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    Dongfeng punta a 100mila auto in Italia

    Le due facce della medaglia di Stellantis: da una parte, all’assemblea degli azionisti, il presidente John Elkann, «guardando avanti», si dice «fiducioso in quanto il gruppo rimarrà in una posizione vincente, mentre continueremo a creare il futuro della mobilità», mentre per l’amministratore delegato Carlos Tavares «il 2024 sarà un anno impegnativo, ma fantastico»; dall’altra, c’è il sistema produttivo italiano che soffre. È stata infatti annunciata, per Mirafiori, un’ulteriore cassa integrazione dal 22 aprile fino al 6 maggio: interessati i lavoratori sulle linee Fiat 500 elettrica e Maserati sportive. «Abbiamo ragione, come sindacati, a richiedere nuove auto da produrre e a sostenere che senza nuovi modelli l’unica cosa certa è il continuo utilizzo degli ammortizzatori sociali – il commento della Fiom -. Occorre aprire una vera trattativa» con tutte le parti coinvolte pena, avverte il sindacato, «la perdita dell’auto nel nostro Paese».L’assemblea di Stellantis (-2,9% il titolo in Piazza Affari, maglia nera del paniere principale) ha approvato tutti i punti all’ordine del giorno, incluso il bilancio del 2023, il dividendo (1,55 euro per azione ordinaria, circa 4,7 miliardi in totale, +16% su quello precedente e stacco il 22 aprile) e il piano di remunerazione.«Stellantis – le parole di Tavares – affronterà un altro anno impegnativo e sfidante, con fattori positivi e negativi, ma abbiamo ottimi prodotti con il portfolio dei modelli elettrici che crescerà del 60% fino a contemplare 48 modelli». Peccato che delle novità prevista nel 2024 nessuna sia prodotta in Italia.Le prossime settimane potrebbero intanto fare chiarezza sul secondo produttore. Il capo delle operazioni europee di Dongfeng, Qian Xie, è interessato a incontrare il governo: «L’Italia è uno dei mercati automobilistici più grandi d’Europa e per una casa automobilistica cinese avere una produzione locale significa anche poter distribuire meglio in tutti gli altri Paesi dell’area». Il gruppo del Dragone, secondo l’agenzia Bloomberg, sta valutando di produrre nella Penisola oltre 100mila veicoli l’anno. Dongfeng, di cui fanno parte i marchi Seres (brand di cui alcuni modelli fino a poco tempo fa sono stati importati dal gruppo Koelliker) e Voyah, è però ancora azionista di Stellantis. Che cosa dirà Tavares? Sempre ieri Dongfeng Italia ha scelto come partner finanziario CA Auto Bank, gruppo Credit Agricole, che fornirà a dealer e clienti le sue soluzioni. LEGGI TUTTO

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    Italia bocciata all’esame d’impresa e ora calano anche le nuove realtà

    L’Italia non è un Paese semplice per fare impresa. Un primato negativo che è stato certificato anche quest’anno dal rapporto Global Entrepreneurship Monitor (Gem) Italia 2023-24. Il report, intitolato Un paese che osa? L’imprenditorialità come risorsa per l’Italia e realizzato con più di 100mila interviste in tutto il mondo, è stato presentato ieri alla Sala Longhi di Unioncamere da Universitas Mercatorum, l’Università delle Camere di Commercio Italiane del Gruppo Multiversity, e mostra per la prima volta dal 2019 un’inversione di tendenza.Il rapporto Gem dichiara il rettore Giovanni Cannata è stato realizzato da Universitas Mercatorum che ha deciso di dare il proprio contributo scientifico e sociale supportando interamente l’indagine nazionale che ha consentito di approfondire i fattori che incentivano e quelli che ostacolano la formazione di nuove imprese nel nostro Paese, tema che sta a cuore alla nostra università».Nel ranking globale, l’Italia si posiziona 36esima su 46 nazioni esaminate per la propensione imprenditoriale, con un evidente gap di genere. Il rapporto tra donne che si attivano imprenditorialmente e uomini è pari al 40%, nel caso di imprese già avviate, mentre sale al 60% all’avvio di un’attività. LEGGI TUTTO

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    Torroni e prodotti del territorio: così la pasticceria Macioce custodisce la tradizione di Alvito

    Nel cuore della Valle di Comino, in provincia di Frosinone, nella splendida Alvito si possono ancora gustare i sapori di una volta. Sensazioni ed emozioni ormai scomparse possono essere ritrovate nelle creazioni della pasticceria Macioce, orgoglio del territorio. Questo negozio è diventato negli anni un punto di riferimento per la collettività alvitiana ma anche per i tanti turisti che ogni anni visitano il borgo, situato a mezza costa sul versante meridionale del Monte Morrone, al confine con l’Abruzzo.I dolci di questo locale sono riusciti a valicare i confini regionali conquistando una diffusione nazionale. I torroni di Alvito, di cui la pasticceria Macioce è produttore d’eccellenza, sono diventati un simbolo d’alta cucina e pasticceria di questo territorio, un vanto di cui le maestranze sono fiere fautrici. Questo prodotto ha saputo creare un turismo gastronomico importante in questo angolo di Ciociaria, con numerose persone che vi si recano appositamente per acquistare il famoso torrone. Con questo pretesto, non mancano di visitare le perle nascoste della zona, che si sviluppa sul versante laziale del Parco Nazionale d’Abruzzo.Certo, i torroni di Alvito sono una prelibatezza nota, ma non certo l’unica della pasticceria Macioce, che offre agli avventori numerose proposte, tra torte in svariate composizioni, ma anche pasticceria e idee diverse per colazione o merenda, ma anche per l’aperitivo. Un cabaret completo di suggestioni dolciarie che incantano non solo per l’aspetto ma soprattutto per il loro sapore. Gli ingredienti di prima scelta, prevalentemente del territorio, che si sposano alla perfezione grazie alla maestria delle mani di chi le confeziona. È questo il segreto che l’ha resa una vera istituzione del territorio ciociaro. LEGGI TUTTO

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    Stellantis, nuova cassa integrazione a Mirafiori per la 500e e Maserati

    Non c’è pace per Mirafiori. Tra pomposi proclami e minacce, oggi è arrivata una nuova comunicazione da parte di Stellantis: cassa integrazione per tutti gli oltre 2.000 lavoratori della 500 elettrica e della Maserati da lunedì 22 aprile fino a lunedì 6 maggio compreso. Una nuova mazzata, l’ennesima, a pochi giorni dallo sciopero proclamato per chiedere il rilancio dello storico stabilimento torinese:”Questa ennesima richiesta di cassa dimostra fattivamente che abbiamo ragione come sindacati a richiedere nuovi modelli da produrre e che senza di essi l’unica cosa certa è il continuo utilizzo degli ammortizzatori sociali. Purtroppo Tavares l’altro giorno non ha detto nulla sulle nuove produzioni”, la denuncia di Edi Lazzi, segretario generale della Fiom-Cgil di Torino, e Gianni Mannori, responsabile di Mirafiori per la Fiom.Da capitale italiana dell’auto e, più in generale, la produzione nel Paese al rischio smantellamento, Torino ribolle. I sindacati invocano una trattativa a Palazzo Chigi con il governo e Stellantis per mettere al centro Mirafiori ma anche gli altri stabilimenti italiani. Luigi Paone, segretario generale Uilm Torino, ha posto l’accento sulla necessità di un nuovo modello per lo stabilimento torinese, considerato fondamentale per la sopravvivenza della struttura. Il segretario territoriale Fismic Confsal, Sara Rinaudo, ha parlato invece di “una nuova doccia fredda”: “Serve subito, senza più prendere tempo con annunci che rimangono vaghi e nell’etere, un nuovo modello per salvare il sito. Come già affermato, deve essere allocata immediatamente all’interno di Mirafiori l’intera gamma della 500”. LEGGI TUTTO

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    Il tramonto dell’iPhone. Crisi interne e rivali stanno smontando la leggenda della Apple

    La semplicità è la più grande forma di sofisticazione, diceva Steve Jobs. Il problema però è che per l’iPhone è diventato tutto molto complicato.Lo stanno smontando, pezzetto per pezzetto, dall’interno e dall’esterno. Resta lo smartphone più venduto, quello più desiderato, il dispositivo che tutti i ragazzi vogliono, perché se non hai AirDrop per passarti foto e file in un attimo sei proprio uno sfigato. Eppure l’iPhone non è più lui, o meglio è sempre lo stesso, modello dopo modello: migliora ma non troppo, però non si evolve. Come un monumento alla sua grandezza che però comincia a mostrare qualche crepa.Per esempio: il sistema chiuso inventato da Jobs e difeso strenuamente da Tim Cook, non è più un mantra. Sì, «è per la privacy degli utenti», che poi è sempre stata l’ossessione di Apple. Vero, ogni dato sensibile resta nel telefono, ogni spostamento, pagamento, inserimento, nei server di Cupertino appaiono come ombre nel deserto, criptate e inaccessibili. Però, poi, la sicurezza ha mostrato qualche primo imbarazzo, e già nel 2023 gli ingegneri dell’azienda più (auto)ammirata del mondo sono dovuti intervenire almeno una decina di volte per tappare dei buchi trovati dai pirati del web. E se la modalità isolamento disponibile nelle impostazioni è, come dice il sito dell’azienda, la funzionalità di protezione più elevata per iPhone, è altrettanto inevitabile che non sia una sicurezza assoluta. Esisteva invece, almeno così si pensava un tempo.E allora il totem non c’è più, anche perché non è neppure quell’oggetto indiscutibile nessuno una volta non si sarebbe mai segnato di mettere in dubbio. E invece ci ha pensato prima l’Europa, cominciando dalla porta d’ingresso, quella Usb-C che hanno tutti e che gli iPhone 15 sono stati costretti ad adottare, pena il bando dal mercato del Vecchio Continente. La stessa porta d’ingresso che portava a un club esclusivo di miliardi di persone nel mondo. E poi il Digital Markets Act, che costringerà il sistema operativo ad accettare l’innominabile, ovvero servizi di altre aziende concorrenti, una specie di eresia che ha sollevato una fiera protesta dagli uffici della sede circolare nella Silicon Valley, ma non di più: musica, mappe, wallet, non resterà nulla che non abbia un’alternativa accessibile. E poi, la verità è che il segnale definitivo è arrivato in casa, quando a marzo l’Antitrust più 15 Stati americani hanno scatenato l’inferno, certificando che nessuno può essere intoccabile per sempre: Quello dell’iPhone è un monopolio. La causa sarà lunga ma in qualche modo il destino è segnato.Così l’Phone 16 che uscirà in autunno sarà ancora il miglior iPhone di sempre, come recitano ogni volta orgogliosamente i comunicati della vittoria di Apple, eppure non sarà la stessa cosa: a giugno, quando l’azienda riunirà come al solito tutti i suoi sviluppatori di app nella conferenza annuale, si capirà quanto. Ma il cambiamento è già iniziato e se vi è capitato di scaricare l’ultimo aggiornamento del sistema operativo, ovvero l’iOS 17.4.1, vi sarete accorti che – quando avete riacceso tutto – lo smartphone vi ha chiesto quale browser volete adottare per navigare in internet, con una lista da cui scegliere: Safari, insomma, diventa un’eventualità.Come si è arrivati a questo punto? Forse per pigrizia, nel senso di una visione del futuro che Apple ha pensato fosse comunque una strada segnata. O forse perché le visioni e i visionari, a un certo punto della storia, finiscono. Così, mentre le aziende concorrenti hanno investito per rendere i loro smartphone sempre più performanti, l’iPhone è rimasto un po’ nel mezzo, nel design (non cambia aspetto ormai da dalla versione 12, se non in qualche minimo particolare), nell’unicità (i modelli sono diventati 4), nel progresso (la fotocamera è arrivata a 48 megapixel quando in giro si parla ormai di 200), nei difetti (la batteria è rimasta il solito problema da risolvere, mentre i rivali durano anche due giorni e si ricaricano in meno di mezzora). Costa sempre tanto, e siccome viene comprato (sempre di più a rate) ha ragione di esserlo, costoso. Però nella storia della tecnologia dormire sugli allori di solito non ha prodotto grandi risultati. E poi c’è il fatto che l’iPhone sembra quasi essere come quei soprammobili che i manager mettono sul tavolo e che man mano nel tempo arretrano nella fila dei più desiderati: la Apple di Cook, in pratica, rendendosi conto che la rivoluzione smartphone avrebbe avuto un limite, ha trasformato l’azienda in un fornitore di servizi, cosa che ha permesso di continuare a macinare miliardi di trimestrali di fatturato grazie alle app (e alle commissioni applicate). Solo che ora quei servizi sono sotto attacco, e il capo sarà costretto a scendere a compromessi. Anzi: lo sta già facendo.Perché poi, certe cose, cominciano sempre dove meno te lo aspetti. L’Oregon, uno Stato che ha meno abitanti di Roma, ha recentemente introdotto per legge il diritto alla riparazione, ovvero la possibilità dell’utente di far sistemare il proprio smartphone in qualsiasi negozio specializzato in nome della sostenibilità e della lotta ai rifiuti elettronici. Sì, anche l’iPhone: sacrilegio. Una norma che presto diventerà tale anche in altri pezzi d’America, e così l’azienda è già corsa ai ripari annunciando che da novembre sarà possibile accedere agli strumenti di riparazione fai-da-te selezionando anche singole parti di sostituzione non nuove, sempre originali, ma usate. Però è un palliativo, appunto un compromesso: si può mettere le mani dentro un iPhone, è questa è un’altra di quelle cose che sembravano impossibili. Come il fatto che in Cina il Melafonino dovrà avere Baidu, il Google cinese, come sistema per introdurre l’intelligenza artificiale. Praticamente una resa. LEGGI TUTTO

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    Crt, risolto il caso del “patto occulto”

    Scossa in Fondazione Crt che prepara il rinnovo del Consiglio d’indirizzo dell’ente guidato dal presidente Fabrizio Palenzona. Ieri il consigliere d’indirizzo Corrado Bonadeo ha ressegnato le dimissioni. Crt, in una nota, ha comunicato di aver preso atto del passo indietro del consigliere, che «contestualmente ha anche ritirato la sua candidatura dalla lista dei cooptati, in vista del rinnovo del consiglio di indirizzo del 19 aprile, manifestando altresì l’indisponibilità a ricoprire cariche all’interno di Fondazione Crt». LEGGI TUTTO

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    Cortocircuito Tesla, via 14mila dipendenti

    Il calo delle vendite e l’intensificarsi della concorrenza nel settore dei veicoli elettrici hanno spinto Tesla a tagliare il 10% della propria forza lavoro. Nel suo ultimo report annuale, alla fine di dicembre l’impresa aveva dichiarato circa 140mila dipendenti, il che significa che il costruttore ne licenzierà almeno 14mila. «Mentre prepariamo la società per la prossima fase di crescita, è estremamente importante esaminare ogni aspetto dell’azienda per ridurre i costi e aumentare la produttività», ha scritto il Ceo di Tesla Elon Musk in una lettera inviata ai dipendenti della società. «Come parte di questo sforzo, abbiamo fatto una revisione approfondita dell’organizzazione e abbiamo preso la difficile decisione di ridurre il nostro organico di oltre il 10% a livello globale».Tesla ha sorpreso negativamente gli analisti riportando nel primo trimestre un calo delle vendite dell’8% su anno a circa 387mila veicoli. A pesare anche gli attacchi dei ribelli Houthi dello Yemen alle navi che attraversano il Mar Rosso, causando problemi di approvvigionamento per la produzione dello stabilimento Tesla di Grünheide, vicino a Berlino. All’inizio dell’anno l’impianto è stato colpito anche da un sabotaggio dell’alimentazione elettrica. Secondo l’e-mail di Musk, la rapida crescita ha portato a una «duplicazione di ruoli e funzioni lavorative in alcune aree» e, sebbene non ci sia «niente che io odi di più (dei tagli; ndr), questi devono essere effettuati per rendere tutti coloro che lavorano per Tesla «snelli, innovativi e affamati per il prossimo ciclo di crescita». A parte del personale è già stato comunicato il licenziamento.Ieri a poco più di un’ora alla chiusura di Wall Street Tesla perdeva il 4% circa a 164,4 dollari. Dall’inizio dell’anno la capitalizzazione è diminuita di un terzo a 515 miliardi di dollari circa. Recentemente sia Goldman Sachs (da 190 a 175 dollari) che Citi (da 196 a 180 dollari) hanno tagliato il prezzo obiettivo dell’azione.La performance borsistica di Tesla è l’immagine delle difficoltà del mercato delle vetture elettriche sulle due sponde dell’Atlantico. Da un lato, le vendite arrancano e questo dovrebbe portare i pezzi a scendere ma – come più volte denunciato dal Ceo di Stellantis Tavares – non si tratta di veicoli nei quali il valore aggiunto sia nelle mani del produttori giacché è la componentistica delle macchine (batterie, elettronica, ecc.) a fare il prezzo. I tassi alti fanno il resto: con il costo del denaro ancora su livelli elevati non è facile per tutti acquistare a rate veicoli che, anche quando sovvenzionati, costano circa 30mila euro solo per i modelli entry level. Il terzo fattore di svantaggio è il veloce deprezzamento che rende meno conveniente l’acquisizione di auto elettriche per i grandi colossi Usa del noleggio a breve termine. LEGGI TUTTO

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    BF avanti su tutti i fronti: ricavi vicini a 1,4 miliardi

    Il gruppo BF (in foto l’ad Federico Vecchioni) ha chiuso il 2023 con un valore della produzione consolidato di quasi 1,39 miliardi, in crescita rispetto agli 1,12 miliardi dell’esercizio precedente. L’Ebitda è ammontato a 75 milioni, in aumento rispetto ai 57 milioni del 2022. Il dato è superiore alle stime per il 2023 (circa 70 […] LEGGI TUTTO