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    Transizione demografica: Upb, si perderanno 700mila lavoratori in 5 anni

    L’invecchiamento della popolazione e il calo demografico avranno impatti significativi sull’economia italiana, in particolare su pensioni, sanità, assistenza e produttività. Lo ha spiegato la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), Lilia Cavallari, nel corso di un’audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali della transizione demografica.Il quadro tracciato dall’Upb evidenzia un aumento delle spese legate all’invecchiamento, in particolare pensioni e sanità, con un picco atteso attorno al 2040. Tuttavia, “nonostante la prospettiva di un significativo aumento delle spese legate all’invecchiamento nel prossimo decennio (con un picco nel 2040), le proiezioni disponibili mostrano una sostanziale tenuta dei conti pubblici nel lungo periodo”, ha affermato Cavallari. L’Upb sottolinea che tale tenuta sarà possibile grazie alla piena attuazione del sistema contributivo e al calo demografico stesso, che alla lunga frenerà la spesa.Cavallari ha spiegato che “il calo della popolazione iniziato nel 2014 continuerà accompagnandosi all’invecchiamento progressivo”, con la quota di giovani destinata a stabilizzarsi intorno al 24%. Questo avrà un effetto diretto sulla forza lavoro: “Se mantenessimo i tassi attuali di occupazione, nei prossimi cinque anni avremmo una perdita di 700 mila unità”, ha detto. Un calo che inciderebbe negativamente anche sulla produttività, già penalizzata dalla crescente incidenza di lavoratori nella fascia 50-64 anni.Il tema pensionistico resta centrale. Secondo l’Upb, “tra il 2022 e il 2070 il rapporto della spesa pensionistica lorda sul Pil diminuirebbe di 1,9 punti percentuali”. Ma a patto che siano rispettati i meccanismi di adeguamento esistenti: “È importante che venga mantenuto l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita dei requisiti anagrafici e contributivi minimi per l’accesso al pensionamento al fine di attenuare l’aumento dell’indice di dipendenza dei pensionati ed evitare che le pensioni risultino troppo basse, con conseguenti pressioni sugli istituti assistenziali”, ha ribadito la presidente.Un altro fronte critico è la sanità. “Le maggiori criticità provengono dalle pressioni dal lato dell’offerta, che vanno tenute sotto controllo con la programmazione e la regolazione del sistema, e dalle attuali debolezze del Servizio sanitario nazionale, che andrebbero affrontate con un rafforzamento strutturale a partire da misure di contrasto all’abbandono da parte del personale”, ha sottolineato Cavallari. “Rimane aperta la questione dell’adeguatezza dell’attuale finanziamento del Ssn e della garanzia dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale”.Quanto all’assistenza di lungo termine (long-term care), l’Upb evidenzia che il sistema italiano è ancora impreparato ad affrontare gli effetti della transizione demografica. “Un rafforzamento del sistema, per avvicinarlo ai migliori standard europei, implicherebbe ulteriori incrementi di spesa e un riorientamento dai sostegni monetari ai servizi pubblici”, si legge nella memoria depositata.Per contenere gli effetti della transizione demografica, l’Upb indica una strategia su più fronti: occupazione, istruzione, conciliazione vita-lavoro, natalità e immigrazione. “È necessario intervenire con politiche che favoriscano una più ampia partecipazione al mercato del lavoro, riducendo gli inattivi, migliorando le condizioni di occupabilità degli individui in età da lavoro”, ha detto Cavallari, ricordando che nel 2024 il bacino dell’inattività riguardava oltre 12 milioni di persone, due terzi delle quali donne. “Anche questo costituisce un freno all’attività produttiva oggi e diventerà sempre meno accettabile domani, quando la popolazione in età lavorativa si ridurrà ancora”.Un ruolo fondamentale, ha spiegato la presidente, spetta anche all’immigrazione qualificata e al contrasto all’emigrazione giovanile. “Il saldo migratorio può dare un supporto significativo al contenimento del declino demografico e ad aumentare la popolazione attiva”, ha affermato, sottolineando la necessità di “potenziare la capacità di attrarre lavoratori qualificati e di trattenere i giovani che emigrano”. LEGGI TUTTO

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    Imprese italiane più fiduciose, ma pesano i timori sui dazi Usa

    Nel secondo trimestre del 2025 il clima tra le imprese italiane mostra segnali di cauta ripresa, pur restando in un quadro complessivamente fragile. Secondo l’indagine condotta dalla Banca d’Italia sulle aspettative di inflazione e crescita, le valutazioni generali delle aziende sulla situazione economica del Paese restano sfavorevoli, ma con un saldo negativo tra giudizi positivi e negativi in sensibile miglioramento: da -30 punti percentuali nel primo trimestre a -20 nel secondo. Un’evoluzione che interessa trasversalmente tutti i settori produttivi, le dimensioni aziendali e le aree geografiche.A trainare questa inversione di tendenza è soprattutto la domanda interna, che torna a fornire segnali positivi per la prima volta dopo tre trimestri. Le imprese si mostrano anche più fiduciose sul fronte occupazionale, prevedendo una crescita dell’occupazione in tutti i comparti per il terzo trimestre. Anche le condizioni percepite per investire sono giudicate meno sfavorevoli rispetto al passato, e le previsioni per il 2025 indicano un incremento degli investimenti leggermente più marcato rispetto alla scorsa primavera.Nonostante questi segnali incoraggianti, le incertezze restano. In particolare, preoccupano le conseguenze delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti: il 32% delle aziende manifatturiere e il 12% di quelle dei servizi segnalano già impatti negativi legati all’annuncio e all’applicazione dei dazi americani. LEGGI TUTTO

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    Stellantis in caduta libera. Crolla la produzione (-33%)

    Nel 2026 Stellantis si gioca buona parte della produzione in Italia. Il prossimo sarà l’anno decisivo per gli impianti dislocati nel Paese. Occorrono modelli che assecondano le richieste del mercato e, soprattutto, a prezzi accessibili. Mentre tiene botta la Pandina di Pomigliano d’Arco, che da sola con 67.500 unità e seppur in calo del 15% sul 2024, copre il 54% della produzione totale in Italia, per la vera ripartenza sarà importante l’impatto della Fiat 500 ibrida da 17mila euro che Mirafiori sfornerà, nel 2026, in almeno 100mila pezzi.Lo stato dell’arte di Stellantis, presentato nel rapporto del sindacato Fim-Cisl, vede un primo semestre in peggioramento rispetto a un anno fa. La produzione si è attestata a 221.885 veicoli, tra auto e furgoni (-26,9%), mentre se si guarda alle sole vetture il calo risulta maggiore: -33,6% (123.905 auto), in pratica un terzo della produzione. «Tutti gli stabilimenti del gruppo – avverte il segretario generale Fim-Cisl, Ferdinando Uliano – sono in negativo ed evidenziano un forte peggioramento. Anche Pomigliano d’Arco, unico impianto positivo nel 2024, non sfugge a questa situazione. E non si intravedono segnali di ripresa entro l’anno. Il calo dei volumi e il ricorso agli ammortizzatori potrebbe addirittura aumentare, coinvolgendo già oggi quasi la metà della forza lavoro».Tocca al ceo Antonio Filosa e al suo team, a questo punto, mettere il piede sull’acceleratore per porre rimedio agli errori strategici del passato all’origine di ritardi nei lanci, insieme alla cancellazione di modelli che, se invece rinnovati, avrebbero continuato a dare il loro importante apporto. Il Suv Stelvio di Alfa Romeo, per esempio, arriverà solo tra il 2026 e il 2027. Ideato per essere solo elettrico, la tendenza del mercato ha imposto la revisione del progetto allo scopo di montare l’alimentazione ibrida. E non è l’unico caso. Ecco allora Cassino patire questa dilatazione dei tempi con la produzione – tra le Alfa Stelvio e Giulia, e Maserati Grecale – crollare del 34% a 10.500 vetture. Solo nel 2017 questa fabbrica sfornava sette volte tanto e dava lavoro a 4.400 persone, ora più che dimezzate. E Modena? Solo 45 le auto prodotte (-71,9%). Nel primo semestre 2026 da Melfi uscirà la nuova Jeep Compass, modello che ha raccolto l’apprezzamento del mercato, con la motorizzazione ibrida. Peccato, però, che la precedenza è stata data, nella seconda parte di quest’anno, alla versione elettrica. LEGGI TUTTO

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    “Sovranità digitale, AI e infrastrutture critiche. Le grandi sfide per l’Italia”

    Si parla sempre più spesso di sovranità tecnologica e digitale come priorità strategica. Ma cosa significa per un Paese come l’Italia? “Viviamo un contesto geopolitico dove il controllo della tecnologia coincide sempre più con il controllo del potere. Per l’Italia, la sovranità tecnologica è ormai una necessità strategica che va ben oltre la competitività economica: significa tutelare autonomia, sicurezza e resilienza in settori chiave”, spiega Walter Renna, ceo di Fastweb+Vodafone.”Le infrastrutture digitali, come per esempio le frequenze mobili, – prosegue il manager – sono asset critici, paragonabili all’energia o all’acqua, perché attraverso le frequenze viaggiano comunicazioni civili, militari ed emergenziali. Affidarne la gestione a operatori radicati sul territorio è fondamentale per garantire la sicurezza nazionale”.Rimanendo sulle frequenze, secondo lei è ancora attuale il modello dell’asta per la loro assegnazione?”Il meccanismo dell’asta garantisce efficienza ma in questo contesto geopolitico – con soggetti che hanno risorse illimitate ma non un ancoraggio vero con il nostro Paese – rischia di consegnare un asset strategico al miglior offerente, i cui interessi potrebbero essere disallineati rispetto a quelli nazionali. Per questo stiamo dialogando con tutti gli attori istituzionali, da Agcom al MEF, affinché si segua l’esempio di altri Paesi europei, che hanno esteso le licenze a soggetti stabili sul territorio, a fronte di impegni concreti in termini di investimento e copertura”.Ma il cuore della questione oggi sembra essere anche e forse soprattutto quello dei dati, del cloud e dell’AI. È così?”Assolutamente sì, ma prima ancora dobbiamo necessariamente mettere al centro le reti fisse. Sono la dorsale invisibile dell’economia digitale: senza di esse non esistono cloud, AI, né cybersecurity. Il settore delle telecomunicazioni è in crisi da anni e e le normative europee, come la NIS2, impongono requisiti di sicurezza molto rigidi. Le reti però non diventano inviolabili per decreto: servono investimenti in resilienza, ridondanza e sicurezza ma soprattutto una visione industriale con misure concrete come un alleggerimento dei costi energetici e una regolazione che ci metta in condizione di competere alla pari con i big player globali”.Tornando all’AI, come garantire che il suo sviluppo sia in linea con la sovranità e i valori europei?”Il vero nodo è il controllo dei dati e, con esso, dell’autonomia digitale. Molti sistemi di intelligenza artificiale oggi operano su infrastrutture extra-UE, con normative poco trasparenti e non sempre compatibili con i principi europei. In molti casi i dati immessi nei sistemi, anche se sensibili o strategici, possono essere trasferiti o trattenuti, senza garanzie di segregazione. L’AI guiderà scelte cruciali in sanità, giustizia, finanza e difesa. Non possiamo dipendere da intelligenze artificiali sviluppate altrove con logiche opache”.Qual è allora la strada da seguire per garantirsi l’autonomia nell’AI?”È fondamentale disporre di potenza computazionale localizzata in Italia, che sia allo stesso tempo sicura e ad alte prestazioni e sviluppare modelli di AI basati su dataset nazionali di alta qualità, trasparenti, tracciabili e pienamente conformi agli standard europei. Infine, serve un orientamento strategico degli appalti pubblici, che privilegi soluzioni tecnologiche interamente sviluppate e gestite in Italia o comunque in Europa, per garantire sicurezza e conformità normativa. A questo proposito va nella direzione giusta la decisione del Parlamento italiano di introdurre nel Ddl AI una norma che spinge le Pa ad acquistare soluzioni di AI nazionali”.E voi come azienda cosa state facendo in questa direzione?”Abbiamo investito in un supercomputer dedicato alla Generative AI, già operativo a Bergamo, e addestrato un nostro modello proprietario su dati di qualità. È un passo concreto verso l’autonomia tecnologica: oggi siamo in grado di offrire soluzioni sicure, performanti e trasparenti ad aziende e Pa. Investiamo in cloud nazionale, cybersecurity, infrastrutture e competenze localizzate. Ci stiamo trasformando da operatore Telco a piattaforma tecnologica integrata, ovvero una TechCo”.In conclusione, cosa serve davvero per garantire la resilienza tecnologica del Paese? LEGGI TUTTO

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    Panda e 500, Stellantis ricomincia da due

    Dalla Fiat 500 elettrica, che nel maggio 2020 Olivier François, responsabile del marchio in Fca, aveva definito con enfasi come “la nostra Tesla urbana”, all’imminente “500 pragmatica”, con motorizzazione rigorosamente ibrida, nel segno della visione condivisa dallo stesso manager con l’allora ad Sergio Marchionne: “Il ruolo sociale di Fiat e l’importanza di fare macchine per gente vera”.Un ritorno alla realtà, lo stesso che i decisori di Bruxelles sono ora chiamati a fare, considerato il fallimento dei loro piani green per una mobilità a senso unico. La 500, icona della Fiat che nel 2027 celebrerà i suoi 70 anni, è dunque pronta alla nuova sfida con il modello mild hybrid (motore FireFly a 3 cilindri, 70 cavalli, cambio manuale a 6 rapporti, a listino da 17mila euro) che da novembre condividerà la linea di Mirafiori con la cugina elettrica i cui risultati di mercato continuano a essere deludenti. Proprio oggi, tra l’altro, il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, presenterà il quadro produttivo di auto in Italia nel primo semestre. E da quanto sembra, guardando ai precedenti primi tre mesi dell’anno (-35,5% la produzione complessiva di Stellantis e -42,5% quella delle sole autovetture) la situazione resta sempre pesante con tutti gli impianti del gruppo in rosso. Fiat 500 ibrida da una parte (si stimano oltre 100mila unità realizzate nel 2026) e Pandina dall’altra, rispettivamente made in Mirafiori e made in Pomigliano d’Arco, sono i due modelli cardine del marchio Fiat in Italia, gli stessi che assicurano la tenuta (per la 500 dal prossimo anno) dei due stabilimenti. La Pandina campana, pure mild hybrid, infatti, veleggia sempre in testa alle classifiche di vendita in Italia: 8.250 unità lo scorso giugno e 62.302 da gennaio. È l’unica macchina italiana, in tutto e per tutto, presente nella “top 10”. Piace sempre, in ogni restyling proposto, è comoda ed economica. D’obbligo, a questo punto, una domanda: ma se anche la Lancia avesse seguito, con la nuova Ypsilon, questo esempio, realizzando il nuovo modello sulle basi di quello che tanto successo ha avuto anche alla soglia della pensione?Il gruppo Stellantis, guidato ora da Antonio Filosa, in Italia punta a ripartire dai modelli che hanno fatto la storia e, soprattutto, come ha sottolineato egli stesso, “che il mercato chiede”, mantenendo i motori termici accanto a soluzioni ibride ed elettriche. E Fiat, in questo, è il primo marchio a saggiare la nuova strategia. “Il mercato delle macchine elettriche – le parole che Filosa ha pronunciato a Mirafiori – cresce lentamente, principalmente a causa di fattori esterni e soprattutto a causa di decisioni prese lontano dalle realtà del mercato”. Una sterzata importante, dunque, un messaggio incisivo che l’ad italiano di Stellantis lancia anche alla politica europea. LEGGI TUTTO

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    Ex Ilva, barricate sul trasloco a Genova

    Tra lunedì e martedì, quando andranno in scena gli incontri con i sindacati prima e con gli enti locali e le istituzioni competenti poi, cadrà la maschera sul futuro dell’ex Ilva. Quella degli enti locali che fingono di trattare, ma solo alle «loro condizioni», e quella di Acciaierie d’Italia che definisce ancora aperta la trattativa non solo con Baku Steel, ma anche con Jindal e Bedrock.Non è così. Il socio azero, come anticipato dal Giornale e secondo le indiscrezioni raccolte, ha già registrato il “no” al rigassificatore, abbandonando le mire su Taranto. Progetti che anche lo stesso governo capeggiato dal Mimit, sta iniziando a rivedere.Anche alla luce della consapevolezza, riconosciuta dallo stesso ministro delle Imprese Adolfo Urso, che il piano di Baku era legato a doppio filo al rigassificatore nel porto di Taranto.In attesa martedì della posizione formale e definitiva che arriverà dagli enti locali, Urso sta mettendo in piedi un piano B che possa comunque assicurare all’Italia l’acciaio prodotto utilizzando il Direct Reduced Iron (DRI), ovvero il preridotto, come materia prima.Come anticipato dal Giornale, e rilanciato ieri anche dal Corriere della Sera e dalle sigle sindacali, se il rigassificatore non andrà nel porto di Taranto (fattore abilitante per l’accordo, insieme al dissalatore e ai tempi della decarbonizzazione), il cuore dell’Ilva sarà spostato a Genova.«Siamo rispettosi delle decisioni dei cittadini e delle istituzioni locali che faranno la loro scelta democratica», ha detto ieri Urso.«Se questa scelta rende possibile realizzare i forni a Taranto lo faremo insieme, se le scelte non fossero compatibili decideremo cosa fare a Taranto e cosa fare, per esempio, a Genova. D’altra parte, anche il polo del Nord si auspica l’approvvigionamento produttivo in autonomia e non come avviene ora con una nave» che fa la spola. Inoltre, la disponibilità degli enti locali liguri è totale.«Diamo a Taranto la prima scelta», ha ribadito Urso, «ma poi decideremo dove collocare il polo del DRI italiano in base alle risposte che ci verranno date. Se non si trova l’accordo il tribunale di Milano deciderà, poi, in merito alla chiusura o meno dello stabilimento». «Non ci sia una battaglia e una rivalità fra Genova e Taranto» ha commentato tardivamente Rocco Palombella, segretario generale della Uilm bocciando l’idea di un piano B, quello che riguarda Genova. Un piano che però sembra non avere ostacoli nemmeno sull’eventuale approvvigionamento di gas via tubo, come sarebbe emerso da un confronto avvenuto ieri con Snam. LEGGI TUTTO

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    Credem, morto in ufficio il dg Angelo Campani

    Angelo Campani, direttore generale di Credem, è scomparso improvvisamente venerdì mattina, all’età di 62 anni, a causa di un malore che lo ha colto mentre si trovava nel suo ufficio a Reggio Emilia. Alla guida della Banca emiliana dal 2023, Campani aveva dedicato oltre 44 anni della sua carriera professionale al gruppo. Poco dopo le 10, mentre si trovava nella sede di via Emilia San Pietro, ha accusato un malore che ha richiesto un intervento d’urgenza. Nonostante i tentativi di soccorso e il trasferimento al Santa Maria Nuova, non ce l’ha fatta. L’istituto ha espresso le proprie condoglianze alla famiglia, con un comunicato che ha anche sottolineato l’impegno della banca a garantire la continuità operativa attraverso le deleghe esistenti e la supervisione della direzione generale. Il consiglio di amministrazione è stato convocato per il 9 luglio, quando si prenderanno le necessarie decisioni. LEGGI TUTTO

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    Luci sul Lavoro 2025. Sviluppo Lavoro Italia porta il Paese nella Union of Skills europea

    Nel cuore della Fortezza poliziana di Montepulciano, si è svolto oggi l’incontro “Competenze in movimento. L’Italia nella Union of Skills per la competitività europea. Basic skills, micro-credenziali e talent attraction: l’Italia nella nuova economia delle competenze UE”, a cura di Sviluppo Lavoro Italia, l’ente in house del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nell’ambito della manifestazione Luci sul Lavoro 2025.L’evento ha rappresentato un importante momento di confronto sulle sfide e le opportunità legate all’iniziativa “Union of Skills”, presentata dalla Commissione europea il 5 marzo 2025 come primo atto strategico del nuovo mandato. Una visione che sposta l’asse della competitività continentale: non più soltanto su capitale e tecnologia, ma soprattutto sulla capacità degli Stati membri di generare, attrarre e far circolare competenze.Per Claudio Durigon, Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: “È necessario comprendere quanto sia fondamentale favorire il matching tra domanda e offerta di lavoro. I dati ISTAT sull’occupazione sono confortanti e ci indicano che oggi abbiamo l’opportunità di creare sinergie e dare risposte importanti. Ci troviamo di fronte a nuove figure professionali che stanno entrando nel mercato del lavoro, ed è essenziale individuare strumenti innovativi per garantire che l’Italia resti competitiva. L’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità che va gestita con intelligenza e responsabilità. La sfida della formazione sarà cruciale per affrontare con successo i cambiamenti dei prossimi anni”.Secondo Paola Nicastro, Presidente e Amministratore Delegato di Sviluppo Lavoro Italia: “Il mercato del lavoro europeo e italiano, fortemente in crescita soprattutto nel nostro Paese, è minacciato da carenze di competenze e manodopera, invecchiamento demografico, disuguaglianze di genere nelle STEM e scarsa attrattività per i talenti internazionali, fattori che ne riducono competitività e sostenibilità. Per rispondere a queste sfide, la Commissione europea ha presentato nel 2025 l’“Union of Skills”, al fine di garantire pari accesso a istruzione e lavoro di qualità, sostenere la competitività delle imprese con competenze adeguate alla transizione digitale e verde, rendere trasparenti e riconosciute le qualifiche in tutta l’UE e attrarre e trattenere talenti. Il capitale umano costituisce da sempre la risorsa strategica su cui costruire il futuro di un Paese. Investire nello sviluppo del capitale umano significa oggi dotare persone e organizzazioni degli strumenti necessari per comprendere, governare e orientare il cambiamento, anziché subirlo”. LEGGI TUTTO