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    L’industria tiene il passo ma l’export resta centrale

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    Nel 2025 l’industria manifatturiera italiana si stabilizzerà sui livelli di fatturato 2024, a prezzi costanti, e registrerà una modesta crescita del fatturato a prezzi correnti (+1,8%) attestandosi sui 1.143 miliardi di euro (+229 miliardi rispetto al 2019). È la stima del Centro Studi di Intesa Sanpaolo, che ha presentato insieme a Prometeia l’ultimo rapporto sui settori industriali. Le performance più brillanti sono per farmaceutica (+2,4% tendenziale), meccanica (+1,7%) e largo consumo (1,2%). Secondo lo studio, «sarà fondamentale il contributo del canale estero, e in particolare il recupero della domanda europea, guidato dal raffreddamento dell’inflazione e dalla ripresa della Germania». Sarà dunque proprio «la riattivazione del commercio intra-Ue a controbilanciare la situazione di generale debolezza del commercio mondiale, penalizzato dall’incertezza sulle politiche commerciali americane». Guardando al medio periodo, nel quadriennio 2026-29 l’industria manifatturiera italiana crescerà a ritmi prossimi all’1% medio annuo, «mostrando un maggior dinamismo nei prossimi due anni grazie alla spinta degli investimenti del Pnrr», spiega il report. «Le esportazioni eserciteranno ancora un ruolo di traino», con un saldo commerciale attorno ai 134 miliardi di euro al 2029 (+31 miliardi circa rispetto al 2019). LEGGI TUTTO

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    La Lombardia diventa impresa con il sostegno della Regione

    In un contesto internazionale difficile, caratterizzato da grandi incertezze geopolitiche, le imprese manifatturiere lombarde confermano stabilità, con livelli produttivi in miglioramento. Un dato particolarmente significativo, tra i tanti, è quello dell’occupazione che in Lombardia continua a crescere e in alcuni territori – si pensi alle province di Bergamo, Brescia e Monza – si registra addirittura una percentuale di disoccupazione stabilmente sotto il 3 percento. La regione raccoglie oltre un terzo del totale in valore delle partecipazioni estere sul suolo nazionale e sviluppa circa un quinto degli investimenti netti italiani fuori dai confini: oltre il 60% degli investitori stranieri in Italia e 92 dei 100 investitori più significativi, sono proprio in Lombardia.Numeri che fanno della Lombardia, ancora oggi, la prima regione manifatturiera in Europa. Un protagonismo lombardo in Europa frutto di un ecosistema capace di affrontare criticità come i costi energetici e l’iper-regolamentazione di Bruxelles che rischiano di far perdere competitività alle imprese. Un primato che, come afferma chi in Regione si occupa di imprese, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, «è importante rimanga tale anche nei prossimi anni»; per questo la Regione ha deciso di adottare nuovi strumenti e iniziative a favore del tessuto produttivo ed economico, confermandosi, di fatto, un ottimo alleato delle aziende.Un impegno a 360 gradi che si fonda su un principio semplice ma molto concreto: Sostenere le imprese per sostenere il lavoro. Il sistema produttivo ed economico lombardo sembra apprezzare perché oggi, più che mai, c’è bisogno di veri ambasciatori delle imprese.Nello specifico, all’interno di questo nuovo pacchetto, troviamo il bando Nuova impresa 2025, dal valore di oltre 10 milioni di euro che ha l’obiettivo, in continuità con le precedenti edizioni, di sostenere l’avvio di nuove imprese e l’auto-imprenditorialità, anche in forma di lavoro autonomo con partita IVA individuale, attraverso l’erogazione di contributi a fondo perduto sui costi connessi alla creazione delle nuove imprese; c’è poi il Microcredito per le piccole e medie imprese e per i lavoratori autonomi da 24 milioni di euro per sostenere investimenti delle aziende. E, in tema di innovazione, troviamo il Lombardia Venture, nato per promuovere l’accesso al capitale di rischio da parte delle imprese innovative lombarde, in particolare start up e scale up, per favorire lo sviluppo di tecnologie critiche. LEGGI TUTTO

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    Conti pubblici in ordine e occupazione in crescita: l’Italia tiene la rotta

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    Mentre molte cancellerie europee affrontano squilibri fiscali e incertezze occupazionali, l’Italia si presenta nel 2025 con fondamenta più solide di quanto alcuni indicatori superficiali suggeriscano. Lo certifica l’Istat nel suo Rapporto annuale, che fotografa un Paese capace di rimettere in carreggiata i propri conti pubblici e di sostenere una dinamica occupazionale positiva, pur in un quadro demografico e globale complesso.Finanza pubblica: Italia virtuosa rispetto ai big europeiIl dato che balza all’occhio è il netto miglioramento del saldo di finanza pubblica. L’indebitamento netto in rapporto al Pil è crollato al 3,4%, più che dimezzato rispetto al 7,2% dell’anno precedente. Ancora più significativo è il ritorno all’avanzo primario (+0,4%), che il nostro Paese registra per la prima volta dopo quattro anni. Un risultato che ci distingue da partner storici come Francia e Germania, dove il saldo primario è rimasto negativo.Anche il debito pubblico – seppur ancora elevato – è cresciuto meno delle stime (135,3% contro il 135,8% atteso nel piano di bilancio, e il 138,6% stimato dalla Commissione UE), segno di una gestione prudente in un contesto di alta inflazione e tassi elevati.Segnali di ripresa economica: industria e servizi rialzano la testaDopo una frenata nel 2024, l’attività economica ha mostrato segnali incoraggianti: nel primo trimestre del 2025 il Pil è cresciuto dello 0,3% e, per la prima volta dal 2022, la produzione industriale è tornata ad aumentare. Cresce anche la produzione nelle costruzioni (+5% su dicembre 2024) e i servizi proseguono nella ripresa. Pur in un contesto internazionale incerto, queste dinamiche confermano una resilienza del sistema produttivo.Occupazione in crescita: +352mila in un anno, meglio del pre-CovidIl dato sull’occupazione è uno dei più confortanti. Il 2024 si è chiuso con 23,9 milioni di occupati, +1,5% su base annua e +3,6% rispetto al 2019. Questi numeri segnalano un ritorno stabile alla piena operatività post-pandemica, con una forza lavoro che non solo ha recuperato i livelli pre-crisi, ma li ha anche superati.Particolarmente importante è la crescita dell’occupazione tra gli over 50 (+3%) e tra i laureati (+3,7%), segno di una forza lavoro più matura e qualificata. Anche il Sud, spesso fanalino di coda, mostra segnali di vivacità: è l’area con la maggiore crescita occupazionale (+2,2%).Verso un’occupazione più istruita e qualificataUn altro dato incoraggiante riguarda la progressiva trasformazione qualitativa del mercato del lavoro: cresce l’occupazione in professioni qualificate (+45% dal 2000), con un lento ma significativo aumento anche nelle professioni ICT, strategiche per la transizione digitale.Il tasso di occupazione tra i laureati tocca l’82,2%, mentre il divario di genere tra uomini e donne scende sensibilmente al crescere del titolo di studio: solo 7 punti tra laureati e laureate.Recupero del potere d’acquisto in corsoLe retribuzioni contrattuali hanno ripreso a crescere più dell’inflazione nel 2024, contribuendo a un parziale recupero del potere d’acquisto perso durante il biennio di picco inflattivo. Nel primo trimestre del 2025 la dinamica resta positiva. L’Italia ha contenuto la perdita reale delle retribuzioni lorde al 4,4%, meglio della Francia (2,6%) ma ancora distante da Germania e Spagna. Tuttavia, la tendenza è finalmente in recupero. LEGGI TUTTO

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    Le agromafie minacciano la filiera made in Italy. Giro d’affari ormai superiore a 25 miliardi di euro

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    Il giro d’affari delle agromafie ha raggiunto la cifra record di 25,2 miliardi di euro, raddoppiando nel giro di un decennio e recuperando rapidamente le perdite causate dalla pandemia. È quanto emerge dall’ottavo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, presentato a Roma da Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio Agromafie. Un fenomeno che si è esteso a nuovi ambiti, coinvolgendo non solo il caporalato e le frodi alimentari, ma anche logistica, cybercrime, appropriazione indebita di terreni agricoli e fondi pubblici.Il settore agroalimentare, uno dei più strategici dell’economia italiana, è diventato terreno fertile per le mafie, che puntano al controllo della filiera dal campo alla tavola. «Molte aziende agricole, pur operando nel contesto del successo del Made in Italy, faticano a sostenere l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla Gdo e la difficoltà di accesso al credito», ha denunciato Gian Maria Fara, presidente di Eurispes. «Le mafie, grazie alla loro liquidità, offrono prestiti usurari o acquistano aziende agricole in difficoltà, seguendo un modello simile al land grabbing (l’accaparramento di terreni come forma di investimento; ndr)», ha aggiunto.Coldiretti ha messo in evidenza il ruolo fondamentale del nuovo ddl promosso dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che introduce nel codice penale un intero titolo dedicato ai reati contro il patrimonio agroalimentare, tra cui il reato di agropirateria. «Finalmente si fornisce una risposta penale organica al crimine agroalimentare, con sanzioni proporzionate al fatturato aziendale e misure a tutela di Dop e Igp», si legge nel rapporto.«Se i consumatori comprano prodotti a prezzi stracciati, quel sottocosto qualcuno lo paga e sono quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli», ha affermato Vincenzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti. «È fondamentale che il Parlamento approvi rapidamente questa legge, superando le resistenze di pezzi della grande industria e della Gdo», ha proseguito.Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini (in foto) ha ribadito il ruolo della Confederazione nella lotta alle agromafie. «Siamo stati i primi a sostenere con forza la legge sul caporalato e continuiamo a denunciare lo sfruttamento in ogni parte del mondo. L’Europa deve adottare il modello italiano di controlli», ha dichiarato. LEGGI TUTTO

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    Ilva torna a battere cassa. In arrivo 5 miliardi di Stato

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    Una nazionalizzazione mascherata si profila all’ex llva di Taranto. Se infatti è ancora in pista il consorzio formato da Baku Steel Company e Azerbaijan Business Development Fund, che a fine marzo si è aggiudicato la corsia preferenziale per l’acquisizione del polo siderurgico, nelle trattative di queste ore con lo Stato sarebbe emerso che saranno risorse pubbliche per 5 miliardi a fare la parte del leone nel «salvataggio e rilancio» dell’azienda: 2 miliardi di prestiti bancari garantiti dalla Sace e 3 miliardi di contributi pubblici. Numeri che secondo quanto ricostruito dal settimanale Moneta in edicola basterebbero a salvare il gruppo nell’immediato, ma non a sostenere il piano di decarbonizzazione e rilancio vero. Nell’immediato, infatti, servirebbero ora quasi 7 miliardi (riducibili a 5 dopo l’indicente all’Afo 1): 1 miliardo per le manutenzioni, 2 miliardi per ripristinare il circolante, 2 miliardi tra capex e opex e 1,8 miliardi per l’acquisto degli impianti (valore questo che è fermo a prima dell’incidente). Altri 5-6 miliardi, da spalmare al 2030-32, occorreranno poi per il piano di decarbonizzazione e trasformazione, ove fosse confermato. E gli azeri, da parte loro, che ruolo avranno in tutto questo? La trattativa in corso fra il capo di gabinetto di via Veneto, Federico Eichberg, e il vice ministro azero all’Economia, Vali Yusif Oghlu Akhundov, punta a sventare una nazionalizzazione tout court, come ha proposto il leader della Cgil Maurizio Landini, ma di fatto non può non essere letta come una «nazionalizzazione mascherata».In particolare, tra le richieste che stanno pervenendo tramite il viceministro azero ci sono contributi per l’energia, investimenti, la cig e aiuti dal Mase per quanto concerne la decarbonizzazione. Sarebbe infatti superato l’impegno azero della proposta iniziale: 1,1 miliardi circa tra cassa e valorizzazione del magazzino. Il che dovrebbe portare, a livello di patti parasociali, a una quota di capitale ridotta per il socio privato.Va dunque in questa direzione «l’adattamento al piano» preannunciato dal ministro delle Imprese Adolfo Urso a seguito dell’incendio che ha interessato l’Altoforno 1 del polo tarantino. Non solo. Sempre secondo indiscrezioni è molto probabile che già nell’incontro programmato oggi a Palazzo Chigi con i sindacati ci siano sorprese anche sul fronte occupazionale, con un aumento dei dipendenti Ilva in Cig (al momento sono 4mila). LEGGI TUTTO

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    Tassa da 2 euro sui pacchi extra-Ue

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    La proposta della Commissione europea di introdurre una tassa fissa di 2 euro su ogni piccolo pacco proveniente da Paesi extra-Ue in particolare dalla Cina rappresenta un passo avanti nella difesa del mercato unico e della concorrenza leale. La misura, che coinvolge colossi dell’e-commerce come Temu e Shein, punta a garantire equità fiscale e tutela dei consumatori. «Stiamo parlando di 2 euro a pacco, pagati dalla piattaforma», ha chiarito il commissario Ue al Commercio Maros Sefcovic, spiegando che il gettito servirà in parte a rafforzare i controlli doganali, il resto andrà al bilancio Ue. Solo nel 2023 sono stati importati circa 4,6 miliardi di pacchi nell’Unione, oltre il 90% dalla Cina. La proposta prevede anche un’imposta ridotta di 50 centesimi per le merci inviate ai magazzini. Si supererebbe così l’esenzione doganale per gli acquisti sotto i 150 euro, spesso sfruttata da operatori extra-Ue per eludere gli standard di sicurezza. LEGGI TUTTO

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    De Meo (Renault): “Serve un Airbus delle city car elettriche. L’Europa deve tornare all’attacco”

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    I punti chiave

    L’industria automobilistica europea è a un punto di svolta. Mentre la Cina accelera sull’elettrico e consolida la propria leadership globale, il Vecchio Continente si confronta con un mercato debole, normative complesse e una transizione ecologica ancora troppo frammentata. Ma per Luca de Meo, amministratore delegato del Gruppo Renault, è proprio in questo momento che l’Europa può e deve rilanciare la propria strategia industriale. “L’occasione credo che sia perfetta per l’Europa per tornare all’attacco”, ha affermato De Meo nel corso di un’audizione alla commissione Attività produttive della Camera, sottolineando la necessità di un’azione coordinata tra istituzioni e industria per non perdere terreno nella corsa globale alla mobilità del futuro.L’idea: un Airbus delle piccole auto elettricheTra le proposte più concrete dell’AD di Renault c’è la creazione di una piattaforma comune europea per produrre piccole auto elettriche, sul modello del consorzio Airbus. Una strategia che punta a rendere nuovamente competitivo un segmento oggi in difficoltà, a causa dei costi crescenti e della complessità regolatoria. “Una sorta di Airbus delle piccole auto elettriche”, la definisce De Meo, precisando che un’iniziativa simile potrebbe essere estesa anche all’elettrificazione dei veicoli commerciali leggeri. Secondo il numero uno di Renault, una collaborazione tra i principali attori del continente consentirebbe di ridurre i costi, aumentare l’efficienza e accelerare l’adozione della mobilità sostenibile.Il momento è oraL’analisi di De Meo è chiara: la partita non è ancora persa, ma va giocata con decisione e visione industriale. “Ci troviamo in un momento critico per l’industria europea, ma credo anche che abbiamo gli strumenti per riprendere il controllo se facciamo le cose giuste”, ha spiegato ai deputati. Tra queste “cose giuste” rientrano una politica energetica più competitiva, il sostegno alla domanda attraverso incentivi stabili e intelligenti, l’adozione di un approccio tecnologicamente neutrale alla riduzione della CO2, e soprattutto una governance industriale che guardi all’intera catena del valore: dalle materie prime al riciclo, passando per ricerca, produzione e infrastrutture. LEGGI TUTTO

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    Una tassa sui pacchi di piccola dimensione, la mossa dell’Ue contro la Cina

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    Nel mirino dei dazi finiscono i pacchetti di piccole dimensioni a basso valore. L’Unione europea sta pensando all’introduzione di una tassa pari a 2euro su tutti i pacchettini che entrano nell’Ue, parliamo di 4,6 miliardi di articoli nel 2024 di cui la maggior parte arriva dalla Cina. A soffrire di più per questa nuova misura sarebbero i grandi rivenditori di prodotti a bassissimo costo, come Shein e Temu. “Stiamo parlando di 2 euro a pacco, pagati dalla piattaforma”, ha detto il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, in audizione alla Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori del Parlamento europeo. Il commissario ricorda “l’enorme ondata di pacchi, 4,6 miliardi di pacchi nell’ultimo anno” che “rappresenta una sfida completamente nuova per il controllo, la sicurezza, la garanzia che gli standard siano adeguatamente verificati, per i prodotti spediti nell’Unione Europea”.All’ultimo Eurogruppo, che si è svolto a metà maggio, i ministri delle Finanze non hanno trovato una intesa in merito e hanno deciso di trasferire il dossier ai negoziati sulla nuova riforma delle dogane. Una discussione che ha preso corpo anche negli Stati Uniti, dove Trump ha prima inasprito poi tagliato i dazi sugli ordini che godevano del de minimis. Per l’Ue i pacchi che hanno un valore inferiore ai 150 euro, e che quindi godono di un regime agevolato di controlli “veloci”, rappresentano un’onda che travolge le dogane aumentando i costi del personale e di gestione. La tassa di 2 euro per ogni pacco di basso valore e una di 0,50 euro per gli articoli inviati ai magazzini, dovrebbe in qualche modo arginare queste spedizioni. LEGGI TUTTO