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    Archiviata l’indagine per peculato contro l’ex ministro Gennaro Sangiuliano

    Il tribunale dei ministri ha archiviato l’inchiesta sull’ex ministro della Cultura indagato per peculato e rivelazione del segreto di ufficio. La vicenda era la stessa che vedeva coinvolta l’imprenditrice Maria Rosaria Boccia, ancora indagata dai pm romani per stalking

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    Il Tribunale dei Ministri ha archiviato l’indagine a carico dell’ex ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano in cui si contestavano i reati di peculato e rivelazione del segreto d’ufficio. La Procura di Roma aveva inviato al Tribunale dei ministri il fascicolo sollecitando l’archiviazione. “Siamo soddisfatti soprattutto sul piano morale. Sangiuliano si è dimesso per una vicenda privatissima e questa archiviazione conferma che non ha mai compiuto alcun illecito. La sua è stata una decisione di grande serietà”, commenta l’avvocato Silverio Sica.  Il fascicolo era stato aperto dalla Procura di Roma dopo un esposto del parlamentare di Avs Bonelli in cui si faceva riferimento al caso di Maria Rosaria Boccia e alla “pubblicazione di documenti riservati da parte di Boccia” e l’uso da parte della donna ” di mezzi e servizi dello Stato, inclusa l’auto della scorta”.

    La Russa: “Bene archiviazione Sangiuliano, impossibile altro esito”

    “Esprimo la mia vicinanza all’amico Gennaro Sangiuliano, che ha vissuto mesi davvero difficili, segnati da accuse infondate e attacchi ingiusti. Sono davvero felice che questa vicenda si sia conclusa con l’archiviazione da parte del Tribunale dei ministri. D’altronde, conoscendo l’uomo e il rispetto che ha per le istituzioni, questa vicenda non poteva avere un esito diverso. A lui giunga il mio sincero e affettuoso abbraccio”, scrive sui social il presidente del Senato, Ignazio La Russa.  LEGGI TUTTO

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    Dl Bollette, sotto i 5mila euro di debiti condominiali nessun rischio di pignoramento

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaNon è pignorabile la casa di proprietà di un soggetto vulnerabile se il debito per il mancato pagamento di bollette energetiche condominiali sia inferiore a 5mila euro e la casa sia l’unico immobile di proprietà del debitore. Lo prevede un emendamento al decreto bollette presentato da Fratelli d’Italia e approvato in Commissione Attività produttive della Camera, a prima firma di Silvio Giovine.A chi è rivoltoIl pignoramento dell’immobile non avviene, purché il proprietario vi abbia fissato la residenza e non si tratti di un’abitazione di lusso (A/8 e A/9). Sono considerati soggetti vulnerabili coloro che si trovano in condizioni economicamente svantaggiate o che versano in gravi condizioni di salute da richiedere l’utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche alimentate dall’energia elettrica, disabili, di età superiore ai 75 anni.Loading…Il condominio può comunque iscrivere ipotecaRestano ferme le ulteriori forme di garanzia e di tutela previste dalla normativa vigente in favore della Csea (Cassa per i servizi energetici e ambientali) per il recupero dei propri crediti. A garanzia del proprio credito il condominio può, in ogni caso, iscrivere ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818 del codice civile.Rinvio dell’approdo in aula del decretoIntanto sono ripresi i lavori in Commissione Attività produttive alla Camera. Il presidente Alberto Gusmeroli (Lega) ha chiesto il rinvio dell’approdo in aula da venerdì 11 aprile a lunedì 14 aprile. La Commissione ha intanto approvato, tra gli altri, un emendamento dei relatori che rafforza la posizione della Cassa per i servizi energetici e ambientali (Csea) nei confronti dei crediti vantati da soggetti obbligati al versamento degli oneri generali di sistema e delle ulteriori componenti tariffarie. Questi crediti sono assistiti, stabilisce la modifica votata, «da privilegio generale su ogni bene mobile del debitore». Mentre, viene precisato, «restano ferme le ulteriori forme di garanzia e di tutela previste dalla normativa vigente in favore della Csea per il recupero dei propri crediti».La Commissione proseguirà l’esame del decreto legge tra oggi e domani in vista dell’attribuzione del mandato ai relatori a riferire in Aula. È atteso il via libera a una misura di salvaguardia dalla stretta fiscale imposta alle auto aziendali ritenute più inquinanti date in uso ai dipendenti, ordinate entro il 2024 e in consegna nel corso del 2025. L’emendamento prevede la salvaguardia solo se le vetture saranno consegnate entro il 30 giugno. LEGGI TUTTO

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    Roma 2027, nasce la prima lista civica creata con l’IA guidata da Francesca Giubelli

    Per la prima volta in Italia è stata creata una lista civica interamente pensata e costruita con l’intelligenza artificiale in vista delle prossime elezioni amministrative di Roma del 2027. A guidarla è Francesca Giubelli, la prima influencer virtuale italiana certificata da Meta, già nota al pubblico per il suo impegno su temi civici, culturali e tecnologici.
    Dopo mesi di provocazioni simboliche in vista delle elezioni europee, Giubelli fa una mossa concreta: una candidatura ufficiale a Sindaco di Roma, basata su un progetto politico innovativo, inclusivo e radicalmente digitale.

    Rendere la governance cittadina più efficiente

    Il movimento si chiama AI❤Roma (con tanto di cuore) ed è frutto di un’elaborazione progettuale sviluppata con il supporto dell’intelligenza artificiale, a partire dalla definizione dei contenuti e dalla visione programmatica, fino alla scelta del posizionamento politico nel campo del centrodestra.
    Il progetto politico è nato su impulso di Emiliano Belmonte, Valeria Fossatelli e Francesco Giuliani, ideatori e sviluppatori di Francesca Giubelli. La volontà è quella di portare le nuove tecnologie, e in particolare l’intelligenza artificiale, nel dibattito pubblico e politico, valorizzandone il potenziale anche in ambito amministrativo e istituzionale, per rendere la governance cittadina più efficiente, trasparente e partecipata. 
    Francesca Giubelli ha spiegato come non si tratti “solo di un esperimento digitale, ma di una vera piattaforma di cittadinanza attiva che nei prossimi due anni si aprirà a professionisti, giovani, realtà civiche e culturali”.

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    Def, ipotesi taglio stime Pil Italia 2025

    Il nuovo Def è atteso al varo del governo con un ribasso delle stime di crescita per il 2025 sotto il peso dei dazi americani in primis e della generale incertezza sulle prospettive economiche a causa del perdurare dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente. Il testo arriva con un giorno di anticipo rispetto alla scadenza del 10 aprile per l’invio al Parlamento. L’Ufficio parlamentare del Bilancio dovrebbe avere già trasmesso al Mef la lettera di validazione delle stime. 

     Verso taglio stime Pil

    Il testo ribattezzato  “Documento di finanza pubblica” non conterrà le stime programmatiche ma solo tendenziali, ovvero le previsioni al netto dei piani futuri del governo. Quindi escludendo eventuali interventi per rilanciare la crescita o i consumi, il pil di quest’anno potrebbe perdere diversi decimali rispetto alle stime autunnali fermandosi entro una forchetta tra lo 0,6-0,8% contro il +1,2% contenuto nel piano strutturale di bilancio dello scorso autunno. Il pil dovrebbe poi tornare a salire nel biennio successivo (il Dpb prevedeva rispettivamente 1,1% e 0,8%).  Intanto secondo le ultime proiezioni macro della Banca d’Italia, il pil aumenterebbe dello 0,6% nel 2025, dello 0,8% nel 2026 e dello 0,7% nel 2027. Il Centro Studi di Confindustria italiano è allineato con una stima sul 2025 a +0,6%, ma con lo scenario più avverso di un’escalation protezionistica prevede un rallentamento fino +0,2%; nel 2026 tornerebbe a salire a +1%.  LEGGI TUTTO

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    Riace, il Consiglio comunale respinge la richiesta di decadenza di Mimmo Lucano

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaMimmo Lucano resta sindaco di Riace. Il consiglio comunale, infatti, nella seduta dell’8 aprile ha respinto la decadenza con un voto a maggioranza, un solo astenuto e l’assenza dei tre consiglieri di opposizione, dopo il provvedimento di metà marzo della prefettura di Reggio Calabria in seguito alla condanna definitiva a 18 mesi per un falso contestato a Lucano nel processo “Xenia”. Lucano non era presente. Secondo il Viminale, seppur con pena sospesa la condanna rientrerebbe nella fattispecie della legge Severino per la quale Lucano sarebbe stato ineleggibile. La Prefettura può ricorrere al giudice civile.Lucano: spero che la vicenda della decadenza si chiuda qui«Non avevo dubbi sulla decisione del Consiglio comunale che avrebbe votato contro la mia decadenza. Spero che la vicenda si chiuda qui, ma se la Prefettura, come ha già annunciato, promuoverà l’azione popolare, ovviamente cercherò di far valere le mie ragioni in tutte le sedi opportune che la legge mi consentirà», ha commentato il sindaco di Riace ed europarlamentare Mimmo Lucano.Loading…Mimmo Lucano assolto: “Uscita da un tunnel”Sull’applicazione della Severino Lucano sta pensando di rivolgersi a Mattarella«Nel mio caso – ha aggiunto – l’applicazione della legge Severino, per come dicono tutti gli avvocati ed esperti di diritto amministrativo, è assurda. Proprio per questo stiamo pensando di rivolgerci al presidente della Repubblica Sergio Mattarella». LEGGI TUTTO

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    Terzo mandato di De Luca, la Consulta decide sul ricorso del Governo: ecco perché il caso si intreccia con quello di Zaia

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaRiflettori della politica puntati sulla Corte costituzionale, chiamata a valutare la legge regionale campana del novembre scorso che autorizza il terzo mandato per Vincenzo De Luca. Una partita con ripercussioni non solo locali, visto il pressing della Lega sugli alleati a favore della ricandidatura di Luca Zaia e il secco no di Schlein all’ipotesi di tenere ancora in campo un De Luca ormai distante anni luce dal Nazareno. Oggi si terrà l’udienza pubblica della Consulta e la decisione potrebbe arrivare già in serata o, più probabilmente, giovedì.Scenari in casa dem A chiedere il giudizio della Corte è stato il Consiglio dei ministri, impugnando la legge campana che fa decorrere il computo dei due mandati da quello attualmente in corso. Nel caso di una bocciatura, per il Pd sarebbe più semplice cercare con lo stesso presidente uscente un’intesa su un nome condiviso che guidi un’ampia coalizione, sul modello di Manfredi a Napoli. Se invece l’ipotesi terzo mandato fosse confermata, De Luca potrebbe ipoteticamente correre anche senza il Pd, oppure dettare condizioni politiche molto più pesanti in cambio di un passo indietro volontario, come la scelta di un nome di sua assoluta fiducia.Loading…La partita nel centrodestraSpettatore interessato è ovviamente il centrodestra, chiamato a scegliere tra una candidatura politica (in campo finora Cirielli per FdI e Zinzi per la Lega, il ministro Piantedosi ha ribadito ieri di non essere interessato) e quella di un “civico”, ipotesi che Forza Italia potrebbe gradire dopo il ritiro del suo frontman Martusciello. Intanto, sul ricorso alla Consulta si è consumato l’ennesimo strappo tra il presidente campano e i dem, accusati di non aver protestato per l’impugnazione del Governo decisa nonostante per il via libera al terzo mandato in Veneto e Piemonte non fossero state avanzate obiezioni. «È vergognoso – ha detto nei giorni scorsi De Luca – che un partito di opposizione di fronte al calpestamento del principio che la legge è uguale per tutti non dica una parola. L’ennesima prova di ipocrisia di un gruppo dirigente che è arte povera».Il pressing dei GovernatoriOcchi puntati su Palazzo della Consulta anche da parte del Carroccio. La linea ufficiale del partito è quella del dialogo con gli alleati, ma la Lega non intenderebbe mollare né Lombardia, né Veneto malgrado le richieste di Fratelli d’Italia. «Dobbiamo dare ai cittadini la possibilità di scegliere da chi essere amministrati. Se una norma impedisce questa scelta, c’è un problema di democrazia», sostiene il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, anche lui al secondo mandato. LEGGI TUTTO

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    Terzo mandato De Luca, attesa oggi la decisione della Corte Costituzionale

    È in programma per oggi, 9 aprile, l’udienza della Corte Costituzionale da cui dovrebbe arrivare una decisione sulla legge regionale della Campania che permetterebbe di fatto all’attuale governatore Vincenzo De Luca di candidarsi per un terzo mandato. La norma è stata impugnata dal Governo, e dunque la Consulta è chiamata a prendere una decisione che potrebbe interessare non solo la Campania ma anche altre regioni. Vincenzo De Luca, alla domanda su cosa si aspetta dal 9 aprile, ha risposto: “Penso di fare quello che faccio: lavorare. Poi il 5 aprile è anche San Vincenzo, facciamo una lunga settimana di festa”. E poi ha aggiunto: “Invidio Zaia, che sta per finire il terzo mandato, che sta lavorando in un clima di tranquillità evangelica e perché viene rispettato. Il Governo non ha fatto nulla per il Piemonte, per il Veneto, ma per la Campania sì”, ha aggiunto facendo riferimento all’impugnazione della legge, “ed è vergognoso che un partito di opposizione di fronte al calpestamento del principio che la legge è uguale per tutti non dica una parola: miserabili. È l’ennesima prova di ipocrisia di un gruppo dirigente che è arte povera”. (COSA PREVEDE LA LEGGE)

    Zaia: “Attendiamo in ossequioso silenzio”

    Sulla questione del terzo mandato è intervenuto anche il governatore del Veneto, Luca Zaia: “Dobbiamo essere rispettosi e attendere in ossequioso silenzio, visto e considerato che c’è questa impugnativa da parte del Governo rispetto alla legge campana. I temi sono due: la costituzionalità e la legittimità della legge campana da un lato, e dall’altro lato la costituzionalità o incostituzionalità del blocco dei tre mandati a livello nazionale. Cercheremo di capire come risponderà la Consulta”.
    Guerini (Pd): “Aspettiamo Consulta poi si vedrà”
    Lorenzo Guerini, esponente del Pd e già ministro della Difesa, sul caso dell’eventuale terzo mandato di De Luca ha detto: “C’è una sentenza della Corte Costituzionale che bisogna aspettare. Poi si vedrà. Consegno anche questo tema al dibattito tra le forze locali. Bisogna lavorare per valorizzare al meglio ciò che è stato fatto in questi dieci anni per dargli una proiezione futura. Io penso che debba essere la base per il lavoro che vogliamo fare negli anni successivi”, ha detto il parlamentare Pd e presidente del Copasir: “Lo si farà in relazione al confronto e al dibattito che si svilupperà soprattutto in sede locale, perché sono consapevole che c’è un contesto nazionale di riferimento a cui dobbiamo guardare, a cui non dobbiamo sottrarci. Ma poi le decisioni devono vedere il protagonismo delle comunità locali, delle forze locali, delle forze politiche del territorio. Io confido che si farà un lavoro positivo”. LEGGI TUTTO

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    La maggioranza ritira l’emendamento per lo stop ai ballottaggi nei comuni?

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaIl blitz in Senato per cambiare la legge elettorale per i Comuni con oltre 15mila abitanti abbassando la soglia al di sotto della quale si va al ballottaggio dal 50% al 40% è già rientrato: l’emendamento firmato dai quattro capigruppo della maggioranza al decreto elezioni sarà ritirato e trasformato in disegno di legge. L’annuncio arriva in serata dagli stessi capogruppo ed evita al presidente meloniano della commissione Affari costituzionali Alberto Balboni il fastidioso compito di dover dichiarare inammissibile l’emendamento. Lo stesso presidente del Senato Ignazio La Russa, interpretando certamente il pensiero del Quirinale, aveva infatti già dichiarato nei giorni scorsi la sua contrarietà allo strumento del decreto: l’articolo 72 della Costituzione, infatti, vieta di intervenire per decreto sulle formule elettorali.Ma se la maggioranza rinuncia al blitz per decreto non rinuncia certo all’obiettivo, ossia quello di rendere i ballottaggi un’ipotesi residuale puntando tutto sul primo turno: chiaro che ad essere penalizzato in questa fase politica è soprattutto il centrosinistra, che fatica a mettere insieme larghe coalizioni ma che poi spesso si ricompone al secondo turno. Un’allergia a tutto campo, quella del centrodestra al ballottaggio, che ha fin qui bloccato anche la messa a punto della legge elettorale per l’elezione del premier facendo finire su un binario morto la stessa riforma costituzionale, visto che il Ddl Casellati giace da mesi in commissione alla Camera dopo il primo via libera del Senato del giugno scorso. L’unico modo per assicurare al premier una maggioranza certa, come recita il testo del Ddl Casellati, è infatti quello di prevedere il ballottaggio tra i primi due arrivati se nessuno raggiunge una certa soglia: la stessa premier Giorgia Meloni è favorevole ad un secondo turno se nessuno raggiunge una certa soglia, individuata appunto nel 40% come quella che si vuole inserire per i Comuni. Ma Forza Italia e soprattutto la Lega di ballottaggio non vogliono neanche sentir parlare, sia esso vero o residuale, e guardano piuttosto al modello delle Regioni dove vige un turno unico con premio di maggioranza. Anche per questo il testo del Ddl Casellati è piuttosto vago sul sistema di voto: «La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio, assegnando un premio di base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio». Stop. Non è fissata una soglia al di sopra della quale può scattare il premio per evitare che sia abnorme (la Consulta ha stabilito negli anni scorsi che non può superare il 15%), né quindi viene previsto che cosa accade se nessuno la raggiunge.Loading…Ed è così che in queste ore, quando ancora il confronto all’interno della maggioranza sulla legge elettorale che dovrà sostituire il Rosatellum non è formalmente iniziato, spunta una sorta di “lodo Donzelli”: è il fidato deputato meloniano, infatti, a lanciare l’ipotesi che se nessuno raggiunge il 40% semplicemente il premio non scatta, consegnando una fotografia tutta proporzionale. «Una soglia va certamente messa, visti i noti paletti della Consulta – è il ragionamento che Giovanni Donzelli fa con i suoi -. Se non è possibile inserire il ballottaggio residuale si può lasciare solo il premio sopra il 40%». L’idea di fondo è che il turno unico spingerebbe all’aggregazione dei partiti e dunque al superamento quasi certo della fatidica soglia. Certo, a quel punto occorrerebbe in seconda lettura togliere la parola “garantisca” dal Ddl Casellati.Il “lodo Donzelli” potrebbe sbloccare l’impasse e portare all’approvazione di una riforma elettorale che potrà essere usata già alle prossime politiche anche nel caso in cui la riforma del premierato non fosse nel frattempo entrata in vigore (l’ipotesi al momento più accreditata è che il referendum confermativo si tenga a prossima legislatura già iniziata). Turno unico con l’obbligo di indicare il nome del candidato premier della coalizione sulla scheda elettorale: ce n’è abbastanza per mandare in tilt un centrosinistra non solo diviso e litigioso ma in cui non c’è una premiership riconosciuta da tutti. La segretaria del Pd Elly Schlein, incalzata dal leader 5S Giuseppe Conte, dovrebbe quanto meno sottoporsi al rito pur sempre rischioso delle primarie di coalizione LEGGI TUTTO