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    Tra Open Fiber e Fibercop arriva l’accordo-staffetta

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    Mentre ancora tutto tace sul fronte della rete unica, tra Fibercop e Open Fiber sembra che possa esserci una schiarita sulla partita delle aree grigie di Italia a 1 Giga. Secondo quanto risulta a Il Giornale, infatti, la società guidata da Giuseppe Gola avrebbe aperto alla possibilità di cedere in toto o parzialmente i lotti di sua competenza (otto in totale) finanziati in parte con 1,8 miliardi di euro di fondi del Pnrr. In cambio, però, visto che la società ha comunque svolto una parte consistente del lavoro (a fine febbraio era al 37,8% dei civici di sua competenza), vorrebbe che le fosse riconosciuto il valore degli investimenti fin qui sostenuti. Le interlocuzioni tra le due società sarebbero in corso e si potrebbe arrivare a una soluzione entro una decina di giorni.Il tempo, del resto, stringe. La stesura della fibra nelle aree grigie, essendo finanziata con soldi europei del Next Generation Eu, deve essere completata entro la fine di giugno del 2026. Open Fiber, in particolare su alcune zone, avrebbe accumulato un ritardo consistente, tale da mettere seriamente a rischio il raggiungimento degli obiettivi del piano. Il passaggio a Fibercop aumenterebbe le possibilità di successo, anche perché il gruppo guidato da Massimo Sarmi può contare sull’infrastruttura della rete in rame che le permette di posare la fibra più velocemente, laddove Open Fiber deve scavare e realizzare l’infrastruttura da zero con tempi più lunghi.La vicenda è nata alcune settimane fa, quando Fibercop all’inizio di aprile aveva inviato una missiva al governo e ai ministeri competenti per candidarsi a subentrare – nell’ambito di eventuali accordi amministrativi e contrattuali da definire nel rispetto della normativa applicabile – assumendosi «la responsabilità esecutiva dell’intero perimetro di ciascuno dei lotti del Piano Italia a 1 Giga» (Fibercop al momento ne ha in capo sette).Dopo un’iniziale resistenza, ora Open Fiber – che ha tra i suoi azionisti la Cassa depositi e prestiti con il 60% e il fondo australiano Macquarie con il 40% – si sarebbe detta disponibile a trovare un accordo. Il grande obiettivo, del resto, è quello di arrivare a centrare il target di 3,4 milioni di civici da cablare con la fibra ottica in modo da non vedere sfumare un progetto tra i più significativi di quelli previsti dal Pnrr, con ben 3,8 miliardi stanziati. Non dovesse andare in porto l’accordo, l’alternativa sarebbe quella – proposta anche dall’Europa – di rivedere il piano nazionale escludendo i progetti da ritenersi irrealizzabili. LEGGI TUTTO

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    Deliveroo entra nell’orbita Doordash

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    Il colosso americano Doordash conquista Deliveroo e si dota di una base per espandere le sue attività di consegne nel Vecchio Continente, verso cui aveva già fatto un primo passo nel 2021 con l’acquisizione della piattaforma finlandese Wolt. Il cda di Deliveroo ha accettato la proposta formulata dagli americani raccomandandola ai propri azionisti che, se aderiranno, riceveranno 180 pence ad azione, con un premio del 29% sui corsi di Borsa, e vedranno valorizzata Deliveroo 2,9 miliardi di sterline (circa 3,4 miliardi di euro). LEGGI TUTTO

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    Marco Hannappel promosso Presidente della Regione America Latina e Canada di Philip Morris International

    Marco Hannappel attuale Presidente della Regione America Latina e Canada di Philip Moris International

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    Philip Morris International (PMI) ha annunciato oggi la promozione di Marco Hannappel a Presidente della Regione America Latina e Canada, con decorrenza da maggio 2025.Chi è HannappelHannappel è entrato a far parte di Philip Morris International nel 2019, assumendo la guida della filiale italiana. In qualità di Presidente e Amministratore Delegato di Philip Morris Italia, ha contribuito in modo determinante alla promozione della strategia aziendale orientata a un futuro senza fumo. Sotto la sua direzione è stato avviato lo sviluppo di una filiera integrata interamente incentrata sui prodotti a tabacco riscaldato, sostenendo il Made in Italy. Questa rete produttiva oggi coinvolge circa 8.000 aziende italiane e oltre 40.000 lavoratori, tra occupazione diretta e indotto.Il suo impegno in Philip MorrisDurante la guida di Hannappel alla testa della filiale italiana, Philip Morris International ha portato avanti importanti operazioni strategiche nel Paese, tra cui spicca il potenziamento del sito produttivo di Crespellano, in provincia di Bologna. Qui è stato attivato un piano di investimenti triennale del valore di circa 600 milioni di euro, che ha incluso l’inaugurazione del Centro per l’Eccellenza Industriale e l’avvio del Philip Morris Institute for Manufacturing Competences.Sul versante dei servizi, Philip Morris Italia ha lanciato tre centri di assistenza avanzata per i consumatori adulti dei prodotti a tabacco riscaldato – i Digital Information Service Center (DISC) – localizzati a Taranto, Marcianise (Caserta) e Terni. Il progetto prevede investimenti che, entro il 2027, arriveranno a un totale di 180 milioni di euro. In ambito agricolo, invece, nell’autunno del 2024 è stato siglato il rinnovo dell’accordo con il Ministero dell’Agricoltura e Coldiretti, ampliando la collaborazione strategica con gli agricoltori italiani per un periodo di dieci anni. L’intesa prevede investimenti fino a 1 miliardo di euro, a sostegno della filiera nazionale del tabacco.La conversione del businessI risultati raggiunti in Italia nella trasformazione del modello di business – con oltre due milioni di fumatori adulti che negli ultimi anni hanno scelto di abbandonare le sigarette tradizionali in favore dei prodotti senza combustione di Philip Morris International – hanno portato, nel 2023, alla nomina di Hannappel come Vicepresidente per l’Europa Sud-Occidentale della multinazionale. Nel 2024, il suo impegno nel promuovere il ruolo strategico dell’Italia a livello globale è stato ulteriormente riconosciuto con la nomina a Coordinatore dell’Advisory Board Investitori Esteri di Confindustria (ABIE).L’impegno di Philip MorrisPhilip Morris International (PMI), azienda leader a livello internazionale nel settore dei beni di consumo, si sta impegnando attivamente per realizzare un futuro senza fumo con l’obiettivo di estendere il suo portafoglio a prodotti al di fuori del settore del tabacco e della nicotina. L’attuale portafoglio prodotti dell’azienda è costituito principalmente da sigarette e prodotti senza fumo, tra cui prodotti a tabacco riscaldato, bustine di nicotina e sigarette elettroniche. LEGGI TUTTO

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    Ita è ancora in perdita ma ora intravede la luce

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    Nonostante Lufthansa, azionista con il 41% solo da quest’anno, abbia già esercitato nel 2024 un’influenza dominante sulle scelte di Ita Airways, l’esercizio si è chiuso con una perdita netta di 227 milioni di euro. Un segnale che, al di là dei progressi operativi, l’inversione di tendenza vera e propria resta ancora da conquistare. La perdita netta, sottolinea Ita in una nota, è stata causata «dagli effetti negativi dell’adeguamento contabile dei debiti e crediti denominati in valuta estera ai tassi di cambio di fine anno, oltre che dagli oneri finanziari associati ai contratti di leasing» connessi al rinnovo della flotta. A migliorare è l’utile operativo, che per la prima volta nella storia della compagnia risulta positivo per 3 milioni, in netto miglioramento rispetto al 2023 (+75 milioni), e «in anticipo rispetto alle previsioni del piano industriale». Ma si tratta di un primo passo, non ancora sufficiente a portare l’azienda fuori dalla fase critica. Il risultato operativo beneficia di «performance operative e commerciali positive», con ricavi saliti a 3,1 miliardi (+26% annuo), di cui 2,7 miliardi derivanti dal solo traffico passeggeri. I voli di linea operati sono cresciuti dell’11% (138mila), così come i passeggeri trasportati, circa 18 milioni (+19%). In forte aumento anche l’Ebitda, pari a 337 milioni, contro i 70 dell’anno precedente. La cassa a fine esercizio è salita a 476 milioni (+26 milioni). LEGGI TUTTO

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    Shell mette nel mirino la British Petroleum. Ma attaccherà solo dopo un calo del titolo

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    Shell valuta un’acquisizione storica: quella di Bp. Secondo Bloomberg, la major anglo-olandese avrebbe avviato con i propri consulenti analisi preliminari per un’eventuale offerta sulla rivale britannica, in attesa però di ulteriori cali delle azioni Bp e del prezzo del petrolio, condizioni che renderebbero l’operazione più vantaggiosa. Il dossier è ancora in fase iniziale ma segnala un cambio di marcia nelle strategie di Shell, che solo pochi giorni fa aveva ribadito, per bocca dell’ad Wael Sawan (in foto), di preferire il riacquisto di azioni proprie piuttosto che acquisizioni su larga scala.Il quadro è reso ancora più dinamico dal contesto di mercato: le azioni Bp sono sotto pressione e il petrolio è ai minimi da oltre tre anni. L’Opec+, sotto la guida dell’Arabia Saudita, ha annunciato due aumenti consecutivi della produzione a maggio e giugno per punire i membri che hanno superato le quote concordate, come Iraq e Kazakhstan. Una mossa paradossale in un momento di domanda debole e tensioni globali, che ha già avuto effetti pesanti sui mercati: il prezzo del Wti è passato da 71 a 58 dollari al barile in meno di un mese, una flessione del 18%. L’ultima settimana di contrattazioni ha visto un ulteriore calo del 7%, vanificando ogni residua speranza di rimbalzo.Questa fase di debolezza ha però conseguenze opposte per le grandi compagnie petrolifere: se da un lato erode margini e fiducia degli investitori, dall’altro può rappresentare un’opportunità per operazioni di consolidamento a basso costo. Shell, con una capitalizzazione quasi doppia rispetto a Bp (149 miliardi di sterline contro circa 80), è oggi in una posizione dominante e potrebbe sfruttare la situazione per rafforzarsi ulteriormente, magari innescando un’operazione che darebbe vita a un colosso in grado di competere con ExxonMobil e Chevron. Ma i rischi non mancano: un’acquisizione di queste dimensioni attirerebbe sicuramente l’attenzione delle autorità Antitrust e richiederebbe una profonda integrazione di due realtà complesse. LEGGI TUTTO

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    Webuild batte l’Argentina in tribunale. Salini ottiene rimborso da 147 milioni

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    Si risolve a favore di Webuild una vicenda durata oltre 27 anni. Un arbitrato internazionale decennale, infatti, ha assegnato al gruppo delle costruzioni guidato da Pietro Salini la somma di 147 milioni di dollari a seguito di una controversia con l’Argentina in merito al progetto per la realizzazione e concessione del collegamento autostradale Rosario-Victoria, che comprende anche un ponte di oltre 600 metri.Il gruppo, come riportato da GAR – Global Arbitration Review, ha visto riconosciuti i propri diritti riguardo al progetto argentino, i cui lavori sono stati completati nel 2004 e la cui concessione è stata rescissa nel 2014, davanti al Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie sugli Investimenti, un organo della Banca Mondiale che risolve le controversie tra Stati e investitori esteri, secondo quanto previsto dai trattati bilaterali di investimento. Nel 1998, infatti, il governo argentino che stava intraprendendo un piano di privatizzazioni per attrarre investitori esteri aveva firmato con Webuild un contratto di concessione di 25 anni. Il progetto, tuttavia, ha dovuto affrontare notevoli difficoltà, coincise in particolare con la crisi economica dell’Argentina, a cui sono seguiti ritardi nei pagamenti, il fallimento di un accordo di finanziamento con la Banca Interamericana di Sviluppo e l’emanazione della Legge di Emergenza nel 2002. La legge aveva sganciato il valore del peso argentino dal dollaro statunitense, convertito in pesos i contratti pubblici originariamente stipulati in dollari e congelato le tariffe dei pedaggi, con un impatto significativo sulla sostenibilità finanziaria della concessione. Fatti, quest’ultimi, davvero pesanti per un’azienda, soprattutto se si considera che nel 2002 l’Argentina registro un’inflazione annua di circa il 41%, secondo i dati ufficiali dell’Instituto Nacional de Estadistica y Censos. LEGGI TUTTO

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    Auto, immatricolazioni in ripresa ad aprile. La quota di Stellantis in flessione al 30,6%

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    Il dato delle immatricolazioni di auto in Italia ad aprile è positivo (+2,7%), anche se sotto di 3,5 punti rispetto a marzo. Ancora giù, invece, le vendite di furgoni: -9,2%. È comunque grazie al noleggio a lungo (+25,8%) e a breve termine (+12,8%), insieme alle aziende che acquistano privatamente, che il mercato resta sopra la linea di galleggiamento. Il canale dei privati segna, invece, una flessione del 4,9%. Tutti numeri che portano Dataforce a prevedere, per quest’anno, vendite per 1,605 milioni di auto, in crescita del 2,3% sul 2024. Più pessimista, invece, il Centro studi Promotor che stima un volume di immatricolazioni di 1,485 milioni. «Un livello decisamente infimo – commenta il presidente Gian Primo Quagliano- rispetto alla situazione ante-crisi e che non consente la regolare sostituzione delle auto di un parco circolante che, nel 2023, aveva toccato quota 40.915.229 unità».Secondo Quagliano, «il miracolo di un circolante che cresce, mentre le vendite restano su livelli infimi, si spiega con il fatto che gli italiani, per continuare a usare l’auto, mantengono in esercizio un numero notevole di vetture usate che in tempi normali sarebbero state già rottamate. In aprile sono state acquistate 475.733 auto usate (+6,5%), quasi 2 milioni (+5,2%) nel quadrimestre». Resta sempre impietoso il raffronto con il 2019 pre-Covid e crisi varie: -20,5% sull’aprile di quell’anno. Salgono le auto elettriche (+108%), ma la quota resta sempre bassa (4,8% ad aprile). Bene, sottolinea Dataforce, le full hybrid e le plug-in: +33%. Quasi invariate le benzina (-0,88%) e male l’opzione con motori Diesel (-18%).Tra i gruppi, Stellantis rimane stabile (-0,1%), ma quota in calo al 30,6% in aprile. Positivi questi marchi: Peugeot +48,2%, Jeep +30,1%, Opel +4,4%%, Alfa Romeo +42,3%, Ds +229,1%; sempre male Lancia (-77,4%) e Maserati (-18,4%), mentre Fiat (-19,7%) attende l’«effetto Grande Panda» e Citroën segna -19,5%.Continua l’avanzata cinese sul nostro mercato: Saic con Mg fa +50,6% per una quota nel mese del 3,9%, Byd consolida l’1,2% di penetrazione, mentre Omoda si avvicina all’1%. Giù Dr, che importa veicoli dalla Cina e li omologa per l’Europa con i suoi marchi. Il calo del 18,6% sarebbe da inquadrare nel momento di espansione dell’azienda guidata da Massimo Di Risio nel Vecchio continente. LEGGI TUTTO

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    “Musk fatto fuori”, “Falso”. Il giallo del nuovo Ceo di Tesla

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    Tesla alla ricerca di un nuovo Ceo per sostituire il fondatore Elon Musk. Anzi no. È un vero e proprio giallo quello che chiama in causa la casa automobilistica specializzata in elettriche. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il consiglio di amministrazione della società avrebbe iniziato a cercare un nuovo amministratore delegato “contattando diverse società” specializzate nel fornire consulenza sulla ricerca, con l’obiettivo di avviare un processo formale all’interno dell’azienda. Musk verrebbe cacciato per il crollo delle azioni e degli utili di Tesla, ma non sarebbero mancate le critiche per i troppi impegni con il suo lavoro di capo del Dipartimento per l’Efficienza Pubblica (DOGE), che pure sembra volgere al termine. Ma non è tardata ad arrivare la smentita.”Questo è assolutamente falso (e questo è stato comunicato al giornale prima della pubblicazione della notizia). L’amministratore delegato di Tesla è Elon Musk e il consiglio di amministrazione ha grande fiducia nella sua capacità di continuare a portare avanti l’entusiasmante piano di crescita che ci attende” quanto scritto su X il presidente di Tesla Robyn Denholm. Il miliardario sudafricano non è rimasto in silenzio. Musk ha infatti denunciato l'”estrema violazione dell’etica” da parte del Wall Street Journal, reo di aver pubblicato “un articolo deliberatamente falso, che non include una smentita inequivocabile da parte del consiglio di amministrazione di Tesla!”. LEGGI TUTTO