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    Nextalia: Luigi, Barbara ed Eleonora Berlusconi scommettono sul fondo di Francesco Canzonieri

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    Nextalia accoglie H14, il family office della famiglia Berlusconi, nel proprio capitale sociale, segnando un passo strategico che ribadisce il ruolo centrale dei Berlusconi nel panorama degli investimenti italiani. Luigi, Barbara ed Eleonora Berlusconi, tramite H14, hanno scelto di sostenere Francesco Canzonieri, fondatore e amministratore delegato di Nextalia, nella sua missione di supportare le eccellenze italiane.Questo ingresso è avvenuto tramite un aumento di capitale approvato dall’assemblea degli azionisti. L’esperienza consolidata di H14 negli investimenti in capitale di rischio e crescita si integra con gli obiettivi di Nextalia, che si pone come piattaforma leader per gli investimenti nei mercati privati italiani. Fiammetta Roccia, Head of Permanent Capital di H14, entra nel cda di Nextalia, sottolineando ulteriormente il coinvolgimento della famiglia Berlusconi nel progetto.Il lancio del fondo Nextalia Flexible CapitalIn contemporanea, Nextalia ha annunciato il lancio del fondo “Flexible Capital”, un fondo di investimento alternativo con un target ambizioso di raccolta di 350 milioni di euro. Questo strumento, pensato per investitori professionali, sarà dedicato alle aziende italiane di piccole e medie dimensioni con alto potenziale di crescita. La strategia ibrida del fondo, che combina investimenti di maggioranza e minoranza con strumenti innovativi come il preferred equity, rappresenta un’opportunità unica nel segmento Small Cap.Il commento di Francesco Canzonieri“Siamo entusiasti di proseguire il nostro percorso di crescita accogliendo H14 come nuovo partner strategico,” ha dichiarato Francesco Canzonieri. “Il lancio di un nuovo fondo con strategia ibrida conferma il ruolo distintivo di Nextalia come piattaforma italiana di riferimento per gli investimenti nei private market.”Il contributo dei Berlusconi e la visione strategica LEGGI TUTTO

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    Mercosur, gli italiani dicono no

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    Un’alleanza commerciale che divide. L’accordo tra Unione Europea e Mercosur è bocciato dal 74% degli italiani, come evidenzia un’indagine Coldiretti-Censis, e trova una dura opposizione da parte del mondo agricolo. Alla recente assemblea nazionale di Coldiretti, l’associazione ha messo in chiaro che il settore, motore dell’economia italiana con 70 miliardi di euro di export, non può essere sacrificato per un’intesa che, così com’è, rischia di mettere in ginocchio migliaia di aziende.Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, non usa mezzi termini: «Una “distrazione” voluta, in termini politici, soprattutto da parte della Commissione europea, che promette reciprocità, ma firma intese che dimostrano il contrario». Prandini punta il dito sull’utilizzo degli agrofarmaci: «Il Brasile ha aumentato il loro impiego del 600% negli ultimi 30 anni, mentre l’Italia lo ha ridotto del 50%, tagliando anche le emissioni del 24%, contro una media europea del 20%. In Brasile, invece, le emissioni sono aumentate del 50%».Un quadro che preoccupa il governo italiano, con il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che sottolinea: «Valutiamo il Mercosur come una potenziale buona carta per le economie europee, ma tutti i settori devono vederne un vantaggio. Non si può sacrificare il mondo agricolo per favorire solo alcuni comparti».Anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si oppone con fermezza: «Non possiamo ripetere gli errori fatti nel mondo industriale con la Cina, quando abbiamo distrutto l’industria dell’auto aprendo completamente le porte senza reciprocità nelle regole». Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, ribadisce: «Non si può penalizzare il settore agricolo. Per come è scritto oggi, soprattutto per la carne, l’accordo non è utile. Bisogna lavorare per una giusta soluzione e siamo ottimisti di riuscirci».L’impatto sull’agricoltura e il futuro dell’energiaIl bilancio tracciato da Coldiretti sui danni subiti dal settore agricolo nel 2024 è drammatico: 9 miliardi di euro persi a causa dei cambiamenti climatici e delle epidemie, con un impatto devastante sui redditi delle imprese. Inoltre, l’aumento dei costi di produzione e la concorrenza sleale delle importazioni dall’estero mettono ulteriormente a rischio la tenuta del settore.Per affrontare queste sfide, Coldiretti propone interventi mirati, tra cui un piano europeo per la realizzazione di bacini di accumulo idrico. «È da sette anni che lo chiediamo, ma restiamo inascoltati», denuncia Prandini, che guarda anche al nucleare come soluzione alla crisi energetica. «È arrivata la stagione, che piaccia o no, di aprire al nucleare di nuova generazione. L’energia nucleare per fusione è la strada che deve essere intrapresa».Enzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti, aggiunge un monito: «Quello che Macron chiama “le grand Continent” sarà l’unico mercato di sbocco dell’Europa, considerando l’intenzione degli USA di ricorrere ai dazi. Attenzione al Mercosur: produrre carne a basso costo con antibiotici e ormoni non fa bene ai consumatori. Noi, invece, abbiamo ridotto del 95% l’uso di antibiotici negli ultimi anni». LEGGI TUTTO

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    Serafino Ferruzzi, 45 anni fa la morte di un gigante

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    Il big bang dell’impero ne ha oscurato la fama, ma Serafino Ferruzzi resta un gigante del Novecento. Un innovatore geniale, fra il grano, l’orzo e le sterminate tenute in tre continenti, uno che aveva trasformato la terra e la routine in un campo dei miracoli. A 45 anni dalla tragedia che lo strappò ai suoi sogni, Carlo Sama, marito della figlia Alessandra, ne rievoca la figura. Fu lui a battezzare e consegnare ai figli quello che agli inizi degli anni Novanta era il secondo gruppo italiano. Gettò le fondamenta, ma poi, come sottolinea commosso Sama, arrivò fulmineo al tetto. Prima di cadere con l’aereo a Forlì.Stefano ZurloIn occasione della ricorrenza della morte di Serafino Ferruzzi nel dicembre del 1979, ci tengo molto, perché lo ritengo un dovere e un onore, scrivere un breve ricordo del dottor Serafino Ferruzzi per ricordare cosa sia stato capace di realizzare nella sua vita.Era nato Ravenna il 19 marzo 1908 ed è morto a Forlì il 10 dicembre 1979 in un tragico incidente aereo dopo aver superato un tumore alla gola. Il futuro fondatore e sviluppatore del gruppo Ferruzzi, che diventerà noto in tutto il mondo, nasce in una modesta famiglia romagnola da un padre piccolo agricoltore che faceva anche l’artigiano per poter mandare a scuola di perito agrario il figlio Serafino che si diploma nel 1937 e intanto lavora come assistente del fattore di una tenuta agricola.Serafino Ferruzzi inizia così: con il tempo si laurea a Bologna in Agraria nel 1942 e intanto si mantiene agli studi diventando rappresentante per la Romagna dei fertilizzanti chimici e antiparassitari prodotti dalla Montecatini – che poi si fonderà con la Edison diventando Montedison – e contemporaneamente frequenta come operatore la Borsa merci di Bologna. Dopo la laurea viene richiamato dall’esercito come sottufficiale e assegnato di stanza a Bologna, continuando a lavorare e a frequentare il mercato granario bolognese.Nel 1948, Serafino Ferruzzi, costituisce con due soci, amici di gioventù, la Ferruzzi & C. per il commercio delle materie prime cerealicole. A guerra finita, la domanda di cereali – in particolare grano e di orzo – è in grande espansione in Italia e in Europa anche come mangime zootecnico. Con un mercato che tira, Serafino Ferruzzi importa mais e cereali dall’Unione Sovietica e dai Paesi dell’Est Europa.Nel 1949 inaugura il primo magazzino sul porto di Ravenna per facilitare il carico e lo scarico delle merci.Finirà la sua vita attiva nel 1979 essendo diventato proprietario di più di un milione di ettari di terra dedicata all’agricoltura in 3 continenti, come il più importante trader/commerciante privato al mondo nelle materie prime cerealicole, con un seggio alla più importante borsa merci del mondo a Chicago, diventato un importante armatore privato con la flotta di navi per carico secco più grande d’Europa, come il più importante proprietario privato di silos in Europa, il più importante produttore di zucchero in Italia e uno dei primi in Europa con l’Eridania e tanto altro ancora; lasciando inoltre all’estero ai suoi 4 figli eredi un patrimonio allora stimato in più di 1.000 miliardi di lire tra liquidità, per la gran parte, grandi aziende agricole sparse per il mondo, una banca negli Stati Uniti ed altri asset che erano il frutto della sua trentennale riconosciuta attività, estero su estero, quale principale privato trader/commerciante di materie prime cerealicole del mondo. LEGGI TUTTO

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    Sparkle, Mef e Asterion offrono 700 milioni a Tim

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    L’offerta per Sparkle è arrivata e così va componendosi un’altra tessera del piano disegnato dal ceo di Tim, Pietro Labriola (in foto). La coppia composta dal ministero dell’Economia e dal fondo spagnolo Asterion (che controlla l’operatore infrastrutturale Retelit) dovrebbe aver presentato un’offerta valida fini al 27 gennaio e del valore di 700 milioni, che saranno corrisposti senza condizioni difficili da raggiungere come figuravano nella prima offerta (risalente a gennaio scorso) che pure presentava una valutazione complessiva più elevata (750 milioni).L’arrivo della proposta vincolante per la società dei cavi internazionali ritenuta strategica dal governo non era veramente in discussione, dal momento che nella serata di martedì era arrivato il via libera da parte del comitato investimenti di Asterion. Secondo quanto trapelato, e non smentito dalle parti acquirenti, il nuovo assetto azionario di Sparkle prevede una solida presenza pubblica, con il Mef al 70% del capitale e la governance, e il restante 30% a Retelit-Asterion. I tempi si erano allungati, con diverse richieste di rinvio sulla scadenza per la presentazione dell’offerta vincolante, proprio perché i due soci hanno discusso a lungo su vari aspetti tra cui le quote che i due soci avrebbero detenuto a cose fatte. Difficile che la proposta, arrivata a valle delle trattative con Tim, non troverà l’accoglimento del consiglio d’amministrazione.Prima però ci saranno alcuni passaggi formali tra cda, comitati consiliari e ritorno al board per il via libera definitivo e il closing previsto nella prima metà del 2025. La cessione di Sparkle al Mef era parte dell’accordo che ha portato alla cessione della rete fissa di Tim al fondo americano Kkr che si è conclusa lo scorso luglio, con essa si può dire che finisca la fase uno del piano di rilancio firmato Labriola.Sparkle, tra l’altro, ha firmato nei giorni scorsi un memorandum con Fincantieri per collaborare allo sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative per la sorveglianza e la protezione dei cavi di telecomunicazione sottomarini. La società dei cavi, del resto, gestisce una rete proprietaria in fibra ottica che si estende per oltre 600mila chilometri attraverso Europa, Africa, Medio Oriente, America e Asia. Sullo sfondo, continuano a tenere banco i colloqui (non smentiti) con il fondo britannico Cvc per rilevare la quota del primo azionista Vivendi (23,75%). Voci che hanno riportato il titolo sopra quota 0,27 euro (ieri -0,5% in Borsa). Tra le vicende che potrebbero ridare ulteriore slancio al titolo c’è anche la questione della restituzione di un miliardo per il pagamento del canone del 1998 (che secondo una recente sentenze non sarebbe stato dovuto). LEGGI TUTTO

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    Stati Uniti, la Fed taglia i tassi dello 0,25%. Ma gela i mercati sulle prossime mosse

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    La Federal Reserve spedisce la prima cartolina al veleno a Donald Trump. La decisione con cui ieri la banca centrale Usa ha tagliato i tassi di un quarto di punto, al 4,25-4,50% (lo stesso livello del dicembre ’22), è stata infatti accompagnata dalla previsione che gli allentamenti monetari il prossimo anno saranno appena due. «Il nostro orientamento politico è ora significativamente meno restrittivo – ha spiegato il presidente della Fed, Jerome Powell (in foto)- . Possiamo quindi essere più cauti nel considerare ulteriori aggiustamenti».Di fatto, le nuove stime espresse dai dot plot rivelano che le sforbiciate attese saranno la metà rispetto a quelle indicate in settembre. Nel 2025 l’istituto di Washington si muoverà quindi con i piedi di piombo. E non solo perché i prezzi al consumo rimarranno sopra il target del 2%, con la Fed che ora vede l’inflazione al 2,5% l’anno prossimo (2,1% in settembre) mentre la crescita economica resterà robusta (+2,1% il Pil) in presenza di un mercato del lavoro forte (la disoccupazione è stata rivista al ribasso al 4,2%); a preoccupare sono anche le politiche economiche del Tycoon, considerate da molti economisti inflazionistiche a causa dell’introduzione di dazi e degli alleggerimenti fiscali. All’interno del board c’è infatti chi sta già affilando le armi: «Alcuni membri hanno iniziato a incorporare stime altamente condizionate degli effetti economici delle politiche (di Trump, ndr) nelle loro previsioni in questo incontro», ha rivelato Powell. Secondo il quale la Federal Reserve deve ora sia evitare di agire troppo lentamente, col rischio di minare crescita e mercato del lavoro, sia di muoversi troppo rapidamente, compromettendo gli sforzi fatti per aggredire l’inflazione. «Prima di ulteriori tagli dei tassi – ha aggiunto – dovremo valutare se sul fronte dei prezzi sono stati fatti progressi».Anche se è presto per dire se Jay e Donald torneranno a incrociare le spade come già accaduto durante il primo mandato di Trump, la Fed ha mandato un segnale preciso con un hawkish cut che apre scenari meno accomodanti. LEGGI TUTTO

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    Unicredit balza al 28% di Commerzbank

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    Andrea Orcel non si ferma e a sorpresa prenota in largo anticipo un altro pezzo di Commerzbank. Se qualcuno si era illuso che il banchiere alla testa di Unicredit lasciasse perdere il fronte tedesco dopo aver aperto quello italiano su Bpm, ieri mattina ha dovuto ricredersi quando l’istituto italiano attraverso strumenti derivati ha annunciato di aver arrotondato la sua quota nella seconda banca tedesca al 28% (dal precedente 21%). A oggi, quindi, Unicredit vanta il 9,5% in azioni mentre il resto è composto da strumenti derivati che verranno convertiti quando dalla Bce arriverà la luce verde per salire fino al 29,9%.La mossa di Orcel ha mandato su tutte le furie la politica tedesca: «La notizia di oggi è sorprendente perché Unicredit aveva già pubblicamente sottolineato di non voler intraprendere ulteriori azioni prima delle elezioni federali», ha commentato il vice portavoce del governo tedesco, Wolfgang Buechner. Un’affermazione quanto meno curiosa, anche perché Unicredit ha richiesto da tempo alla Banca centrale europea l’autorizzazione per salire fino al 29,9%. «Respingiamo il comportamento non coordinato e non amichevole di Unicredit», ha proseguito il vice portavoce, «questo continua a valere e lo è ancora di più perché Commerzbank è una banca di importanza sistemica». Infine l’affondo: «Il governo federale ha anche una visione critica dei piani di Unicredit perché l’integrazione di due grandi banche di importanza sistemica è sempre accompagnata da rischi considerevoli per i dipendenti». Questo tipo di reazione, del resto, è prevedibile in un periodo pre-elettorale nel contesto di un Paese dove i partiti cosiddetti sovranisti sono molto forti nei sondaggi. Secondo alcune indiscrezioni, raccolte da Il Giornale, a Berlino si sta ragionando anche sulla possibilità di fermare la scalata azionando il «golden power» tedesco, che in Germania si chiama disciplina sugli investimenti diretti esteri. L’appiglio per azionarla sarebbe che Commerz fornisce finanziamenti essenziali all’industria della difesa tedesca, senza i quali esiste una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico. Allo stesso modo, è sotto la lente la presenza importante di Unicredit in Russia che sta facendo arricciare il naso alla Bce. Resta il fatto che sarebbe quanto meno sorprendente se il governo tedesco si mettesse di traverso, a maggior ragione nel contesto di un’Unione europea che vuole realizzare l’Unione Bancaria (idea in passato sostenuta anche da Berlino, che nel frattempo sembra essere diventata molto più fredda forse proprio a causa della debolezza delle sue banche). LEGGI TUTTO

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    Banca del Fucino più vicina al controllo di CariOrvieto

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    Banca del Fucino fa tappa a Orvieto. Il progetto presentato dalla banca privata romana, fortemente radicata nelle regioni del centro Italia, è quello che ha fatto maggiormente breccia su Mediocredito Centrale (Mcc) che ha così deciso di avviare i negoziati in esclusiva per la cessione della quota dell’85,3% detenuta in Cassa di Risparmio di Orvieto. L’iter di vendita, avviato lo scorso 14 ottobre, vedeva in fila altri due importanti pretendenti, ossia Banco Desio e CF+, la challenger bank ex Credito Fondiario.La proposta di Banca del Fucino è stata ritenuta la più convincente sia per i contenuti economici (valorizzazione di circa 100 milioni) e finanziari, sia per i contenuti industriali; in particolare, a convincere Mcc è la cornice di «rafforzamento del tessuto economico nei territori di riferimento» su cui poggia il progetto predisposto dall’istituto guidato da Francesco Maiolini e presieduto da Mauro Masi. In aggiunta, l’acquirente garantirà l’autonomia della Cassa di Risparmio di Orvieto sul territorio e la salvaguardia dei livelli occupazionali. L’acquisto del controllo di CariOrvieto, che dovrebbe essere finalizzato entro metà 2025, porterà alla creazione del primo gruppo bancario Lsi (ossia tra le banche di piccole e medie dimensioni sottoposte alla vigilanza diretta delle rispettive autorità nazionali, sotto supervisione della Bce, ndr) a capitale privato nel Centro Sud Italia, con un prodotto bancario aggregato superiore a 10 miliardi di euro. Banca del Fucino prevede importanti sinergie tra le due componenti, grazie alla loro contiguità geografica e alla loro forte complementarità in termini di prodotti e clientela di riferimento. «Crediamo molto in questa operazione, per la quale il mantenimento dell’autonomia della Cassa di Risparmio di Orvieto e del suo marchio è un presupposto essenziale – ha sottolineato Maiolini – in quanto riteniamo che la principale leva di sviluppo del gruppo sia la piena valorizzazione dello specifico rapporto con il territorio di tutte le sue componenti».Ad aprire la contesa per l’istituto umbro era stato Banco Desio, che ad agosto ha avanzato una manifestazione di interesse non richiesta, che ha subito attivato la reazione di Banca del Fucino per non farsi sfuggire l’opportunità di aggiudicarsi CariOrvieto e i suoi 40 sportelli distribuiti tra Umbria, alto Lazio e una presenza significativa a Roma. LEGGI TUTTO