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    Stellantis arruola il mago del software israeliano

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    John Elkann, presidente e ceo ad interim di Stellantis, ridisegna il board del gruppo portandovi all’interno un manager ultra specializzato sul know how tech: Daniel Ramot, imprenditore e scienziato israelo-americano, cofondatore e ceo di «Via», azienda tecnologica di trasporto globale che opera in oltre 35 Paesi e che da diversi anni ha come azionista la holding Exor. Grazie alla new entry, Elkann sposta ulteriormente la governance di Stellantis dal continente europeo a quello nordamericano, il più redditizio per il gruppo sin dai tempi di Fca e lo stesso dove l’ex ceo Carlos Tavares ha commesso più passi falsi.Con Ramot, inoltre, approda nel cda di Stellantis, sempre come amministratore non esecutivo, Alice Schroeder, componente dei consigli di amministrazione di Hsbc North America Holdings, Dakota Gold Corporation e Carbon Streaming Corporation con ruoli chiave nei comitati di revisione, compensazione e governance. «La profonda esperienza di Schroeder nella supervisione finanziaria e nella leadership strategica, combinata con la vasta esperienza di Ramot nel campo della tecnologia, della ricerca e dell’innovazione, forniranno un’esperienza preziosa e rafforzeranno la leadership di Stellantis», spiega una nota.Fari puntati soprattutto su Ramot, la cui precedente esperienza comprende il servizio nell’aeronautica militare israeliana e la direzione dello sviluppo di supercomputer presso la D. E. Shaw Research. «La tecnologia può rivoluzionare il trasporto pubblico e migliorare le città», il suo messaggio lanciato due anni fa all’«Italian Tech Week» di Torino. La sua creatura, «Via», viene definita come l’«Amazon dei trasporti». Tra i punti di forza c’è la trasformazione dei bus in taxi con i passeggeri diretti nella stessa zona che attendono il mezzo, non più alle tradizionali fermate, ma sono raccolti direttamente nei luoghi indicati. Un servizio on-demand transit, basato ovviamente su una App. In Italia, «Via» è già una realtà soprattutto nel Nord-Est per il trasporto dei lavoratori negli stabilimenti. In altri Paesi dell’Europa, funziona anche con meta università e ospedali. Parlando tempo fa di «Via», Elkann, che ne ha sostenuto la rapida crescita, disse che «è una rara combinazione di un’azienda che ha un profondo impatto sulle comunità in cui opera e che allo stesso tempo genera una redditività interessante su larga scala». LEGGI TUTTO

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    Edison avanti sulla transizione energetica: cessione a Snam libererà nuove risorse, nuovi impianti per rinnovabili

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    Edison prosegue sulla transizione energetica. Il gruppo di Foro Buonaparte ha annunciato oggi l’avvio di cantieri per realizzare nuovi impianti fotovoltaici ed eolici, principalmente al Sud e sulle isole, per 400 MW di nuova capacità rinnovabile. In particolare, si tratta di oltre 300 MW di nuovo fotovoltaico e di circa 100 MW di eolico. La messa in esercizio dei nuovi impianti è prevista tra il 2025 e il 2026, per un investimento complessivo di circa 500 milioni di euro. Investimenti cui si aggiungeranno ulteriori 1,5 miliardi di euro per l’apertura di ulteriori cantieri nei prossimi due anni. Edison ha infatti reso noto anche di avere ottenuto il positivo esito di valutazione di impatto ambientale dal Mase e dalle regioni per ulteriori 1.000 MW (la maggior parte di progetti eolici), che si tradurranno in aperture di nuovi cantieri nel prossimo biennio.L’investimento è in linea con il piano strategico del gruppo che prevede 5 GW di potenza verde, coprendo almeno il 40% del mix di generazione elettrica al 2030 e investimenti per circa 10 miliardi di euro, di cui l’85% in linea con i Sustainable Development Goals (SDG’s) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel 2024 Edison ha prodotto circa 5.500 GWh di energia rinnovabile, arrivando a coprire il 28% del proprio mix di generazione e al primo trimestre 2025 ha in sviluppo cinque progetti di pompaggio idroelettrico al Sud Italia (in Basilicata, Calabria Puglia, Sardegna e Sicilia), al momento in corso di autorizzazione. L’obiettivo del gruppo è di costruire almeno 500 MW di strumenti di accumulo, infrastrutture strategiche per la transizione ecologica e la sicurezza energetica nazionale.In quest’ottica si inserisce anche la cessione del 100% di Edison Stoccaggio a Snam, il cui closing si è perfezionato oggi. L’operazione, infatti, consente a Edison la valorizzazione dell’asset per un valore di 565 milioni di euro, che saranno destinati alla transizione energetica, oltre che allo sviluppo della base clienti. LEGGI TUTTO

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    La mossa di Trump per ricostruire l’industria nazionale dei chip per l’intelligenza artificiale

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    Mentre von der Leyen annuncia “un’alleanza industriale” per lo sviluppo di “software, chip e tecnologia di guida autonoma” per le auto e lo sviluppo delle batterie “Made in Europe” (zu spät, troppo tardi, frau Ursula), Trump e il produttore di chip Taiwan Semiconductor Manufacturing hanno firmato un accordo da 100 miliardi di dollari. Tsmc investirà la somma in impianti di produzione di semiconduttori negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni.Il colosso taiwanese è presente in Arizona dal 2020, quando ha avviato la costruzione di un impianto di chip del valore di 12 miliardi di dollari. Da allora ha ampliato lo stabilimento con altre due strutture e un investimento totale di 65 miliardi. Gli Stati Uniti hanno supportato la crescita di Tsmc con il Chips Act del 2022, che ha stanziato decine di miliardi di dollari in sovvenzioni per la produzione nazionale di semiconduttori. Ora, però, il gruppo di Taipei deve scongiurare possibili dazi.Lo scorso 27 gennaio, infatti, Trump aveva detto ai repubblicani alla Camera di voler tassare i semiconduttori importati e smantellare un programma di incentivi “per riportare la produzione di questi beni essenziali negli Stati Uniti”.Si tratta, insomma, di una mossa finalizzata a ricostruire l’industria nazionale dei chip per l’intelligenza artificiale per arginare la dipendenza da produttori esteri, in particolare asiatici. Riportare in territorio americano la produzione viene considerato dalle autorità Usa un imperativo per la sicurezza nazionale.L’accordo con Tsmc è l’ultima apertura, in ordine di tempo, delle grandi aziende a Trump nelle ultime settimane. La settimana scorsa Apple, per esempio, ha annunciato di recente che spenderà più di 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni.Nel frattempo, l’Europa cosa fa? La presidente della Commissione Ue ha detto che a Bruxelles valuteranno “il sostegno diretto per i produttori di batterie dell’Ue” e che sarà introdotto gradualmente il principio di “contenuto europeo per le celle delle batterie e i componenti” come i chip. La semplificazione normativa della burocrazia continuerà”, ha concluso. LEGGI TUTTO

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    Il dossier Versace scalda Capri Holdings: titolo in evidenza a Wall Street. Domani i conti di Prada

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    Le voci di una possibile cessione del marchio Versace a Prada scaldano il titolo Capri Holdings, che questo pomeriggio a Wall Street mostra un rialzo di quasi il 6% passando di mano a 23,25 dollari. L’ipotesi, riportata ieri da Bloomberg, secondo cui il marchio Versace potrebbe essere venduto alla maison milanese per 1,5 miliardi di euro, suscita l’interesse degli investitori e sostiene il titolo Capri, società statunitense che oltre a detenere la casa di moda fondata nel 1978 dal defunto stilista Gianni Versace è proprietaria anche dei marchi Michael Kors e Jimmy Choo. Nel 2018, Capri Holdings aveva acquisito Versace dal fondo Blackstone per una cifra di oltre 1,8 miliardi di euro.L’ipotesi di vendita sarebbe legata alle difficoltà finanziarie: nel terzo trimestre dell’anno fiscale in corso, la casa ha registrato un fatturato di 193 milioni di dollari, in calo del 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una perdita operativa che è salita a 21 milioni di dollari. Dal canto suo, con l’acquisizione di Versace Prada andrebbe ad arricchire il proprio portafoglio dei brand e rafforzare la propria posizione nel mercato del lusso, con quindi maggiori possibilità di competere con i giganti francesi Lvmh e Kering. Secondo l’indiscrezione, le trattative per cedere il marchio Versace a Prada sono in fase avanzata e l’operazione potrebbe concretizzarsi già nelle prossime settimane, salvo intoppi, in quanto la prima fase della due diligence non avrebbe rilevato rischi particolari. LEGGI TUTTO

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    Addio a Rino Dondi Pinton: inventò l’amaro Cynar

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    Aveva inventato la formula del Cynar, il primo amaro al gusto di carciofo nato in concomitanza col boom economico italiano. Quello imbottigliato “contro il logorio della vita moderna”. È morto all’età di 103 anni Rino Dondi Pinton, creatore, insieme all’imprenditore Angelo Dalle Molle, della popolare bevanda commercializzata fin dagli anni ’50 dalla G.B. Pezziol di Padova.Dondi Pinton si è spento nella giornata di sabato 1 marzo. Nel 2021 fu insignito del titolo di “Padovano Eccellente” dal sindaco del capoluogo veneto, suo luogo d’origine. Nel 2022 ottenne dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce, a coronamento di una carriera imprenditoriale fatta di importanti tappe. Giovane responsabile della distilleria padovana G.B. Pezziol, rilevata nel 1935 dall’imprenditore veneziano Angelo Dalle Molle, ebbe l’intuizione della ricetta di quello che sarebbe stato il primo aperitivo al gusto di carciofo, la cui formula – ancora oggi coperta da segreto – portò alla nascita di un’icona del bere italiano.Per affinare la ricetta furono necessari numerosi test, con vari prototipi provati direttamente nei bar di Padova e Venezia. Quella bevanda, nell’Italia del boom economico, conquistò poi una buona fetta di mercato, anche grazie a una efficace campagna pubblicitaria interpretata da Ernesto Calindri, che ne consigliava il consumo “contro il logorio della vita moderna”. Negli anni l’amaro ideato da Dondi Pinton riuscì a ottenere una popolarità anche tra le generazioni più giovani, diventando un simbolo di modernità pur mantenendo una base di tradizione. LEGGI TUTTO

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    Prada a un passo dalla maison Versace

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    Il prestigioso marchio Versace si appresta a tornare in Italia. Archiviata l’importante kermesse della Milano Fashion Week, trovano sempre più concretezza i sussurri che indicano Prada ormai vicinissima a chiudere l’acquisto della casa di moda fondata nel 1978 dal defunto stilista Gianni Versace. Anticipate dal Giornale dello scorso 20 febbraio, le trattative sono ora ad uno stadio molto avanzato per il trasferimento a Prada del controllo di Versace dall’americana Capri Holdings.Il gruppo milanese che fa capo a Miuccia Prada e al marito Patrizio Bertelli avrebbe messo sul piatto quasi 1,5 miliardi di euro e, stando alle ultime indiscrezioni rilanciate ieri da Bloomberg, l’operazione a meno di intoppi si concretizzerà nelle prossime settimane. Con questa mossa la maison milanese, che dal 2023 è guidata dal ceo Andrea Guerra, andrebbe ad arricchire il proprio portafoglio dei brand, dando forma a un player italiano del lusso dalle spalle più larghe e con quindi maggiori possibilità di competere con i colossi transalpini Lvmh e Kering, che negli anni hanno fatto shopping sfrenato in Italia rilevando marchi di grande prestigio quali Gucci, Bottega Veneta, Fendi e Loro Piana. In mani straniere da diversi anni è anche il marchio Valentino. L’accordo tra Prada e Capri Holdings potrebbe quindi essere finalizzato questo mese in quanto la prima fase della due diligence non ha rilevato rischi particolari. Al momento, bocche cucite sia al quartier generale milanese di Prada sia Oltreoceano. Il dossier è seguito per Prada dalle banche d’affari americane Goldman Sachs e Citi, mentre Barclays starebbe facendo da consulente a Capri Holdings che punta a cedere al miglior offerente anche Jimmy Choo.Capri, che tra l’altro controlla Michael Kors, aveva acquistato la maison della Medusa nel 2018 dal fondo Blackstone, sborsando più di 1,8 miliardi di euro. La decisione di privarsi di Versace sarebbe maturata dopo gli ultimi dati finanziari della casa, con il terzo trimestre dell’anno fiscale in corso che ha registrato un fatturato di 193 milioni di dollari, in calo del 15 per cento rispetto all’anno precedente e una perdita operativa che si è ampliata a 21 milioni. LEGGI TUTTO

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    Moda, Bloomberg: “Accordo tra Prada e Versace entro marzo”

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    Il mondo della moda italiano potrebbe presto essere scosso da un’acquisizione storica. Nei giorni in cui Milano è pervasa dalla fashion week si mormorava di un interesse di Prada nei confronti di Versace e ora Bloomberg conferma i rumors, anche se non ci sono ovviamente conferme da una parte e dall’altra. “Prada e Capri holding, proprietaria di Versace, potrebbero raggiungere un accordo entro la fine di marzo per la cessione, se le trattative dovessero andare a buon fine. Si sarebbe trovato un accordo sulla valutazione della casa di moda fino a 1,5 miliardi di euro”, scrive la testata americana. Ci sarebbe, quindi, un interesse concreto che ancora non ha trovato sbocco ma per il quale si sta lavorando.Blooomberg spiega che Prada riuscisse a portare a casa la trattativa, si verrebbe a creare un gruppo “in grado di competere meglio con i big globali del settore, su tutti Lvmh e Kering. Per l’Italia, dopo decenni in cui i marchi tricolore sono finiti in mani straniere, un eventuale accordo rappresenta una inversione di tendenza nel mondo del lusso”. Prima di Blooomberg, a parlare della trattativa è stato il quotidiano francese Les Echos. Secondo il giornale transalpino, “il gruppo milanese del lusso ha fissato in 4 settimane la durata dei negoziati esclusivi con Capri Holdings, anche se non è affatto scontato che il gruppo milanese possa alla fine decidere di dare seguito con un’offerta all’ eventuale interesse finora mostrato”. L’indiscrezione di Les Echos è stata smentita in modo fermo da più parti e non c’erano stati particolari strascichi, soprattutto perché sul tema era intervenuta personalmente Miuccia Prada: “È sul tavolo di tutti”. LEGGI TUTTO

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    Mundys avanza in Francia, acquisizione da 1,5 miliardi

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    Colpo grosso di Mundys in Francia. Con la controllata Abertis, la galassia della famiglia Benetton, si rafforza nel settore autostradale d’Oltralpe, mercato chiave dove opera già con la controllata Sanef.Con un’operazione del valore di 1,5 miliardi complessivi (equity value), la concessionaria controllata dai Benetton e dal patron di Acs Florentino Perez (che hanno investito quindi 750 milioni a testa), ha messo in portafoglio il 51,2% dell’autostrada A-63 di proprietà di Crédit Agricole Assurances e Axa Im Alts. Un’operazione con cui il gruppo porta così a casa altri 105 chilometri nel sud-ovest della Francia rafforzandosi in un mercato sempre più strategico dopo l’uscita dall’Italia.«L’approccio di Mundys è quello di gestire e sviluppare in modo sostenibile le infrastrutture in portafoglio, attraverso un costante dialogo con le istituzioni e le comunità locali. Nella nostra strategia di crescita internazionale la Francia, dove siamo presenti dal 2016, si conferma come un Paese strategico, per l’assoluta qualità e solidità del suo sistema economico-produttivo», ha sottolineato Andrea Mangoni, ceo di Mundys, a valle dell’operazione.La nuova tratta è una infrastruttura appetibile che riguarda, nel dettaglio, un corridoio strategico tra Spagna ed Europa settentrionale che passa per Bordeaux oltre che per le città di Bayonne, Biarritz, Anglet e Saint-Jean-de-Luz, importanti località turistiche presso il confine spagnolo. Oltre 100 chilometri di rete, per la prima volta nel Sud del Paese. Gli altri asset di Abertis sono infatti per lo più a Nord di Parigi, ad eccezione di una infrastruttura del gruppo nei pressi di Lione.Dal punto di vista finanziario, nel 2024, la A-63 ha generato 170 milioni di euro di ricavi e 134 milioni di euro di ebitda grazie a un andamento positivo del traffico. La concessione è a lungo termine e scade nel 2051. A seguito della chiusura di questa operazione, gli azionisti Acs e Mundys effettueranno un aumento di capitale di 400 milioni (200 a testa) per sostenere la crescita di Abertis e rafforzarne il bilancio, promuovendo «la leadership globale della società nel settore delle concessioni di infrastrutture di trasporto e contribuendo a mantenere l’attuale rating creditizio», spiega la nota. «Siamo lieti di ampliare la nostra presenza in un mercato chiave come quello francese, che ci permette di consolidare la nostra posizione di operatore di riferimento, non solo nel Paese, ma anche in Europa, dove abbiamo un’esperienza pluriennale nella gestione delle infrastrutture» ha dichiarato José Aljaro, ad di Abertis.In Francia, il gruppo possiede il Gruppo Sanef, azienda leader nel settore con 1.800 chilometri di rete e ha implementato tecnologie innovative per facilitare i flussi di traffico sulle autostrade A-13 e A-14, un progetto pionieristico per trasformare un’autostrada a pedaggio tradizionale in un sistema di pedaggio senza barriere, nel rispetto della neutralità tecnologica. LEGGI TUTTO