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    “Vanno resi più convenienti gli investimenti in Europa”. L’appello di Sangalli

    Per celebrare l’80° anniversario della nascita di Confcommercio, il presidente Carlo Sangalli ha voluto sottolineare l’importanza di ripensare le strategie e le politiche necessarie per sostenere un settore cruciale per l’economia italiana. Durante l’Assemblea 2025, Sangalli ha tracciato un quadro realistico e, a tratti, allarmato delle condizioni attuali, facendo emergere le sfide fondamentali che il commercio, il turismo e i servizi devono affrontare in un contesto di crescenti tensioni internazionali e di criticità interne.Uno dei temi più caldi riguarda innanzitutto la crisi di fiducia tra cittadini e imprese. Sangalli ha osservato che “sembra che oggi stiamo prendendo atto di un doloroso ritorno a tassi di crescita che non sono in linea con le legittime aspettative delle nostre famiglie e delle nostre imprese,” sottolineando come questa situazione segni un rallentamento che rischia di compromettere il benessere e lo sviluppo del Paese. La mancanza di stabilità e le incertezze geopolitiche alimentano la paura e frenano gli investimenti, mettendo in discussione il ruolo strategico di imprese e lavoratori italiani.Un punto di crescente preoccupazione riguarda le politiche fiscali e le tasse. In un mondo globale in cui la competitività delle imprese si gioca anche sul fronte della pressione fiscale, Sangalli ha richiamato l’attenzione sulla necessità di “rendere più conveniente l’investimento in Europa e nei beni pubblici europei,” evidenziando che un sistema fiscale più efficiente e meno oppressivo potrebbe favorire il rilancio del settore. La questione fiscale rappresenta un elemento chiave per evitare che le imprese italiane perdano terreno a favore della concorrenza internazionale e per sostenere l’occupazione, che, come ricordato, “le nostre imprese hanno creato tutta la nuova occupazione del Paese.”L’attenzione di Confcommercio si concentra anche sulle questioni di politica internazionale, tra cui la minaccia dei dazi e la loro influenza sul commercio globale. Sangalli ha denunciato come “l’incertezza dovuta ai tragici conflitti internazionali” e “la politica dei dazi mina la fiducia reciproca,” avvertendo che un mondo più protezionista e meno aperto rischia di minare la ripresa economica e di alterare gli equilibri di scambio tra i Paesi. La paura di perdere il sistema di scambi multilaterali che ha favorito la crescita degli scambi commerciali è concreta, e il rischio di un deglobalization di fatto preoccupa l’intero settore produttivo.Un altro tema caldo riguarda la tutela dei centri storici e il contrasto alla desertificazione commerciale delle aree urbane. Sangalli ha puntato l’attenzione sulla concorrenza sleale delle piattaforme come Airbnb, che “fanno concorrenza sleale alle nostre imprese alberghiere e squilibrano la vivibilità dei nostri centri storici.” La diffusione di affitti brevi, non regolamentati e spesso troppo favorevoli rispetto al settore ricettivo tradizionale, sta creando problemi alla tenuta delle attività commerciali e alla qualità della vita delle città.In ambito infrastrutturale, il presidente ha richiamato l’attenzione sulla questione del Brennero, sottolineando che “occorre continuare ad assegnare valenza prioritaria alla questione della permeabilità della barriera alpina,” per garantire un passaggio più fluido delle merci e sostenere la logistica di un’Italia sempre più legata alle sue eccellenze. La transizione ecologica, che rappresenta una delle priorità fondamentali, deve essere perseguita con un approccio “tecnologicamente neutro,” favorendo biocarburanti e biogas, senza imporre divieti che possano danneggiare l’attività delle imprese.Sangalli ha anche criticato il modello di sviluppo che porta alla chiusura e allo spopolamento dei centri storici: “Dobbiamo sviluppare aree commerciali sostenibili e contrastare la desertificazione urbana, promuovendo un modello di città che integri commercio, cultura e turismo.” La tutela delle comunità cittadine e delle imprese locali passa anche dalla capacità di regolamentare e regolare in modo efficace le piattaforme di sharing economy, per evitare che vadano ad intaccare un settore strategico come quello alberghiero e dei servizi di ristorazione.Infine, l’intervento di Sangalli si è concluso con un appello preciso alle istituzioni europee e nazionali: “Serve un impegno più energico e deciso per contrastare queste sfide, perché il nostro modello di sviluppo può continuare a essere competitivo solo se sapremo fare le scelte giuste oggi per il nostro domani.” Ricordando che “l’ambiziosa sfida della transizione ecologica, del digitale e dell’innovazione” deve essere affrontata con responsabilità e coraggio. LEGGI TUTTO

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    Arriva lo zio d’America: salvo il gruppo La Perla

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    Si chiama Peter Kern (nella foto) il nuovo proprietario de La Perla, il marchio di lingerie di lusso che ha rischiato di chiudere per sempre e che ora è salvo. Miliardario americano, ex vicepresidente e ceo di Expedia e oggi al vertice della Luxury Holding, Kern risiede in Italia con la moglie Kirsten, è chiamato anche Mister Brunello di Montalcino per gli investimenti nel vino in Toscana (è anche il proprietario di Villa Bibbiani, prestigiosa dimora storica della famiglia Frescobaldi). E sarebbe stata proprio la moglie a suggerirgli di comprare la società di Bologna. Kern si è aggiudicato marchio e sito produttivo della società bolognese: il primo è di proprietà della società di diritto britannico La Perla Global Management Uk, in liquidazione giudiziale in Italia e in liquidazione nel Regno Unito, mentre il secondo è della bolognese La Perla Manufacturing in amministrazione straordinaria. Per questo asset la base d’asta era di 22 milioni e il miliardario ha vinto mettendo sul piatto 25 milioni. LEGGI TUTTO

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    Galassia Agnelli, sempre meno Italia

    Antonio Filosa

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    Antonio Filosa (nella foto), che dal 23 giugno sarà il nuovo ceo di Stellantis, manterrà come base il suo ufficio di Auburn Hills, nel Michigan, nell’ex sede di Chrysler ed Fca. Lì, infatti, risiede la sua famiglia. Quindi, non sono previsti traslochi né a Torino né a Parigi), quartier generale dell’ex ceo, il portoghese Carlos Tavares. Per Filosa, dunque, restare negli Usa è una questione personale, considerando anche che, quello americano, è il mercato più importante del gruppo in termini di profitti (l’Europa lo è come volumi).Una situazione, quella Oltreoceano, che la gestione Tavares aveva portato a duri scontri con il sindacato Uaw, a pesanti scorte di veicoli nelle concessionarie e a un forte calo delle vendite: -15% nel 2024. Tutti problemi che Filosa, come capo di quel mercato, sta gradualmente portando alla normalizzazione.Filosa, a questo punto, seguirà l’esempio del suo «maestro» Sergio Marchionne che, all’epoca di Fca, si divideva soprattutto fra Torino e Detroit. Da parte sua, il futuro ceo di Stellantis farà altrettanto, in senso inverso (anche con Parigi, in questo caso) tenendo ben presente la globalità di un gruppo la cui sede ufficiale è radicata ad Amsterdam, in Olanda.L’auspicio, visto il continuo stato di allarme rosso in cui versa Stellantis in Italia, è che Filosa mantenga un contatto diretto costante con il suo Paese, le istituzioni, i sindacati e la forza lavoro. La strategia di scarsa considerazione della Penisola e dei suoi marchi iconici, adottata da Tavares, le cui conseguenze si toccano con mano, dovrà essere al più presto cancellata. Filosa, intanto, sarà pagato in dollari e, secondo le previsioni, riceverà 1,8 milioni di dollari (1,6 milioni di euro) di compenso base, più i bonus. Secondo indiscrezioni, il totale potrà arrivare a circa 23 milioni nel 2028.Novità dalla holding Exor, di cui è ceo John Elkann, presidente sia di Stellantis sia di Ferrari. Ricordate la decisione, presa in febbraio, di cedere il 4% del Cavallino rampante e di investire il ricavato (3 miliardi) in nuove opportunità? Ebbene, nessuna iniezione di capitali in una ipotetica inglobazione di Maserati, marchio in piena crisi e il cui rilancio è in cima alle priorità di Filosa, come qualcuno aveva azzardato. Nel mirino di Elkann, invece, c’è un business in Europa oppure negli Stati Uniti in una realtà che capitalizzi almeno 20 miliardi. LEGGI TUTTO

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    Fedrigoni, bilancio in positivo nonostante la situazione incerta dei mercati

    Marco Nespolo, Ad Fedrigoni

    Il Gruppo Fedrigoni – riferimento mondiale nella produzione di carte speciali per il packaging e altre applicazioni creative, etichette autoadesive, supporti grafici per la comunicazione visiva e RFID – ha chiuso il 2024 con un fatturato adjusted proforma di 2,076 miliardi di euro in crescita del 14,8% rispetto al 2023 (1,808 miliardi di euro). L’adjusted proforma EBITDA è salito del 12,5% dai 337,7 milioni di euro del 2023 ai 380 milioni del 2024, confermando la solidità e profittabilità dell’azienda nonostante la situazione globale di incertezza.Tra gli elementi determinanti nella strategia del Gruppo vi è la dimensione globale di Fedrigoni, i cui ricavi nel 2024 provengono per il 18% dal mercato italiano, mentre il rimanente 82% è suddiviso tra resto d’Europa (43,2%) e resto del mondo (38,8%). Quest’ultimo in aumento di oltre l’8% rispetto all’anno precedente grazie soprattutto a Fedrigoni Nord America.Le parole dell’Ad“Il 2024 ha visto una prima metà dell’anno con una buona ripresa e una seconda metà con una rinnovata volatilità, dovuta alla combinazione di un contesto macroeconomico sfavorevole e di un rallentamento dei mercati finali che serviamo, come il lusso e il vino. – commenta Marco Nespolo, amministratore delegato del Gruppo Fedrigoni – Nonostante tutto, siamo riusciti a portare avanti il nostro piano strategico, salvaguardando le performance economiche ed espandendo (in modo organico e inorganico) la nostra presenza globale, soprattutto in Nord America, Latin America e Asia Pacifico.”L’ampliamento del portafoglio prodottiSul fronte delle M&A, l’azienda ha portato a termine quattro nuove operazioni volte ad ampliare il portafoglio prodotti e a rafforzare la sua presenza globale: acquisizione di uno stabilimento di carte speciali in Cina, precedentemente parte del Gruppo Arjowiggins; partecipazione di minoranza nella start-up SharpEnd come parte del focus dell’azienda sull’offerta di prodotti digitalizzati; acquisizione di alcuni asset di Mohawk, il secondo player di carte speciali in Nord America; e acquisizione di Poli-Tape, produttore di materiali grafici per la comunicazione visiva. È stata inoltre finalizzata l’uscita dal business della carta per ufficio per concentrare Fabriano sui mercati a valore aggiunto, come l’arte e il disegno, la cancelleria e le carte di sicurezza, minimizzando l’impatto sulle persone coinvolte grazie alla collaborazione con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, la Regione Marche e i sindacati.Oltre a proseguire il percorso di espansione nelle etichette premium, nelle soluzioni graphics e di visual communication e nelle carte speciali per il packaging e la comunicazione creativa di alta gamma, Fedrigoni sta investendo sempre più sull’RFID (UHF, HF e NFC), sfruttando tutte le sinergie possibili con gli altri segmenti del Gruppo: è infatti in aumento la domanda di carte ed etichette intelligenti che consentono un’ampia gamma di applicazioni innovative come l’autenticazione dei prodotti, l’anticontraffazione, la tracciabilità, la trasparenza della supply chain e il miglioramento della customer experience. Il business RFID di Fedrigoni – rappresentato da Tageos, produttore di riferimento mondiale negli inlay e nei tag RFID entrato a far parte del nostro Gruppo nel 2022 – ha visto i ricavi 2024 aumentare del 132,3% rispetto a quelli dello stesso periodo del 2023 (128,9 milioni di euro contro 55,5 milioni di euro); l’Ebitda adjusted 2024 è più che triplicato, passando da 6,5 milioni di euro nel 2023 a 21,2 milioni di euro nel 2024 (+226,2%).L’instabilità economicaA parlarne sempre l’Ad: “Guardando al 2025, il primo trimestre ha visto un andamento piuttosto soft a causa del persistere dell’instabilità economica – continua Nespolo – Il business dei materiali autoadesivi ha evidenziato una traiettoria di miglioramento nel primo trimestre 2025 rispetto all’ultimo trimestre 2024; l’RFID (non ancora consolidato nel bilancio) ha mantenuto il suo trend di crescita; il mondo delle carte speciali ha invece evidenziato una domanda debole, soprattutto a causa delle dinamiche presenti nel mercato del lusso. In questo contesto di elevata volatilità, stiamo attuando delle contromisure sui volumi e sulla struttura dei costi per garantire una crescita della bottom line”.L’impatto dei daziRiguardo ai dazi annunciati dall’amministrazione statunitense, l’impatto diretto sul Gruppo è mitigato dalla presenza di attività produttive nel mercato nordamericano: un sito produttivo di materiali autoadesivi in North Carolina, un impianto di produzione RFID sempre in North Carolina (costruito nel 2024) e uno stabilimento di carte speciali nello Stato di New York. L’azienda sta valutando potenziali azioni per ridurre l’impatto dei dazi sui prodotti finiti provenienti dall’Europa. Si stima, infine, un potenziale rallentamento dei volumi che potrebbe derivare – in modo simmetrico per tutti gli operatori del mercato – da una recessione generalizzata legata al protrarsi del conflitto commerciale globale.La sostenibilitàAnche nel 2024 Fedrigoni ha portato avanti il suo impegno di sostenibilità. Le aree di maggior focus includono la riduzione delle emissioni di gas serra, l’ottimizzazione dei prodotti secondo un approccio circolare e di eco-design, l’approvvigionamento sostenibile e la gestione responsabile delle risorse naturali per migliorare la biodiversità. Nel campo dell’innovazione l’azienda sta dando priorità ai materiali riciclati e alle soluzioni compostabili, con l’obiettivo di sostituire la plastica monouso e migliorare la sostenibilità degli imballaggi. LEGGI TUTTO

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    I negozi della Ferragni vanno in liquidazione

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    Gli effetti del Pandoro Gate non si vedono solo sul fronte della reputazione da influencer ma cominciano a farsi sentire anche sulle tasche dell’imprenditrice digitale Chiara Ferragni (in foto). L’srl Fenice Retail, la società che si occupava del ramo retail legato al marchio della Ferragni, ha perso nel biennio 2023-2024 poco più di 1,21 milioni di euro. La società è stata messa di recente in liquidazione assieme alla decisione di chiudere il negozio di Roma in via del Babuino (dopo quello di Milano). In due anni, secondo quanto riporta l’agenzia Radiocor, la Retail ha registrato ricavi per complessivi 644mila euro ma con costi intorno ai 2 milioni.Da qui le perdite finali, pari a circa 530mila euro nel 2023, in aumento a 684mila nel 2024. Il passivo ha così portato alla riduzione del capitale sociale della Retail al di sotto del minimo di legge, con un patrimonio netto negativo, e alla successiva decisione di sciogliere l’azienda e di nominare liquidatore sempre Calabi. Le perdite sono state già coperte dalla ricapitalizzazione da 6,4 milioni della capogruppo Fenice Srl (che nel 2023 e nei primi 11 mesi del 2024 ha perso nel complesso circa 10,2 milioni). L’aumento di capitale è stato sottoscritto dalla Ferragni che così ha ripreso la maggioranza assoluta della galassia societaria.La Retail è stata uno dei motivi di scontro nell’ultima assemblea sui conti della capogruppo Fenice Srl tra l’amministratore unico Claudio Calabi e i rappresentanti del socio di minoranza, l’imprenditore Pasquale Morgese. La Retail è infatti al 100% controllata dalla Fenice (le cui quote sono ora per il 99,8% in mano a Ferragni e per il restante 0,2% a Morgese). A marzo, il legale di Morgese aveva contestato «la carenza di documenti messi a disposizione dei soci e, in particolare, l’assenza del bilancio della partecipata Fenice Retail». LEGGI TUTTO

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    Msc fuori rotta in Italia si imbarca in Romania

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    Già presente nel settore delle riparazioni navali (e in tutta la filiera), ora il gruppo Msc si prepara a sbarcare anche nella navalmeccanica di produzione. Il gruppo guidato da Gianluigi Aponte (in foto) è in lizza per rilevare i cantieri navali Damen Mangalia in Romania che, nelle intenzioni, porterebbero il patron a costruire navi da crociera, traghetti ro-pax e rimorchiatori lontano dall’Italia. Un altro asso nella manica del gruppo che a forza di diversificare, però, ha perso slancio. Secondo l’ultima «Indagine sui trasporti internazionali di merci» di Bankitalia, Aponte sta lasciando sul terreno quote di mercato.Lo studio fa riferimento alla nazionalità dei vettori e non alle singole shipping company. Ma nel suo caso, l’equazione Svizzera- Msc è di facile lettura visto che è a Ginevra la sede del gruppo. E in Svizzera non ci sono altri grandi player. Numeri alla mano, se negli anni scorsi il carrier svizzero ha dominato la scena con un terzo del totale dei traffici container (32,5% nel 2022) da e per l’Italia, ora la sua espansione ha perso slancio, portando il vettore a scendere nel 2024 a quota 29,8 per cento. Nonostante questo, i traffici del gruppo si allargano a macchia d’olio. Secondo ShippingItaly.it, diversi media rumeni hanno riportato la notizia dell’interesse manifestato formalmente per rilevare i cantieri navali Damen Mangalia. Dopo l’uscita della sudcoreana Daewoo nel 2018, lo stabilimento è oggi controllato dallo Stato rumeno attraverso una controllata del ministero dell’Economia, con Damen al 49 per cento. È stata proprio la società olandese, in rotta con Bucarest, ad aver presentato l’anno scorso istanza di fallimento per il cantiere rumeno, gravato di debiti per circa 380 milioni di euro, a fronte di attività valutate circa 275 milioni.Il governo rumeno ha avviato una trattativa con la società turca Desan per l’affitto di capacità produttive e manodopera del cantiere navale Damen Mangalia e da maggio è ripresa l’attività di riparazione, con 800 dipendenti al lavoro, due navi in bacino e una in arrivo. A contribuire sarebbe stato anche l’inusuale anticipo da parte di Msc del pagamento di fatture per attività di riparazione. Una sorta di pre-manifestazione di interesse? LEGGI TUTTO

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    Stellantis fa il vuoto a Mirafiori

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    In attesa, il prossimo 23 giugno, del primo «Filosa Day», ovvero della nomina ufficiale del nuovo ceo di Stellantis, Antonio Filosa (il 18 luglio ci sarà l’insediamento in occasione dell’assemblea straordinaria degli azionisti), e dell’aggiornamento, previsto entro il mese, del Piano produttivo per l’Italia, continuano le uscite volontarie dagli stabilimenti del gruppo. Di questi giorni è la notizia che l’esodo incentivato interessa altri 610 lavoratori del polo industriale di Torino, in particolare di Mirafiori. Ai quali, secondo fonti sindacali, ne seguiranno presto altri 150-200 di Cassino.Il graduale «svuotamento » del polo Stellantis di Torino interessa vari reparti: 250 persone alle Carrozzerie, 19 alle Presse, 31 alle Costruzione Stampi, 53 alla Pcma di San Benigno, 9 alla ex Tea di Grugliasco, 212 agli Enti Centrali, 20 al Services, 16 al Centro Ricerche Fiat. Si tratta dell’ennesimo strascico della precedente gestione del gruppo, con Carlos Tavares al vertice, che dal gennaio 2021, mese della nascita di Stellantis, a oggi, ha visto le porte degli impianti spalancarsi per le uscite volontarie di circa 15mila dipendenti (da 52mila di allora a 37mila). Il chiarimento dell’azienda: «Il programma di uscite volontarie in Italia è finalizzato a supportare il prepensionamento o diverse opportunità di carriera. Tuttavia, a Mirafiori, a partire da agosto, avremo bisogno di una forza lavoro stabile, adeguatamente formata e focalizzata, per supportare il lancio del modello ibrido». Dall’autunno, infatti, l’attesa è che le linee di Mirafiori riprendano a funzionare massicciamente grazie alla produzione della Fiat 500 ibrida, mentre le due Maserati sportive saranno traslocate a Modena (a Mirafiori resteranno solo la lastratura e la verniciatura di GranTurismo e GranCabrio). Entro il 2030, poi, sarà la volta della nuova 500 elettrica. Per lo storico stabilimento Fiat, dunque, è la classica «prova del nove» dopo i recenti deludenti risultati: -22,2% la produzione nel primo trimestre 2025 e -69,8% in tutto il 2024 rispetto al 2023. Sempre secondo fonti sindacali, da qui alla fine dell’anno le uscite incentivate complessive dai siti italiani di Stellantis saranno intorno a 2mila. «Problemi fisici, di età e mancanza di prospettive tra le ragioni che inducono i lavoratori a optare per la soluzione», spiega un sindacalista.Sta di fatto che Filosa, al quale spetterà il non facile compito di ridare slancio al «made in Italy» dell’auto, anche a costo di qualche sacrificio, avrà a che fare con fabbriche le cui produzioni sono ridotte all’osso e lavoratori con il morale sotto i tacchi. Tutte situazioni di sicuro emerse durante il suo recente «tour d’ascolto» in alcuni dei Paesi in cui opera Stellantis e che, per l’Italia, ha subito riguardato Torino con Mirafiori. LEGGI TUTTO