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    Acceso il maxi-impulso per il mondo del futuro

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    Altro che virtuale e confinata dietro uno schermo. L’intelligenza artificiale è sempre più reale. Dall’economia al tempo libero, passando per il mondo degli investimenti e della mobilità, la nuova tecnologia fa sentire il proprio peso nel quotidiano. E mette in luce il rischio di un predominio della macchina sull’uomo.L’evento organizzato ieri a Torino da Il Giornale ha dato voce ad alcune realtà che, diversamente, hanno messo l’innovazione al servizio della persona. Sollecitati dagli assist del giornalista Stefano Zurlo, Gianluigi Guida (ceo di Binance Italy), Luca Daniele (cfo di Telepass) e Katia Colucci (innovation manager di Sisal) hanno condiviso con la platea i risultati delle rispettive esperienze.Dalla storia al presente, Daniele ha raccontato l’evoluzione di Telepass: «Dal 1990 a oggi abbiamo permesso ai nostri clienti di pagare l’autostrada in maniera posticipata. È cambiato un paradigma e la fiducia dei clienti ci ha consentito di diventare la prima fintech italiana». La digitalizzazione ha aggiunto «ci ha permesso di diventare una piattaforma olistica della mobilità. Oggi, con l’intelligenza artificiale, usiamo i dati per offrire maggiore valore e servizi». A fare la differenza è un approccio in cui la tecnologia implementa lascia sempre margine d’azione all’uomo. Lo ha sottolineato anche Colucci di Sisal. «La nostra scelta è stata quella di dotarci di un innovation lab per presidiare le tecnologie ad alto impatto e favorire automazione, efficienza e sostenibilità. Promuoviamo una cultura dell’innovazione e puntiamo a minimizzare i rischi legati all’intelligenza artificiale». In quest’ottica ha illustrato Colucci «l’algoritmo è uno strumento a supporto delle decisioni. Ad esempio, identifica la probabilità con cui un giocatore è esposto a problematicità». LEGGI TUTTO

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    “Stellantis è un problema ma Torino può ripartire se punta sull’innovazione”

    Ascolta ora Fabbrica Italiana Automobili Torino: Fiat. Un acronimo in cui forse la lettera più importante è l’ultima, la t: Torino. Il regno della famiglia Agnelli dove l’Avvocato distribuiva panem (con la fabbrica) e circenses (con la Juventus). Un regno con il suo Lingotto, uno dei tre edifici al mondo ad avere un circuito sul […] LEGGI TUTTO

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    Il Mobile seduce aziende e stranieri. E il Salone “misura” i suoi record

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    Misurare il Salone del Mobile, o meglio, il suo impatto e l’importanza che riveste per Milano. E non si tratta, si badi bene, di contare il numero dei padiglioni o degli espositori, che si è sempre fatto, ma di provare a imbrigliare quella formula magica che fa del Sistema design, ovvero del Salone e del circuito del Fuori Salone, diventato realtà altrettanto istituzionale, un unicum nel mondo. Così provare a rendere concreto quel flusso di scambi e persone, quella babele di studenti, creativi, buyer che invadono le strade per una settimana per poi dissolversi. «Condivisione e individuazione di obiettivi comuni su cui lavorare, ovvero sostenibilità e qualità – spiega Maria Porro, presidente di Salone del Mobile.Milano – affinche Milano da capitale del design nel mondo diventi la capitale del design per il mondo». È la sfida che il Salonee il Politecnico (Stefano Maffei e Francesco Zurlo hanno guidato il team di ricerca) hanno lanciato, grazie al supporto di 37 data holder, 86 fonti, 10 tavoli di lavoro e 530 osservazioni sul campo: il primo Report annuale del (Eco) Sistema Design Milano, «anticamera» dell’Ossevatorio Permanente.«Il Salone è un appuntamento, cui la nostra città non può e non intende rinunciare – spiega il sindaco Beppe Sala -. Studiare le dinamiche che alimentano l’ecosistema del design è quanto mai strategico, per la crescita dell’evento e della città». «Il Salone e gli eventi della Design Week rappresentano un momento chiave per l’economia lombarda e per il comparto a livello globale – commenta il governatore Attilio Fontana -. Misurarne gli impatti è prova di grande lungimiranza. Significa riconoscere, nella portata socioeconomica e culturale della manifestazione, una spinta propulsiva a vantaggio dello sviluppo del territorio». LEGGI TUTTO

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    Messina: “La Cdp non entri nel capitale delle Generali”

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    La notizia (non smentita) delle trattative tra Generali e i francesi di Natixis per un’alleanza nel risparmio gestito ha fatto alzare le antenne a Roma e in ambienti finanziari. Il timore è che all’orizzonte possa materializzarsi un attacco al cuore della finanza nazionale, con oltre 2 .100 miliardi di asset (1.300 gestiti da Natixis e 845 dalle Generali) coinvolti e il pericolo che uno dei centri nevralgici del nostro sistema possa passare in mani straniere. Da qui l’indiscrezione per la quale, anche in vista del rinnovo dei vertici del Leone di Trieste in primavera, la Cassa depositi e prestiti possa entrare nel capitale delle Generali, per creare stabilità tra i soci e un cordone sanitario a protezione da appetiti stranieri. Ma non tutti concordano che sia la strada giusta. Ieri il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, è stato a tal proposito perentorio: «Per gli ingressi di operatori pubblici nelle società private deve esserci un interesse di sicurezza nazionale che lo giustifichi, altrimenti non riesco a capire il motivo». Insomma, il capo della prima banca italiana fa capire che un intervento di Cdp sarebbe giustificato solo a condizioni molto particolari. «È chiaro – ha aggiunto – che se Cdp dovesse intervenire, qualcuno avrà valutato che c’è un interesse di sicurezza nazionale. Se non è per quello, ma è soltanto per intervenire in partite finanziarie per definire chi comanda nei diversi contesti, penso che ci siano tanti investimenti su infrastrutture e motori di crescita del Paese più importanti rispetto a quello». Viceversa, se ci sono informazioni per cui ci possa essere un rischio, «allora ben venga qualunque tipo di investimento».Il capo della prima banca italiana, interpellato dai giornalisti, si è poi espresso sull’Offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit all’indirizzo del Banco Bpm: «Credo che il pallino di queste operazioni debba essere dal punto di vista della supervisione nelle mani della Bce e dal punto delle decisioni nelle mani degli azionisti». Dichiarazione, quest’ultima, da interpretare nell’ottica di un top manager che alcuni anni fa ha concluso un’operazione simile su Ubi Banca e quindi sarebbe stato quanto meno inusuale esprimersi in modo diverso. Messina, che secondo fonti di stampa potrebbe entrare in qualche modo nelle attuali manovre di risiko bancario, respinge la possibilità che possa immischiarsi nella vicenda Unicredit-Bpm: «Sicuramente non possiamo essere cavalieri in queste operazioni per un motivo molto semplice: abbiamo già una quota di mercato elevata in Italia».Intanto, ieri Unicredit ha risposto alle preoccupazioni espresse dell’ad di Bpm, Giuseppe Castagna, circa la possibilità di 6mila esuberi nel caso l’Ops abbia successo: «Il numero indicato da Bpm è pura congettura», ha detto un portavoce, «speculare su tali dettagli in questa fase è solo fuorviante». Nel frattempo il capo di Unicredit, Andrea Orcel, sta continuando a tessere la tela per arrivare a Bpm (soprattutto ad Anima, che è l’obiettivo più ghiotto per una banca rimasta orfana di una sua fabbrica prodotto di fondi). Secondo indiscrezioni attendibili, Orcel incontrerà in questi giorni a Parigi Philippe Brassac, amministratore delegato di Credit Agricole (azionista del Bpm con il 9,2% delle quote). L’intento è di trovare un accordo per convincere la banca transaplina a essere dalla sua parte, anche se è difficile che i francesi (proprietari di Amundi, che ha un accordo di distribuzione con Unicredit fino al 2027) possano cedere in toto la loro partecipazione. LEGGI TUTTO

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    Philip Morris, nuovo accordo da 1 miliardo per comprare forniture di tabacco italiano

    Marco Hannappel, presidente Europa sud-occidentale e ad di Philip Morris Italia

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    Un nuovo accordo pluriennale rilancia l’impegno per la competitività, la trasformazione e la sostenibilità della filiera tabacchicola nazionale. Quello siglato ieri da Philip Morris Italia e dal ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste è un patto che davvero guarda al futuro e alla salvaguardia di un intero comparto. L’azienda, pioniera in Italia nella sottoscrizione di accordi con il ministero, ha infatti esteso l’orizzonte temporale della collaborazione strategica fino a dieci anni, traguardando l’anno commerciale 2033-2034. Ragguardevole l’investimento totale, che ammonterà fino a un miliardo di euro e che si aggiunge agli oltre 2 miliardi già investiti a partire dai primi anni duemila.«Con questo accordo la filiera tabacchicola italiana si conferma al centro dell’ecosistema di Philip Morris in Italia, una filiera integrata end-to-end collegata ai prodotti senza combustione, che oggi coinvolge circa 41mila persone su tutto il territorio nazionale in ambito agricolo, manifatturiero e di servizi, contribuendo attivamente all’ambiziosa visione di costruire un futuro senza fumo», ha dichiarato Marco Hannappel (foto), presidente e amministratore delegato Philip Morris Italia. L’accordo prevede l’impegno della multinazionale ad acquistare circa la metà della produzione totale di tabacco greggio italiano, confermando Philip Morris come il maggiore investitore privato nella filiera tabacchicola italiana, la più importante in Europa per volumi. Particolare soddisfazione è stata espressa dal sottosegretario al Masaf, Patrizio La Pietra. LEGGI TUTTO

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    “Dazi, dobbiamo trattare con Trump”

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    Attenti a Trump, avverte Romano Prodi. Con la sua annunciata politica dei dazi, il neo-presidente americano metterà i paesi europei nel mirino, uno per uno: «Colpirà lo champagne in Francia, e formaggi e vino in Italia. Cercherà di darci lezioni mirate», dice l’ex premier. Bisogna dunque «saper rispondere uniti come Ue», per avere più «autorevolezza» e non farsi indebolire e metter «l’uno contro l’altro». Lo spauracchio dei dazi preoccupa, conferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini: «Per questo riteniamo fondamentale il ruolo di mediazione del governo, e il rapporto che saprà costruire con la nuova amministrazione Usa. Bisogna evitare che i dazi colpiscano le filiere agroalimentari italiane: gli Usa sono il nostro secondo mercato di export». Rassicura invece il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: «Vedremo se li metterà veramente, e cosa succederà nel mercato. A me finora di dazi ha parlato il sottosegretario all’Agricoltura del governo Biden, contestando il nostro modello delle indicazioni geografiche e accusandoci di sciovinismo contro il loro parmesan, per difendere il nostro Parmigiano e impedirgli di invadere i nostri mercati». Parte inevitabilmente l’applauso: la platea è quella di Coldiretti, riunita nella spettacolare cornice di Villa Miani, che domina dall’alto Roma, per un ambizioso «Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione», durante il quale si susseguono panel di alto livello su questioni che vanno ben oltre la tradizionale immagine di trattori infangati e mercati rionali del sindacato agricolo: Europa, rapporti geopolitici, transizione energetica, intelligenza artificiale. Con la partecipazione di ministri, esponenti delle opposizioni ma anche grandi player come il gruppo Eni (presente con l’amministratore delegato Claudio Descalzi), Intesa Sanpaolo, Legacoop, accademici, diplomatici, scienziati. «Il nostro ruolo sta cambiando – spiega il segretario generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo – e ci spinge ad occupare spazi che possono apparire lontani dal nostro raggio di azione». Oggi, assicura, «una nostra priorità è la difesa della salute dei consumatori», anche ricorrendo a quello che definisce «un disordine virtuoso, da cui far nascere nuovo ordine». Una «prima battaglia», quella contro il «cibo sintetico è stata vinta», rivendica, anche «grazie al governo. Ma non abbiamo vinto la guerra». Battaglie per le quali «ci accusano di essere oscurantisti», dice, ma non per questo «smetteremo di farle, anche contro spietati oligarchi alla Bill Gates che dove operano con i loro metodi fanno aumentare la fame».La nuova Commissione Ue, e il ruolo di Raffaele Fitto anche nel coordinamento delle politiche agricole viene salutato con ottimismo anche da sinistra. Gli invia un «in bocca al lupo» Paolo De Castro, europarlamentare uscente Pd, affinchè spinga per sostenere l’innovazione nel settore della transizione ecologica: «Gli Usa mettono miliardi in risorse e progetti a sostegno dell’innovazione, mentre l’Ue indica solo gol e target. L’accoppiata Fitto-Hansen (nuovo commissario all’Agricoltura, ndr) ci fa ben sperare per quello che è il primo settore manufatturiero italiano». D’accordo anche il dem Dario Nardellla: «L’agricoltura è il settore più antico, da cui può uscire il nuovo». LEGGI TUTTO

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    Intermarine snobba l’ingegneria italiana

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    Intermarine volta le spalle allo storico partner Isotta Fraschini Motori (gruppo Fincantieri). Stando a quanto appreso dal Giornale, la società leader nella progettazione e costruzione di navi cacciamine, segmento in cui ha costruito esemplari per numerose Marine Militari a livello mondiale, è pronta a rivolgersi a Mtu, azienda tedesca di proprietà del gruppo Rolls-Royce, per la fornitura dei motori generatori nell’ambito del programma dei nuovi cacciamine costieri della Marina Militare Italiana del valore di 1,6 miliardi di euro (la quota di Intermarine è di 1,165 miliardi, quella restante è di Leonardo).In tal modo Intermarine, che fa capo a Immsi, la holding della famiglia Colaninno e presieduta da Matteo Colaninno, lancia un chiaro segnale di discontinuità alla collaborazione con Fincantieri, attraverso la sua controllata Isotta Fraschini Motori, da sempre fornitore dei motori-generatori dei cacciamine classe Lerici e Gaeta, questi ultimi tutt’ora in servizio. Da quanto si apprende, la virata verso il fornitore tedesco potrebbe avere ricadute, anche pesanti, sulla società del gruppo Fincantieri. Infatti, la mancata commessa, del valore di circa 25 milioni per i motori delle cinque le navi oggetto del contratto firmato dalla Marina Militare italiana, mette a rischio i livelli produttivi e occupazionali di Isotta Fraschini, il cui nuovo management è alle prese con il rilancio di quella che è una realtà importante per la Puglia. LEGGI TUTTO