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    Il rischio di una escalation scuote le Borse. Listini in forte calo e corsa ai beni rifugio

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    Con l’abituale cinismo, nei mille giorni di guerra fra Ucraina e Russia i mercati hanno spesso voltato lo sguardo altrove, poco curandosi degli 1,5 milioni di morti e delle devastazioni create dal conflitto. Non così ieri, quando l’universo parallelo degli investitori ha finito per incrociare uno scenario in cui l’utilizzo della Bomba da parte di Vladimir Putin non è più escluso con il cambio della cosiddetta «dottrina nucleare» e dopo che alcuni missili Atacms lanciati dagli ucraini hanno colpito una base militare nella regione di Bryansk. I timori di un’escalation bellica hanno così messo in modalità «off» la propensione al rischio, con rinnovato appetito verso i beni rifugio come l’oro (salito fino a sfiorare i 2.630 dollari l’oncia) e un aumento dei prezzi dei titoli obbligazionari scandito dal contestuale calo dei rendimenti. Una reazione da manuale che si è concretizzata in una rapida discesa degli indici azionari, con perdite che hanno anche sfiorato il 3% prima del recupero nel corso della seduta, quando si è diffusa la notizia che nella regione russa colpita dall’attacco missilistico i danno sono stati limitati. Appesantita dalla flessione dei titoli bancari, Piazza Affari è scivolata dell’1,3%, l’Eurostoxx600 ha limitato i danni (-0,43%), mentre a un’ora dal termine della giornata Wall Street cedeva solo lo 0,36%.Seppur non vi sia stato alcun accenno di panico e sui mercati stia prevalendo una modalità attendista, sembra comunque essersi sgretolato il «sentiment» positivo creato dalle speranze di una rapida risoluzione della guerra fra Mosca e Kiev alimentate dalla riconquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump. La mossa con cui il presidente uscente Joe Biden ha concesso l’autorizzazione a Volodymyr Zelensky a utilizzare all’interno del suolo russo i missili a lungo raggio ha spiazzato gli investitori. Tra i quali l’idea prevalente è che la nuova amministrazione Usa non intenda sguarnire l’arsenale militare in vista di un’eventuale conflitto con la Cina e preferisca finanziare con pochi miliardi Israele piuttosto che aggiungerne altri ai 200 già erogati per sostenere militarmente l’Ucraina. LEGGI TUTTO

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    Flat tax autonomi, la Lega vuole allargare la platea

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    Estensione della platea di contribuenti che può accedere alla flat tax, abbassamento dell’imposta sulle plusvalenze da criptovalute e bonus per le scuole paritarie. Sono questi alcuni degli emendamenti alla manovra segnalati ieri in commissione Bilancio della Camera. Ieri ne sono stati definiti prioritari 313 su un totale di 600 consentiti (il termine scade oggi alle 9).Tra le proposte di rilievo quella di Alberto Bagnai della Lega (foto) che propone di elevare da 30mila a 50mila euro il limite di reddito da lavoro dipendente o da pensione per accedere alla flat tax del 15% dedicata alle partite Iva con redditi fino a 50mila euro. In questo modo sarebbe possibile supportare chi consegue redditi integrativi derivanti da collaborazioni professionali. Le altre proposte leghiste per cui si richiede un esame prioritario sono: l’ulteriore stanziamento di circa tre miliardi per il Ponte sullo stretto, la riduzione dal 42% al 28% della tassa sulle plusvalenze da criptovalute e un contributo del 30% del costo, fino a un massimo di 100 euro, per l’acquisto di elettrodomestici ad alta efficienza energetica fabbricati in Europa.Un emendamento di Noi Moderati prevede un buono scuola fino a 2mila euro per studente, destinato alle famiglie con reddito Isee inferiore ai 40mila euro, che scelgono istituzioni scolastiche paritarie. Fdi aveva presentato un’analoga proposta con tetto a 1.500 euro per studente.Tra gli emendamenti di Forza Italia, invece, la semplificazione del Bonus nido (da 3mila euro/anno per famiglie con Isee sotto i 25mila euro a 1.500 euro sopra i 40mila), la proroga decennale delle concessioni idriche per chi deve realizzare opere pubbliche complesse e l’estensione della cassa integrazione del settore moda da 8 a 12 settimane. LEGGI TUTTO

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    La passione per l’atomo sfonda nelle università

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    Da quando il dibattito sul nucleare è ripartito, l’interesse dei giovani studenti per questa branca dell’ingegneria è in continuo aumento nel nostro Paese. Secondo quanto raccolto da Il Giornale, infatti, il corso di ingegneria nucleare del Politecnico di Milano del professor Marco Ricotti è arrivato a triplicare i suoi numeri negli ultimi cinque anni con 150 nuovi iscritti (mentre il resto d’Italia ha raddoppiato). Un andamento vivace si può riscontrare anche per il Politecnico di Torino, dove il corso di Ingegneria nucleare – il cui referente è il professor Vittorio Verda – è un orientamento del corso di laurea magistrale in Ingegneria Energetica e Nucleare: ebbene, il numero di iscritti è passato dai 49 del 2022/23, a 70 nel 2023/24 fino ai 76 nel 2024/25. Spostando lo sguardo al resto d’Italia, invece, il totale dei nuovi iscritti a ingegneria nucleare nell’ultimo anno è stato di circa 350 studenti. Anche il trend dei laureati in ingegneria nucleare è in aumento, che al momento hanno un ritmo di 150-200 nuovi ingegneri ogni anno ma i numeri incrementeranno visto l’attuale andamento delle iscrizioni. Insomma, questi numeri sono un indice di come la materia interessi sempre di più la politica nazionale e internazionale. L’Italia, infatti, ha messo in cantiere una legge delega – di cui si sta occupando il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin – per permettere di fare ricerca e realizzare prototipi direttamente nel nostro Paese, un aspetto che sarà un volano per gli investimenti (Edison, controllata della francese Edf, ha parlato di 4 miliardi di investimenti nel caso arrivi il «sì» del Parlamento). Ma è anche la stessa Unione europea a puntarci, avendo incluso l’energia nucleare all’interno della tassonomia europea. LEGGI TUTTO

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    Panetta: “In Ue oggi il malato è la Germania, non più l’Italia”

    Ascolta ora Fabio Panetta in pressing per un cambio di marcia della Bce. Il governatore di Bankitalia e membro del board della Bce, intervenuto stamattina all’Università Bocconi di Milano, ha affermato che l’Eurotower deve “normalizzare la politica monetaria, muovere verso la neutralità o anche in territorio espansivo, se necessario”. “Con l’inflazione vicina all’obiettivo e la […] LEGGI TUTTO

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    “Risorse pari a 2,5 miliardi per aiutare il ceto medio”. Il viceministro Leo sul concordato preventivo

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    Il governo punta a raccogliere almeno 2,5 miliardi di euro attraverso la riapertura dei termini per l’adesione al concordato preventivo. Lo ha dichiarato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, nel corso dell’assemblea nazionale di Confesercenti tenutasi a Roma. “La palla di vetro non ce l’abbiamo – ha precisato Leo – però speriamo di trovare il massimo di risorse, perché è un obiettivo del Governo e di tutta la maggioranza”.Sostegno al ceto medio impoveritoDurante il suo intervento, Leo ha sottolineato l’urgenza di ridurre il carico fiscale sui redditi medi: “Nell’anno 2024 abbiamo già rivisto il meccanismo delle aliquote Irpef, passando da quattro a tre, con un focus particolare sui redditi medio-bassi. Ora dobbiamo fare un passo aggiuntivo, concentrandoci sul ceto medio, che si sta impoverendo”.Secondo il viceministro, il concordato preventivo biennale sarà lo strumento chiave per questa operazione: “Non è un condono. È un modo per cambiare completamente il rapporto tra fisco e contribuente. Oggi siamo abituati a un fisco che emette atti di accertamento e solo dopo avvia un dialogo, spesso sfociando in contenziosi. Questo non deve più accadere. Dobbiamo lavorare ex-ante, tendere una mano agli imprenditori e ai contribuenti onesti e corretti”.La rateizzazione del secondo accontoLeo ha anche affrontato il tema della possibile rateizzazione del secondo acconto fiscale per gli autonomi, un intervento attualmente oggetto di un emendamento della Lega alla Legge di Bilancio. “Sulla rateizzazione sono assolutamente d’accordo – ha detto – ma bisogna trovare le risorse per farlo. Abbiamo sempre questa spada di Damocle delle risorse, ma se si troveranno, c’è la volontà di procedere”. LEGGI TUTTO

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    Commercio in crisi, chiusi 140mila negozi in dieci anni

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    Negli ultimi dieci anni, in Italia hanno chiuso oltre 140mila negozi al dettaglio in sede fissa, di cui circa 46.500 attività di vicinato, come negozi alimentari, edicole, bar e distributori di carburanti. Il dato emerge dall’Assemblea Nazionale 2024 di Confesercenti, tenutasi al Teatro Eliseo di Roma, che ha posto al centro del dibattito lo stato di crisi del commercio di prossimità.Un crollo delle aperture senza precedenti“La mancata nascita di nuove attività nel commercio al dettaglio è ciò che ci preoccupa maggiormente. Nel 2014 si sono registrate 22mila nuove aperture; nel 2024 saranno meno di 11mila, con un calo del 52%”, ha dichiarato la presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise. “Particolarmente drammatica la situazione di edicole e rivendite di quotidiani, con una contrazione delle aperture del 72%, e del commercio ambulante, che ha visto un crollo del 76% rispetto a dieci anni fa”.La crisi ha toccato anche i servizi di ristorazione: “Le aperture di bar sono passate da oltre 8mila nel 2014 a meno di 4mila quest’anno, segnando un calo del 40%. Solo il settore ricettivo mostra segnali positivi, grazie alla crescita della ricettività diffusa: le nuove attività come affittacamere e B&B sono aumentate del 215% rispetto al 2014”.Fondo per la rigenerazione urbana e web taxDe Luise ha ribadito la necessità di interventi strutturali: “Chiediamo l’istituzione di un Fondo per la rigenerazione urbana, alimentato dalle risorse della rottamazione delle licenze e da un contributo delle grandi piattaforme internazionali, che oggi detengono il 70% del mercato del commercio online”. La presidente ha anche evidenziato l’urgenza di una redistribuzione delle risorse tramite un ampliamento della web tax: “Bisogna aumentare l’imposizione fiscale sulle grandi piattaforme internazionali, che spesso delocalizzano la ricchezza generata in Italia. Una possibile soluzione potrebbe essere un’addizionale sulle vendite online, come la tariffa minima di tre euro sulle consegne di libri proposta in Francia”.L’esposto all’Antitrust contro il Black FridayTra le iniziative concrete, Confesercenti ha presentato un esposto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro il Black Friday di Amazon e altri giganti del web. “Il far west del web sta danneggiando il commercio tradizionale. Siti e app offrono vendite scontate spesso in aperto contrasto con le norme su saldi e promozioni. Si registrano inoltre abusi di posizione dominante, con condizioni contrattuali sfavorevoli per i venditori terzi. Attendiamo una risposta dall’Antitrust”, ha dichiarato De Luise.Turismo, un pilastro da rafforzareLa presidente ha sottolineato il ruolo centrale del turismo per l’economia italiana: “La spesa dei visitatori stranieri è l’unica voce dei consumi in crescita costante, compensando la frenata della spesa delle famiglie italiane. Tuttavia, è necessario investire nella riqualificazione delle strutture ricettive e aumentare i fondi dedicati al settore”. LEGGI TUTTO

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    Imprese, l’Italia del terzo settore sempre più digitale. Il report di Fondazione Cariplo

    Nella corsa all’informatizzazione, al lavoro che sempre più spesso richiede competenze digitali, l’Italia se la sta cavando molto bene. Soprattutto gli Enti del terzo settore (Ets) presentano un quadro positivo e incoraggiante, con un incremento dell’adozione dell’Intelligenza artificiale e della comunicazione sulle proprie iniziative.Il divario tra grandi e piccole e medie impreseIl gap tutt’ora da superare rimane però tra le grandi realtà e quelle più piccole, soprattutto sulla trasparenza dei dati finanziari. È questo il quadro emerso durante un evento promosso da Goodpoint, Fondazione Cariplo e Rete del dono, che si è tenuto presso la sede di Assolombarda per approfondire il tema del rapporto tra aziende ed Enti del terzo settore, soprattutto per la rapidissima evoluzione della sostenibilità.Lo studioGoodpoint ha presentato i risultati di uno studio inedito, condotto tra maggio e luglio 2024, sull’efficacia della comunicazione degli Ets italiani alle aziende. Questo si basa sull’Ace Index – Attractive corporate engagement, un protocollo innovativo, costruito sulla base delle risposte ricevute da una survey alle aziende rispetto alle informazioni che cercano dal non profit.L’analisi, realizzata attraverso il Centro Studi impresa e sociale avviato da Goodpoint, ha coinvolto un campione rappresentativo di 100 enti del Terzo settore in Italia, suddivisi in quattro fasce di dimensione.I risultatiSecondo i dati emersi, gli Ets italiani sono mediamente molto bravi a raccontare ciò che fanno. Oltre l’80 per cento comunica in modo efficace mission e progetti ma lo sono meno a dare evidenza dei risultati generati. Ci riesce in maniera ottimale solo il 5% che ha capacità di valutazione dell’impatto generato dai progetti.Ci sono quindi ancora margini di migliorabilità e nonostante la maggior parte degli Enti faccia corporate fundraising (l’insieme delle attività che un’organizzazione non profit può realizzare con le imprese per raccogliere fondi a sostegno dei progetti o della propria mission), non riescono a trasferire informazioni chiare alle aziende sulle possibili collaborazioni e, in particolare, sul coinvolgimento dei dipendenti, che è prioritario per le imprese ma sul quale solo il 10 per cento degli Ets racconta case history specifiche.La difficoltà di comunicazioneSebbene abbiano esperienze decennali e competenze fortissime, e siano capaci di produrre forte innovazione sui propri temi, gli Ets tendono a non usare abbastanza evidenze che invece le aziende considerano cruciali: solo il 35 per cento del campione fornisce dati recenti, studi e ricerche sui propri temi focus.È, come detto, la trasparenza finanziaria, l’elemento su cui c’è maggiore differenza tra le grandi e le piccole: mentre gli Ets di grandi dimensioni tendono a comunicare in modo più completo e trasparente le informazioni finanziarie, negli enti più piccoli queste sono quasi totalmente assenti.Va però sottolineato, come mostra lo studio, che l’eccellenza non dipende dalle dimensioni: la top 10 del campione include non solo enti grandi ma anche quattro enti di medie dimensioni e due enti piccoli, dimostrando che l’efficacia comunicativa non è esclusiva delle organizzazioni più grandi.L’obiettivo del lavoroA spiegarlo nel suo intervento, la responsabile della ricerca di Goodpoint, Veronica Strocchia: “Questo studio ha l’obiettivo di aiutare gli Ets ad adottare linguaggi, messaggi e trasparenza che rispondano alle esigenze delle aziende, per favorire un nuovo dialogo tra impresa e sociale che possa massimizzare l’impatto sociale e portare benefici a entrambi”.La maturità digitalePer quanto riguarda la “maturità digitale del Terzo settore”, secondo i risultati dell’osservatorio di Rete del dono, monitorata attraverso il “Digital Check Up”, uno strumento di autovalutazione pensato per aiutare le organizzazioni non profit a ottenere una fotografia del proprio stato di salute digitale, emerge che gli Ets hanno una forte presenza online, con l’89 per cento che dispone di un sito web, usato principalmente per informare sui progetti. Questo rappresenta una solida base su cui sviluppare maggiore trasparenza e governance.In ultimo sul fronte Seo, si evidenziano margini di miglioramento in quanto oltre il 50 per cento degli Ets non sa se il proprio sito sia facilmente rintracciabile sui motori di ricerca, dimostrando poca attenzione alla propria visibilità online. L’adozione degli strumenti di intelligenza artificiale è promettente, con il 25 per cento delle organizzazioni che dichiara di utilizzarli per elaborare contenuti, in linea con i risultati 2023 dell’Osservatorio del Politecnico di Milano.La gestione della communityQuesto è un aspetto molto positivo, con il 78 per cento degli Ets dotato di database contatti, elemento cruciale per una strategia di fundraising efficace. Anche la comunicazione mostra segnali incoraggianti: il 50 per cento degli Ets pianifica regolarmente le proprie azioni e utilizza piattaforme di email marketing per ottimizzare le campagne.Nei social network, la presenza è solida, con Facebook al 95 per cento, seguito da Instagram all’85 per cento, YouTube al 60 per cento e LinkedIn al 53 per cento, suggerendo un interesse strategico per la comunicazione aziendale. Ci sono opportunità per incrementare il coinvolgimento attivo della community, creando interazioni più dinamiche e dialogo diretto. LEGGI TUTTO

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    Affitti brevi, codice Cin obbligatorio entro fine anno: tutto quello che c’è da sapere

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    I punti chiave

    Per quanti stessero pensando di affittare la propria casa, o un altro immobile di proprietà per uso turistico, c’è una novità importante: entro il 31 dicembre 2024 sarà obbligatorio ottenere il Codice identificativo nazionale (Cin). Questo codice è stato introdotto per rendere il settore degli affitti brevi più trasparente e regolamentato, e dal 2 gennaio 2025 scatteranno sanzioni per chi non si sarà adeguato. Vediamo allora insieme cos’è il Cin, chi è tenuto ad averlo e come si ottiene.Che cos’è, quando entra in vigoreIl Codice identificativo nazionale è un codice alfanumerico unico che identifica gli immobili destinati a locazioni turistiche e le strutture ricettive. Vale per case vacanza, affitti brevi, bed & breakfast, ostelli, agriturismi e alberghi. Va esposto sia all’esterno della struttura che su tutti gli annunci online, dai portali come Airbnb e Booking ai siti personali. Non si tratta solo di un nuovo obbligo burocratico: il Cin sostituisce il precedente Codice identificativo regionale (Cir) e consente di registrare tutti gli immobili e le attività turistiche in una Banca Dati Nazionale, migliorando tracciabilità e controllo nel settore.Il Cin è obbligatorio dallo scorso 4 settembre, ma grazie a una proroga c’è tempo fino a fine anno per mettersi in regola. Dal 2 gennaio 2025, però, chi non avrà richiesto o esposto il codice rischierà pesanti sanzioni.Chi deve richiederlo e come si ottieneIl Cin è necessario per proprietari che affittano case o appartamenti per finalità turistiche, chi gestisce locazioni brevi, titolari di strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere (B&B, agriturismi, ostelli, ecc.). Fondamentale, quindi, se si rientra in una di queste categorie, attivarsi per ottenere il codice. Richiedere il Cin è semplice, ma bisogna seguire una procedura esclusivamente online, accedendo al portale del Ministero del Turismo tramite Spid o Cie, compilando il modulo con le informazioni richieste, come dati catastali dell’immobile, e una dichiarazione o autocertificazione che confermi la conformità della struttura ai requisiti di sicurezza.La procedura è interamente automatizzata e il codice viene rilasciato una volta verificata la documentazione. Ottenuto il codice, gli obblighi principali sono due:esposizione all’esterno della struttura: Il Cin deve essere visibile accanto al nome o all’insegna dell’immobile;inserimento negli annunci online: ogni annuncio su portali di prenotazione o siti web personali deve includere il codice per garantire trasparenza e legalità. LEGGI TUTTO