More stories

  • in

    Preatoni promossa da Intermonte: “Il suo vero valore è di 450 milioni”

    Un valore stimato di 450,8 milioni di euro, pari a 51,2 euro per azione e quindi del 25% superiore a quello nominale oltre a una raccomandazione “Buy” (comprare, ndr) da parte degli analisti. Questa è la valutazione che Intermonte, attraverso la sua Websim Corporate Research, ha attribuito al gruppo Preatoni in un rapporto che ha suddiviso le partecipazioni in capo alla società in due settori di business: Hospitality and Tourism e Real Estate Development. Tuttavia, il gruppo fondato e presieduto da Ernesto Preatoni che negli anni Novanta ha inventato mete turistiche di grande richiamo come Sharm el-Sheikh, in Egitto, ha grandi potenzialità di ulteriori apprezzamenti.”La divisione Hospitality and Tourism potrebbe raggiungere un valore di circa 950 milioni quindi con un potenziale upside ben oltre il 200% rispetto al nominale”, spiega il rapporto di Intermonte. Inoltre, la divisione Real Estate Development sempre considerando uno scenario positivo, potrebbe raggiungere un valore di circa 330 milioni. In conclusione, il valore delle partecipazioni di Preatoni Group nelle due Divisioni diventerebbe rispettivamente di 770 milioni per l’Hospitality e 176 milioni per il Real Estate, per un totale di circa 946 milioni pari a 107 euro per azione.All’inizio di quest’anno, Preatoni Group ha debuttato su Euronext Access+ di Parigi, mercato organizzatda Euronext che è la società a cui fa capo la Borsa di Parigi che è solitamente l’anticamera per le Piccole e medie imprese verso la quotazione su mercati regolamentati come l’Euronex Growth. Il gruppo, che nel 2024 ha totalizzato 67 milioni di euro di ricavi, realizza circa il 70% del suo fatturato nella divisione Hospitality and Tourism. In quest’ambito, il gruppo oggi possiede 5 strutture ricettive attive, di cui una è il celebre Domina Coral Bay di Sharm, in Egitto, tre sono in Italia e una Germania. In tutto, oltre 1.700 stanze e più di 200 tra ville e appartamenti.Quanto alla divisione per lo sviluppo immobiliare, questa ha come braccio operativo la ProKapital la quale ha tra i suoi asset circa 250mila metri quadrati di terreni edificabili nei Paesi Baltici e in Medio Oriente. LEGGI TUTTO

  • in

    Enel, finanziamento multivaluta da 756 milioni di euro con Citi ed Eifo per investimenti sostenibili

    Enel ha siglato un importante accordo di finanziamento multivaluta con Citi e l’Export and Investment Fund of Denmark (Eifo) per un importo complessivo massimo di 756 milioni di euro. L’operazione si inserisce nella strategia del Gruppo volta alla diversificazione delle fonti di finanziamento sustainability-linked, rafforzando al contempo le relazioni con i fornitori danesi attivi a livello globale.Il primo finanziamento, pari a 500 milioni di dollari (circa 430 milioni di euro), è stato formalizzato da Enel Finance International (Efi), società finanziaria del gruppo. I fondi potranno essere utilizzati in euro e dollari Usa da varie controllate Enel per attività generali legate agli investimenti sostenibili.“Questa operazione rappresenta un’ulteriore evidenza della solidità del nostro Gruppo, che ci consente di accedere a soluzioni competitive valorizzando al tempo stesso la nostra strategia di procurement”, ha dichiarato Stefano De Angelis, CFO di Enel.Soddisfazione anche da parte di Eifo: “Enel è un nostro cliente di lunga data”, ha affermato Peter Boeskov, Chief Commercial Officer dell’ente danese. “Dall’ultima operazione del 2022, 12 aziende danesi, tra cui almeno 3 PMI, hanno ricevuto o riceveranno ordini. Siamo lieti di contribuire alla transizione verde insieme a Enel.”Richard Hodder, Global Head of Export and Agency Finance di Citi, ha aggiunto: “Siamo orgogliosi di aver collaborato con EIFO ed Enel per strutturare questa soluzione innovativa e flessibile di finanziamento da agenzia di credito all’esportazione, progettata per supportare le esigenze di una realtà globale come Enel.” LEGGI TUTTO

  • in

    Sette anni senza Marchionne. L’uomo che ha riportato l’Italia al centro del mondo automotive

    Era il primo giugno 2004, pochi giorni dopo l’addio a Umberto Agnelli, quando Sergio Marchionne, fresco consigliere indipendente nel board della Fiat, ricevuto l’incarico di amministratore delegato dopo l’uscita di scena di Giuseppe Morchio, si presentava per la prima volta ai giornalisti. Al suo fianco, il presidente di allora, Luca di Montezemolo e John Elkann, appena 28enne, vicepresidente, al quale il nonno, Gianni Agnelli, scomparso l’anno prima, aveva lasciato l’incarico di futura guida dell’impero di famiglia. Marchionne, del quale ieri ricorreva il settimo anno dalla morte, nonostante il ruolo di vertice ricoperto nella Sgs, colosso svizzero per il controllo della gestione, era per lo più sconosciuto ai media italiani, tanto che al termine della conferenza stampa, un giornalista torinese lo chiamò Marchionni, scambiandolo per il manager alla guida di Fondiaria Sai.C’è voluto poco tempo, da quel giorno, per portare Marchionne (Umberto Agnelli e Gianluigi Gabetti, i suoi grandi sponsor, ci avevano visto giusto) alla ribalta nazionale e internazionale. In 14 anni, grazie alla sua visione, la capitalizzazione della Fiat era decuplicata, mentre il titolo della Ferrari, scorporata dal gruppo e quotata dal 4 gennaio 2016, è salito vertiginosamente dagli iniziali 43 euro agli attuali 438 euro con cui ha aperto ieri le contrattazioni.Al suo fianco e per un certo periodo anche Montezemolo, con sempre Gabetti come punto di riferimento, John Elkann è cresciuto managerialmente, diventando via via il punto di riferimento della famiglia. La svolta nel 2010 con la sua nomina a presidente della Fiat, incarico che mantiene tuttora, ma al vertice di Stellantis, il mega gruppo nato nel 2021 dalla fusione di Fiat Chrysler Automobiles, creatura di Marchionne, con i francesi di Psa.Dalla scomparsa di Marchionne tutto è cambiato, in peggio, complice anche la pandemia che ha affossato il settore automotive, in via di ripresa dopo la crisi Lehman Brothers e, successivamente, per le scelte politiche presea livello europeo che hanno portato il “sistema” al collasso. In questi anni, la mancanza di un manager del calibro di Marchionne, dotato di una visione strategica pragmatica, si è fatta sentire. Senza contare che ha salvato in tempi da record una Fiat al collasso, ha avuto una particolare sensibilità verso i marchi iconici italiani, per poi vincere la scommessa Usa su Chrysler. E come valore aggiunto è sempre stato capace di farsi sentire ai più alti livelli (Casa Bianca in primis) e ottenere la fiducia dei sindacati. Se nel 2010 il referendum svoltosi a Pomigliano d’Arco sul nuovo contratto Fiat avesse premiato la linea Fiom, in quegli anni guidata da Maurizio Landini, di sicuro la geografia produttiva del Paese ne sarebbe uscita male.Nel momento in cui si è capito che Marchionne, ricoverato a Zurigo, non ce l’avrebbe fatta, Elkann ha passato il volante di Fca all’inglese Mike Manley, con trascorsi negli Stati Uniti alla Chrysler. E da allora il gruppo ha cercato di trovare il partner ideale, con cui unirsi in matrimonio, e formare un vero colosso mondiale.In verità, Marchionne ci aveva provato ad allargare ulteriormente la famiglia, senza però riuscirci. Aveva bussato invano alle porte della Opel, trovando però le barricate poste dalla cancelliera Angela Merkel. Fallito anche il tentativo con il gigante americano General Motors, ma anche qui a prevalere era stato il ‘no’ di Mary Barra, tuttora numero uno. Anche Volkswagen («I tedeschi di Wolfsburg – confessò un giorno a pranzo a chi scrive – sono meglio degli americani come alleati») e Psa erano entrate nel mirino. «Il vero problema delle fusioni – il suo pensiero – è di tipo culturale e su come gestire l’azienda ». Tre anni dopo la morte di Marchionne, ecco nascere Stellantis, dopo il tentativo naufragato di unire Fca con Renault. A capo c’è Carlos Tavares, di cui Marchionne, sempre in quel pranzo, conoscendolo, aveva parlato bene: «Mi piace e sa gestire bene la cucina, inoltre odia Carlos Ghosn».Anche nel solo ruolo di presidente della Ferrari (dal 2014 sino alla dipartita) e assistendo a quello che ha combinato Tavares, imposto dai francesi, tra scelte azzardate e penalizzazione dell’Italia,chissà come avrebbe reagito Marchionne e cosa avrebbe detto a Elkann, testimone silente fino al recente cambio della guardia di un gruppo messo alle corde. E su Marelli, gioiello di famiglia, successivamente ceduta e ora in grave difficoltà? «Il mio pensiero – così l’ex ad di Fca – è che Marelli possa trovare una vita fuori da Fca che però può restare azionista». Non è andata così.Marchionne è stato un manager lungimirante: aveva previsto il flop dell’auto elettrica («costi di produzione elevati, colonnine insufficienti e, soprattutto, il fatto di spacciare come green vetture la cui energia è prodotta utilizzando fonti fossili»). E sulla Ferrari, sempre in confidenza, aveva detto che nel 2019 le sue supercar sarebbero state tutte ibride, mentre a proposito della crisi del Cavallino nella Formula 1 si era lasciato sfuggire di puntare su Max Verstappen («un burino temerario») e dell’esigenza per Maranello “di prendere un po’ di italiani”. LEGGI TUTTO

  • in

    Webuild cresce in doppia cifra I profitti balzano a 132 milioni

    Webuild cresce a doppia cifra nel semestre, prosegue nel suo intento di raggiungere un rating investment grade (giudizio di affidabilità finanziaria), e punta dritto verso nuove opportunità. Tra queste, gli sviluppi infrastrutturali in Germania e Ucraina, come ulteriori mercati di sbocco in un contesto di ricavi generato per oltre il 65% al di fuori dell’Italia: il 29% in Australia, il 13% in Medio Oriente e l’8% in Nord America.Battendo le attese degli analisti la società ha archiviato un semestre con ricavi a 6,7 miliardi, con un miglioramento del 22%, a dimostrazione della «resilienza del nostro modello di business, nonostante le sfide macroeconomiche », ha commentato l’amministratore delegato Pietro Salini ( infoto ).L’ utile netto è balzato a 132 milioni, in crescita del 61%, il margine operativo lordo ha raggiunto i 564 milioni (+38%). Significativo anche il balzo degli investimenti a 454 milioni per alimentare la crescita e la generazione di cassa. I risultaticonsentono a Webuild di confermare gli obiettivi per l’intero anno con ricavi superiori a 12,5 miliardi ed il margine operativo lordo maggiore di 1,1 miliardi. «L’ebitda e l’ebit hanno entrambi raggiunto nuovi record. Alla fine del primo semestre, di solito raggiungiamo circa il 45% dei ricavi annuali. Per l’ebitda, normalmente si colloca tra il 35% e il 45%. Quest’anno, tuttavia, sia per i ricavi che per l’ebitda, abbiamo superato il 50% dell’obiettivo annuale. Siamo in anticipo rispetto agli obiettivi che avevamo rivisto al rialzo pochi mesi fa», ha spiegato il dg Massimo Ferrari.Gli ordini acquisiti dal gruppo da inizio anno ammontano a 6,5 miliardi, raggiungendo oltre il 50% del target per l’anno, di cui oltre il 95% è stato acquisito in geografie chiave con basso profilo di rischio. Sono compresi 1,8 miliardi di gare in cui Webuild è risultata come miglior offerente. Il portafoglio ordini supera i 58 miliardi, garantendo «ampia visibilità sui ricavi futuri e rappresentando una base solida per il prossimo piano industriale».«Considerando che il nostro settore tende a concentrare i risultati nella seconda metà dell’anno, siamo ben avanti rispetto alla tabella di marcia per raggiungere gli obiettivi del 2025», ha sottolineato Salini. LEGGI TUTTO

  • in

    Eni, i conti sorprendono Piazza Affari

    La chiave di lettura della semestrale di Eni è tutta nell’andamento registrato ieri dal titolo a Piazza Affari. Un andamento crescente, dopo una partenza titubante, che ha visto l’azione chiudere in rialzo dell’1,82% a 14,66 euro grazie a un mercato persuaso dai risultati migliori delle attese e dal successo della strategia avviata tre anni fa (e preparata da oltre 10 anni), e mai modificata in questi anni di «forte turbolenza ». E così, gli investitori hanno incassato senza problemi gli effetti negativi generati dal calo del petrolio (-20%) e dall’euro forte (+5%), guardando alle prospettive: dividendi crescenti, un leverage proforma ai minimi storici e la promessa di importanti sviluppi. L’ad Claudio Descalzi ha detto che c’è «margine per aumentare il buyback e che è lecito aspettarsi una seconda metà dell’anno positiva ed un 2026 ancora più promettente».Seppur in calo, il risultato operativo e l’utile netto hanno battuto le aspettative di mercato (l’utile netto le ha battute del 25%). Nel dettaglio, l’ebit proforma adjusted è sceso a 6,36 miliardi, in calo del 23% rispetto allo stesso periodo del 2024. L’utile netto adjusted di competenza degli azionisti si è fermato a 2,55 miliardi di euro (-18%) e l’utile netto del gruppo a 1,715 miliardi (-8%). Il flusso di cassa operativo, ha superato 6 miliardi e, seppure in discesa del 21%, ha coperto gli investimenti per 3,9 miliardi e generato un free cash flow organico per 2,3 miliardi. Mentre gli altri competitor hanno visto aumentare il loro debito, Eni ha conseguito un leverage proforma del 10%, il più basso nella storia del gruppo.Per quanto riguarda i settori della transizione, la valorizzazione del 30% delle partecipazioni in Plenitude ed Enilive ha generato benefici di cassa per 6,4 miliardidi euro, rafforzando la capacità finanziaria ed accelerando l’esecuzione del piano. Inoltre, l’accordo di trattativa esclusiva con Gip, una volta finalizzato, è destinato a rafforzare il posizionamento nel settore della cattura e dello stoccaggio dell’anidride carbonica dove Eni ha acquisito una posizione di leadership.Nel secondo trimestre il business Enilive ha registrato un utile operativo proforma adjusted di 129 milioni, sostanzialmente in linea, così come l’ebitda proforma adjusted che si è attestata a 209 milioni. Plenitude ha invece conseguito un utile operativo proforma adjusted di 133 milioni in riduzione dell’11% rispetto allo stesso periodo di confronto e un ebitda proforma adjusted a 256 milioni. LEGGI TUTTO

  • in

    Iren rinnova il proprio Programma EMTN funzionale all’emissione di nuovi titoli obbligazionari

    Iren ha rinnovato il proprio Programma EMTN (Euro Medium Term Notes) incrementando l’ammontare massimo da 4 a 5 miliardi di euro. Il Prospetto informativo relativo al Programma è stato approvato da CONSOB e ha ottenuto il giudizio di ammissibilità alla quotazione sul Mercato Telematico delle Obbligazioni (MOT) da parte di Borsa Italiana.L’approvazione del Prospetto EMTN sul mercato italiano, funzionale all’emissione di titoli obbligazionari, consente di diversificare le fonti di finanziamento, rafforzare la presenza di Iren sul mercato dei capitali e contribuire allo sviluppo di un mercato obbligazionario nazionale sempre più competitivo, trasparente e orientato alla sostenibilità.La costituzione del nuovo Programma EMTN è stata celebrata con una cerimonia “Ring the Bell” avvenuta stamattina a Palazzo Mezzanotte, in Piazza degli Affari a Milano, alla presenza di rappresentanti di Iren, Consob e Borsa Italiana. L’operazione si inserisce nella strategia aziendale volta a rafforzare la presenza sul mercato obbligazionario: attualmente il Gruppo ha in circolazione bond senior per un ammontare complessivo di 3,5 miliardi di euro, inclusi sei green bond, in linea con gli obiettivi ESG del Gruppo, oltre all’emissione, a gennaio 2025, del primo bond ibrido da 500 milioni di euro.Il Programma EMTN ha ricevuto il giudizio “BBB” da parte delle agenzie di rating Fitch Ratings e S&P Global Ratings. L’operazione ha visto il coinvolgimento di Mediobanca in qualità di Arranger e di Goldman Sachs International, Intesa Sanpaolo (Divisione IMI CIB) e UniCredit nel ruolo di Dealer. Iren è stata assistita dallo studio legale Legance e le banche sono state assistite dallo studio legale Gianni & Origoni. LEGGI TUTTO

  • in

    Ferrero, scelte “green” per trainare lo sviluppo

    Oltre il 90% degli ingredienti principali mappati sino all’origine con punte del 94% per le nocciole e del 97% per cacao e olio di palma, il 92,1% degli imballaggi progettati per essere riciclabili, emissioni di Scope 1 e 2 ridotte del 21,7% con l’obiettivo di dimezzare le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2030, il 90% dell’elettricità per la produzione e lo stoccaggio proveniente da fonti rinnovabili. Questi sono i principali risultati raggiunti dal gruppo Ferrero enunciati nel suo sedicesimo Rapporto di Sostenibilità 2024. «La sostenibilità è profondamente radicata nella strategia a lungo termine di Ferrero. È un motore fondamentale della resilienza aziendale e guida le nostre decisioni di fronte alle sfide globali, in particolare al cambiamento climatico, il nostro impegno rimane chiaro: approvvigionarsi responsabilmente, innovare con coraggio e salvaguardare l’ambiente», ha commentato Giovanni Ferrero (in foto), presidente esecutivo del gruppo. LEGGI TUTTO

  • in

    Saipem celebra le nozze con Subsea7

    Saipem e Subsea7 vanno ufficialmente a nozze dando vita ad un nuovo colosso dei servizi energetici da 21 miliardi di ricavi. La neonata realtà si chiamerà Saipem7 e sarà quotata in parallelo a Milano, dove terrà il quartier generale, e a Oslo. La notizia arriva all’indomani dell’approvazione dei conti di metà anno che hanno registrato una crescita a doppia cifra e promesso nuovi ordini per 8 miliardi, entro il 2025, ponendo così le basi per una integrazione di valore.Saipem7 sarà operativa nella seconda metà del 2026 e avrà una presenza globale in più di 60 Paesi. Il gruppo disporrà di un’ampia gamma di servizi offshore e onshore, dalla perforazione, ingegneria e costruzione, ai servizi di manutenzione e decommissioning, con una maggiore abilità di ottimizzare le tempistiche dei progetti per i clienti nei settori oil, gas, cattura della Co2 ed energie rinnovabili. A livello economico, il margine operativo lordo (ebitda) di Saipem7 sarà di oltre 2 miliardi di euro e il suo portafoglio ordini aggregato toccherà i 43 miliardi di euro. Il tutto, con 300 milioni di sinergie annue.Siem Industries (attualmente azionista di riferimento di Subsea7) avrà l’11,8% del capitale sociale di Saipem7, mentre Eni e Cdp Equity (attuali azionisti di riferimento di Saipem) ne deterranno, rispettivamente, circa il 10,6% e circa il 6,4%. Le assemblee straordinarie, sia di Saipem sia di Subsea7, si svolgeranno il 25 settembre prossimo per approvare la fusione. Conseguentemente gli azionisti di Saipem e Subsea7 deterranno in misura paritetica il 50% del capitale sociale di Saipem7. I soci di Subsea7 che parteciperanno alla fusione riceveranno 6,688 nuove azioni Saipem per ogni azione detenuta. A livello di governance è previsto che il presidente di Subsea7, Kristian Siem, sia nominato presidente del cda di Saipem7, mentre l’ad di Saipem Alessandro Puliti sarà Ceo della nuova entità. Inoltre, Puliti e John Evans saranno poi rispettivamente presidente e ad della società che gestirà il business Offshore Engineering & Construction di Saipem7.In merito al progetto gli esperti di Equita sottolineano come nella nota si annunci un nuovo dividendo straordinario da 105 milioni, oltre al dividendo straordinario da 450 milioni già annunciato in occasione del memorandum di febbraio sulla fusione. LEGGI TUTTO