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Il 2024 delle macchine utensili si chiude in negativo: la produzione si è attestata a 6,75 miliardi, in calo dell’11,4% sul 2023. Il dato è stato fornito stamane a Milano da Riccardo Rosa, presidente di Ucimu, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione, nella conferenza stampa di fine anno. Di buono c’è che per il 2025 si prevede una ripresa, con la produzione a quota 6,94 miliardi (+2,9%). Segnale fondamentale. Ma prima serve una premessa.I dati dell’Ucimu sono importanti perché rappresentano una sorta di indice sull’andamento degli investimenti dell’industria (manufattuirera) italiana. Investimenti che, come si è visto dagli ultimi dati Istat, sono la componente debole della domanda interna, quella che ha contribuito assai a una crescita del Pil 2024 (0,5%) inferiore alle previsioni del governo (che puntava all’1%). In particolare, gli investimenti sono cresciuti dello 0,4% contro il + 8,7% del 2023 (ancorché drogato dall’edilizia trainata dagli ecobonus). Ebbene, i produttori di macchine utensili “vendono” gli investimenti: l’industria che investe compra, per l’appunto, le macchine che servono per produrre. Di qui la forte correlazione qualitativa tra Pil e i dati di Ucimu. E quello che oggi si vede in trasparenza è un forte segnale per il futuro prossimo: la ripresa della produzione è conseguenza dell’inversione di tendenza sugli ordini, il cui indice trimestrale, in ottobre, è tornato positivo dopo sei rilevazioni consecutive di calo. E l’indice ordine dell’Ucimu è un vero e proprio indice sul futuro del Pil: chi ordina una macchina oggi programma un investimento per domani. Il tempo di produzione di una macchina utensile è di 6-8 mesi. Per questo l’andamento positivo del fatturato 2025 si può vedere già oggi con la ripresa dell’indice ordini. Ma c’è ancora di più, ed un segnale incoraggiante per il governo, alle prese con una crescita da risollevare.Tra i motivi del calo degli investimenti c’è infatti lo scarso contributo delle agevolazioni derivanti da Transizione 5.0, lo strumento introdotto con la manovra 2024, che però non è ancora andato a regime. Questo – nel mondo dei produttori di macchine e robot – è stato vissuto come un freno rispetto agli ordini, rinviati in attesa di meccanismi premianti. E la Transizione 5.0 lo è: vale 6,3 miliardi di crediti d’imposta. Ma – come garantiscono al Ministero delle Imprese, sarà il 2025 l’anno in cui il complesso strumento comincerà a funzionare. Facendo da volano a nuovi ordini che dunque potrebbero battere anche le stime fatte oggi. “Transizione 5.0 è sicuramente una grande opportunità perché spinge le aziende a ragionare su un nuovo e necessario approccio di corretto uso delle risorse – ha detto Rosa – risparmio energetico e produzione sostenibile come richiesto dalle direttive europee. Le imprese credono nella potenzialità di questo strumento ma occorre che i correttivi arrivino al più presto”.Tornando ai dati forniti oggi, il calo è stato determinato esclusivamente dalla forte contrazione delle consegne dei costruttori sul mercato interno il cui valore si è fermato a 2.255 milioni, pari al 33,5% in meno del 2023. Un crollo a cui non è estranea la transizione dell’automotive, forzata dalle regole Ue. “A proposito di green deal – ha aggiunto Rosa – non possiamo che rilevare che la posizione dell’Unione che intende procedere con il piano di transizione elettrica del motore endotermico con i tempi e le modalità attualmente stabilite, sta mettendo a dura prova il manifatturiero del vecchio continente. Con la chiusura di alcune fabbriche automotive e la fuoriuscita di migliaia di lavoratori anche dell’indotto, si rischia di innescare un effetto domino che porterebbe un grave problema sociale per la gran parte dei paesi dell’area, a partire dall’Italia”. LEGGI TUTTO