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    La missione spaziale cinese Chang’e 6 ha portato sulla Terra alcuni campioni di suolo lunare

    Poco dopo le 8 del mattino di martedì 25 giugno la missione lunare cinese senza equipaggio Chang’e 6 è tornata sulla Terra, portando con sé alcuni frammenti di suolo della Luna raccolti dal suo emisfero nascosto. La capsula contenente i campioni è atterrata nella Mongolia Interna, una regione autonoma della Cina, rallentata nella sua discesa da un paracadute. I campioni saranno ora recuperati e analizzati per verificare le caratteristiche del suolo lunare in un’area raramente esplorata. È la prima volta che del suolo della faccia nascosta della Luna viene trasportato sulla Terra.Operazioni di recupero della capsula spaziale contenente i campioni di suolo lunare (CNSA)
    Chang’e 6 è la sesta missione del Programma cinese per l’esplorazione lunare iniziato nel 2007 con Chang’e 1, la prima iniziativa per raggiungere l’orbita lunare. Chang’e è il nome della dea della Luna in diverse mitologie cinesi e, missione dopo missione, l’iniziativa ha permesso alla Cina di compiere grandi progressi nelle complicate attività per raggiungere il suolo lunare. L’obiettivo fu raggiunto una prima volta da Chang’e 3 nel 2013, rendendo la Cina il terzo paese nella storia a compiere un allunaggio controllato dopo gli Stati Uniti e la Russia ai tempi dell’Unione Sovietica. LEGGI TUTTO

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    La NASA è responsabile dei danni causati dai detriti dei suoi satelliti?

    Caricamento playerA marzo un oggetto bizzarro, caduto dal cielo, ha squarciato il tetto di un’abitazione della città di Naples, in Florida, negli Stati Uniti. Non ha causato feriti, ma per gli abitanti della casa è stato causa di un grosso spavento: il proprietario, Alejandro Otero, ha raccontato al Washington Post di aver ricevuto una chiamata dal figlio «in preda al panico», e di essere tornato rapidamente a casa per capire cosa fosse successo, trovando «un buco nel tetto e nel pavimento del secondo piano» e «un insolito proiettile – un pezzo denso e cilindrico di metallo carbonizzato, poco più piccolo di una lattina di zuppa – conficcato in un muro». Otero ha detto di essersi reso subito conto che non si trattava di un oggetto qualunque, ma che era una cosa che «veniva dallo Spazio».
    La NASA – acronimo che sta per National Aeronautics and Space Administration, ovvero l’agenzia aerospaziale statunitense – ha poi confermato che l’oggetto cilindrico faceva parte di un carico di vecchie batterie, partito dalla Stazione spaziale internazionale nel marzo del 2021. L’oggetto, che fa parte della più ampia categoria di “spazzatura spaziale”, sarebbe normalmente dovuto bruciare e quindi scomparire nel momento del rientro nell’atmosfera terrestre, ma è invece rimasto abbastanza intatto da perforare il tetto degli Otero, che ora hanno chiesto un risarcimento per danni, principalmente per motivi psicologici, alla NASA stessa.
    La NASA ha sei mesi per decidere se rimborsare la famiglia o se aprire un caso legale al riguardo: in ogni caso si tratta di una decisione che creerebbe un precedente, dato che non è mai successo prima che un oggetto lanciato in orbita dagli Stati Uniti e poi caduto dallo Spazio abbia causato qualche tipo di danno a cittadini statunitensi.
    La distinzione del paese di lancio dell’oggetto e della nazionalità delle persone coinvolte è importante perché in realtà esiste un accordo internazionale che regolamenta quel che succede in questi casi (il Trattato sullo Spazio extratmosferico del 1967), ma si applica soltanto nei casi in cui un oggetto lanciato nello Spazio da un paese caschi nel territorio di un altro stato. In quel caso, lo stato di lancio è responsabile di qualsiasi compensazione finanziaria che potrebbe derivare dai costi di danneggiamento o di bonifica.
    In questo caso, invece, è una questione interna agli Stati Uniti – è un oggetto statunitense che danneggia proprietà statunitensi – che viene però osservata con attenzione dagli esperti. Il forte aumento di rifiuti nello Spazio negli ultimi anni, infatti, ha fatto aumentare le preoccupazioni attorno al fatto che questi casi in futuro possano diventare un po’ più frequenti. Già nel 2021 la professoressa Timiebi Aganaba, che si occupa del rapporto tra Spazio e società all’Università dell’Arizona, scriveva che «l’attuale legge spaziale ha funzionato finora perché i casi erano pochi e rari, e sono stati affrontati in modo diplomatico. Man mano che un numero crescente di oggetti viene mandato in orbita, però, i rischi aumenteranno inevitabilmente».
    Tecnicamente, tutti gli oggetti che si trovano nell’orbita terrestre stanno sempre cadendo verso la Terra. I satelliti attivi hanno dei sistemi che permettono loro di rimanere nell’orbita prevista, e quindi di rimanere sostanzialmente in equilibrio, mentre i satelliti inattivi (quelli che smettono di funzionare o vengono disabilitati per qualche motivo) non hanno più modo di opporsi alla gravità, e cadono fino a rientrare nell’atmosfera terrestre. Nel 2023 i satelliti attivi in orbita attorno alla Terra erano oltre 7.700, e quelli inattivi circa 3.300.
    Ci sono principalmente due cose che si possono fare per gestire un satellite inattivo. La prima è spostarli in un’orbita più alta, la cosiddetta “orbita cimitero”, abbastanza lontana dalla Terra che l’oggetto ci metterà centinaia di anni a raggiungere l’atmosfera. La seconda è orientare il satellite in modo che bruci del tutto nell’atmosfera o possa comunque causare danni minimi nell’impatto con il suolo.
    Può capitare però che alcuni rifiuti spaziali rientrino in modo incontrollato nell’atmosfera terrestre: anche in questo caso, raramente sopravvivono alle altissime temperature raggiunte prima di arrivare al suolo. È successo per esempio nel 1979, quando i detriti dello Skylab, la prima stazione spaziale statunitense, precipitarono nell’Australia occidentale senza però causare danni. Nel 1978, invece, i resti del satellite sovietico a propulsione nucleare Cosmos 954 caddero sul Canada settentrionale, diffondendo detriti radioattivi: è l’unico caso in cui un paese (il Canada) ha chiesto di essere rimborsato da un altro (l’Unione Sovietica) in base al Trattato sullo Spazio extratmosferico.
    «Se l’incidente fosse avvenuto all’estero e qualcuno in un altro paese fosse stato danneggiato dagli stessi detriti spaziali che hanno colpito gli Otero, gli Stati Uniti sarebbero assolutamente stati tenuti a rimborsarlo per i danni», ha detto l’avvocata della famiglia Mica Nguyen Worthy. «Peraltro, se i detriti fossero caduti qualche metro più in là avrebbero potuto esserci lesioni gravi o mortali». La famiglia ha chiesto un indennizzo che comprende i danni materiali causati dal buco nel tetto, i costi per l’assistenza di terzi e i danni causati dall’angoscia emotiva e mentale provocata da un evento così imprevisto. LEGGI TUTTO

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    Il Sole sta invertendo il suo campo magnetico

    Caricamento playerL’aurora boreale e i fenomeni collegati dello scorso maggio osservati a basse latitudini, anche in Italia, sono stati gli indizi più visibili dell’attività solare ormai prossima al proprio massimo, ma chi studia la nostra stella sta attendendo con interesse un altro fenomeno che porterà il Sole a invertire il proprio campo magnetico. Non è un evento insolito o preoccupante e non avrà effetti catastrofici per la Terra, ma è forse il miglior promemoria su quante cose ancora ci sfuggono sul funzionamento della più grande fonte di energia di tutto il sistema solare, da cui dipendono le nostre esistenze.
    I ritmi del Sole sono ciclici, per quanto non molto regolari: in media ogni 11 anni la nostra stella raggiunge un massimo di attività per poi tranquillizzarsi fino a raggiungere un minimo, dopo il quale il ciclo ricomincia. In linea di massima, quando il Sole è più attivo c’è una maggiore frequenza e intensità di alcuni fenomeni, come le tempeste magnetiche, l’emissione di grandi quantità di particelle e le eruzioni solari, esplosioni altamente energetiche. Le cause di questa ciclicità non sono completamente chiare, ma in secoli di osservazioni è stato possibile identificare particolari andamenti e indizi che permettono di calcolare l’andamento di ogni ciclo, le sue caratteristiche e le conseguenze per la Terra, che si trova in media a 150 milioni di chilometri dal Sole.
    Gli indizi più evidenti, tanto da essere stati osservati per la prima volta due millenni fa, sono le “macchie solari”, cioè punti della superficie solare più freddi rispetto a ciò che li circonda: se mediamente il Sole ha una temperatura superficiale di circa 5.500 °C, le macchie solari raggiungono al massimo una temperatura intorno ai 3.600 °C. La quantità di macchie solari tende a cambiare nel corso del tempo e proprio osservando il loro andamento si è concluso che compaiono in gran numero quando il Sole raggiunge il massimo della propria attività.
    Macchie solari osservate nell’ottobre del 2014 (NASA)
    L’ipotesi più condivisa è che le macchie solari siano una conseguenza di ciò che avviene nella “zona convettiva” del Sole, uno strato interno e non osservabile direttamente nel quale l’energia termica prodotta dalla stella raggiunge la superficie. In questa zona il plasma (un gas estremamente caldo e carico elettricamente) che si trova verso l’esterno è più freddo e denso, di conseguenza tende a ricadere verso l’interno dove si scalda e torna verso la superficie cedendo energia.
    Le quantità di energia coinvolte nel processo sono tali da portare anche alla formazione di forti campi magnetici, che nelle fasi di alta attività solare possono diventare instabili portando alla formazione delle macchie sulla superficie della stella. Ogni macchia ha un proprio campo magnetico che viene perturbato dai flussi di plasma indebolendolo o rafforzandolo a seconda dei casi. Dalle zone in cui emergono, di solito sopra o sotto l’equatore del Sole, i flussi si spostano verso i poli e tendono ad avere un campo magnetico orientato in senso opposto rispetto a quello solare in quel momento.
    Il Sole in sezione: sotto la superficie è visibile la zona convettiva (NASA)
    Nelle fasi di massima attività solare, i campi magnetici provenienti dalle macchie solari sono talmente tanti e intensi da annullare la polarità normalmente presente ai poli del Sole e sostituirla con una nuova opposta a quella di partenza. Questo processo fa sì che in media ogni 11 anni il Sole inverta il proprio campo magnetico.
    Nel 2004, per esempio, il polo sud solare aveva una polarità negativa, quasi completamente scomparsa nel 2013 e sostituita completamente da una polarità positiva negli anni seguenti. Il processo di inversione del campo magnetico non è infatti repentino, ma richiede diverso tempo e dal momento in cui il cambiamento è più evidente trascorrono circa due anni prima che sia completo. Il Sole non è comunque molto puntuale e in alcuni cicli sono stati necessari fino a cinque anni prima che si completasse l’inversione.
    Le condizioni iniziali del polo sud solare nel 2004 (a) e la progressiva inversione della polarità iniziata nel 2013 (b) e conclusa nel 2017 (c), in una elaborazione basata sui dati dell’attività del Sole (J. Space Weather Space Clim.)
    Il modo in cui è orientato nel suo complesso il campo magnetico del Sole può avere qualche conseguenza per la Terra, costantemente esposta alle particelle cariche che arrivano dalla stella e dalle quali si protegge grazie al proprio campo magnetico. Nei periodi in cui la polarità è negativa al polo nord solare ed è positiva al polo sud, il campo che si genera è opposto a quello della Terra e ci possono essere conseguenze sull’intensità delle tempeste solari, che possono causare forti interferenze nei sistemi di telecomunicazioni sia satellitari sia al suolo, oltre a effetti più scenografici come le aurore.

    Per questo l’attività solare viene osservata con grande attenzione e negli ultimi anni ci sono stati importanti progressi nella raccolta di dati, grazie allo sviluppo di nuove sonde. Solar Orbiter dell’Agenzia spaziale europea è stato lanciato nel 2020 per studiare le zone polari del Sole, in modo da prevedere i prossimi cicli solari e la loro intensità. Un paio di anni prima la NASA aveva messo in servizio Parker Solar Probe, una sonda che si sta avvicinando il più possibile al Sole, con l’obiettivo di compiere un passaggio ravvicinato ad appena (in termini astronomici) 6 milioni di chilometri dalla superficie solare. Altri telescopi sulla Terra sono invece utilizzati per mappare le macchie solari e produrre immagini ad alta risoluzione della superficie della nostra stella.
    Studiare il Sole non serve solamente a capire come funzioni la più importante fonte di energia per la nostra esistenza. Il Sole è una stella relativamente comune, come miliardi di altre stelle simili solo nella Via Lattea, la nostra galassia. Comprenderne il funzionamento rende possibile lo studio più accurato di sistemi solari diversi dal nostro e consente di fare confronti con altri tipi di stelle e capire se possano creare condizioni compatibili per la vita, su mondi lontani e che per ora nemmeno immaginiamo. Per quanto sia a 150 milioni di chilometri da noi, il Sole è la cavia perfetta per farlo. LEGGI TUTTO

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    La NASA ha allarmato per sbaglio un po’ di gente

    Caricamento playerA causa di un inconveniente tecnico la NASA ha trasmesso in diretta per circa otto minuti sul proprio canale ufficiale della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) una simulazione su un’emergenza sanitaria a bordo, senza specificare che si trattasse di un test. Molte persone hanno quindi pensato che ci fosse un’effettiva emergenza e hanno segnalato il problema sui social network, generando una certa apprensione e obbligando la NASA a pubblicare un insolito messaggio per spiegare l’errore e rassicurare sulle condizioni di salute dell’equipaggio sulla ISS.
    La simulazione di emergenza era stata trasmessa intorno alle 00:30 (ora italiana) di giovedì, con la segnalazione di una malattia da decompressione che aveva coinvolto un astronauta a bordo della Stazione. Una persona dal centro di controllo di Hawthorne, in California, si era identificata come medica di bordo e aveva poi iniziato a fornire alcuni consigli sulle pratiche da seguire in orbita. Aveva suggerito di fare indossare all’astronauta una delle tute per le attività extraveicolari (quelle che vengono comunemente definite “passeggiate spaziali”), in modo da pressurizzarla e iniziare un trattamento con l’ossigeno per ridurre i sintomi dovuti alla decompressione.
    La medica aveva aggiunto che la prognosi per l’astronauta non era incoraggiante e che sarebbe stato necessario un suo rientro anticipato sulla Terra, in modo da poterlo sottoporre ad altri trattamenti in ospedale. La malattia da decompressione si verifica quando ci si sottopone a una rapida riduzione della pressione nell’ambiente, per esempio in seguito a un’emersione rapida da una certa profondità nell’acqua, tale da far sì che i gas normalmente disciolti nel sangue o nei tessuti formino piccole bolle all’interno dei vasi sanguigni che possono provocare danni importanti.
    La ISS è costantemente pressurizzata rispetto all’ambiente spaziale circostante e così lo sono le tute da indossare per le attività extraveicolari. Gli astronauti si sottopongono a lunghe ore di preparazione prima di una attività all’esterno della Stazione anche per acclimatarsi alle diverse condizioni di pressione. Perdite nella tuta o in alcuni ambienti della ISS potrebbero causare una malattia da decompressione e per questo si effettuano test e simulazioni per garantire la sicurezza degli equipaggi.
    Dopo otto minuti circa di trasmissione accidentale della simulazione senza avvertenze, la NASA ha diffuso un comunicato per smentire le notizie su un’emergenza a bordo e spiegare l’errore:
    Non è in corso alcuna situazione di emergenza a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Intorno alle 00:28 l’audio è stato trasmesso sul live streaming della NASA da un canale audio di simulazione a terra indicando che un membro dell’equipaggio stava sperimentando effetti legati alla malattia da decompressione (MDD). Questo audio è stato inavvertitamente deviato da una simulazione in corso in cui i membri dell’equipaggio e le squadre di terra si addestrano per vari scenari nello spazio e non è correlato a un’emergenza reale. In quel momento i membri dell’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale erano nel periodo di sonno.
    La simulazione era quindi avvenuta esclusivamente a terra e non aveva coinvolto in alcun modo l’equipaggio sulla ISS, che in quelle ore stava dormendo in vista di una attività extraveicolare programmata per giovedì. Attualmente a bordo della Stazione ci sono sei astronauti statunitensi e tre cosmonauti russi. LEGGI TUTTO

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    Un nuovo successo per Starship

    Caricamento playerStarship, l’enorme astronave della società spaziale privata statunitense SpaceX, è tornata per la prima volta intera sulla Terra dopo un lancio sperimentale. Il lancio è avvenuto dalla base di Boca Chica, in Texas, senza equipaggio ed è considerato un nuovo importante progresso dopo i miglioramenti ottenuti con i tre test svolti in precedenza. SpaceX deve comunque effettuare ancora molti lanci prima di poter gestire i viaggi verso la Luna, come previsto dagli accordi con la NASA.

    SpaceX lavora a Starship da una decina di anni con l’obiettivo di sviluppare un sistema di lancio e un’astronave molto più potenti dei razzi che attualmente utilizza per portare satelliti in orbita ed equipaggi verso la Stazione Spaziale Internazionale. Oltre al contratto miliardario con la NASA, che vincola l’azienda ai piani lunari, SpaceX ha in programma di utilizzare Starship per trasportare in orbita satelliti e per far raggiungere un giorno agli astronauti Marte, il progetto più ambizioso di Elon Musk, il CEO della società e capo di Tesla e X.
    Il lancio è avvenuto alle 14:50 (ora italiana) con la grande astronave alta 50 metri che ha superato l’atmosfera, spinta da Super Heavy, il razzo alto 70 metri e dotato di 33 motori alimentati a ossigeno liquido e metano liquido. Il precedente volo sperimentale di Starship era avvenuto il 14 marzo scorso.
    Raggiunto l’ambiente spaziale, Super Heavy si è separato da Starship e ha avviato una manovra per tornare verso la Terra. A poche migliaia di metri dalle acque del Golfo del Messico, il razzo ha riacceso i motori per effettuare un ammaraggio controllato in assetto verticale. Non era mai accaduto prima che Super Heavy tornasse integro sulla Terra, uno dei principali progressi rispetto al test sperimentale dello scorso marzo quando si era distrutto nelle fasi di rientro.
    Starship inquadrata dal lato dello scudo termico (nero), montata sopra Super Heavy sulla rampa di lancio (SpaceX)
    Oggi come a marzo, SpaceX non aveva intenzione di recuperare né Super Heavy né Starship, ma sperimentare rientri meno traumatici è essenziale per mettere a punto le prossime versioni del sistema, quando sia il razzo sia l’astronave saranno riutilizzabili per più lanci.
    Il lancio di oggi aveva diverse somiglianze con il test dello scorso marzo, anche se SpaceX ha rivisto alcuni obiettivi, rinunciando per esempio ai test di riaccensione nell’ambiente spaziale di alcuni motori di Starship. L’obiettivo principale era riuscire a governare l’astronave, in modo che si potesse orientare nel modo corretto per effettuare il rientro circa 50 minuti dopo il lancio, resistendo alle temperature fino a 1.400 °C che si sviluppano a causa dell’interazione con l’atmosfera.
    L’astronave è protetta da 18mila piastrelle di ceramica esagonali, ciascuna grande più o meno quanto un piatto, e il test serviva per verificare la loro resistenza e soprattutto la capacità di rimanere saldamente attaccate al resto dell’astronave.
    Il piano di manovra di Starship per il lancio sperimentale di oggi (SpaceX)
    Starship è rientrata nell’atmosfera in assetto orizzontale e ha poi terminato il proprio viaggio nell’oceano Indiano. Per quanto malconcia a causa delle forti sollecitazioni subite durante il rientro, quando si trovava a poca distanza dall’acqua Starship ha acceso i motori per compiere un’ultima manovra e mettersi nuovamente in assetto verticale in modo da rallentare la discesa prima del contatto con l’oceano. Non era mai successo prima che l’astronave riuscisse a raggiungere l’acqua: nel test dello scorso marzo si era disintegrata durante il rientro.

    SpaceX ha in più occasioni ricordato che in questa fase i lanci sono semplicemente dei test, cioè un modo per sperimentare un sistema mai utilizzato prima e raccogliere una grande quantità di dati, che saranno utilizzati per i futuri lanci. LEGGI TUTTO

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    La capsula spaziale Starliner ha effettuato il suo primo lancio con astronauti a bordo

    Poco prima delle 17 (ora italiana) la capsula spaziale Starliner di Boeing è partita per la prima volta dalla base di lancio di Cape Canaveral negli Stati Uniti con due astronauti della NASA a bordo, dopo alcuni rinvii nelle settimane scorse dovuti a problemi tecnici di vario tipo. Starliner è stata trasportata oltre l’atmosfera terrestre da un razzo Atlas V di United Launch Alliance e nelle prossime ore raggiungerà la Stazione Spaziale Internazionale (ISS).A bordo di Starliner ci sono: Barry E. Wilmore, che ha 61 anni ed è al proprio terzo lancio, e Sunita L. Williams che di anni ne ha 58 ed è alla terza esperienza nello Spazio. Raggiunta la ISS, i due astronauti rimarranno a bordo per una settimana circa, in compagnia dell’equipaggio che svolge missioni di lunga permanenza sulla Stazione, poi torneranno su Starliner per raggiungere nuovamente la Terra.
    Il test serve per verificare i sistemi di lancio della capsula, quelli di attracco e quelli di atterraggio, in modo da ricevere le certificazioni finali da parte della NASA per diventare ufficialmente uno dei veicoli privati da impiegare per trasportare persone e materiale verso e dalla Stazione Spaziale Internazionale. Attualmente per queste attività la NASA può fare affidamento solamente su SpaceX, la società spaziale privata di Elon Musk, e sui sistemi di lancio Soyuz dell’Agenzia spaziale russa (Roscosmos). LEGGI TUTTO

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    La Cina ha annunciato che un suo lander senza equipaggio è atterrato sul lato nascosto della Luna

    Sabato sera l’Agenzia spaziale cinese (CNSA) ha annunciato che un lander (cioè un robot costruito per compiere un atterraggio) della missione Chang’e 6 è riuscito ad atterrare sul lato nascosto della Luna, dove preleverà alcuni campioni di terreno e roccia da portare sulla Terra: se la missione verrà completata la Cina sarà il primo paese a riuscire a riportare sulla terra dei campioni della parte nascosta della Luna, cui si sa pochissimo.Si pensa che il lato nascosto possa avere una composizione chimica diversa da quella del lato meglio conosciuto, che è principalmente composto da rocce vulcaniche, e che contenga del ghiaccio: l’area non è mai visibile dalla Terra e già qualche anno fa erano state trovate tracce di ghiaccio in alcuni crateri costantemente in ombra sul lato visibile della Luna. Chang’e è il nome della dea della Luna in diverse mitologie cinesi.
    La Chang’e 6, partita dalla Terra il 3 maggio, è una delle missioni senza equipaggio più complesse e ambiziose della CNSA, a cui la Cina si preparava da molti anni: l’atterraggio sulla parte nascosta della Luna è particolarmente difficile poiché la comunicazione fra la Terra e il lander è disturbata dai profondi crateri presenti.
    Nel 2019, con la missione Chang’e 4 aveva portato sul lato nascosto della Luna un piccolo robot per studiarne la composizione del suolo e gli effetti del vento solare sulla sua superficie, ma senza riuscire a portare niente indietro. L’anno successivo la missione Chang’e 5 aveva raccolto e riportato sulla Terra dei campioni del lato visibile della Luna: la Cina era diventata così il terzo paese a riuscirci dopo gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

    – Leggi anche: La Cina fa sul serio con la Luna LEGGI TUTTO

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    Boeing ci riprova con Starliner

    Caricamento playerAggiornamento del 7 maggio 2024A causa di un problema tecnico legato al razzo Atlas V, il lancio di Starliner è stato rinviato a non prima di venerdì 10 maggio. Il rinvio consentirà ai tecnici di effettuare alcune verifiche su una valvola di regolazione della pressione sul serbatoio di ossigeno liquido dello stadio superiore del razzo, i tempi potrebbero allungarsi nel caso in cui si renda necessaria una sostituzione della valvola.
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    Il 20 dicembre 2019 i tecnici di Boeing osservarono con un certo imbarazzo il mezzo fallimento della prima missione di test senza equipaggio di Starliner, la loro nuova capsula spaziale in ritardo di anni sulla consegna e costata alla NASA miliardi di dollari. A causa di un problema tecnico, Starliner aveva mancato la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e sarebbe quindi rientrata sulla Terra senza possibilità di verificare i propri sistemi di attracco. Fu necessario un anno e mezzo di lavoro per risolvere i problemi riscontrati con la prima missione e infine raggiungere la ISS con un nuovo volo sperimentale, ancora una volta senza astronauti a bordo e con altri problemi tecnici. Dopo altri due anni passati a risolverli, Starliner è infine pronta per portare i primi astronauti in orbita: è una delle missioni spaziali più importanti e attese del 2024, un anno estremamente difficile per Boeing.
    L’azienda, una delle più importanti e storiche degli Stati Uniti con numerosi contratti pubblici nel settore aerospaziale, è stata per mesi al centro dell’attenzione delle autorità di controllo e dei media in seguito al distacco in volo di una porta di emergenza da un proprio aeroplano, un Boeing 737 MAX 9, il 5 gennaio scorso. L’aereo aveva effettuato un atterraggio di emergenza e tre delle 177 persone a bordo erano state lievemente ferite. L’incidente aveva portato a nuove critiche e dubbi sugli standard di sicurezza seguiti da Boeing nella produzione dei propri aerei, dopo che tra il 2018 e il 2019 due 737 MAX erano precipitati per evidenti responsabilità dell’azienda.
    Da diversi anni Boeing è quindi in difficoltà con la propria immagine e ha rischiato di perdere importanti contratti con alcune compagnie aeree a favore di Airbus, l’unica altra grande società produttrice di aerei civili al mondo. Starliner è realizzata da una divisione completamente diversa rispetto a quella che si occupa degli aeroplani, ma il marchio è comunque Boeing e i problemi riscontrati con la capsula negli anni scorsi fanno sì che la grande attesa che precede sempre i primi lanci con equipaggio sia un po’ diversa dal solito, con qualche elemento di attenzione in più soprattutto da parte dei media statunitensi.
    Salvo rinvii, il primo lancio con equipaggio di Starliner avverrà quando in Italia saranno le 4:34 del mattino di martedì 7 maggio da Cape Canaveral, il principale centro di lancio spaziale della NASA. La capsula, a forma di tronco di cono e che ricorda altri veicoli spaziali come quelli impiegati un tempo per le missioni lunari Apollo, è stata collocata in cima a un razzo Atlas V di United Launch Alliance: i motori del razzo avranno il compito di spingere la capsula oltre l’atmosfera e sulla giusta traiettoria per incrociare la Stazione Spaziale Internazionale, in orbita a circa 400 chilometri di altitudine a una velocità di 27.500 chilometri orari.
    Starliner sulla rampa di lancio a Cape Canaveral, Florida, Stati Uniti (AP Photo/Terry Renna)
    A bordo di Starliner ci saranno due astronauti di esperienza della NASA: Barry E. Wilmore, che ha 61 anni ed è al proprio terzo lancio, e Sunita L. Williams che di anni ne ha 58 ed è alla terza esperienza nello Spazio. Raggiunta la ISS, i due astronauti rimarranno a bordo per una settimana circa, in compagnia dell’equipaggio che svolge missioni di lunga permanenza sulla Stazione, poi torneranno su Starliner per raggiungere nuovamente la Terra. Il test servirà quindi per verificare i sistemi di lancio della capsula, quelli di attracco e quelli di atterraggio, in modo da ricevere le certificazioni finali da parte della NASA per diventare ufficialmente uno dei veicoli da impiegare per trasportare persone e materiale verso e dalla Stazione Spaziale Internazionale.
    Attualmente per queste attività la NASA può fare affidamento solamente su SpaceX, la società spaziale privata di Elon Musk, e sui sistemi di lancio Soyuz dell’Agenzia spaziale russa (Roscosmos), che mette a disposizione a pagamento alcuni posti nell’ambito dei programmi di collaborazione internazionale per il mantenimento della ISS. Fino al 2011 la NASA raggiungeva la Stazione grazie agli Space Shuttle, le grandi astronavi che partivano in verticale e tornavano sulla Terra planando come un aeroplano.
    Gli Shuttle furono però ritirati nel 2011 a causa degli alti costi di mantenimento e nel 2014 la NASA decise di affidare il compito di trasportare gli equipaggi nell’orbita bassa della Terra alle aziende private. SpaceX e Boeing vinsero gli appalti per costruire due sistemi alternativi di trasporto, ottenendo rispettivamente un finanziamento da 2,6 miliardi di dollari e da 4,2 miliardi di dollari. Nel 2020 SpaceX effettuò il primo volo con astronauti della sua capsula Crew Dragon e da allora ha trasportato 11 equipaggi verso la ISS, a differenza di Boeing che ha accumulato grandi ritardi e ha dovuto investire molto più denaro per superare imprevisti e problemi tecnici.
    La prima missione di prova nel 2019 si concluse senza raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale: a causa di un’anomalia nel sistema per calcolare il tempo trascorso dal momento del lancio, la capsula non aveva raggiunto il livello orbitale necessario per attraccare alla ISS. La capsula tornò sulla Terra normalmente e il test permise comunque alla NASA di rilevare decine di problemi e cose da sistemare in vista di un secondo tentativo, sempre senza equipaggio a bordo.
    Il lancio di Starliner il 20 dicembre 2019 da Cape Canaveral, Florida, Stati Uniti (AP Photo/Terry Renna)
    In seguito alcuni responsabili della NASA ammisero di non avere seguito Boeing con le stesse cautele con cui avevano seguito lo sviluppo di Crew Dragon da parte di SpaceX, semplicemente perché l’agenzia aveva una collaborazione di lunga data con Boeing sia in termini di personale sia di sistemi impiegati. Quella familiarità secondo alcuni osservatori sarebbe diventata anche una delle cause dei lenti e costosi progressi dello Space Launch System, il grande razzo sviluppato dalla NASA con migliaia di aziende in appalto per raggiungere l’orbita lunare nell’ambito del progetto Artemis.
    Alle difficoltà tecniche e di sviluppo, negli anni dopo l’insuccesso del 2019 si aggiunse la pandemia da coronavirus, che rallentò sensibilmente i lavori per correggere i problemi riscontrati su Starliner e per preparare una nuova capsula per una missione sperimentale. Il secondo lancio di test fu infine effettuato nel maggio del 2022 e per la prima volta la capsula spaziale riuscì ad attraccare regolarmente alla ISS, con il sollievo di molti tra i responsabili dell’azienda e della NASA.
    Non andò comunque tutto liscio nemmeno con il secondo test. Dopo il rientro al suolo della capsula, e la sua analisi, furono scoperti due problemi non secondari. I tecnici notarono che alcuni degli ancoraggi del sistema di paracadute, che si aprono una volta che la capsula è rientrata nell’atmosfera, avrebbero potuto cedere in caso di sollecitazioni maggiori rispetto a quelle normalmente attese, di conseguenza si resero necessarie alcune modifiche strutturali. Un’ispezione dei chilometri di cavi del sistema elettrico e di trasmissione dei dati fece inoltre emergere un problema legato al nastro isolante impiegato per assicurare i cavi: sopra una certa temperatura, prendeva facilmente fuoco. Fu quindi necessario sostituire circa un chilometro e mezzo di nastro isolante per sostituirlo con un’altra soluzione.
    La sistemazione di questi e altri problemi rese necessario un nuovo slittamento del primo test con equipaggio, inizialmente programmato per il mese di luglio del 2023. In mancanza del nuovo sistema di trasporto, la NASA fu costretta a rivedere parte del proprio calendario, spostando alcuni astronauti da Starliner a Crew Dragon per mantenere le normali rotazioni degli equipaggi che trascorrono circa sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale.
    I rinvii e i problemi riscontrati in questi anni hanno contribuito a fare aumentare l’attesa per il primo test con astronauti di Starliner. La NASA ha ribadito in più occasioni che la sicurezza dei propri equipaggi è da sempre la priorità, che i sistemi della capsula spaziale sono stati verificati e sperimentati più volte e che avere un secondo fornitore di trasporti verso la ISS oltre a SpaceX offrirà maggiori opportunità e alternative in caso di problemi tecnici.
    Wilmore e Williams occuperanno due dei cinque-sette posti a disposizione (la quantità varia a seconda della configurazione) nella capsula a tronco di cono che ha un diametro di 4,6 metri e un’altezza di cinque metri, comprensiva di un cilindro alla base – il Modulo di servizio – che viene impiegato per il trasporto di materiale e per altre strumentazioni. Dopo circa 4 minuti dal lancio, la parte (stadio) più grande del razzo Atlas V si separerà e ricadrà sulla Terra (non è previsto il suo recupero), mentre Starliner proseguirà il proprio viaggio spinto dal secondo stadio del razzo che si separerà una decina di minuti dopo. La capsula effettuerà poi l’ingresso nell’orbita necessaria per raggiungere la ISS e attraccarvi, consentendo all’equipaggio di salire a bordo della Stazione.
    Fase di preparazione di Starliner (Boeing)
    Se tutto procederà come previsto, dopo una settimana Wilmore e Williams saliranno nuovamente su Starliner che si separerà dalla ISS. Il suo scudo termico proteggerà il resto della capsula dall’alta temperatura che si sviluppa nelle turbolente fasi di rientro nell’atmosfera e infine si apriranno i paracadute per rallentare la discesa della capsula prima del suo arrivo al suolo negli Stati Uniti sud-occidentali.
    Starliner dopo il suo arrivo nell’area di White Sands, New Mexico, nel dicembre del 2020 (Bill Ingalls/NASA via AP)
    A differenza di Crew Dragon che si tuffa nell’oceano dove viene poi recuperata, Starliner è stata progettata per atterrare sulla terraferma, come fanno le Soyuz russe. Il rientro può essere in alcuni casi un poco più traumatico di un ammaraggio, ma semplifica di molto le attività delle squadre di recupero che non devono fare i conti con le condizioni del mare.
    Il ritorno sulla Terra segnerà la conclusione del test e renderà infine totalmente operativa Starliner, che nelle intenzioni di Boeing sarà una capsula riutilizzabile per una decina di viaggi prima di dover essere sostituita (la società ne realizzerà più di una). Starliner-1, la prima missione vera e propria, sarà effettuata all’inizio del 2025 e consentirà di trasportare sulla ISS due astronauti statunitensi, un astronauta canadese e uno giapponese. Come Crew Dragon, anche Starliner sarà utilizzata dalle altre agenzie spaziali che collaborano alla ISS, compresa l’Agenzia spaziale europea. LEGGI TUTTO