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    Verso una nuova stretta sui cronisti, stop alla pubblicazione di atti

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaNon solo gli atti di custodia cautelare. Non più pubblicabili potrebbero essere anche altre misure cautelari personali, le interdittive e i sequestri. Il Governo si prepara ad una nuova stretta sui giornalisti, che potrebbe essere inserita nello stesso decreto legislativo già approvato lo scorso settembre in via preliminare dal Consiglio dei ministri: il provvedimento nato dopo un emendamento e ribattezzato “legge bavaglio” dalle opposizioni e dalla Federazione nazionale della stampa.Si lavora all’ambito di applicazioneLa nuova versione del decreto, ricevuti i pareri e le indicazioni dalla commissione Giustizia, potrebbe approdare in uno dei prossimi Cdm, ma a via Arenula si è ancora in attesa di capire se Palazzo Chigi deciderà di dare il via libera per l’inserimento del decreto in calendario fin da subito o ci sarà una proroga. Al momento – spiegano fonti del ministero della Giustizia – si sta valutando il perimetro entro il quale estendere il divieto e decidere se includere in generale l’interdizione di pubblicazione per tutti gli atti, come tutte le misure cautelari personali, il carcere, le interdittive e perquisizioni, o solo determinati documenti. Sembra però chiaro che la formula di secretazione stabilita sarà comunque la stessa decisa già due mesi fa: il testo preciso del documento diventa di fatto segreto e la stampa non potrà pubblicarlo, almeno finché non siano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. Nel caso della custodia cautelare sarà pubblicabile soltanto il contenuto dell’atto, senza poterlo citare tra virgolette, e potrà essere fedelmente riportato solo il capo di imputazione per esteso.Loading…L’ipotesi di multe ai cronistiLa modifica riguarda l’articolo 114 del codice di procedura penale ed era stata decisa diverso tempo prima in Parlamento, quando il Senato approvò l’articolo 4 della legge di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva europea. A dare l’avvio all’iter fu un emendamento del deputato Enrico Costa (ex di Azione e ora in Forza Italia), durante il passaggio alla Camera. Poi il decreto legislativo è passato una prima volta al vaglio dei ministri nel settembre scorso per essere in seguito sottoposto alla lettura e agli eventuali suggerimenti, non vincolanti, delle due commissioni Giustizia di Camera e Senato entro sessanta giorni. Scaduto questo periodo resta resta da capire quando approderà in Cdm per avere il via libera definitivo dell’Esecutivo. E l’incognita potrebbe essere sciolta già nelle prossime ore. Al di là dei tempi, sono proprio le indicazioni arrivate dalle commissioni a stringere le maglie: la maggioranza, assieme a Italia Viva, chiede di estendere ulteriormente il divieto a tutte le altre ordinanze prevedendo anche multe per i giornalisti e non solo agli editori (fino a 500mila euro). Ma è molto possibile che il Governo non accolga tutte le proposte e frenerà sulle sanzioni troppo alte ai cronisti. Non si può escludere comunque che le multe possano essere inserite nel disegno di legge sulla diffamazione fermo al Senato.Passo indietro rispetto alla riforma OrlandoÈ certo che a breve le modalità dei contenuti giornalistici, riguardo alle inchieste giudiziarie, cambieranno: si torna indietro rispetto a quanto stabilito dalla riforma del 2017 dell’allora ministro Andrea Orlando, secondo cui le ordinanze sono pubblicabili senza limiti. Il provvedimento ha intanto suscitato la reazione dei Cinque Stelle: «Sono passati pochi giorni dal pericolo scampato sul bavaglio che il Governo voleva imporre ai magistrati e subito ci troviamo di fronte ad un nuovo tentativo di imbavagliare ulteriormente la libertà di stampa e colpire il diritto dei cittadini ad essere informati su atti giudiziari di particolare importanza. Con la slavina dei provvedimenti del governo Meloni ormai l’Italia è una Repubblica poco democratica, fondata sul bavaglio», sostengono i rappresentanti del M5S nelle commissioni Giustizia. LEGGI TUTTO

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    Due donne in cima alla classifica dei redditi parlamentari: le avvocate Rossello e Bongiorno

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaLa classifica è ancora provissoria perché non tutti i parlamentari hanno depositato la loro dichiarazione dei redditi 2024 e, tra questi, mancano alcuni che lo scorso anno erano in cima alla graduatoria come il senatore a vita e architetto Renzo Piano ma soprattutto Antonio Angelucci, deputato della Lega e proprietario delle cliniche del Gruppo San Raffaele oltre che editore dei quotidiani della galassia di centrodestra Libero, Il Tempo e Il Giornale. Al momento le più ricche tra Camera e Senato in base alla documentazione patrimoniale risultano due donne, entrambe di centrodestra e tutte e due avvocate: si tratta di Giulia Bongiorno e Cristina Rossello.Bongiorno a quota 2,541 milioniBongiorno, palermitana, senatrice della Lega e già ministro della Pubblica amministrazione nel primo governo giallo-verde di Giuseppe Conte, una popolarità da avvocata cominciata nel ’95 quando il principe del Foro Franco Coppi le chiese di occuparsi in prima persona della difesa di Giulio Andreotti, per il 2024 ha dichiarato un reddito di 2,541 milioni di euro. Un valore inferiore rispetto ai due anni precedenti (2,754 nel 2023 e quasi 3 milioni di euro nel 2022).Loading…Il primato di RosselloAndamento opposto per Rossello, in passato avvocata di Silvio Berlusconi, eletta deputata con Forza Italia (e coordinatrice del partito azzurro a Milano): dai 2,054 milioni dello scorso anno è salita a oltre tre milioni (3,159). Una cifra che al momento non ha uguali tra le colleghe e i colleghi che hanno depositato presso gli uffici parlamentari la propria documentazione patrimoniale aggiornata.L’ex ministro dell’Economia dei governi Berlusconi e ora deputato di Fdi, Giulio Tremonti, si ferma a 2,229 milioni (-365mila euro rispetto all’anno precedente). Più o meno sulle stesse latitudini l’ex premier Matteo Renzi: il leader e senatore di Italia viva ha dichiarato 2,339 milioni, con un calo più pronunciato rispetto al 2023 (-878mila euro). LEGGI TUTTO

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    M5s, il “partito” di Grillo toglierebbe a Conte almeno un terzo dei voti

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaBeppe Grillo scioglie le riserve e si avvia a rivendicare anche legalmente il simbolo del “suo” M5s («fatevi il vostro simbolo, fatevi le vostre cose», è la sfida lanciata a Giuseppe Conte & C). Ma per farci cosa? Forse «metterlo in una teca», come confida ai pochi fedelissimi rimastigli accanto. La realtà è che il fondatore e (ex?) Garante del movimento si dichiara stanco e sembra al momento solo voler strappare la sua creatura dalle mani dell’usurpatore, costringendolo a creare un partito nuovo “contiano” a sua misura. Della serie: il movimento è morto, muoia Sansone con tutti i filistei. Eppure chi lo conosce bene, come l’ex senatore Elio Lannutti, avverte che Grillo è imprevedibile. E certamente la voglia di “far male” a Conte non manca. Nel nome dei principi delle origini «distrutti» dall’ex premier (limite ai mandati, democrazia diretta, ecologismo integrale, alterità rispetto ai partiti tradizionali) potrebbe anche tentare una nuova avventura con i fedelissimi (Danilo Toninelli, Virginia Raggi e forse Alessandro Di Battista).Grillo “I valori sacri del Movimento 5 Stelle sono stati traditi”Ma quanti voti potrebbe prendere un partito di Grillo? Il sondaggista Antonio Noto ha subito sondato gli umori degli elettori pentastellati chiedendogli quale partito sceglierebbero se a presentarsi alle prossime politiche fossero due partiti, uno di Conte e uno di Grillo. E i risultati, resi noti in tarda serata durante la trasmissione Porta a porta di Bruno Vespa, sono in qualche modo sorprendenti: il 65% degli intervistati sceglierebbe Conte e ben il 28%, quasi un terzo, Grillo (il 2% non sa e il 5% non voterebbe nessuno dei due partiti ritenendo finita l’esperienza). Tradotto in percentuali, visto che al momento Noto stima il M5s all’11% a livello nazionale, significherebbe il 7% a Conte e il 4% a Grillo.Loading…Un partito di Grillo, stando a questi dati, farebbe insomma piuttosto male a Conte e ai contiani. Anche tenendo conto del fatto che la percentuale potrebbe alla fine rivelarsi maggiore se il fondatore dovesse vincere il contenzioso legale su nome e simbolo (Noto ha giocoforza sottoposto agli intervistati un quesito generico sul punto). I “marchi” storici, si sa, hanno il loro valore anche affettivo in politica. Il meno che si possa dire è che per Conte, che nel week end sarà costretto a ripetere la votazione sull’abolizione della figura del Garante e altre modifiche allo statuto chiesta da Grillo con il rischio di non centrare una seconda volta il quorum del 50% più uno degli iscritti, inizia una via crucis giudiziaria e politica dagli esiti imprevedibili. Via crucis che anche il Pd guarda con preoccupazione: un’eventuale scissione del M5s ridurrebbe i consensi già in discesa di quello che al momento è il principale alleato della segretaria Elly Schlein per costruire l’alternativa di governo. LEGGI TUTTO

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    Renzi ancora tra i parlamentari più ricchi: nel 2023 redditi da 2,33 milioni di euro

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaIn calo rispetto all’anno precedente ma con oltre 2 milioni di euro Matteo Renzi potrebbe essere il parlamentare più ricco: come risulta dalla documentazione patrimoniale pubblicata sul sito del Senato, nel 2023 l’ex premier e leader di Iv ha dichiarato un reddito di 2,339 milioni di euro. Valore in calo rispetto all’anno precedente quando era stato di 3,217 milioni di euro.Sull’ultima dichiarazione dei redditi non sono specificate proprietà o quote in società, come ad esempio un anno fa in riferimento alla modifica della ragione sociale della società Ma.re consulting, costituita nel 2021 e diventata Mare holding, cedendo – si specificava – il 10% delle quote.Loading…A ottobre era stato pubblicato anche il reddito della premier Giorgia Meloni: quasi mezzo milione di euro (459.460), più alto rispetto a quello dell’anno prima (293.531).Il duello con AngelucciL’anno scorso Renzi era stato considerato a lungo il parlamentare con la dichiarazione dei redditi più alta fino a quando negli uffici della Camera era stata depositata, in ritardo, la documentazione di Antonio Angelucci, deputato della Lega, imprenditore della sanità ed editore dei quotidiani di centrodestra Il Tempo, Il Giornale e Libero: il suo reddito complessivo per il 2023 (periodo d’imposta 2022) era di 3.334.400 euro. Cifra di poco superiore (116mila euro) a quella del senatore di Rignano. Angelucci non ha ancora presentato la propria situazione patrimoniale per l’anno di imposta 2023. Ma è qusi certo che il duello è destinato a ripetersi anche quest’anno. LEGGI TUTTO

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    Autonomia, depositata la sentenza della Consulta: alcune funzioni non vanno trasferite

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaÈ stata depositata oggi, negli uffici della Cancelleria della Corte Costituzionale, la sentenza della Consulta numero 192 del 2024 sulle questioni di costituzionalità relative alla legge sull’autonomia differenziata. Il comunicato diffuso dalla Corte lo scorso 14 novembre aveva evidenziato sette profili di illegittimità (dai Lep alle aliquote sui tributi) e cinque norme salvate a patto di darne una «lettura costituzionalmente orientata». La Corte ha accolto parzialmente i ricorsi delle quattro Regioni guidate dal centrosinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato la legge Calderoli. I giudici hanno ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge considerando invece “illegittime” alcune specifiche disposizioni. Da qui l’invito al Parlamento a “colmare i vuoti” che ne derivano.L’autonomia differenziata, insomma, non è incostituzionale in sé, perché non contrasta con principi fondamentali come l’unità della Repubblica. Può essere anzi un’occasione di sviluppo efficiente dei criteri di sussidiarietà; ma per esserlo ha bisogno di correzioni su tutti i suoi meccanismi fondamentali. Il primo «profilo di incostituzionalità» investe infatti il cuore del processo: che cosa può essere trasferito alle Regioni? Non «materie o ambiti di materie» ma solo «specifiche funzioni legislative e amministrative», cioè i singoli filoni di attività che compongono una materia, e il loro trasferimento va «giustificato, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà».Loading…Consulta su Autonomia: alcune funzioni non vanno trasferite Non solo. «Vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, terzo comma della Costituzione (ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia – ndr), alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà. Vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento». È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza della Consulta depositata oggi. In questo caso la Corte fa riferimento a materie in cui «predominano le regolamentazioni dell’Unione europea» come la politica commerciale comune, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e le grandi reti di trasporto, ma anche le «norme generali sull’istruzione» che hanno una «valenza necessariamente generale ed unitaria» – le funzioni relative alla materia sulla «professioni» e i sistemi di comunicazione.«Su alcune materie decida solo il Parlamento»«ll regionalismo corrisponde a un’esigenza insopprimibile della nostra società, come si è gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione. Spetta, però, solo al Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale» scrive ancora la Consulta nella sentenza sulle questioni di costituzionalità relative alla legge sull’autonomia differenziata, in cui ha accolto parzialmente i ricorsi di quattro Regioni. «La vigente disciplina costituzionale riserva al Parlamento la competenza legislativa esclusiva in alcune materie affinché siano curate le esigenze unitarie (art. 117, secondo comma, Cost.)» LEGGI TUTTO

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    Grillo, il finale resta aperto

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaGrillo abbandona il M5S. Per la verità 11. 03 aveva un significato ancora diverso. Grillo voleva dire che in quel giorno il M5S era già morto. Questo il senso del messaggio trasmesso oggi. Il carro funebre significa che per Grillo in Movimento è morto.Ma ecco anche il nuovo messaggio: non finisce qui, la narrazione continua. Il finale resta aperto.Loading…Sull’orlo di una tomba può nascere qualcosa di nuovo.* Tra i fondatori del M5S LEGGI TUTTO

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    M5s, Grillo va alla guerra sul simbolo (e su Conte leader)

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di lettura«Martedì 3 dicembre alle 11.03 collegatevi sul mio blog, sul mio canale Youtube e sulla mia pagina Facebook. Ho un delicato messaggio da annunciare». A due giorni dalla ripetizione del voto degli iscritti del M5s che ha cancellato d’emblée il ruolo del Garante dallo statuto, ripetizione chiesta e ottenuta  da Beppe Grillo in base ai poteri concessigli dallo statuto ancora formalmente in vigore, il dado è tratto: lo stesso Grillo ha deciso di rompere gli indugi e di sfidare Giuseppe Conte sulla proprietà del simbolo. Se è vero che il simbolo appartiene a Grillo, come stabilito dalla sentenza del 2021 della Corte d’Appello di Genova ormai passata in giudicato e riportata dal Sole 24 Ore il 30 novembre – “Il nome del Movimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso”, scrivono i giudici nella sentenza – è anche vero che lo stesso Grillo ha vincolato l’uso del nome e del simbolo a un contratto riservato.La sfida sulla proprietà del simboloSi tratta di una scrittura privata in cui il fondatore si impegna a non promuovere «alcuna contestazione» per quanto riguarda l’uso del nome e del simbolo in cambio della manleva garantita dal movimento, ossia il sollevamento dalle conseguenze patrimoniali derivanti da eventuali cause giudiziarie. Ebbene, il colpo di scena non preventivato da Campo Marzio è che Grillo ha deciso di rinunciare alla manleva («le cause nei miei confronti sono ormai poche», ha confidato ai fedelissimi).Loading…Verso l’impugnazione del nuovo statutoNon solo. Quell’orario 11.03 fissato per l’annuncio non è casuale, ma rimanda alla data dell’11 marzo del 2022, quando veniva approvato il nuovo Statuto del M5S. «Grillo può ancora impugnarlo, come ha bene messo in rilievo l’avvocato Lorenzo Borrè, e se un giudice dovesse dargli ragione Conte decadrebbe perché la sua carica di presidente non era prevista dallo Statuto precedente», avverte un ideologo del primo M5s come Paolo Becchi. Si starebbe dunque pensando ad una impugnazione ex novo delle votazioni che portarono Conte alla guida del movimento nell’estate del 2021, poi ripetute dopo il famoso “congelamento” deciso dal Tribunale di Napoli a marzo e aprile del 2022.Battaglia legale incertaInsomma, Grillo va alla guerra, e ci va fino in fondo, ben sapendo che la causa sul simbolo potrebbe anche perderla. Come sostiene il costituzionalista Salvatore Curreri, esperto di diritto dei partiti: «La tendenza a registrare i simboli dei partiti come marchi è contrastata a livello giurisprudenziale, dove si ritiene che il diritto di proprietà individuale sul marchio non può sacrificare integralmente il diritto al suo da parte di un soggetto collettivo come un partito politico». In particolare, spiega ancora Curreri, il Tribunale di Palermo (sezione imprese, ordinanza 4 marzo 2015) ha stabilito che il simbolo di un partito non può essere considerato alla stregua di un marchio d’impresa «perché espressione dell’identità personale del gruppo di individui che si associano per la condivisione di una determinata idea politica. In definitiva, il simbolo di un partito appartiene non ad un soggetto ma alla comunità politica che in esso si riconosce e che in tal senso può agire in sua tutela secondo l’art. 7 del codice civile». LEGGI TUTTO

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    M5S, perché Grillo potrebbe mangiarsi Conte come la banana di Cattelan

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaL’atteso “discorso della Montagna” ci sarà domani. Un messaggio certo rivolto al voto che sarà ripetuto nei prossimi giorni e che se confermato vedrà nelle intenzioni di Conte l’eliminazione del Garante e quindi di Grillo dal Movimento.Ma ecco il colpo di scena : Grillo parla alle 11. 03.Loading…11.03. 2022 veniva approvato il nuovo Statuto, ma Grillo può ancora impugnarlo e se un giudice dovesse dargli ragione Conte decadrebbe perché la sua carica non era prevista dallo Statuto precedente.E Grillo si mangerebbe così il Conte banana come il magnate Sun si è mangiato quella di Cattelan.*Tra i fondatori del Movimento 5 Stelle LEGGI TUTTO