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    I cinesi di Byd mettono la freccia su Tesla. E per la prima volta vendono più auto

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    Per il colosso cinese Byd il sorpasso su Tesla del mese scorso (prima volta) è coinciso con il lancio internazionale, al Foro Italico di Roma, della compatta elettrica Dolphin Surf, primo di una serie di modelli a essere prodotto nell’impianto ungherese in fase di ultimazione. Una vettura a batteria a meno di 19mila euro con oltre 500 chilometri di autonomia urbana. È stata la vicepresidente esecutiva di Byd, Stella Li, con lo special advisor per l’Europa, Alfredo Altavilla (in foto), a snocciolare i dati di crescita record della società, da soli 3 anni sul mercato europeo, insieme agli obiettivi sempre più ambiziosi. Sebbene i volumi di auto elettriche siano ancora molto inferiori ai big occidentali, il sorpasso di Byd su Tesla, leader da anni in Europa, è definito da Jato Dynamics «emblematico»: 7.165 i modelli americani immatricolati ad aprile (-49% annuale) e 7.231 (+169%) quelli del costruttore di Shenzhen. Considerando, però, anche i modelli ibridi plug-in, che Tesla non produce, la crescita di Byd è pari al 359%. «La rapida espansione di Byd – sintetizza Jato Dynamics – l’ha già portata a superare i marchi europei affermati, superando Fiat, Dacia e Seat nel Regno Unito; Fiat e Seat in Francia; Seat in Italia; e Fiat in Spagna. E questa crescita si verifica ancor prima dell’inizio della produzione nel suo nuovo sito in Ungheria». Allargando il quadro, più marchi cinesi stanno trainando la crescita del mercato delle elettrificate nel Vecchio continente. Ad aprile, i veicoli a batteria e gli ibridi plug-in rappresentavano insieme il 26% delle immatricolazioni di nuove auto in Europa: anche questo un nuovo record. Dazi o non dazi l’avanzata cinese continua.In più, Byd esporterà nella fabbrica ungherese di Szeged (Budapest ospiterà il quartier generale europeo) il modo per abbattere i costi di produzione. «Il processo di produzione della nostra Dolphin Surf dalla tecnologia avanzata – spiega Altavilla – è particolarmente innovativo: permette, infatti, di realizzare economie di scala e di ridurre significativamente i tempi di manodopera. Tutto ciò che si dice sugli elevati costi di produzione delle auto elettriche sarà vero per gli altri, ma sicuramente non per Byd». LEGGI TUTTO

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    Generali dribbla Natixis. I Danni trascinano l’utile

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    «Non ci sono aggiornamenti specifici riguardo a quanto già comunicato in precedenza». È stato lapidario il direttore finanziario del gruppo Generali, Cristiano Borean, in conference call sulla presentazione dei conti trimestrali rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse qualche passo indietro o rallentamento della compagnia nei negoziati con Natixis per la creazione di una joint venture nel settore dell’asset management.Nessun commento, dunque, né all’operazione con i francesi sulla quale stanno crescendo le perplessità di diversi soci di rilievo, né sull’Ops Mediobanca-Banca Generali. Solo un approfondimento dei risultati al 31 marzo che sono stati chiusi con 26,5 miliardi di euro di premi lordi di gruppo (+0,2%) trainati soprattutto dal segmento Danni (+8,6% a 10,4 miliardi), in particolare della parte non-auto (+8,9%). I premi lordi del Vita diminuiscono del 4,5% a 16,2 miliardi e la nuova produzione a 17,3 miliardi (-9,3%) ma la raccolta netta Vita sale a 3 miliardi (+30,4%). Il risultato operativo cresce a 2,067 miliardi (+8,9%), anch’esso guidato dalla performance del Danni per oltre 1 miliardo. Il risultato netto di gruppo si attesta a 1,195 miliardi in calo del 4,8% sull’anno scorso ma il confronto sottolinea una nota – «riflette il forte risultato non operativo degli investimenti registrato nel I trimestre 2024, che includeva anche un utile non ricorrente, di 58 milioni al netto delle imposte, derivante dalla cessione di Tua Assicurazioni». L’utile netto normalizzato è invece in aumento a 1,2 miliardi (+7,6%) e il combined ratio migliora all’89,7% (91% al 31 marzo 2024). L’esposizione sui titoli di Stato è di poco superiore ai 37 miliardi ed è stata definita da Borean «ancillare alla gestione del business assicurativo, principalmente quello Vita. Il risultato operativo dell’asset & wealth managementc cresce più lentamente a 272 milioni grazie al consolidamento di Conning e soprattutto ai 146 milioni di utile da Banca Generali. Infine, gli asset under Management complessivi del gruppo si attestano a 858,3 miliardi (863 miliardi nel 2024). In Piazza Affari il titolo della compagnia triestina ha chiuso la seduta sulla parità con un +0,12% a 33,34 euro. LEGGI TUTTO

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    L’urlo silenzioso del ceto medio che si sente tradito. Così si gioca il futuro del Paese

    C’è un’Italia che non si lamenta. Non grida, non urla, non incendia le piazze, non si arrampica sui balconi con slogan apocalittici. È un’Italia silenziosa, che si alza presto, accompagna i figli a scuola, paga le tasse, fa la spesa, firma bonifici per le attività extrascolastiche, compila moduli per l’Erasmus, corregge i compiti di matematica la sera. È il ceto medio, quello vero. Non la caricatura da talk show, non la bandiera sventolata a ogni campagna elettorale. È l’Italia che tiene in piedi l’Italia. E oggi ha paura.La paura del ceto medio non è teatrale. Non ha l’odore della tragedia, ma quello più inquietante dell’erosione lenta. È la paura di non farcela più. Di vedere evaporare il risparmio, la sicurezza, il futuro. Di scivolare giù, piano ma inesorabilmente. Non è un tracollo, è un logoramento.Secondo il rapporto Censis-Cida, più dei due terzi degli italiani si sentono di ceto medio. Ma dietro questo orgoglio identitario si nasconde un disagio profondo: l’82% degli occupati ritiene che il proprio stipendio non rifletta il valore delle proprie competenze. Il 74% pensa che, per cultura e preparazione, meriterebbe molto di più. Il ceto medio è colto, responsabile, competente. Ma si sente tradito.È come se il contratto sociale fosse stato stracciato. Tu studi, lavori, risparmi, cresci i figli, ti comporti bene… e in cambio ricevi stabilità, mobilità sociale, una prospettiva. Questo era il patto. Oggi non vale più. Oggi studi e guadagni meno. Investi in formazione e tuo figlio parte per Berlino o Toronto. Costruisci competenze e ti trovi con tasse che ti stritolano e servizi pubblici inadeguati. Il 51% delle famiglie di ceto medio si sente ancora “coperto”, ma il dato è in calo. Cresce invece chi si dichiara in ansia o insicuro. La sicurezza, in fondo, è la vera moneta della democrazia.La democrazia ha bisogno del ceto medio perché è la sua spina dorsale. È lì che si formano le opinioni temperate, le scelte ponderate, la fiducia nelle istituzioni. Quando il ceto medio si sgretola, la democrazia si polarizza. Quando le persone smettono di credere nella possibilità di migliorare la propria vita con il merito, iniziano a cercare scorciatoie. E così cresce il populismo, si inacidisce il discorso pubblico, si rompono i ponti tra classi, territori, generazioni.Il ceto medio è anche la sede della competenza. In un mondo complesso, fatto di crisi climatiche, intelligenze artificiali e geopolitiche fluide, non è secondario restituire autorevolezza a chi sa, a chi ha esperienza, a chi dirige con responsabilità. Eppure oggi lo Stato tassa con accanimento proprio quei redditi che nascono dal lavoro e dall’intelligenza, scoraggiando chi potrebbe essere un faro nel buio. Il 47% degli italiani di ceto medio pensa che non convenga lavorare di più per guadagnare di più. Perché dopo una certa soglia ti portano via tutto, e nessuno ti ringrazia.È un messaggio devastante. Dice: non serve impegnarsi. Non vale la pena fare sacrifici. Non conviene restare qui. E infatti il nuovo sogno delle famiglie italiane è veder partire i figli. Il 51% vorrebbe che trovassero lavoro all’estero. Il 35% sogna per loro una vita in un altro Paese. È una sconfitta nazionale. È il sintomo più chiaro di un Paese che non crede in se stesso.E allora, come si salva il ceto medio? La risposta è semplice, ma non facile: si salva con rispetto. Serve un fisco che premi il merito, non lo punisca. Serve un welfare che non sia solo un guscio svuotato, ma una rete reale, concreta, integrata. Serve valorizzare le competenze, anche quelle dei pensionati, che potrebbero trasmettere sapere invece di essere considerati un peso fiscale. Serve restituire fiducia. Perché il ceto medio non chiede miracoli. Chiede coerenza.Ma soprattutto, serve una narrazione diversa. Il ceto medio non è un problema da risolvere. È una risorsa da proteggere. È il luogo dove si coltivano i valori civici, dove si insegna il rispetto della legge, dove si trasmette la cultura del lavoro e della responsabilità. È la scuola invisibile della democrazia. LEGGI TUTTO

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    Il Ministro Valditara incontra nella Job Industrial Academy di Openjobmetis oltre 100 studenti degli istituti tecnici

    Il Ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara

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    Oggi il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara è stato a Ravenna per visitare la Job Industrial Academy, la scuola di saldatura di Openjobmetis SpA, tra le principali Agenzie per il Lavoro presenti in Italia. In occasione della visita, il Ministro ha incontrato oltre 100 studenti degli istituti tecnici della città, sottolineando l’importanza strategica della formazione tecnica per il futuro del Paese.La presenza del Ministro si inserisce in un momento cruciale per il mercato del lavoro italiano. Secondo una recente indagine dell’Osservatorio Censis–ASSOSOMM, nei prossimi cinque anni le imprese italiane avranno bisogno di almeno 666.000 lavoratori con una preparazione tecnica, oggi largamente insufficiente. Le stime indicano un fabbisogno complessivo di oltre 3,2 milioni di nuovi ingressi nel mondo del lavoro: se il 39% dovrà essere altamente specializzato con titolo universitario, la maggioranza – il 55% – dovrà provenire da istituti tecnici e professionali.Le figure più ricercate? Saldatori, carpentieri, elettricisti, meccatronici, montatori meccanici: tutte professioni centrali per la manifattura italiana, ma sempre più difficili da reperire. A determinare questo squilibrio contribuiscono sia il calo demografico – con quasi un milione di giovani in meno nei prossimi anni – sia un crescente vuoto di formazione intermedia: una vera emergenza silenziosa. In questo contesto si inserisce il ruolo della Job Industrial Academy. La struttura formativa di Ravenna – oltre 2000 metri quadrati, 27 postazioni fisse e 22 mobili – propone formazione tecnica gratuita erogata da docenti esperti, con l’attivazione di contratti a tempo indeterminato fin dall’avvio dei corsi.Il modello si è dimostrato vincente: ogni anno vengono erogate circa 40.000 ore di formazione, suddivise in 50 percorsi formativi e 15 tipologie di corsi. Un impegno che non solo risponde alle esigenze delle imprese, ma contribuisce a colmare il divario tra domanda e offerta di competenze, creando nuove opportunità per i giovani e sostenendo la competitività del tessuto industriale italiano. Le Agenzie per il Lavoro, con un valore di settore di 15 miliardi di euro (di cui quasi 3 miliardi di gettito INPS), rappresentano oggi un attore chiave anche nella formazione. LEGGI TUTTO

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    La Consob sospende l’Ops di Unicredit su Banco Bpm

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    Colpo di scena sull’Offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Banco Bpm. Ieri la Consob ha infatti sospeso, su richiesta di Unicredit, l’Ops volontaria promossa su Banco Bpm per un periodo di 30 giorni, il massimo consentito dal Testo unico della Finanza (articolo 102). Obiettivo raggiunto, quindi, per il ceo di Unicredit, Andrea Orcel (nella foto), che voleva guadagnare tempo per spuntare col governo un ammorbidimento delle prescrizioni Golden Power. LEGGI TUTTO

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    Terna, un anno di crescita. “Leader della transizione”

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    «Terna nel 2024 ha messo a segno una crescita significativa di tutti gli indicatori economico-finanziari ed è leader nel settore nella transizione energetica». Dall’assemblea degli azionisti del gruppo, l’amministratore delegato e direttore generale di Giuseppina Di Foggia (in foto) lancia un doppio messaggio ai soci. Azionisti ai quali è stato garantito un ritorno del 5,5% nel 2024 considerando sia la performance di Borsa, sia l’impatto dei dividendi corrisposti nell’ambito dell’anno.L’assemblea ha quindi approvato quasi all’unanimità il bilancio 2024 chiuso con l’utile netto a 970,4 milioni, un dividendo per l’intero esercizio pari a 39,62 centesimi di euro per azione, il Piano di incentivazione di lungo termine denominato Performance Share 2025-2029 e il buy back per un massimo di 1,8 milioni di azioni ordinarie: circa lo 0,09% del capitale sociale, e un esborso complessivo fino a 9 milioni di euro entro i prossimi diciotto mesi.Semaforo verde anche alla relazione sulla politica di remunerazione e sui compensi corrisposti di Terna per il 2024 e il 2025.Di Foggia ha assicurato che sulla base dell’aggiornamento del piano industriale 2024-2028, ci saranno investimenti e miglioramenti sulla rete «contribuendo anche ad una maggiore indipendenza energetica del Paese».D’altra parte sono stati previsti ulteriori aumenti per gli investimenti a 17,7 miliardi di euro nell’arco di piano, il valore più elevato nella storia del gruppo che ha sede a Roma. «La duplice transizione, energetica e digitale, resta centrale nella nostra strategia che prevede 2,4 miliardi di euro per digitalizzazione ed innovazione al fine di garantire l’affidabilità e la sicurezza del sistema elettrico», ha spiegato l’amministratore delegato.Il presidente Igor De Biasio ha rilevato «fattori di preoccupazione» e «sfide impegnative» all’orizzonte, garantendo che Terna ha «solidità e stabilità» per affrontare il futuro in un contesto geopolitico ed economico finanziario di tensione. Dopo l’assemblea il titolo Terna ha aggiornato di nuovo il massimo storico dalla quotazione del 23 giugno 2004. Alla chiusura l’azione ha toccato quota 8,868 euro (+0,50%), superando il precedente record di 8,824 euro, raggiunto alla chiusura di Borsa del 20 maggio. LEGGI TUTTO

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    L’industria tiene il passo ma l’export resta centrale

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    Nel 2025 l’industria manifatturiera italiana si stabilizzerà sui livelli di fatturato 2024, a prezzi costanti, e registrerà una modesta crescita del fatturato a prezzi correnti (+1,8%) attestandosi sui 1.143 miliardi di euro (+229 miliardi rispetto al 2019). È la stima del Centro Studi di Intesa Sanpaolo, che ha presentato insieme a Prometeia l’ultimo rapporto sui settori industriali. Le performance più brillanti sono per farmaceutica (+2,4% tendenziale), meccanica (+1,7%) e largo consumo (1,2%). Secondo lo studio, «sarà fondamentale il contributo del canale estero, e in particolare il recupero della domanda europea, guidato dal raffreddamento dell’inflazione e dalla ripresa della Germania». Sarà dunque proprio «la riattivazione del commercio intra-Ue a controbilanciare la situazione di generale debolezza del commercio mondiale, penalizzato dall’incertezza sulle politiche commerciali americane». Guardando al medio periodo, nel quadriennio 2026-29 l’industria manifatturiera italiana crescerà a ritmi prossimi all’1% medio annuo, «mostrando un maggior dinamismo nei prossimi due anni grazie alla spinta degli investimenti del Pnrr», spiega il report. «Le esportazioni eserciteranno ancora un ruolo di traino», con un saldo commerciale attorno ai 134 miliardi di euro al 2029 (+31 miliardi circa rispetto al 2019). LEGGI TUTTO