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    Specchietti e finestrini rotti o crepati, occhio alle multe: ecco cosa si rischia

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    Uno dei principi fondamentali del Codice della strada è certo quello di tutelare nella circolazione stradale la sicurezza e la salute: a creare una potenziale situazione di pericolo nella guida, pertanto, possono contribuire anche le condizioni di vetri e specchietti della nostra auto, che devono essere perfettamente integri ed efficienti.Mettersi al volante con finestrini, parabrezza, lunotto posteriore e specchietti retrovisori rotti o anche semplicemente filati può venire a costituire un potenziale rischio, causa disturbo della visibilità, non solo per il conducente ma anche per i pedoni e gli altri automobilisti: ecco perché la legge punisce con specifiche sanzioni coloro i quali non si curano dell’integrità di queste componenti fondamentali dell’auto.Stante quanto previsto dall’articolo 79 del Codice della strada,”i veicoli a motore ed i loro rimorchi durante la circolazione devono essere tenuti in condizioni di massima efficienza, comunque tale da garantire la sicurezza e da contenere il rumore e l’inquinamento entro i limiti”. Ogni mezzo deve pertanto essere integro ed efficiente, non solo nella sue parti meccaniche ma anche in quegli elementi che garantiscono una perfetta visibilità in manovra, per cui chiaramente anche parabrezza, lunotto posteriore, finestrini e specchietti retrovisori.Nello specifico il regolamento di esecuzione del CdS (articolo 237 D.P.R. 495/1992) stabilisce in modo esplicito che”tutti i vetri interessanti la visibilità del conducente non devono presentare rotture, anche se localizzate”. Non ottemperare a questo obbligo può comportare per l’automobilista il rischio di incorrere in multe che vanno da 87 a 344 euro. Per rendere il conducente un trasgressore, pertanto, è sufficiente anche una semplice scheggiatura, per cui al momento della segnalazione dell’infrazione le forze dell’ordine preposte ai controlli possono documentare il danno a vetri o specchietti con una foto da usare come prova.Ciò è valido per tutti i vetri, anteriori, posteriori e laterali, così come per gli specchietti, stante quanto previsto dall’art.72, che obbliga ciclomotori, motoveicoli e autoveicoli a munirsi di dispositivi retrovisori. La sanzione per chi circola con un mezzo i cui dispositivi retrovisori mancano del tutto o non sono efficienti, come qualora risultino danneggiati, è una sanzione compresa, anche in questo caso, tra 87 e 344 euro. LEGGI TUTTO

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    Agenzie delle Entrate: sito in tilt. A rischio i 730

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    “Un disservizio assurdo”. Così il Codacons definisce i nuovi problemi tecnici del sito dell’Agenzia delle Entrate, chiedendo al governo di “intervenire urgentemente per garantire a cittadini e commercialisti un accesso costante ed efficiente ” alla piattaforma. “Ancora una volta il sito dell’Agenzia è interessato da problemi che impediscono ai contribuenti di accedere alle dichiarazioni dei redditi precompilate ed inviare documentazione al Fisco, e ai commercialisti di utilizzare i servizi telematici della piattaforma – spiega il Codacons – Un disservizio che fa seguito a quello dello scorso 16 maggio e che costrinse la stessa Agenzia a prorogare al 30 maggio il termine per le scadenze fiscali e contributive. Una situazione che arreca un danno in termini di attese e perdite di tempo ad una vasta platea di soggetti, e che deve essere affrontata con urgenza: le evidenti carenze tecniche del servizio vanno risolte in modo definitivo perché è intollerabile che il sito di riferimento per le operazioni fiscali in Italia sia oggetto di continui disservizi e malfunzionamenti e non riesca a far fronte alla mole di accessi da parte dei contribuenti”.Proteste anche da parte dei commercialisti. “Ancora una volta, nel pieno della campagna dichiarativa, i professionisti che operano in ambito fiscale si trovano a fronteggiare l’ennesimo blocco del sito dell’Agenzia delle Entrate, che da questa mattina presenta gravi malfunzionamenti che non permettono l’utilizzo dei servizi telematici fondamentali per l’invio delle dichiarazioni fiscali”. LEGGI TUTTO

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    Energia, tre italiani su quattro sono disinformati

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    In un mondo segnato da tensioni geopolitiche, transizione ecologica accelerata e competizione sulle risorse, l’energia torna prepotentemente al centro del dibattito pubblico. Non solo come bene primario, ma come chiave strategica per il futuro. È in questo contesto che nasce la ricerca “Italia: energia sicura?”, realizzata da Gpf Inspiring Research per il Festival dell’Energia, che si svolge da giovedì 29 a sabato a Lecce, con l’obiettivo di indagare come i cittadini percepiscano la sicurezza energetica oggi.Percezione diffusa di incertezza, ma conoscenze fragiliI dati, raccolti tra il 30 aprile e il 5 maggio 2025 su un campione rappresentativo di 2.000 italiani, restituiscono un quadro complesso: il 91,8% degli intervistati percepisce l’attuale momento storico come incerto, e l’84,4% si dichiara sensibile alla sicurezza energetica. Tuttavia, solo il 23,8% afferma di conoscerne bene i meccanismi. A preoccupare maggiormente è la dipendenza dall’estero, percepita come il principale rischio per la sicurezza energetica nazionale, anche se spesso sottovalutata nella sua reale entità. Non stupisce quindi che il 42,9% degli italiani ritenga plausibile un blackout, pur considerandolo inaccettabile nel 2025 (72,4%).Tra fiducia nel pubblico e contraddizioni quotidianeIl 32,4% teme che i costi dell’energia possano diventare proibitivi, ma una larga maggioranza (67,6%) si affida comunque all’intervento statale per contenerli. Questa fiducia nel pubblico si accompagna, però, a una scarsa disponibilità a modificare le proprie abitudini: molti italiani sostengono a parole la necessità di ridurre i consumi, ma pochi sembrano pronti a farlo davvero. “C’è una frattura tra paura e conoscenza. La sensibilità è alta, ma spesso emotiva. Serve educazione energetica”, osserva Carlo Berruti, direttore scientifico di Gpf Research.Apertura verso nucleare e fossili: i giovani più ricettiviUno dei dati più sorprendenti riguarda il nucleare. Ben il 58,4% degli italiani si dichiara favorevole a reinvestire in questa tecnologia, con punte del 62,3% tra gli under 35. Anche le fonti fossili trovano una certa accettazione: il 75,2% si dice favorevole allo sfruttamento dei giacimenti italiani, purché nel rispetto dell’ambiente. Il fenomeno Nimby (“Not In My Backyard”) appare in calo tra i giovani: il 38,8% degli italiani accetterebbe un impianto vicino casa, una percentuale che sale proprio tra gli under 35. Al contrario, gli over 65 restano più restii sia sul nucleare sia sull’accoglienza di nuove infrastrutture sul territorio.Disinformazione sul mix energetico e sulle fonti domesticheLa ricerca evidenzia una forte confusione su dati e concetti chiave. Molti italiani sovrastimano il peso dell’elettricità nei consumi energetici complessivi, stimandolo oltre il 50% quando in realtà è intorno al 20%. Solo il 16,7% fornisce una stima corretta delle rinnovabili utilizzate in casa propria. Oltre la metà degli intervistati non sa da dove provenga l’energia che consuma quotidianamente. “L’energia non è solo un tema tecnico. È sempre più una materia di opinione pubblica, che influenza le scelte democratiche”, sottolinea Alessandro Beulcke, presidente del Festival dell’Energia. “Dobbiamo promuovere un’informazione consapevole e autorevole.”Relazioni internazionali e compromessi eticiIl 90,2% del campione ritiene fondamentale mantenere buoni rapporti con i Paesi fornitori per assicurare continuità e prezzi sostenibili. Tuttavia, solo un quarto (25,8%) sarebbe disposto a farlo a qualsiasi costo, anche a discapito di principi etici. LEGGI TUTTO

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    Lagarde pronta a lasciare la Bce? Ecco dove potrebbe andare

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    Christine Lagarde avrebbe preso in considerazione l’idea di lasciare anticipatamente la guida della Banca centrale europea per assumere la presidenza del World Economic Forum (Wef). A rivelarlo è Klaus Schwab, fondatore e ormai ex presidente del Wef, in un’intervista al Financial Times.Secondo quanto riportato, i colloqui tra Lagarde e Schwab andrebbero avanti da anni, con l’obiettivo di preparare una transizione alla guida dell’istituzione con sede a Ginevra, celebre per il suo appuntamento annuale a Davos che riunisce l’élite globale della politica e della finanza. L’ultimo incontro tra i due sarebbe avvenuto ad aprile a Francoforte, dove Lagarde avrebbe confermato l’interesse a subentrare “non oltre l’inizio del 2027”.Il mandato di Lagarde alla Bce scade formalmente a ottobre dello stesso anno e, secondo fonti a conoscenza dei fatti, la dirigente francese avrebbe dato la propria disponibilità a condizione di completare prima l’opera di contenimento dell’inflazione nell’Eurozona, riportandola in linea con il target del 2%. Obiettivo che – secondo le ultime proiezioni – sembra ormai vicino.Tuttavia, permangono dubbi sulla possibilità concreta di un’uscita anticipata, nonostante, sempre secondo Schwab, fossero già stati predisposti dettagli pratici come un appartamento a Villa Mundi, di proprietà del Wef, affacciata sul Lago di Ginevra, per consentire a Lagarde di iniziare a lavorare sul nuovo incarico.Una successione complicataL’eventuale partenza anticipata della presidente Bce aprirebbe uno scenario inedito per la governance monetaria europea, alimentando un’inevitabile corsa alla successione. La nomina del presidente dell’istituto di Francoforte è storicamente frutto di complessi equilibri politici tra i paesi membri dell’Unione. Lagarde sarebbe la seconda presidente della Bce a lasciare l’incarico prima della scadenza naturale, dopo Wim Duisenberg. La portavoce dell’istituto ha intanto ribadito che Lagarde “è pienamente impegnata a portare a termine il suo mandato”.Dopo Schwab, l’incertezzaIl Wef, intanto, si trova in una fase di transizione delicata. Schwab, che ha fondato l’organizzazione nel 1971, è stato costretto a dimettersi anticipatamente dopo nuove accuse di comportamenti impropri, che si sono aggiunte a quelle – archiviate – emerse nei mesi precedenti. Al suo posto è stato nominato in via provvisoria l’ex Ceo di Nestlé, Peter Brabeck-Letmathe.“Ho paura che, se l’incertezza continua a gravare sull’organizzazione, Christine Lagarde possa decidere di non accettare la carica”, ha dichiarato Schwab, esprimendo il timore che il suo piano di successione possa naufragare. Al momento, però, il Wef ha chiarito che non esiste alcun accordo formale con Lagarde.Dal canto suo, la presidente della Bce non ha rilasciato commenti ufficiali. Ma le indiscrezioni sollevano interrogativi su come la leader europea intenda concludere il suo incarico e, soprattutto, sul futuro dell’istituzione che guida.Davos chiama, ma l’Europa guardaUn’eventuale transizione alla guida del Wef rappresenterebbe per Lagarde una nuova fase della sua carriera ai vertici delle istituzioni globali, dopo essere stata ministra dell’Economia in Francia, direttrice del Fmi e ora presidente della Bce. E anche dal punto di vista economico, l’incentivo non manca: la nuova posizione potrebbe valere circa il doppio del suo attuale stipendio annuale da 466mila euro. LEGGI TUTTO

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    La doppia sfida delle imprese

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    C’è chi ironicamente ha definito il fagiolo europeo di Giorgia Meloni e il tappo al collo delle bottiglie di plastica di Roberta Metsola, i momenti «più alti» dell’annuale assemblea di Confindustria svoltasi ieri a Bologna. Ironia sciocca, perché in quelle due battute, che insieme a una miriade di altre geniali idee partorite dagli euroburocrati di Bruxelles sono il portato legislativo di una stagione che vorremmo poter dimenticare, c’è il paradosso contro il quale il presidente della Confindustria, Emanuele Orsini, si è scagliato con parole nette, sostenuto da una premier che non ha mancato di ricordare quanti auto-dazi dovremmo rimuovere prima di pensare alle nuove tariffe targate Usa. Ma ciò che in particolare ha colpito è la veemenza con la quale la presidente del Parlamento europeo, in perfetto italiano, ha stigmatizzato le politiche perseguite dalla precedente Commissione, dichiarandosi pronta ad affiancare l’Italia nell’opera di riequilibrio legislativo nell’Unione. Del resto, l’aver anteposto l’ideologia al realismo e alla neutralità tecnologica, con tempi e obiettivi ambientali assurdi, sta presentando un conto salatissimo a famiglie e imprese. Per non dire del maggior costo che in particolare l’Italia subisce sul fronte dell’energia, la più cara in assoluto in Europa che non solo pesa sulle bollette domestiche, ma mette a rischio una voce fondamentale del nostro Pil: per vincere nella gara dell’export non basta sfornare le eccellenze che molti ci invidiano, se poi il prezzo per acquistarle non è concorrenziale per i costi di produzione più elevati. E qui le cause non sono solo le becere norme europee, ma anche scelte assai poco meditate da parte di un mondo politico italiano privo di visione, se non peggio, anche quando le soluzioni sarebbero alla portata. LEGGI TUTTO