More stories

  • in

    Fiscalizzazione degli abusi edilizi: in cosa consiste e quando si applica

    Ascolta ora

    I punti chiave

    In ambito condominiale, la fiscalizzazione degli abusi edilizi si può applicare, dove vi siano le condizioni, anche nel caso di opere abusive realizzate su parti comuni o di proprietà privata, quando la demolizione di queste opere risulti impraticabile o pericolosa. Vediamo dunque alcuni aspetti specifici legati a tale pratica, all’interno dei condomini.In cosa consisteLa fiscalizzazione degli abusi edilizi è un meccanismo giuridico che consente, in alcuni casi, di “sanare” irregolarità edilizie non mediante una demolizione, ma tramite il pagamento di una sanzione economica. In altre parole, invece di rimuovere o correggere fisicamente un abuso edilizio (ad esempio una costruzione senza permesso o difforme dal progetto approvato), è possibile risolvere la questione versando una somma di denaro allo Stato o all’ente locale.Non si tratta però di una “sanatoria automatica”. La fiscalizzazione viene concessa solo in determinati casi e seguendo specifiche procedure, previste dal Testo Unico dell’Edilizia, con l’obbligo per il responsabile dell’abuso di pagare la sanzione stabilita. La sanzione non rende quindi l’abuso conforme dal punto di vista urbanistico, ma evita la demolizione.Opere abusive su parti comuniQuando un condòmino realizza interventi edilizi abusivi su parti comuni del condominio (ad esempio, chiusura di terrazzi, installazione di verande o ampliamenti non autorizzati), l’amministratore o gli altri condòmini possono richiedere l’intervento delle autorità per valutare la legittimità dell’opera. In caso venga accertato l’abuso edilizio, il Comune può ordinare la demolizione. Tuttavia, se la demolizione comporta rischi per la sicurezza dell’edificio o per altre parti dell’immobile, si può applicare la fiscalizzazione, consentendo al responsabile di pagare una sanzione anziché rimuovere l’opera.Opere abusive su parti privateAnche quando un condòmino esegue opere abusive all’interno della sua proprietà (chiudendo ad esempio un balcone o modificando le finestre), se queste opere alterano il decoro architettonico o violano le norme urbanistiche, gli altri condòmini possono agire per la tutela dell’estetica o dell’assetto strutturale dell’edificio. In caso di violazione delle regole edilizie, il Comune può intervenire. Anche qui, se risulta impossibile demolire l’abuso senza arrecare danno all’intero stabile, la fiscalizzazione può essere applicata.Iter decisionale e responsabilitàNel contesto condominiale, l’amministratore ha il dovere di vigilare sulle parti comuni e intervenire qualora vi siano opere abusive che possano danneggiare il condominio. Tuttavia, la richiesta di demolizione o di fiscalizzazione degli abusi viene solitamente indirizzata alle autorità locali, come il Comune. Sarà l’ente a valutare se l’abuso è sanabile, demolibile o fiscalizzabile.Se l’abuso riguarda parti comuni, è probabile che l’intervento interessi anche l’assemblea condominiale, che può deliberare su come procedere, tenendo conto degli interessi di tutti i condòmini. Resta il fatto che la decisione finale su demolizione o fiscalizzazione spetti agli enti preposti, in base alla valutazione di sicurezza e compatibilità tecnica.Conseguenze per chi commette l’abusoLa fiscalizzazione degli abusi edilizi in condominio permette di risolvere particolari situazioni senza richiedere la demolizione, che potrebbe creare danni ad altre parti dell’edificio o comportare gravi rischi strutturali. Va comunque tenuto presente che l’opera abusiva resta comunque illegittima e che il condòmino responsabile dell’abuso dovrà pagare la sanzione pecuniaria stabilita dal Comune; se poi l’abuso compromettesse il decoro architettonico o la sicurezza del condominio, ci potrebbero essere ulteriori azioni legali tra condòmini.Ruolo dell’assembleaIn molti casi, l’assemblea condominiale può discutere sull’eventuale azione da intraprendere nei confronti dell’abuso. Se le opere abusive su parti comuni violano regolamenti condominiali o urbanistici, i condòmini possono deliberare azioni legali contro chi ha realizzato l’opera. Tuttavia, la fiscalizzazione, se applicata, potrebbe limitare tali azioni, poiché la sanzione pecuniaria risolve il problema dal punto di vista amministrativo. LEGGI TUTTO

  • in

    Truffa del Telepass: ecco come non farsi fregare

    Ascolta ora

    I punti chiave

    Telepass è finita nel mirino dei truffatori. Dopo il caso in cui l’azienda è finita nel mirino dei consumatori a causa dell’incremento dei prezzi. Si tratta di un marchio noto e affidabile in grado di far cadere i consumatori nell’inganno del phishing che può causare un danno economico significativo, svuotando addirittura le tasche della vittima. Ecco cosa c’è da sapere e come non cadere nella trappola.La truffaCome anticipato, questo tipo di frode è nota come “phishing”, una strategia ingannevole dove i criminali tentano di ottenere dati personali e sensibili, come i numeri delle carte di credito, tramite messaggi falsi che sembrano provenire da fonti affidabili. Nel caso in questione, i truffatori si avvalgono del nome di un marchio noto come Telepass per conquistare la fiducia degli utenti e spingerli a rivelare informazioni finanziarie. La truffa è orchestrata in modo mirato: l’offerta di un premio, in questo caso un kit per la riparazione dell’auto, suscita interesse, mentre la richiesta di un modesto pagamento per la spedizione appare plausibile, portando così la vittima a fornire i dati della propria carta di credito. Il vero obiettivo è raccogliere queste informazioni per realizzare frodi finanziarie. La notizia della frode arriva da Libero Tecnologia che ha spiegato il metodo utilizzato dai malintenzionati attacco di phishing. LEGGI TUTTO

  • in

    Detrazioni, arriva il quoziente familiare: ecco chi ci guadagna. Tutti i calcoli 

    Ascolta ora

    Una novità della manovra 2025 è la sperimentazione di una sorta di «quoziente familiare», ossia la rimodulazione delle aliquote in base al numero dei componenti di un nucleo. La parte sperimentale è costituita dal fatto che l’applicazione non avverrà direttamente sull’Irpef ma sulle detrazioni legate ad alcune spese. La modalità, secondo quanto anticipato dal Sole 24 Ore, è strutturata in base a fasce di reddito: 8% fino a 50mila euro, 6% tra 50 e 100mila euro e 4% oltre i 100mila. Il montante ammesso a detrazione, invece, dipenderà dal numero dei componenti il nucleo familiare, tenendo conto che si potrà esercitare un’opzione sulle spese che si intende scalare dalle tasse, eventualmente perdendo delle opportunità per concentrare il “bonus” esclusivamente su un capitolo. Premettendo che le norme non sono state ancora scritte, si può provare a simularne il funzionamento.Reddito di 50mila euro e tre figliChi ha un reddito fino a 50 mila euro, come detto, potrà portare in detrazione spese pari all’8% del reddito stesso, cioè fino a 4 mila euro. Il tetto di partenza vale per i single. Esso salirà in rapporto al crescere dei carichi familiari. Con tre figli il tetto di spese detraibili dovrebbe raddoppiare, arrivando a 8 mila euro annui. Le aliquote per le spese detraibili sono del 19% per quelle mediche e farmaceutiche, scuola, sport e università, mentre si attestano al 50% e 36%, secondo i casi, quelle sulle ristrutturazioni edilizie. Per quest’ultimo caso è prevista una soglia massima di 96mila euro in dieci anni detraibile al 50%, cioè 4.800 euro l’anno. Per le famiglie numerose resta, pertanto, uno spazio di 3.200 euro in cui far rientrare le spese mediche e quelle per l’istruzione e lo sport dei figli. Occorre ricordare, tuttavia, che questo meccanismo entrerà in vigore nel 2025. Dunque, coloro che, ad esempio, hanno ristrutturato negli anni scorsi potranno continuare a beneficiare del vantaggio senza sommarlo al montante detraibile.Reddito di 75mila euroNella fascia di reddito tra 50 mila e 100mila euro la percentuale da applicare dovrebbe appunto essere del 6%. Un contribuente single (o in regime di separazione dei beni con il coniuge) con un imponibile di 75 mila euro potrebbe disporre al massimo di 4.500 euro l’anno di spese sulle quali applicare le aliquote delle singole detrazioni. Tale cifra è destinata ad aumentare alla presenza di uno o più figli nel nucleo famigliare. Nel caso delle spese per la ristrutturazione, tuttavia, occorrerà valutare attentamente se sia il caso di usufruirne interamente oppure lasciare spazio alle altre spese. LEGGI TUTTO

  • in

    Detrazioni, ecco le simulazioni con i nuovi tetti. Più sconti con tre figli

    Ascolta ora

    I punti chiave

    Le famiglie numerose con redditi bassi avranno accesso a una detrazione maggiore. Il nuovo sistema è in procinto di subire una rivoluzione. Il governo prevede un risparmio di un miliardo di euro con questa misura che si metterà in campo tramite l’incrocio di alcuni dati come il numero di figli e il livello di reddito che, se rientrante nella fascia medio-bassa, alleggerirà notevolmente il carico tributario. Ecco tutto ciò che c’è da sapere.Le novitàIn questo frangente potrebbero scomparire i tetti degli sconti fiscali che oggi vengono applicati sui costi d’imposta Irpef versati dai contribuenti tramite la dichiarazione dei redditi o 730. Attualmente, questi sconti agiscono come un rimborso parziale per spese in vari settori, come sanità, spese condominiali, e aiutano i contribuenti. La riforma prevede che i tetti detraibili siano modulati in base al reddito: fino a 50mila euro, tra 50mila e 100mila euro, e oltre 100mila euro, con riduzioni per chi ha redditi più alti. Lo stesso vale per le famiglie: più figli, più detrazioni. Il nuovo sistema entrerà in vigore dall’anno fiscale 2025 e verrà poi applicato sulle dichiarazioni dei redditi del 2026.La clausola del quoziente familiareVerrà poi introdotto nuovo meccanismo di sostegno per le famiglie numerose e meno abbienti basato sul “quoziente familiare.” Questo sistema prevede che il tetto di spesa detraibile sia calcolato in base al reddito e al numero di figli. Più membri ha la famiglia, maggiori saranno le detrazioni fiscali. Le famiglie con redditi fino a 50mila euro potranno risparmiare l’8%, quelle tra 50mila e 100mila euro il 6%, e oltre i 100mila euro il 4%. Ad esempio, un contribuente con reddito sotto i 50mila euro può detrarre fino a 4mila euro, mentre una famiglia con tre figli può arrivare a 8mila euro. Inoltre le uscite per le cure mediche e le spese per la casa (come mutui e costi di ristrutturazione) verranno incluse nel tetto rapportato al reddito. Questa misura, però, verrà messa in pratica per uscite effettuate dal 2025.Le nuove norme sulle detrazioni fiscaliLe nuove norme sulle detrazioni fiscali prevedono un cambiamento nel calcolo delle agevolazioni, tutelando il principio del legittimo affidamento ma introducendo la necessità di effettuare conteggi su un doppio binario. In pratica, saranno fissate nuove soglie che determineranno l’importo massimo delle spese detraibili, e non delle detrazioni stesse. Ciò significa che, all’interno delle spese ammesse, bisognerà applicare le percentuali specifiche previste per ogni agevolazione: ad esempio, il 19% per le uscite mediche e il 36% per le ristrutturazioni di case diverse dalla prima abitazione. Inoltre, nel riordino delle tax expenditures, le ristrutturazioni saranno incluse con una detrazione del 50% per la prima casa, mentre per la seconda abitazione la detrazione sarà ridotta al 36%. LEGGI TUTTO

  • in

    Come sostituire l’impianto fotovoltaico mantenendo gli incentivi

    I punti chiave

    La sostituzione di un impianto fotovoltaico senza perdere le agevolazioni è un tema di notevole interesse per chi ha installato pannelli solari approfittando di programmi di incentivazione come il Conto Energia. Con il passare degli anni, infatti, è possibile che alcuni impianti fotovoltaici necessitino di aggiornamenti o sostituzioni, sia per il deterioramento dei componenti, sia per migliorare le prestazioni con nuove tecnologie, e in molti temono di perdere gli incentivi governativi nel caso di interventi significativi sull’impianto. Vediamo cosa è importante sapere.Sostituzione dell’impianto e mantenimento degli incentiviIn linea generale, la sostituzione dei pannelli fotovoltaici o di altre componenti dell’impianto non comporta automaticamente la perdita degli incentivi. Tuttavia, ci sono alcune regole e condizioni precise da rispettare. In Italia, gli incentivi più comuni sono stati concessi attraverso il programma Conto Energia, che prevedeva tariffe incentivanti per un periodo di 20 anni dalla data di connessione dell’impianto alla rete elettrica.Sostituzione parziale e sostituzione completaSe si decide di sostituire solo alcuni elementi dell’impianto, come i moduli o l’inverter, senza modificare la potenza nominale complessiva dell’impianto, generalmente non si perdono gli incentivi. Il Gse (Gestore dei servizi energetici) richiede comunque una comunicazione di intervento e in alcuni casi potrebbe essere necessaria una perizia tecnica.Più complessa, invece, la situazione in caso di una sostituzione completa dell’impianto. Se l’impianto sostituito mantiene la stessa potenza e le stesse caratteristiche del precedente, è possibile continuare a beneficiare degli incentivi, ma è obbligatorio comunicarlo al Gse e ottenere l’autorizzazione. Il Gestore valuterà caso per caso se le modifiche rientrano nelle norme che permettono il mantenimento degli incentivi.Modifiche che possono compromettere gli incentiviEsistono alcuni interventi che potrebbero portare a perdere gli incentivi, e cioè:aumento della potenza nominale, se con la sostituzione si decide di aumentare la potenza dell’impianto, è probabile che gli incentivi concessi non siano più applicabili. In questi casi, solo la potenza originaria dell’impianto potrebbe continuare a beneficiare degli incentivi, mentre per l’incremento di potenza potrebbero essere necessarie nuove autorizzazioni e adeguamenti tariffari;rimozione dell’impianto, se l’impianto viene completamente rimosso e sostituito con uno nuovo senza mantenere alcuna continuità con l’installazione originale, gli incentivi non vengono trasferiti al nuovo impianto.Normativa di riferimento e procedureLe normative in materia di sostituzione e manutenzione degli impianti fotovoltaici incentivati sono regolate da decreti legislativi e dalle linee guida del Gse. Il Decreto Milleproroghe ha introdotto alcune disposizioni per facilitare la gestione delle modifiche agli impianti fotovoltaici incentivati, mantenendo un equilibrio tra la necessità di aggiornamento e la salvaguardia degli incentivi.Se si sta valutando la sostituzione dell’impianto fotovoltaico, è importante seguire i seguenti passaggi: verifica della documentazione, controllando il contratto di incentivazione per comprendere le condizioni precise; comunicazione al Gse, informando il Gestore degli interventi che si intendono fare, seguendo le procedure indicate; perizia tecnica, necessaria in alcuni casi per dimostrare che l’intervento non modifica le caratteristiche essenziali dell’impianto incentivato.Benefici delle nuove tecnologieAggiornare o sostituire un impianto fotovoltaico può portare a benefici significativi in termini di efficienza. I nuovi pannelli fotovoltaici hanno una maggiore capacità di generare energia rispetto ai modelli più vecchi, e i moderni sistemi di accumulo possono migliorare ulteriormente l’autoconsumo dell’energia prodotta. Anche se si dovesse perdere una parte degli incentivi, il miglioramento dell’efficienza energetica potrebbe compensare l’investimento iniziale.Secondo Conto Energia: quali novitàIl Secondo Conto Energia ha introdotto norme precise per mantenere le agevolazioni nel caso di sostituzioni o modifiche agli impianti. In particolare, in caso di sostituzione, la potenza nominale dell’impianto incentivato non deve essere aumentata. Se si supera la soglia di 1200 MW, è richiesta una pratica di ampliamento separata. In tal caso, il nuovo impianto non avrebbe diritto agli incentivi del Conto Energia, ma seguirebbe le normative vigenti per la gestione degli impianti e l’integrazione con i sistemi di accumulo.Gli impianti dotati di sistemi di accumulo sono disciplinati dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) e dal Gse. Un impianto fotovoltaico incentivato può essere equipaggiato con un sistema di accumulo, a condizione che la batteria venga installata per migliorare l’autoconsumo e non interferisca con il funzionamento dello Scambio sul Posto. LEGGI TUTTO

  • in

    Quanto si risparmia con il tasso ufficiale Bce al 3,25% dopo il taglio di oggi?

    Ascolta ora

    Il costo dei mutui è legato a due parametri: l’Euribor per il tasso variabile e l’Eurirs per il tasso fisso. Entrambi hanno già scontato la decisione odierna di Madame. L’Euribor a 3 mesi, infatti, oggi ha chiuso a 3,219%, mentre l’Eurirs a 15 e a 20 anni è da qualche giorno sotto il 2,5%. Vediamo, quindi, alcune simulazioni dell’impatto sul costo dei mutui tenendo presente che la domanda di questi finanziamenti è in risalita (+19% a settembre).Codacons: il taglio determinerà un risparmio, sulle tipologie di mutuo più diffuse in Italia, compreso tra i 13 e i 30 euro al mese. Per un mutuo a tasso variabile a 20 anni di importo compreso tra i 100mila e i 200mila euro, il risparmio sulla rata mensile varia tra i 13 e i 27 euro, pari ad una minore spesa annua tra -156 e -324. Se il finanziamento ha una durata di 30 anni, il taglio dei tassi di un quarto di punto produrrà un risparmio medio tra i 15 e i 30 euro sulla rata mensile, tra -180 e -360 euro annui. Per un mutuo da 125mila euro a 25 anni, invece, un analogo taglio si traduce in un risparmio di circa 17 euro al mese, con un impatto da 204 euro su base annua. Idealista: la rata per un mutuo a 30 anni da 200mila euro a tasso variabile con spread allo 0,75 per cento scenderà dai 1.026 euro di gennaio 2024 ai 925 euro di oggi – con un risparmio di 101 euro mensili e 1.212 euro annuali. In calo anche i mutui a tasso fisso che passano da una rata di 843 euro al mese in media a inizio anno per un mutuo con scadenza a 30 anni e spread allo 0,5 per cento agli attuali 792 euro, con un risparmio di 51 euro mensili e 612 euro annuali.MutuiOnline: Chi ha scelto il tasso variabile vedrà quindi il tasso di interesse, con la rata mensile in calo di 20 euro su un mutuo da 150.000 euro a 20 anni. «La convenienza del tasso fisso – sottolinea Nicoletta Papucci di MutuiOnline – porta la quasi totalità dei consumatori verso questa direzione, che rappresenta un porto sicuro. Se un domani il tasso variabile dovesse tornare più conveniente del fisso, verrà in aiuto dei mutuatari la surroga, a costo zero per i richiedenti. In generale l’abbassamento dei tassi sta rendendo l’accesso al credito più conveniente per i consumatori e il mercato si conferma in chiara ripresa. Anche le banche dimostrano una rinnovata fiducia, concedendo importi maggiori e mutui dalla durata più estesa» LEGGI TUTTO

  • in

    Laurea: gli atenei e le facoltà che offrono le migliori opportunità economiche

    Ascolta ora

    I punti chiave

    Anche se non è indispensabile, una laurea può fare la differenza per avere successo e ottenere stipendi elevati. In un mercato del lavoro in continua evoluzione, la scelta dell’università e dell’indirizzo di studi diventa sempre più strategica per chi punta a una carriera di successo, tenendo presente che non tutte le lauree offrono le stesse opportunità di guadagno. A rispondere alle domande su quali siano le più “remunerative” in Italia è l’Osservatorio Job Pricing, che nel suo University Report 2024 analizza le prospettive economiche dei laureati, confrontando atenei e corsi di studio. Vediamo allora più nel dettaglio qual è lo scenario tratteggiato dallo studio e quali sono gli atenei che offrono maggiori opportunità.Il valore del titolo di studiPossedere una laurea aumenta sensibilmente le possibilità di ottenere uno stipendio migliore rispetto a chi si ferma al diploma. Secondo il rapporto citato, la differenza retributiva tra laureati e non laureati è già visibile nella fascia d’età 25-34 anni, con i laureati che guadagnano mediamente il 9% in più rispetto a chi non ha completato gli studi universitari. Ma è nella fascia 45-54 anni che il distacco diventa notevole: un laureato arriva a guadagnare il 55% in più di un non laureato.In termini concreti, i numeri parlano chiaro: chi ha solo un diploma di scuola media superiore può aspirare a una Ral (Retribuzione annua lorda, di cui abbiamo già parlato https://www.ilgiornale.it/news/cittadini/ral-cos-cosa-serve-quali-elementi-composta-2377338.html ) di poco più di 29.000 euro, mentre chi è in possesso di una laurea arriva a una media di circa 42.000 euro. La differenza, quindi, significativa, è pari a circa 13.000 euro annui. E questa disparità aumenta ulteriormente per chi prosegue gli studi con un master: chi ha un master di secondo livello, ad esempio, può raggiungere una Ral media di oltre 50.000 euro.Lauree più “remunerative”: vincono quelle tecniche e scientificheMa quali sono le lauree che garantiscono i migliori stipendi? In cima alla classifica delle facoltà più remunerative troviamo Ingegneria gestionale, con una Ral media di 35.822 euro per i laureati tra i 25 e i 34 anni. Seguono altre specializzazioni tecniche e scientifiche, come Ingegneria informatica, elettronica e delle telecomunicazioni, e Ingegneria meccanica, navale, aeronautica e aerospaziale, tutte con una Ral superiore ai 35.000 euro. Le materie scientifiche, in generale, dominano la classifica dei guadagni, mentre le discipline umanistiche – come lingue e letterature straniere moderne, o scienze storiche e filosofiche – si posizionano nelle ultime posizioni, con stipendi più modesti.Dove si studia fa la differenzaAnche la scelta dell’università è essenziale. Il rapporto evidenzia che chi frequenta un’università privata guadagna mediamente il 5% in più rispetto a chi si laurea in un ateneo pubblico. I politecnici, inoltre, offrono le migliori prospettive economiche, con una Ral media di 46.499 euro, ben 5.000 euro in più rispetto agli altri atenei pubblici. E non è solo la tipologia dell’università a fare la differenza: anche la sua collocazione geografica influisce sugli stipendi. Gli atenei del Nord Italia garantiscono, in media, retribuzioni superiori del 4% rispetto a quelli del Centro e del 9% rispetto a quelli del Sud. LEGGI TUTTO

  • in

    Lavoro, ritardi e sanzioni: ecco quando può scattare il licenziamento

    Ascolta ora

    La non puntualità sul posto di lavoro viene considerata un illecito disciplinare che viola il dovere di diligenza del dipendente, e come tale può comportare il rischio di incorrere in sanzioni fino ad arrivare, nei casi più gravi, al licenziamento.In genere gli orari di ingresso e uscita, fissati nel contratto di assunzione o nel regolamento aziendale, vengono decisi dal datore di lavoro, il quale effettua la sua scelta sulla base delle esigenze dell’attività produttiva: talvolta un lieve ritardo non provoca particolari ripercussioni, ma in altri casi, come ad esempio accade nelle catene di montaggio, condiziona l’intera filiera.In ogni caso non essere puntuali è certo un esempio di inadempimento contrattuale, per quanto sia comunque sempre bene distinguere violazioni più o meno gravi, a seconda dell’entità del ritardo e della frequenza con cui si verificano episodi del genere. Solitamente, anche sulla base dei contratti collettivi applicati o di norme interne all’azienda, il datore di lavoro tende a tollerare dei piccoli sporadici ritardi, specie quando risultano “involontari”, ovvero non derivanti dalla volontà del dipendente. Si fa riferimento, con questo termine, a quelle situazioni in cui l’inadempimento sia dovuto a cause di forza maggiore, quali scioperi o ritardi dei mezzi pubblici o incidenti stradali, o a situazioni non preventivabili, come un malore al risveglio.Qualunque sia la motivazione, anche se non dipendente dalla volontà del lavoratore, quest’ultimo ha il dovere di avvisare tempestivamente il proprio titolare o il superiore, spiegando le ragioni del ritardo. Si tratta di una forma di correttezza e di rispetto nei confronti dell’azienda e del datore di lavoro il quale, consapevole dell’imprevisto, potrà organizzare l’attività produttiva senza correre il rischio di dover fermare tutto. Qualora i ritardi siano sporadici, giustificati e segnalati correttamente, il lavoratore non rischia di incorrere in sanzioni disciplinari.Diverso il discorso in cui il ritardo non è giustificato, oppure quando è prolungato in modo eccessivo o ciò non avviene in modo occasionale: in questi casi anche la giustificazione potrebbe non essere sufficiente a evitare le sanzioni, dato che si parla di inadempimento degli obblighi contrattuali.In situazioni del genere il datore di lavoro può accontentarsi di contestare il ritardo in modo non formale, come accade per esempio quando viene richiesto al dipendente di trattenersi oltre l’orario di uscita per recuperare il tempo perduto, ma non è sempre così. Come detto, infatti, ci sono casi più gravi ed episodi reiterati, per porre rimedio ai quali il titolare può scegliere invece di avviare una procedura disciplinare. LEGGI TUTTO