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    Anno record per i signori del risparmio gestito

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    Un 2024 da record per i grandi player del risparmio gestito. Oggi sono arrivati i numeri di Banca Mediolanum e Fineco, entrambe riuscite a chiudere lo scorso anno con una raccolta netta ai massimi di sempre e oltre il muro dei 10 miliardi di euro. Per Banca Mediolanum un 2024 record: +46% la raccoltaBanca Mediolanum nel dettaglio segna una raccolta di 10,4 miliardi (+46% anno su anno). Forte il contributo della raccolta in risparmio gestito (7,6 miliardi, +91% a/a). In virtù del buon andamento dei mercati e della gestione nel 2024, Banca Mediolanum indica che contributo delle performance fees alle società del gruppo nell’esercizio appena concluso è stimato intorno a 370 milioni, di cui 50,9 milioni già contabilizzati nei primi 9 mesi.”Il 2024 si conclude con risultati commerciali che vanno ben oltre l’eccellenza. Con il solido contributo di dicembre abbiamo per la prima volta superato il traguardo dei 10 miliardi di raccolta totale e stabilito un nuovo primato assoluto di raccolta gestita con 7,6 miliardi nell’intero anno, anche grazie alla forte accelerazione in Spagna”, ha commentato Massimo Doris, amministratore delegato di Banca Mediolanum.Nel 2024 sono stati quasi 200mila i nuovi clienti bancari acquisiti, il 7% in più dello scorso anno.Anche Fineco oltre i 10 miliardi di raccolta Riscontri in buona crescita anche per Fineco che, a seguito della raccolta netta di 1.218 milioni di dicembre, porta il totale 2024 a 10,1 miliardi, +15% anno su anno. A dicembre, l’asset mix vede una rilevante componente gestita pari a 783 milioni (da 184 milioni di dicembre 2023). La raccolta retail di Fineco Asset Management registra il risultato più elevato da gennaio 2023 a 501 milioni, la raccolta amministrata si attesta a -542 milioni, mentre la diretta è positiva per 977 milioni.I ricavi del brokerage nel mese di dicembre sono pari a circa 18 milioni, raggiungendo nel 2024 217 milioni (+13% su anno), con 42,4 milioni di ordini eseguiti (+10% su anno). I nuovi clienti a dicembre sono stati pari a 13.581, +39% rispetto a dicembre 2023. LEGGI TUTTO

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    “Digital&Print”, Fieg e Upa insieme per la valorizzare il dato unico

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    Si è tenuto oggi a Milano l’incontro fra il Presidente della Fieg Andrea Riffeser Monti e il Presidente di Upa Marco Travaglia con l’obiettivo di avviare una collaborazione delle due associazioni per la valorizzazione del dato unico “Digital&Print” dei giornali, anche ai fini della pianificazione pubblicitaria.L’iniziativaQuesta decisione, viene raccontato in una nota della Federazione degli editori, tiene conto della definizione da parte di Audicom del percorso per la realizzazione della “Ricerca Integrata”, approvata dal Consiglio di Amministrazione Audicom, con l’intento di dare adeguato peso ai lettori press ed agli utenti unici del web. La struttura della nuova “Ricerca Integrata”, già definita da Audicom, sarà caratterizzata dal dato unico “Digital&Print”, disponibile per tutti gli editori che operano sui due mezzi web e cartaceo. LEGGI TUTTO

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    Tim, l’anomalia che imbarazza Consob

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    Un blocco anomalo da un paio d’anni tiene in scacco le azioni di Tim e i suoi 242mila soci. Malgrado il balzo di ieri (+4% a 0,253 euro), il titolo della società staziona largamente sotto i valori che secondo gran parte degli analisti le renderebbero giustizia. Altrettanto misterioso è il fatto che, nonostante le numerose notizie positive che si sono alternate dal closing per la cessione della rete in poi, il grafico di Borsa della prima telco italiana somigli a un alternarsi perpetuo di strappi al rialzo e brusche correzioni senza apparenti motivazioni. Il Financial Times, alcuni mesi fa, aveva stimato in 930 milioni di euro l’ammontare di azioni prese a prestito, di cui una parte rilevante verosimilmente impiegata per scommesse al ribasso sul titolo. In alcune giornate, poi, il titolo a un certo punto viene bersagliato da ondate di vendite provenienti da Londra, che ne appiattiscono il valore e ne azzoppano la ripresa. Non sorprende che queste manovre vengano dall’estero, visto che il 40,6% del capitale di Tim è in mano a fondi e investitori istituzionali esteri a cui si aggiunge il 23,7% in mano ai francesi di Vivendi. Ne consegue che il 64,4% (praticamente i due terzi di Tim) è gestito da mani straniere. Altrettanto verosimile, poi, che quel 40,6% sia almeno in parte posseduto da fondi speculativi, dal momento che nessuna delle tre grandi agenzie Moody’s, S&P e Fitch nonostante le recenti promozioni seguite allo scorporo della rete collochi la tlc nell’area investment grade.Su questi aspetti dovrebbe pertanto attivarsi con la massima urgenza la Consob, che pure aveva annunciato accertamenti dopo il clamoroso crollo del titolo del 7 marzo 2024 in seguito alla presentazione del nuovo piano industriale. A distanza di quasi un anno, tuttavia, non si è ancora arrivati a nulla mentre nel frattempo la situazione si è fatta via via più incomprensibile, a maggior ragione perché almeno 240mila della folla di azionisti sono piccoli risparmiatori che in Tim hanno investito soldi faticosamente guadagnati. È necessario quindi un’indagine più puntuale, che chiarisca una volta per tutte ciò che è attività di mercato e ciò che invece è manipolazione. Del resto, non si capisce come mai il corso azionario sia riuscito di rado – per lo meno in tempi recenti – ad affacciarsi oltre i 0,25 euro per azione. Passando in rassegna a uno a uno i report dei più prestigiosi analisti, spiccano i target price di Intermonte (0,38 euro), Bank of America (0,37), Imi (0,35), Barclays (0,34), Equita (0,34). Passando in rassegna 17 analisti che hanno formulato un prezzo obiettivo su Tim, si nota come la parte più rilevante di loro assegni un target fra 0,32 e 0,38 euro. Da ultima Mediobanca, che proprio ieri ha sostenuto che sulla principale telco italiana ci sia uno «sconto visibile» rispetto ai concorrenti Ue (il titolo Tim scambia a 3,3 volte il suo margine operativo lordo per azione, rispetto agli oltre 5 della concorrenza), con un target price a 0,35 euro a maggior ragione dopo la cessione di Sparkle che porterà il debito a 6,6 miliardi di euro. Ci sono poi ulteriori notizie in arrivo tra le discussioni sulla restituzione del canone pagato nel 1998 (che può valere 1 miliardo) e il possibile earn-out (fino a 2,9 miliardi) in gran parte dovuto alla probabile fusione fra FiberCop e Open Fiber. Dovessero concludersi queste due situazioni, com’è probabile, il debito sarebbe sostanzialmente ridotto a una dimensione trascurabile e ben lontana dall’essere preoccupante. LEGGI TUTTO

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    Stellantis e i big dell’auto chiedono soccorso a Tesla

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    In attesa che la nuova politica europea riesca a cambiare gli aspetti più indigesti del green deal, i grandi gruppi automobilistici si sono mossi per evitare la tagliola di multe miliardarie per l’eccesso di emissioni di CO2. A tal fine Stellantis, Toyota, Ford, Mazda e Subaru si sono rivolte alla Tesla di Elon Musk per acquistare crediti per le emissioni. È quanto emerge da un documento pubblicato dalla Commissione europea. I cinque produttori, che rappresentano quasi il 30% del mercato europeo delle auto nuove, infatti, rischiano sanzioni con il rafforzamento degli standard europei sulle emissioni di CO2 nel 2025. Tali multe, secondo l’Acea (l’associazione europea dei produttori di auto), ammontano complessivamente per il settore a circa 15 miliardi di euro. Il regolamento denominato Corporate Average Fuel Economy, inoltre, obbliga le case automobilistiche a vendere circa un’auto elettrica ogni quattro modelli. Un aspetto problematico, se si considera la concorrenza cinese e il fatto che in Europa, a parte qualche eccezione, le e-car e non sfondano.Per cambiare le cose ci sarà più di qualche ostacolo. Ieri il commissario per il Clima, Wopke Hoekstra, rispondendo a un’interrogazione sulle sanzioni per le emissioni di CO2 ha affermato che diversi importanti produttori si «oppongono alla modifica del quadro» normativo sulle multe, il quale «causerebbe una distorsione delle condizioni di parità e porrebbe tali produttori in posizione di svantaggio competitivo». A fronte di un contesto difficile, l’unica àncora di salvezza individuata dai produttori è stato quindi l’acquisto dei famosi crediti (che Tesla può vendere, visto che produce solo auto elettriche). Un portavoce di Stellantis ha dichiarato che questa mossa aiuterebbe il gruppo a «raggiungere gli obiettivi sulle emissioni per il 2025 ottimizzando le risorse», aggiungendo che «allo stesso tempo, continuiamo a concentrarci sullo sviluppo di tecnologie a basse emissioni». LEGGI TUTTO

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    Giochi Preziosi fa cassa pronta a cedere Famosa

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    Giochi Preziosi prepara la vendita di Famosa, la controllata di giocattoli spagnoli nota per i brand Pinypon, Nenuco, Barriguitas, Febern e Nancy. Secondo indiscrezioni, nell’ambito del processo di ristrutturazione del debito del gruppo italiano, Famosa sarebbe la vittima da sacrificare sull’altare del business per far quadrare i conti. Un compito a cui si sta dedicando Rothschild e che avviene in un momento molto delicato. Sia Giochi Preziosi sia Famosa stanno trattando con le banche creditrici per ristrutturare i debiti.Il gruppo italiano dei giocattoli, fondato nel 1978 e controllato da Enrico Preziosi, è alle prese infatti con una nuova ristrutturazione attraverso lo strumento della composizione negoziata della crisi. In particolare, secondo quanto riportato prima di Natale da Mf, Dea Capital Alternative Funds, la sgr guidata da Gianandrea Perco, ha rilevato le esposizioni di Giochi Preziosi nei confronti di Unicredit e di Bpm, mentre Europa Investimenti ha messo in portafoglio i crediti che facevano capo a Intesa Sanpaolo. Nel primo caso si tratta di 133 milioni di euro: 72 milioni erogati dalla banca di piazza Gae Aulenti e 61 milioni invece concessi dal gruppo di Giuseppe Castagna. Nel secondo caso invece sono 50 milioni finanziati da Ca’ de Sass.Il gruppo guidato da Marco Lischetti (in foto) – che durante il Covid a causa del blocco delle forniture ha accusato la frenata chiudendo due esercizi in perdita e non rispettando i covenant con le banche – è anche alle prese con un aumento dei costi delle materie prime e di trasporto. Inoltre, anche se è vero che negli ultimi due anni i ricavi sono risultati in crescita (si stimano 460 milioni nel 2024), la concorrenza è forte e il mercato stagnante: in Italia, secondo Assogiocattoli, nei primi sei mesi del 2024 il settore ha registrato un calo del 5,1%.Motivo per cui come anticipato da il Giornale in novembre Giochi Preziosi si è buttata anche nel segmento dei giocattoli per animali che ha grandi prospettive di crescita: in Italia ci sono ben 65 milioni di animali domestici (8,8 milioni di cani e 10,2 milioni di gatti), 5 milioni in più del periodo pre pandemia. Il potenziale bacino di nuovi clienti amanti dei «pelosetti» a quattro zampe riguarda il 40% delle famiglie, circa 12,2 milioni che hanno in casa almeno un animale domestico.D’altra parte, anche Famosa non se la passa al meglio: il gruppo iberico, forte anche nei mercati di Messico e Portogallo, è in trattative con Bbva, Santander Caixabank, Pichincha ed Eurofactor per estendere il debito, scaduto il 31 dicembre, e pari a circa 50 milioni di euro. LEGGI TUTTO