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    L’amministratore può impugnare la delibera di revoca. Ecco in quali casi

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    I punti chiave

    L’assemblea condominiale ha il potere di revocare l’amministratore, ma in alcuni casi la decisione può essere contestata. L’impugnazione è possibile se la delibera presenta vizi di forma o se la revoca avviene senza giusta causa, con possibili richieste di risarcimento danni. Tuttavia, se l’assemblea ha rispettato le regole e fornito una motivazione valida, la revoca rimane definitiva. Vediamo più nel dettaglio quali sono le condizioni per un’eventuale impugnazione e le possibili soluzioni giuridiche.L’amministratore come terzo o parte del condominioL’amministratore è il rappresentante legale del condominio e, in quanto tale, dovrebbe agire nell’interesse di quest’ultimo. Tuttavia, quando viene revocato, la sua posizione cambia: non rappresenta più l’ente condominiale e diventa una parte che potrebbe avere un interesse personale nel contestare la decisione.Impugnare la revoca: quando è possibile, quando non lo èL’amministratore può impugnare la delibera di revoca in due principali circostanze:vizi formali: se la delibera non è stata adottata nel rispetto delle regole previste dall’art. 1136 del Codice civile (quorum deliberativi e costitutivi). Ad esempio, se non si è raggiunto il quorum richiesto o se la revoca non è stata posta all’ordine del giorno, la decisione potrebbe essere nulla o annullabile;revoca senza giusta causa: se l’amministratore è stato nominato per più anni (ad esempio con un contratto pluriennale) e la revoca è avvenuta senza una giusta causa, potrebbe avanzare una richiesta di risarcimento danni per la perdita anticipata dell’incarico.Non è invece legittimato a impugnare la revoca per meri motivi di opportunità, o perché non è d’accordo con la decisione dell’assemblea. Inoltre, se l’assemblea ha motivato la revoca con una giusta causa (ad esempio, gravi irregolarità nella gestione contabile), l’impugnazione sarà molto più difficile.Ipotesi pratiche e soluzioni LEGGI TUTTO

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    Unicredit al centro delle grandi manovre

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    Il giorno dopo l’indiscrezione sull’ingresso di Unicredit nel capitale delle Generali, la ratio della mossa diventa di ora in ora più chiara: il numero uno di Piazza Gae Aulenti, Andrea Orcel, intende utilizzare il consistente pacco di azioni della compagnia per far valere il suo peso negoziale nella partita che al momento più gli sta a cuore, ovvero l’Ops su Banco Bpm. LEGGI TUTTO

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    L’alleanza per contare di più in Ue

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    Questa Europa non piace, per utilizzare un eufemismo, agli imprenditori italiani. Appena qualche giorno fa lo ha detto il nuovo numero uno di Confindustria Lombardia, Giuseppe Pasini, spiegando di non sentirsi a casa in un’Europa così. Le politiche di Bruxelles, in particolare l’accelerazione scriteriata in materia green, stanno lasciando un segno nefasto nell’economia reale. Proprio la manifattura, perno produttivo del Vecchio continente, arranca in ragione dell’ideologia. Insomma, su questi temi vi è allineamento tra imprese e governo Meloni. L’attuale comune sentire tra imprese italiane ed esecutivo, però, deve favorire l’avvio di un cammino collaborativo che raccolga le legittime esigenze di chi tiene in piedi le sorti del Paese. Beneficiando come ha ricordato Pasini della non consueta stagione di stabilità politica. LEGGI TUTTO

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    Il lavoro cambia faccia, e le imprese giocano la carta del welfare

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    L’approccio nel mondo del lavoro è cambiato. Per un numero sempre crescente di imprese italiane il welfare aziendale non è più una semplice questione di benefit economici e di premialità, come veniva inteso in passato. Oggi il benessere dei lavoratori passa infatti attraverso l’adozione di un modello olistico che valorizza le risorse umane attraverso un generale miglioramento della qualità della vita in azienda.Tutto parte dalle esigenze delle persone, dalla valorizzazione dei loro talenti e dal rispetto della diversità: un recente rapporto del Censis ha attestato che per l’89,2% dei lavoratori è essenziale essere presi in considerazione, sentirsi ascoltati e riconosciuti. Ed è aumentata anche la consapevolezza sul welfare aziendale, di cui l’81,8% degli occupati riconosce l’esistenza e dunque l’importanza.Le nuove priorità di cui le imprese si fanno promotrici riguardano dunque la creazione di un ambiente di lavoro sano, sicuro, inclusivo, che valorizzi la diversità di genere e di etnia contribuendo a far emergere il talento e a favorire il benessere di tutti i dipendenti.L’area Risorse Umane riveste un ruolo sempre più attivo nella definizione e nell’attuazione di questi orientamenti. Il contesto post-pandemico ha inoltre messo in evidenza l’importanza della salute psicofisica e di un giusto equilibrio tra vita professionale e privata. Questi obiettivi necessitano d’essere raggiunti anche attraverso la formazione continua, elemento fondamentale per far crescere le competenze dei dipendenti. LEGGI TUTTO

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    Parte la guerra dei dazi: ecco come funzionano e chi ci guadagna davvero

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    I dazi sono tornati al centro del dibattito internazionale da quando Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti. La sua politica economica ha infatti dato nuova spinta a questa misura, tradizionalmente vista come un vestigio di strategie commerciali del passato. Trump ha annunciato l’imposizione di nuovi dazi su beni provenienti da paesi come la Cina, il Canada e il Messico, nell’intento di proteggere le industrie statunitensi e incentivare la produzione interna. Ma come funzionano i dazi oggi e su quali siano le loro reali conseguenze sia per i consumatori che per le economie globali? Ecco tutto ciò che c’è da sapere.Cos’è un dazio e come funzionaUn dazio è un’imposta che viene applicata sulle merci importate da altri paesi, con l’obiettivo di proteggere le industrie nazionali dalla concorrenza straniera, aumentando il costo delle merci provenienti da fuori. Prendiamo ad esempio l’Unione Europea e i dazi contro le auto elettriche cinesei al 17%, se il prezzo di una vettura è di 30.000 euro aumenterà automaticamente di 5.100 euro, per un totale di 35.100. In teoria, questo dovrebbe rendere le auto prodotte in Europa più vantaggiose per i consumatori. Tuttavia, nel mondo reale, le dinamiche di mercato non sono sempre così semplici. I consumatori potrebbero comunque scegliere il prodotto importato per motivi legati alla qualità, al design o ad altre caratteristiche, nonostante l’aumento del prezzo. In questo contesto, i dazi non sempre raggiungono l’obiettivo sperato di spingere i consumatori verso i prodotti nazionali.Gli effettiStando alla teoria economica in senso generale, i dazi dovrebbero proteggere i produttori locali dalla concorrenza estera, ma la loro reale efficacia dipende molto dalla natura della domanda. Se i consumatori sono particolarmente sensibili ai prezzi, l’effetto del dazio potrebbe essere limitato, poiché i produttori stranieri potrebbero abbassare i prezzi per mantenere la competitività. Nei casi in cui la domanda per un prodotto non dipende principalmente dal prezzo, come per beni di lusso o prodotti unici, i consumatori potrebbero essere disposti ad assorbire l’aumento dei costi e continuare a comprare il prodotto straniero.Per esempio, se venissero imposti dazi su prodotti alimentari italiani come il formaggio o il vino, i consumatori potrebbero comunque continuare ad acquistarli, nonostante il prezzo più alto, a causa della qualità o della preferenza culturale. Questo dimostra come i dazi non siano sempre strumenti efficaci, in particolare in un mercato globalizzato dove le preferenze dei consumatori sono influenzate da molti fattori oltre al prezzo.Le conseguenze sociali ed economicheI dazi non hanno solo effetti sui prezzi e sulla concorrenza, ma anche sulla distribuzione della ricchezza all’interno di un paese. Se da un lato possono stimolare la produzione locale e creare nuovi posti di lavoro, dall’altro lato possono comportare un aumento dei costi per i consumatori, in particolare per quelli a reddito più basso. LEGGI TUTTO

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    Unicredit irrompe nella partita Generali

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    Un nuovo colpo di scena anima la partita per la conquista delle Generali. Nella serata di ieri, a partire dall’edizione online del Sole 24 Ore è stato un susseguirsi di intrecci telefonici per capire lo scopo di una nuova clamorosa manovra di Unicredit: nelle settimane scorse l’istituto guidato da Andrea Orcel avrebbe infatti accumulato una quota del 4% circa di azioni Generali. Ai corsi attuali, si tratterebbe di un investimento di circa 2 miliardi. Un’operazione che naturalmente si presta a infinite dietrologie sulle ragioni, che accendono una nuova luce sulle strategie di Orcel già in rotta di collisione col governo italiano per l’Offerta pubblica di scambio lanciata sul Banco Bpm. Piazza Gae Aulenti non commenta le indiscrezioni, però, secondo quanto risulta a Il Giornale, il colpo di mano non sarebbe al momento finalizzato a entrare nella partita per il controllo delle Generali: l’ipotesi più quotata è quella di un investimento finanziario – per il momento non strategico – volto a realizzare un profitto in un periodo di grande speculazione sui titoli della compagnia triestina. La seconda banca italiana, viene spiegato, attualmente rimane concentrata sulla partita Banco Bpm – che dovrà affrontare lo scoglio del golden power – e sul fronte tedesco con il tentativo di scalata a Commerzbank, che sta incontrando più opposizioni del previsto. Tuttavia, è anche vero che Orcel è un navigato banchiere che, nel delicato gioco di equilibri della finanza italiana, al momento giusto potrebbe far valere il suo peso azionario per ottenere in cambio una contropartita. Ogni partita, del resto, è finemente intrecciata: da una parte, il governo ha la preccupazione di non vedere scivolare verso l’estero 630 miliardi di risparmi italiani nell’ambito della possibile alleanza nel risparmio gestito tra Generali e i francesi di Natixis; dall’altra c’è la partita di Mediobanca, sotto Offerta pubblica di scambio di Mps, che a sua volta ha fra i suoi azionisti Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin guidata da Francesco Milleri (alleati del governo a Siena e da tempo all’opera per portare un ricambio ai vertici tanto a Piazzetta Cuccia quanto al Leone di Trieste). In tutto questo, Unicredit potrebbe far valere la sua partecipazione in Generali per far propendere l’ago della bilancia dall’una o dall’altra parte, in vista del rinnovo dei vertici della compagnia assicurativa in calendario per il prossimo maggio. La moneta di scambio potrebbe però anche essere il via libera all’operazione di Bpm, suo obiettivo dichiarato. Unicredit è stata la indiscussa protagonista di questi mesi, alle prese con un ambizioso doppio azzardo, all’estero (Commerzbank) e in Italia (Banco Bpm). L’istituto, che solleverà il velo sui conti l’11 febbraio, secondo il consensus degli analisti continuerà a macinare utili (9,2 miliardi sull’intero anno), accompagnati da ricavi per 24,7 miliardi, margine di interesse a 14,1 miliardi e commissioni per 8,1 miliardi. Il quarto trimestre dovrebbe aver segnato profitti per 1,44 miliardi, in rallentamento da 1,92 miliardi dell’analogo periodo del 2023 in primo luogo per l’assottigliarsi del margine d’interesse a seguito dei tagli dei tassi apportati dalla Bce. In termini di remunerazione dei soci, Orcel ha già anticipato che il payout salirà dal 40% al 50% a partire da quest’anno e gli analisti stimano un dividendo di 2,41 euro per azione. Lo stesso giorno di Unicredit arriveranno anche i numeri della preda Bpm, il cui cda è chiamato anche ad aggiornare i target del piano (la prima a svelare i conti sarà Intesa Sanpaolo martedì) LEGGI TUTTO

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    Giorgetti sulla crisi della multinazionale

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    Il governo è pronto ad azionare il golden power in relazione alla vicenda Beko. «Quello che occorre fare è pensare alla diversificazione approfittando del golden power, che non è altro che uno strumento per comprare tempo, per fare un ponte verso una situazione diversa che in questo momento non possiamo conoscere», ha spiegato ieri il ministro Giancarlo Giorgetti (in foto) a proposito dell’azienda di elettrodomestici Beko che minaccia di chiudere i suoi stabilimenti italiani. «Io non so se arriveranno i dazi o no, se le produzioni della concorrenza, molto più sleale che leale, cambieranno – ha aggiunto il numero uno del Tesoro, intervenendo a Varese all’evento La Lombardia che vorrei – oggi quello che viene prodotto in Cina o in Turchia gode di situazioni di vantaggio che magari domani non ci saranno più. Con Trump strumenti che erano desueti e fuori dalla storia tornano di attualità. In questo momento bisogna tenere duro e comprare tempo». LEGGI TUTTO