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    L’inquinamento luminoso è in rapido aumento

    Una nuova ricerca da poco pubblicata sulla rivista scientifica Science ha segnalato come il fenomeno dell’inquinamento luminoso sia in rapido aumento, a un ritmo superiore rispetto a quanto stimato finora. Secondo il gruppo di ricerca, se il bagliore notturno continuerà ad aumentare a questi ritmi, in una ventina di anni potrebbero più che dimezzarsi le stelle visibili a occhio nudo in varie parti del mondo. La grande quantità di luce artificiale non è solo un problema per le osservazioni astronomiche, ma anche per i cicli sonno-veglia della popolazione e di numerose specie di animali.Insieme ai propri colleghi, Christopher Kyba, un fisico presso il Centro tedesco di ricerca per le geoscienze, ha analizzato i datti raccolti tra il 2011 e il 2022 da Globe at Night, una iniziativa avviata dal National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory (NOIRLab) negli Stati Uniti per raccogliere le segnalazioni di astrofili sulle stelle e gli altri corpi celesti osservabili a occhio nudo in determinati periodi dell’anno. Raccolte in grande quantità, queste segnalazioni consentono di farsi un’idea piuttosto accurata dell’inquinamento luminoso in varie aree del pianeta.Il gruppo di ricerca ha analizzato 51.351 osservazioni fornite tra il 2011 e il 2022 dai volontari di Globe at Night e le ha incrociate con altri dati, come le osservazioni effettuate da alcuni satelliti puntati verso la Terra proprio con lo scopo di rilevare l’intensità del bagliore notturno. I risultati ottenuti hanno permesso di stimare molto più accuratamente il livello di inquinamento luminoso, che per varie ragioni non può essere misurato molto facilmente dall’orbita terrestre con gli attuali strumenti.Nel 2017, le sole misurazioni satellitari avevano portato a calcolare un aumento del bagliore notturno medio globale del 2 per cento all’anno, ma la mancanza di sensori adeguati per rilevare la luce molto fredda (“luce blu”) emessa da molti tipi di lampade fluorescenti e a LED rendeva poco credibile il dato. All’epoca vari gruppi di ricerca avevano segnalato di essere molto scettici sul dato del 2 per cento.La nuova ricerca segnala che in Europa il bagliore notturno aumenta del 6,5 per cento ogni anno e che quello nel Nord America del 10,4 per cento. Nei paesi in via di sviluppo sono attivi meno volontari di Globe at Night, di conseguenza è più difficile fare stime accurate. Sulla base delle rilevazioni satellitari, per quanto carenti, il gruppo di ricerca ritiene che l’aumento del bagliore notturno stia avvenendo più velocemente su base annua, fatte le dovute proporzioni.Ci sono vari modi per calcolare il bagliore notturno, che semplificando può essere definito come il rapporto tra la luminosità che viene misurata in un certo momento e quella che avrebbe normalmente il cielo, se non ci fossero sorgenti artificiali. A causa dei fenomeni di rifrazione nell’atmosfera, un bagliore diffuso derivante dalla luce solare è sempre presente, per esempio.Kyba ha spiegato che: «Se questo andamento proseguirà, i bambini nati oggi in un’area in cui a causa dell’inquinamento luminoso possono vedere 250 stelle assisteranno a un quadruplicarsi del bagliore notturno entro il loro diciottesimo compleanno, di conseguenza vedranno solamente 100 stelle». I numeri sono naturalmente riferiti a un’ipotetica porzione di cielo, ma rendono l’idea sulla drastica diminuzione di corpi celesti che potranno essere osservati a occhio nudo.Il nuovo studio sta facendo discutere soprattutto perché i suoi risultati sembrano mettere in dubbio le politiche adottate da vari paesi, proprio per ridurre l’inquinamento luminoso. I provvedimenti assunti, come l’impiego di nuovi lampioni che dirigano la luce solamente verso il basso, non sembrano essere sufficientemente efficaci od osservati a dovere. È bene comunque ricordare che la ricerca è un progresso importante rispetto alle stime precedenti, ma che solo con migliori strumenti di misurazione dall’orbita terrestre si potranno trarre informazioni più accurate per valutare il problema. Satelliti di nuova generazione potranno offrire ulteriori elementi, anche sulle aree del mondo dove è minore la presenza degli esseri umani.L’esistenza dell’inquinamento luminoso non è comunque messa in discussione ed è sufficiente osservare il cielo di notte in buona parte delle città dei paesi sviluppati per accorgersene. Oltre alle segnalazioni di astronomi e astrofili, negli ultimi anni sono state prodotte numerose ricerche per segnalare i danni dell’eccessiva luminosità notturna sulla fauna, e più in generale sugli ecosistemi. Anche a grande distanza dalle città, gli animali possono patire i forti bagliori di luce, modificando le proprie abitudini e sovvertendo i ritmi di sonno e veglia di prede e predatori, oppure i tempi e i percorsi scelti da alcune specie di animali migratori. LEGGI TUTTO

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    Il primo tentativo di Virgin Orbit per portare in orbita satelliti dal Regno Unito è fallito

    Nella notte tra lunedì e martedì è fallito l’atteso tentativo dell’azienda spaziale Virgin Orbit di portare alcuni satelliti nell’orbita terrestre: la missione prevedeva che un aereo Boeing 747 partito dalla cittadina di Newquay, sulla costa occidentale dell’Inghilterra, lanciasse da una propria ala un razzo con all’interno i satelliti, che avrebbero poi dovuto raggiungere l’orbita. A causa di un malfunzionamento il razzo non è però riuscito nell’intento, ha fatto sapere Virgin Orbit, senza fornire al momento ulteriori dettagli sul problema tecnico. Se fosse andata a buon fine, sarebbe stata la prima missione di questo genere partita dal Regno Unito e in generale dal suolo europeo.Virgin Orbit è l’azienda spaziale dell’imprenditore miliardario britannico Richard Branson: è separata da Virgin Galactic, altra azienda del gruppo Virgin fondata da Branson e dedicata a turismo spaziale. (AP Photo/Matt Hartman) LEGGI TUTTO

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    La fine di InSight, su Marte

    Caricamento playerDopo quattro anni trascorsi a raccogliere dati per scoprire le caratteristiche dell’interno di Marte, il lander InSight della NASA ha smesso di funzionare e difficilmente tornerà a comunicare con la Terra. Come previsto, nel corso degli anni la sottile sabbia marziana ha ricoperto i pannelli solari che alimentavano le batterie del lander, che non può quindi disporre di energia elettrica a sufficienza per alimentare i propri sistemi.InSight aveva trasmesso un’ultima volta alcuni dati il 15 dicembre scorso, ma non aveva poi risposto a due successivi tentativi di mettersi in contatto da parte della NASA. Mercoledì scorso i responsabili della missione hanno quindi concluso che molto difficilmente avranno ancora notizie da InSight, che rimarrà in compagnia degli altri robot inviati nel tempo su Marte e che hanno ormai terminato le loro missioni.I’m getting close to the end here, due to dust gathering on my solar panels, making it hard to generate power. People often ask: don’t I have a way to dust myself off (wiper, blower, etc.)? It’s a fair question, and the short answer is this: (🧵) pic.twitter.com/fbFjj4AXf3— NASA InSight (@NASAInSight) November 10, 2022Dal novembre del 2018, InSight si era rivelato prezioso per raccogliere dati sulle caratteristiche geologiche di Marte, rilevando i terremoti che si verificano sul pianeta. Qui sulla Terra la maggior parte degli eventi sismici è causata dai movimenti delle “placche”, le grandi porzioni di crosta terrestre che si muovono di continuo, allontanandosi e scontrandosi tra loro, con movimenti che sono causati in parte dall’alta temperatura interna del nostro pianeta. Marte è più freddo e meno turbolento: secondo i ricercatori, le scosse sismiche marziane sono dovute ai grandi sbalzi termici sulla superficie del pianeta, che portano le rocce a dilatarsi e contrarsi; qualcosa di analogo era stato già rilevato in passato sulla Luna seppure su una scala diversa.Il sismografo nel suo involucro protettivo sul suolo di Marte, in alto è visibile parte del braccio robotico che lo ha depositato sulla superficie (NASA)Utilizzando il proprio sismografo e altri strumenti, nell’ultimo anno InSight aveva permesso di rilevare anche un terremoto causato dall’impatto di un meteorite di una decina di metri di diametro, che era caduto su Marte a circa 3mila chilometri di distanza dal lander. A maggio, il robot aveva invece misurato un terremoto di magnitudo 4.7, il più forte mai rilevato nel corso della missione.Il punto dell’impatto del meteorite su Marte, avvenuto il 24 dicembre 2021, ripreso dalla sonda Mars Reconnaissance Orbiter in orbita intorno al pianeta (NASA/JPL-Caltech/University of Arizona)Le onde sismiche hanno la capacità di viaggiare per migliaia di chilometri, modificandosi man mano che attraversano strati di rocce con densità diverse. Il loro studio consente quindi di capire qualcosa di più sulle caratteristiche di Marte e sulla sua struttura interna. Proprio grazie ai dati raccolti da InSight ora i ricercatori ritengono che la crosta marziana abbia uno spessore medio di 30 chilometri, inferiore a quanto inizialmente ipotizzato. Ritengono inoltre che il nucleo di Marte sia liquido, che abbia un diametro di 1.800 chilometri e che sia relativamente poco denso, condizione che sembra suggerire la presenza di elementi diversi dal ferro.Rappresentazione artistica dell’interno di Marte, la parte centrale è il nucleo di materiale fuso (© IPGP – David Ducros)Conoscendo le caratteristiche interne di Marte, i gruppi di ricerca possono fare stime più accurate sulla velocità con cui il pianeta disperde calore nell’ambiente circostante. Sulla base di questi calcoli si possono poi fare stime sulla temperatura superficiale di Marte milioni di anni fa, capendo se fosse effettivamente abitabile come ipotizzato da vari ricercatori.Nel corso della propria missione, InSight avrebbe dovuto utilizzare anche uno strumento per perforare il suolo marziano fino a una profondità di 5 metri. Una sonda avrebbe dovuto misurare la temperatura interna del pianeta, offrendo ulteriori dati sull’interno di Marte, ma il dispositivo non è mai riuscito a superare i primi strati di suolo, più duri del previsto nella zona.Nel complesso la missione di InSight è stata comunque un successo: le stime della NASA, di solito caute, prevedevano una durata di due anni del lander, che ha invece mostrato di poter funzionare molto più a lungo. Il progressivo accumulo di sabbia sui pannelli solari era previsto e considerato uno dei fattori per determinare la durata stessa della missione. Solo nella remota eventualità di una folata di vento, sufficiente per rimuovere parte della sabbia dai pannelli solari, InSight potrebbe tornare ad attivare i propri sistemi e a mettersi in comunicazione con la Terra, come ha spiegato uno dei responsabili della missione.Su Marte rimangono in attività Perseverance e Curiosity, due robot della NASA che a differenza di InSight si possono muovere sul suolo marziano per esplorarlo. Di recente Perseverance ha iniziato a raccogliere alcuni campioni che in futuro saranno recuperati da un’altra missione spaziale, con lo scopo di portarli sulla Terra per essere analizzati. LEGGI TUTTO

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    Il veicolo spaziale Orion della missione Artemis 1 della NASA è tornato sulla Terra

    Alle 18:40 (ora italiana) di domenica il veicolo spaziale Orion della missione Artemis 1 della NASA è atterrato con successo nell’oceano Pacifico al largo delle coste della Bassa California, in Messico: ha concluso così dopo quasi 26 giorni il suo viaggio in cui ha prima raggiunto la Luna, passando molto vicino alla sua superficie ma senza atterrare, poi si è inserito nella sua orbita e infine è tornato indietro sulla Terra.Splashdown.After traveling 1.4 million miles through space, orbiting the Moon, and collecting data that will prepare us to send astronauts on future #Artemis missions, the @NASA_Orion spacecraft is home. pic.twitter.com/ORxCtGa9v7— NASA (@NASA) December 11, 2022La missione Artemis 1, che era partita lo scorso 16 novembre, ha permesso di sperimentare per la prima volta lo Space Launch System (SLS), il più potente razzo mai costruito alto circa 100 metri, e di raccogliere preziose informazioni per le prossime missioni di Artemis, che è il programma spaziale più importante degli ultimi anni per gli Stati Uniti. Orion per questa missione era sprovvisto di equipaggio, che sarà invece presente su Artemis 2, mentre occorrerà attendere Artemis 3 per l’allunaggio.– Leggi anche: Artemis 1 è in viaggio verso la Luna L’atterraggio di Orion nell’oceano Pacifico (NASA via AP) LEGGI TUTTO

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    Il miliardario giapponese Yusaku Maezawa ha annunciato i nomi degli otto passeggeri che lo accompagneranno nel primo viaggio attorno alla Luna con un razzo di SpaceX

    Nel settembre del 2018 era stato annunciato che il primo astronauta non professionista a volare nello Spazio e a fare un viaggio intorno alla Luna su un razzo della compagnia statunitense SpaceX sarebbe stato il miliardario giapponese Yusaku Maezawa (noto soprattutto per aver creato la catena di abbigliamento Zozotown). Maezawa, che è un collezionista di arte e si ritiene un artista, ha annunciato giovedì i nomi degli otto passeggeri che lo accompagneranno nel suo primo viaggio nello Spazio, sempre che gli ambiziosi piani di SpaceX vadano in porto.Come aveva anticipato Maezawa nell’annuncio della missione, chiamata “Dear Moon” (“cara Luna”), le otto persone selezionate si occupano in modo più o meno diretto di arte: sono il dj americano Steve Aoki, il divulgatore scientifico americano Tim Dodd (noto su YouTube come Everyday Astronaut), l’artista ceco Yemi A.D., la fotografa irlandese Rhiannon Adam, il documentarista keniano Brendan Hall, il fotografo Karim Iliya, l’attore indiano Dev Joshi e il rapper sudcoreano Chow Seung-hyun (meglio conosciuto come T.O.P.). Sono state scelte anche due riserve: la ballerina giapponese Miyu e la campionessa olimpica di snowboard Kaitlyn Farrington.Non è ancora chiaro quale tipo di addestramento dovranno seguire Maezawa e gli altri che dovrebbero seguirlo nel suo viaggio, e non è nemmeno chiaro se la missione si terrà nel 2023, come previsto in origine: al momento infatti la gigantesca astronave di SpaceX che verrà usata per il viaggio, Starship, deve ancora essere completata e sperimentata nell’orbita terrestre.月旅行のクルーが決まりました!Crew for Moon Trip Selected!!#dearMoonCrew @dearmoonproject https://t.co/Fle1vbPplD— 前澤友作@MZDAO (@yousuck2020) December 8, 2022– Leggi anche: Il piano di Elon Musk per Marte è in ritardo (AP Photo/ Eugene Hoshiko) LEGGI TUTTO

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    Si comincia a costruire la nuova rete di radiotelescopi più grande del mondo

    Oggi, 5 dicembre, in Australia e in Sudafrica comincia ufficialmente la costruzione dello Square Kilometre Array, una nuova rete di radiotelescopi per lo studio dello Spazio che sarà la più grande del mondo. Il progetto della rete è nato nel 1993 da una collaborazione internazionale che oggi riunisce 15 paesi tra cui l’Italia. Quando sarà completata, nel 2028 secondo i programmi, permetterà di captare segnali radio cosmici provenienti da fonti distanti miliardi di anni luce dalla Terra, compresi quelli emessi nelle prime centinaia di milioni di anni successive al Big Bang.Lo Square Kilometre Array (SKA) sarà usato per indagare su alcune delle più grandi questioni aperte dell’astrofisica, come la storia dell’idrogeno, l’elemento più abbondante nell’Universo. Permetterà inoltre di studiare i cosiddetti lampi radio veloci (fast radio burst, FRB), impulsi radio ad alta energia della durata di pochi millesimi di secondo provenienti dallo Spazio, di cui non si conosce ancora l’origine. Potrà essere usato anche per ricevere eventuali segnali di vita extraterrestre.In generale i radiotelescopi sono grandi antenne che, a differenza dei classici telescopi ottici che permettono di osservare la luce visibile, utilizzano delle parabole per rilevare le onde radio, cioè radiazioni di frequenza molto più bassa, che sono emesse dalle cose che ci sono nello Spazio. Il loro utilizzo consente di osservare cose accadute molto tempo fa a distanze enormi, tali da richiedere alla luce viaggi di decine, centinaia e a volte migliaia di anni (le distanze nello Spazio si misurano per questo in anni luce). Dato che più sono grandi le parabole più precise possono essere le osservazioni, usando reti di radiotelescopi distribuiti in diverse parti della Terra si possono raccogliere più informazioni. È stata una rete di radiotelescopi, per esempio, a consentirci di ottenere la prima immagine del buco nero al centro della nostra galassia.Lo Square Kilometre Array (che vuol dire letteralmente “Matrice di un chilometro quadrato”) si chiamerà così perché complessivamente permetterà di raccogliere dati su una superficie ampia più di un chilometro quadrato. Non lo farà con un’unica immensa parabola, ma con una rete di centinaia di parabole di 15 metri di diametro, adatte a rilevare le radiazioni ad alta frequenza (fino a 25 gigahertz), e di migliaia di telescopi di tipo “aperture array”, che sono fatti di un gran numero di piccole antenne fisse al suolo, simili a piccoli abeti, più adatte per le medie e basse frequenze (da 50 megahertz).Queste piccole antenne sono peraltro state progettate dall’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) italiano, in collaborazione con le Università di Bologna, Firenze e Ferrara e l’Istituto di elettronica e di ingegneria dell’informazione e delle telecomunicazioni del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IEIIT). Alcuni prototipi prodotti in Italia si trovano già nella regione di Murchison, nell’Australia Occidentale.Prototipi delle piccole antenne progettate in Italia visti da vicino, al Murchison Radio-astronomy Observatory in Australia Occidentale (ICRAR-Curtin)I telescopi saranno distribuiti seguendo schemi a spirale, non solo in Sudafrica e in Australia, dove sarà la maggior parte delle infrastrutture, ma anche in altri paesi africani. In particolare le parabole per le alte frequenze saranno costruite in Africa, principalmente nella regione sudafricana di Karoo, mentre le antenne per le basse frequenze verranno installate sia in Australia che in Africa, in aree dove si trovano già infrastrutture per l’astronomia. Inizialmente le parabole saranno poco meno di 200 e le antenne circa 131mila.I segnali radio ricevuti dai diversi radiotelescopi saranno combinati insieme da una rete di computer tenendo conto della distanza fisica tra i ricevitori e la differenza di tempo tra l’arrivo dei segnali a ciascuno di essi. In questo modo per gli astronomi sarà come avere a disposizione un radiotelescopio con una dimensione pari alla massima distanza tra i piccoli radiotelescopi della matrice.After 1.5 years of global procurement and construction activities around the world, today we enter a new era by officially marking the start of #SKAconstruction on site in Australia 🇦🇺 and South Africa 🇿🇦! Watch our film 🎥 pic.twitter.com/l7a2OrxebS— SKA Observatory (@SKAO) December 5, 2022Secondo le previsioni, la costruzione della rete di radiotelescopi costerà in tutto 2 miliardi di euro. Nel 2024 dovrebbe cominciare a lavorare una prima parte della rete, che nel 2028 sarà operativa con mezzo chilometro quadrato ricevente. Per completare il progetto si sta cercando la collaborazione di altri paesi che aiutino con i finanziamenti.– Leggi anche: Se gli extraterrestri esistono, perché non si fanno vivi? LEGGI TUTTO

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    L’ESA ha selezionato 17 nuovi astronauti e astronaute

    L’Agenzia spaziale europea (ESA) ha annunciato i 17 nuovi astronauti e astronaute che nei prossimi anni seguiranno la formazione per partecipare alle missioni spaziali, dopo una selezione durata quasi due anni. Tra le persone selezionate ci sono cinque astronauti di carriera, un astronauta con disabilità e undici riserve, compresi un italiano e un’italiana. È la prima selezione di persone per questi incarichi da 13 anni (avevano fatto domanda in 25mila) e l’annuncio era molto atteso, perché la nuova classe di astronauti e astronaute parteciperà a missioni importanti, comprese quelle per tornare sulla Luna.Le astronaute e gli astronauti di carriera faranno parte in maniera permanente dello staff dell’ESA, mentre le riserve saranno selezionate per specifiche attività in base alle esigenze. Alcune di loro nel corso del tempo potrebbero essere inoltre integrate nel Corpo astronauti permanente dell’agenzia.Gli astronauti e le astronaute di carriera sono: Sophie Adenot (Francia), Pablo Álvarez Fernández (Spagna), Rosemary Coogan (Regno Unito), Raphaël Liégeois (Belgio) e Marco Sieber (Svizzera). L’ESA ha inoltre selezionato il proprio primo “parastronauta”: John McFall, del Regno Unito. Parteciperà a specifici programmi legati allo studio delle opportunità per le persone disabili nell’esplorazione spaziale.Il presidente di @ASI_spazio Giorgio Saccoccia con le due riserve italiane del Corpo Astronauti Europeo Andrea Patassa e Anthea Comellini pic.twitter.com/kKpcZinb8j— Agenzia Spaziale ITA (@ASI_spazio) November 23, 2022Nella nuova classe selezionata dall’ESA non ci sono astronauti di carriera italiani, ma per l’Italia ci sono già Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano. Nella selezione per l’Italia sono rientrati come riserve Andrea Patassa e Anthea Comellini, nati rispettivamente nel 1991 e nel 1992. Insieme alle altre persone scelte dall’ESA, parteciperanno alla formazione nel Centro europeo per gli astronauti a Colonia, in Germania. L’addestramento durerà un anno per apprendere i rudimenti generali e sarà poi seguito dalla formazione per la Stazione spaziale internazionale (ISS). Ci saranno poi sessioni di addestramento specifiche in base alle missioni spaziali cui saranno assegnati. (ESA) LEGGI TUTTO

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    Artemis 1 è in viaggio verso la Luna

    Caricamento playerAlle 7:47 (l’1:47 in Florida), la missione Artemis 1 della NASA è partita verso la Luna, dopo quasi tre mesi di rinvii dalla data del lancio, in origine fissata per lo scorso 29 agosto. Il test è essenziale per sperimentare l’enorme razzo Space Launch System (SLS), il più potente mai costruito alto quanto un palazzo di 30 piani, e la capsula da trasporto Orion, sulla quale un giorno ci saranno gli equipaggi per andare sulla Luna. È la missione spaziale più importante degli ultimi anni per gli Stati Uniti, che insieme ad altre agenzie spaziali come l’ESA stanno lavorando al nuovo programma Artemis per creare una base orbitale lunare e sperimentare tecnologie che forse un giorno ci consentiranno di raggiungere Marte.Il lancio era inizialmente previsto per le 7:04 (l’1:04 del mattino in Florida), ma intorno alle 6 del mattino i tecnici erano dovuti intervenire per risolvere un malfunzionamento in uno dei sistemi di terra legati ai controlli di sicurezza del razzo, accumulando circa 40 minuti di ritardo. Alle 7:47 la missione è infine partita e nei prossimi giorni raggiungerà la Luna per poi tornare sulla Terra.Il 29 agosto scorso la NASA aveva dovuto rinunciare al lancio di Artemis 1 a causa di un problema nel sistema di rifornimento del primo stadio del razzo, che si era poi ripresentato il 3 settembre, quando era stata tentata una nuova partenza. In seguito si era reso necessario il trasferimento di SLS dalla rampa di lancio al Vehicle Assembly Building (VAB), il grande edificio dove viene assemblato e configurato il razzo.Dopo alcune attività di manutenzione, SLS era stato portato nuovamente sulla rampa di lancio lo scorso 4 novembre e nei giorni successivi aveva dovuto affrontare i forti venti di Nicole, la tempesta tropicale che aveva interessato la Florida e parte degli Stati Uniti sud-orientali. Riportare il razzo nel VAB per risparmiargli le intense raffiche della tempesta avrebbe comportato un ulteriore slittamento del lancio, e per questo i tecnici della NASA avevano preferito non cambiare i piani, pur consapevoli di dover affrontare qualche rischio in più legato a Nicole.Passata la tempesta, la NASA aveva rinviato di un paio di giorni dal 14 al 16 novembre e aveva poi condotto verifiche intorno al razzo per assicurarsi che i suoi sistemi non avessero subìto danni. Al termine dei controlli a inizio settimana, i responsabili dell’agenzia spaziale avevano dato il loro via libera per proseguire con le procedure necessarie per la preparazione al lancio. Le verifiche avevano portato a identificare qualche lieve danno, ma non tale da compromettere le funzionalità del razzo e in generale la sicurezza del lancio.SLS sulla rampa di lancio a Cape Canaveral, Florida, Stati Uniti (Red Huber/Getty Images)SLS e OrionSLS ricorda alcune parti del sistema di lancio degli Shuttle, le astronavi che partivano in verticale e tornavano atterrando come un aeroplano. In effetti, il nuovo sistema è una derivazione di varie tecnologie già sviluppate per gli Shuttle: il suo corpo centrale, cioè il primo stadio (Core Stage), assomiglia al grande serbatoio arancione cui erano collegati gli Shuttle al momento della partenza e dal quale attingevano il propellente per alimentare i loro motori.SLS usa gli stessi motori degli Shuttle, collegati direttamente alla base del Core Stage, ma non sono gli unici. Nelle prime fasi di lancio, ai due lati del primo stadio ci sono due razzi più piccoli (Solid Rocket Booster, SRB), essenziali per imprimere la spinta iniziale all’intero SLS alto quasi 100 metri, in modo da farlo staccare dalla base di lancio.Lo Space Shuttle Discovery a confronto con SLS (NASA)Gli SRB sono alti quanto un palazzo di 17 piani e contengono un propellente composto da perclorato d’ammonio e polibutadiene acrilonitrile, che producono una rapidissima reazione. Ogni booster brucia circa sei tonnellate di propellente ogni secondo, fornendo una spinta pari a quella prodotta da 14 grandi aerei di linea (come i Boeing 747). Il Core Stage impiega invece idrogeno liquido e ossigeno liquido per alimentare i propri quattro motori.Sulla sommità del Core Stage è montato uno stadio superiore, dotato di un solo motore, sopra al quale c’è il veicolo spaziale vero e proprio che si chiama Orion, costituto da due moduli: quello di servizio, il modulo dell’equipaggio, dove un giorno ci saranno le astronaute e gli astronauti di Artemis, e ancora in cima a tutto il sistema di abbandono di lancio. Portare tonnellate di materiale in orbita richiede un grande dispendio di energia, di conseguenza la strategia migliore è rendere via via più leggero il proprio veicolo spaziale man mano che prende quota, in modo da poterne spingere più facilmente la massa.(NASA)Il lancioAlle 7:47 SLS ha acceso i propri motori e si è staccato dal suolo, accelerando rapidamente nonostante la propria massa complessiva di 2.600 tonnellate. In un paio di minuti ha raggiunto un’altitudine di 48mila metri, la quota a cui i due SRB si sono staccati, avendo finito il proprio compito ed essendo diventati una zavorra inutile. Sono precipitati nell’oceano Atlantico, dove non saranno recuperati.We are going.For the first time, the @NASA_SLS rocket and @NASA_Orion fly together. #Artemis I begins a new chapter in human lunar exploration. pic.twitter.com/vmC64Qgft9— NASA (@NASA) November 16, 2022Il resto del razzo ha proseguito la propria ascesa, spinto dai quattro motori alla base del Core Stage per altri sei minuti. A quel punto anche lo stadio più grande ha esaurito il proprio propellente e a 170 chilometri di distanza dalla Terra si è staccato, finendo qualche minuto dopo nell’oceano Pacifico.Di SLS nello Spazio è rimasto lo stadio superiore collegato a Orion. Trascorso un breve periodo in orbita intorno alla Terra, alle 9:13 ha attivato i propri motori per 18 minuti in modo da inserire il veicolo nella giusta rotta verso la Luna, che dista in media 380mila chilometri da noi.Passate due ore dal lancio, Orion si è separato dalla parte rimanente di SLS per proseguire il proprio viaggio verso il nostro satellite naturale. Oltre alla separazione, lo stadio superiore di SLS provvederà a sganciare dieci piccoli satelliti (CubeSat) utilizzati per compiere vari esperimenti. Tra questi ci sarà anche ArgoMoon, un satellite realizzato dall’azienda spaziale italiana Argotec per conto dell’Agenzia spaziale italiana (ASI), che si occuperà di osservare le condizioni dello stadio superiore.Verso la LunaIl viaggio di Orion verso la Luna durerà una decina di giorni e sarà seguito dai tecnici per raccogliere dati importanti sul comportamento del veicolo, che si riveleranno molto utili nell’organizzazione delle future missioni con equipaggi. Orion compirà poi un passaggio ravvicinato a poco meno di 100 chilometri dalla superficie lunare, sfruttando in seguito la spinta gravitazionale per inserirsi in un’orbita “retrograda”. In pratica il veicolo spaziale inizierà a girare in senso contrario alla rotazione della Luna. Orion raggiungerà una distanza di 64mila chilometri oltre la Luna, segnando un nuovo record rispetto al precedente di 16mila chilometri circa, che era stato raggiunto con Apollo 13, la missione che per un problema tecnico non poté compiere un allunaggio.RitornoTrascorsi alcuni giorni nell’orbita lunare, Orion accenderà i motori per uscirne e riprendere il viaggio verso la Terra. In prossimità del nostro pianeta si libererà del modulo di servizio, orienterà il proprio scudo termico verso il pianeta e inizierà l’ingresso nell’atmosfera, proteggendosi in questo modo dalle alte temperature che si svilupperanno in quella fase. Infine, aprirà i propri paracadute e terminerà il viaggio nell’oceano Pacifico, dove le squadre di soccorso si occuperanno del recupero.In tutto la missione dovrebbe durare 25 giorni, ma i tempi potranno variare. Dopo i vari rinvii, la NASA confida possa essere la volta buona per sancire il primo importante successo del programma Artemis, che ha avuto una lunga e complicata gestazione soprattutto a causa dei grandi ritardi accumulati nello sviluppo di SLS. Il razzo avrebbe dovuto compiere il proprio primo volo inaugurale nel 2016, ma le cose sono andate diversamente, con decine di miliardi di dollari di spese in più rispetto al previsto.Prossime missioniSe Artemis 1 sarà effettivamente un successo, nei prossimi anni la missione Artemis 2 ripeterà sostanzialmente le stesse attività, ma con un equipaggio di quattro persone a bordo di Orion. Non prima del 2025 è previsto l’allunaggio vero e proprio (saranno probabili nuovi ritardi), con la prima astronauta e il primo astronauta non bianco che cammineranno sul suolo lunare.In orbita intorno alla Luna dovrà essere inoltre costruito il Lunar Gateway, una base orbitale molto più piccola della Stazione Spaziale Internazionale in orbita intorno alla Terra. Sarà utilizzato per ospitare gli equipaggi, altre strumentazioni e per fare attraccare Orion e altri veicoli spaziali, compresi quelli che porteranno fisicamente gli astronauti sulla Luna, obiettivo certo non secondario e sul quale ci sono ancora molte incertezze.Un’ipotetica configurazione del Lunar Gateway, in un’elaborazione al computer (NASA)A oggi il programma Artemis non ha un sistema per allunare. Nelle missioni Apollo il modulo di discesa (LEM) veniva trasportato dalla Terra alla Luna insieme al resto della strumentazione; Orion, invece, viaggia senza veicoli per effettuare un allunaggio. La NASA ha affidato all’azienda spaziale privata di Elon Musk, SpaceX, il compito di provvedere a questo passaggio, con un contratto da quasi 3 miliardi di dollari per rendere compatibile la sua astronave Starship con le attività lunari.Starship è da tempo in fase di sviluppo nel grande cantiere-base di lancio in Texas dove SpaceX ha concentrato buona parte delle proprie attività, ma non ha mai raggiunto l’orbita terrestre. Musk ha più volte fornito previsioni ottimistiche sul primo volo orbitale, ma a oggi il sistema è in fase di test e ha accumulato qualche ritardo. In futuro, però, Starship potrebbe diventare un sistema molto più pratico ed economico per raggiungere la Luna, rispetto a SLS.(SpaceX)L’astronave di SpaceX è infatti progettata per fare tutto da sola: partire dalla Terra, viaggiare fino alla Luna, compiere l’allunaggio e tornare indietro. È inoltre riutilizzabile, quindi potrebbe rendere estremamente più economici i viaggi verso la Luna, ma deve ancora dimostrare di poter funzionare. Per le prime missioni di Artemis ne sarà utilizzata una versione semplificata, per gestire unicamente i trasferimenti degli equipaggi dal futuro Gateway nell’orbita lunare alla Luna.L’ultima missione lunare con equipaggi risale al dicembre del 1972, quando ci fu l’allunaggio dell’Apollo 17 con gli astronauti statunitensi Eugene Cernan e Harrison Schmitt. A cinquant’anni di distanza, non è chiaro per quanto tempo ancora Cernan, che è morto nel 2017, continuerà a essere l’ultimo uomo che camminò sulla Luna. LEGGI TUTTO