golden Power insistentemente invocato da Bpm, ma anche a comunicazioni e campagne ingiustificatamente aggressive e spesso fuorvianti, volte a screditare sia l’offerta che l’offerente». Nelle ultime righe del comunicato viene, inoltre, aggiunto che la banca «valuterà ora tutte le iniziative opportune in maniera tempestiva».Quanto alla sentenza del Tar, viene puntualizzato che si tratta di «una prova inequivocabile che il modo in cui il Golden Power è stato utilizzato è illegittimo, tanto da richiedere l’emissione di un nuovo decreto». Di quattro prescrizioni, il ricorso è stato accolto su due: su quella «di non ridurre per cinque anni il rapporto impeghi/depositi praticato da Banco Bpm e Unicredit in Italia (ma esclusivamente con riferimento al profilo temporale), e su quella relativa al mantenimento del livello del portafoglio di project finance. Nessun rilievo, invece, è stato fatto dai giudici amministrativi sulla necessità di mantenere gli investimenti in asset italiani di Anima e sulla prescrizione che impone l’uscita dalla Russia di Unicredit. Su questo punto, la banca con una disinvoltura che lascia basiti sottolinea nella nota che «la competenza a valutare la questione è appannaggio della Bce e Unicredit sta già ottemperando alle richieste» di Francoforte. Tutto ciò che in questi mesi si è detto a proposito dei rapporti con la Russia in tempo di sanzioni sembra che a Unicredit importi poco. LEGGI TUTTO

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    “I dazi isoleranno gli Usa. Il made in Italy può farcela”

    È nato nell’estate del 1963, pochi mesi dopo il primo scudetto dell’Inter di Herrera e Mazzola, che era di proprietà di suo nonno. Si chiama Angelo Moratti, proprio come il nonno. Ha due figli gemelli di 8 anni che girano per casa con la maglia nerazzurra. L’interismo in casa Moratti è una religione. È un imprenditore di grande successo, è al vertice di importanti aziende, investe in start-up e ha legami fortissimi con l’imprenditoria americana. È amico di Buffett, è dirigente di Starbucks.Dott. Moratti, come è nata questa decisione di Trump di imporre dazi così alti all’Europa?«È il suo carattere. Lui parlava di dazi già negli anni Novanta, quando era uno dei più importanti imprenditori di New York».Lei se l’aspettava o è stato preso di sorpresa?«Me l’aspettavo. Era logico che accadesse».Qual è ora il nostro problema principale?«Da trent’anni lavoro insieme a imprenditori giovani, sia americani che europei. Sempre partendo dal principio che l’unione tra il genio italiano e l’efficienza americana è garanzia di successo. Ora dobbiamo capire cosa bisogna cambiare. Bisogna difendere il sistema-Italia e capire come difenderlo».Cosa cambia?«Veniamo da un mondo nel quale qualsiasi imprenditore partisse con la sua start-up, aveva un punto di riferimento certo: sbarcare negli Stati Uniti e diventare rilevante lì. Ora dobbiamo cambiare mercati».Qual era il punto di riferimento per gli Italiani in America?«Giorgio Armani».Che ruolo ha avuto?«Nel 1990 Giorgio Armani ha stretto un’alleanza strategica tra il sistema Italia e il sistema Stati Uniti. Da lì si parte».Ma l’America sarà avvantaggiata o svantaggiata dai dazi di Trump?«Oggi gli Stati Uniti – le faccio solo un esempio – non sono in grado di produrre né Iphone né scarpe Nike. Perché sia gli Iphone sia le Nike sono prodotti all’estero. Cina e Vietnam. Tutta questa fascia bassa di prodotti, per quanto Trump stia cercando di cambiare il sistema, non può essere prodotta negli Stati uniti. Per ragioni economiche».Parliamo di fascia bassa. E la fascia fascia alta?«Meno che mai. La moda. Tutti gli articoli di alta moda devono essere prodotti in Italia dai nostri straordinari artigiani. Non puoi cambiare. È una questione di personale e di doti, non di sistema. I francesi stanno cercando di acquisire le più forti aziende artigianali italiane, quelle che producono Bottega Veneta, Hermès, grandi marchi».Perché vogliono acquisirle?«Perché non possono sostituirle, non hanno i mezzi. Su questo terreno noi abbiamo una forza pazzesca».Trump crede alla sua forza mediatica.«Nel momento in cui si trasforma un’amministrazione in uno show tv, e ogni mossa diventa social, automaticamente si produce isolazionismo nei confronti degli Usa. Silenziosamente il sistema industriale europeo, ma anche quello del Medi Oriente e dell’Estremo Oriente, si indirizzano verso altri mercati. Non si fidano più dell’America».Trump sottovaluta l’effetto negativo che i dazi in Europa possono avere in America?«Le riferisco quello che ho sentito negli Usa. Warren Buffett, che frequento da 25 anni, negli ultimi mesi ha detto: i dazi sono un atto di guerra’. I danni vanno sul consumatore finale. Ci sarà un rialzo dei prezzi e l’inflazione negli Usa».I mercati?«I dati su quello che queste nuove tariffe possono provocare non sono ancora emersi. Il mercato ignora la possibilità che Trump faccia sul serio. Non ci crede. Il mercato dice: tanto Trump prima o poi si arrende come ha fatto con la Cina».Questo ha pure una ricaduta politica?«Trump è stato eletto con il supporto di Wall Street e di Silicon Valley. Kenneth Griffin , che è uno dei personaggi leader a Wall Street, tuona contro le tariffe. Bill Ackman, che ha appena investito più di un miliardo in Nike, è quello che per fermare i dazi ha avuto l’idea di posporne di tre mesi l’entrata in vigore».Silicon Valley?«Silicon Valley è un mondo diversificato. Musk, che è tra i protagonisti assoluti, ha sostenuto di essere indietreggiato e di essersi opposto a Trump per via della legge chiamata Big Beautiful Bill, cioè la riforma fiscale e dei tetti sul debito. Non è vero. Si è opposto perché Trump sta danneggiando la Tesla».Quindi si aspettava la rottura fra Trump e Musk?«Tutti l’aspettavano. A Silicon Valley tutti ridevano e facevano scommesse su quando sarebbe avvenuta la rottura».Trump, politicamente, è indebolito?«No. È rafforzato nel breve periodo e indebolito nel lungo. La sua base guarda Fox news due o tre ore al giorno. Sente la propaganda. Il piccolo imprenditore, negli Stati centrali, si sente finalmente vendicato da quello che pensa sia stata una grande ingiustizia e cioè la globalizzazione. Sentire che Trump sconfigge la globalizzazione e lo mette al sicuro dalla concorrenza, lo spinge di più verso Trump. Poi nel medio/lungo periodo, con l’inflazione, il dollaro debole e l’isolazionismo e l’incertezza, si produrranno sentimenti non più favorevoli a Trump».Cosa succede al Made in Italy se davvero dal primo agosto scattano le nuove tariffe?«Nel breve periodo problemi enormi per le piccole imprese che sono la forza economica del nostro Paese. Poi ci sarà una riorganizzazione e l’orientamento su altri mercati. Africa, Medio Oriente, Asia».Non è spaventato?«Quello che mi spaventa di più è che immagino che nel medio-lungo periodo i dazi produrranno una crisi economica importante negli Stati Uniti. Come nel 2008. E la crisi si allargherà. E colpirà tutti. Pure noi».Cambieranno anche le relazioni politiche America-Europa e America-Italia?«Ci sarà uno spostamento silenzioso da parte dell’Europa verso altre sponde. Guidato dai mercati. Senza tante chiacchiere».Dobbiamo rompere la dipendenza dall’America?«Anche se tra quattro anni o otto anni ci sarà un’altra amministrazione, dubito che il ritorno della fiducia possa essere rapido».Qual è l’obiettivo ultimo di Trump?«Secondo me non c’è. È il suo problema non avere obiettivi ultimi. Lui ha solo obiettivi iniziali. Ora è farsi sostenere dalla base popolare che lo ha eletto». LEGGI TUTTO

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    “Niente lunedì nero in Borsa, ma massima cautela”

    La parola passa ai mercati. Oggi si avrà la prima reazione a caldo delle Borse ai dazi al 30% indicata dal Donald Trump nella lettera invita all’Unione Europea. Dopo la sbandata iniziale post Liberation Day del 2 aprile, i mercati negli ultimi mesi hanno accantonato ogni timore legato alla guerra commerciale. Un eccesso di ottimismo che sottostima i rischi attuali. Il Giornale ne ha discusso con Pietro Giuliani, presidente e fondatore del Gruppo Azimut.Giuliani, si è passati da un accordo vicino a possibili dazi al 30%, un livello che fa un po’ tremare. I mercati come la prenderanno?”Trump ci ha abituati che non c’è niente di normale e quindi la lettera di sabato sorprende fino a un certo punto. La reazione iniziale dei mercati dovrebbe comunque essere composta, non mi aspetto niente di esageratamente negativo sulle Borse, nessun lunedì nero. Questo non vuol dire che sia la reazione corretta se si guarda al medio periodo. Bisogna stare molto attenti perché queste lettere potrebbero dimostrarsi non essere solo una mera tattica negoziale”.Intende dire che una correzione delle Borse è dietro l’angolo?”Venerdì Wall Street ha chiuso sui nuovi massimi e anche Piazza Affari segna +20% da inizio anno con il Ftse Mib ai massimi dal 2007. Questo ci dice che i mercati danno per scontato che un accordo di massima possa essere raggiunto entro il 1° agosto o in alternativa che la deadline venga estesa nuovamente”.Invece”Chiaramente i mercati stanno facendo una scommessa rischiosa per tre motivi. Il primo è che risulta impensabile che così tanti accordi commerciali vadano in porto in contemporanea, in neanche venti giorni. Secondo, Trump ha un urgente bisogno di aumentare gli introiti fiscali dopo aver approvato una manovra fiscale da oltre 3mila miliardi di spesa aggiuntiva in dieci anni e non ha certamente nascosto le sue intenzioni di fare leva sui dazi come strumento principe per raggiungere questo obiettivo. Terzo, oltre ai dazi al 30% gli Stati Uniti imporranno dazi settoriali specifici che sommati non potranno non avere un impatto negativo su crescita globale e al rialzo sull’inflazione negli Usa. Questa situazione di base potrebbe portare a fasi correttive, non escludo che proprio agosto si riveli un mese critico viste le scadenze a livello di trattative commerciali”.Cambierebbe qualcosa nel caso in cui l’Europa decidesse di fare la voce grossa?”La Cina ha fatto così e al momento la sua strategia ha pagato, ovviamente resta il fatto che Trump ha bisogno di quei soldi”.Si parla tanto di diversificazione, quali consigli si sente di dare per chi naviga sui mercati? LEGGI TUTTO

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    Fisco, scattano i controlli incrociati sulle detrazioni

    Scattano i controlli incrociati sulle spese sanitarie portate in detrazione nella dichiarazione dei redditi: è l’Agenzia delle Entrate, con il provvedimento pubblicato lo scorso 3 luglio, a indicare le modalità di verifica e a chiarire quali contribuenti finiranno sotto la sua lente. Particolare attenzione sarà rivolta dal Fisco ai modelli 730/2025 che risulteranno modificati rispetto ai dati inseriti nella precompilata.Nel documento si ricorda ai cittadini che il Sistema Tessera Sanitaria raccoglie e trasmette le informazioni sulle prestazioni mediche e sanitarie detraibili, a meno che non sia stato lo stesso contribuente a esprimere formale opposizione al loro utilizzo: i dati vengono inviati ogni anno entro il 31 marzo all’Agenzia delle Entrate, e sulla base di essi viene effettuata la compliazione automatica della dichiarazione precompilata.Quando il contribuente, in modo autonomo o tramite intermediari quali ad esempio Caf o commercialisti, provvede a effettuare delle modifiche sulle spese mediche o veterinarie scattano le verifiche da parte del Fisco, regolate dall’art. 36-ter del DPR 600/1973. A questo punto gli incaricati dall’AdE sono autorizzati ad accedere alle informazioni delle spese sanitarie del contribuente e dei familiari fiscalmente a carico, effettuando un controllo incrociato tra i dati della precompilata e quelli modificati e quindi riportati nel Quadro E del 730/2025.Così facendo è possibile eventualmente rilevare delle discrepanze, e se ciò dovesse verificarsi a quel punto gli ispettori del Fisco possono richiedere al contribuente la documentazione relativa, ovvero le ricevute, le fatture e gli scontrini fiscali che attestino le spese sanitarie riportate in detrazione nella dichiarazione: “La documentazione deve essere coerente con le cifre inserite, altrimenti il contribuente rischia di incorrere in sanzioni e accertamenti più invasivi”, spiega il provvedimento. LEGGI TUTTO

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    Eredità Agnelli e tasse evase, Elkann versa 175 milioni al Fisco

    I fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann hanno raggiunto un accordo di massima con l’Agenzia delle Entrate in relazione agli oneri tributari derivanti dall’eredità della nonna Marella Agnelli, vedova di Gianni Agnelli.Oggi il Fatto quotidiano scrive che Elkann verserà almeno 175 milioni di euro al Fisco per l’eredità Agnelli: tra imposte e tasse evase e le relative sanzioni. Così facendo, scrive il quotidiano, Elkann sanerebbe “in un colpo solo, tutto ciò che gli contesta la Procura torinese che lo ha indagato nel febbraio 2024 per truffa ai danni dello Stato ed evasione fiscale, assieme ai fratelli Lapo e Ginevra”.”Oltre 110 milioni, per le evasioni fiscali, sarebbero già stati versati, grazie alle garanzie di istituti bancari nazionali ed esteri”, si legge nell’articolo, secondo cui, “nelle prossime settimane dovrebbe essere la volta del saldo finale, relativo al mancato pagamento della tassa di successione”. I magistrati, a settembre scorso, avevano anche emesso un decreto di sequestro preventivo, convalidato dal gip, finalizzato alla confisca, per un importo di 74,8 milioni di euro, nei confronti dei tre fratelli, e anche del commercialista Gianluca Ferrero e del notaio Urs Robert von Grunigen. I cinque sono tutti indagati dalla procura di Torino per frode fiscale (dichiarazione fraudolenta mediate altri artifici) e truffa ai danni dello Stato. Tutta l’inchiesta ruota attorno agli “artifizi e raggiri” che sarebbero stati messi in atto per costruire (almeno dal 2010) una falsa residenza in Svizzera di Marella Caracciolo, vedova di Gianni Agnelli e nonna dei tre Elkann (scomparsa nel 2019), al fine di non pagare, sostiene la Procura, la tassa di successione in Italia e anche di sottrarre quell’eredità alla madre: Margherita Agnelli de Pahlen. LEGGI TUTTO