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    Anche nei mari si raggiungono nuovi record di temperatura

    Ultimamente si stanno registrando nuovi record di temperatura non solo nell’aria vicina al suolo, ma anche negli oceani e nei mari. Il 24 luglio una boa nella Baia dei Lamantini, circa 65 chilometri a sud di Miami, in Florida, ha registrato 38,4 °C, che potrebbe essere la più alta temperatura marina mai rilevata, se la misura sarà confermata. Il record precedente risaliva all’estate del 2020, quando nel Golfo Persico, vicino al Kuwait, erano stati registrati 37,6 °C. E sempre il 24 luglio la temperatura superficiale media del mar Mediterraneo ha raggiunto 28,4 °C: anche in questo caso si tratta di un record, finora la media più alta erano i 28,25 °C dell’agosto del 2003.L’innalzamento delle temperature marine è una parte del riscaldamento globale causato dalle attività umane che si percepisce poco nella vita quotidiana, ma preoccupa da tempo la comunità scientifica che si occupa di clima e quest’anno ha attirato l’attenzione in modo particolare. Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile infatti la media globale della temperatura marina superficiale aveva raggiunto il valore più alto mai registrato (21,05 °C) secondo i dati della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di meteorologia. In particolare si erano registrati valori di temperatura molto alti rispetto alla media nel nord dell’oceano Atlantico. Poi a maggio e a giugno i valori delle temperature medie delle superfici marine sono stati i più alti mai registrati per quei mesi, superando anche di 0,5 °C i record precedenti.Secondo il Climate Change Service di Copernicus, il programma di collaborazione scientifica dell’Unione Europea che si occupa di osservazione della Terra, a causa delle temperature particolarmente alte raggiunte nel nord dell’Atlantico ci troviamo in un «territorio sconosciuto» per quanto riguarda il contesto meteorologico.Secondo le prime valutazioni dei climatologi questi record sono stati dovuti al più generale riscaldamento globale in combinazione con altri fattori che ancora non sono stati definiti con precisione. A giugno Albert Klein Tank, direttore dello Hadley Centre del Met Office, l’ufficio meteorologico nazionale del Regno Unito, aveva ipotizzato che c’entrasse l’indebolimento di alcuni venti che normalmente portano sabbia del deserto del Sahara al di sopra dell’Atlantico settentrionale e ne abbassano le temperature, perché la sabbia riflette la luce solare.Negli ultimi sette anni, ogni anno, le temperature medie degli oceani sono aumentate rispetto al precedente e nel 2022 hanno raggiunto i valori massimi dagli anni Cinquanta, quando si cominciarono a registrare con sistematicità. Il riscaldamento dei mari è un problema per varie ragioni: causa morie di animali e piante marine, contribuisce all’innalzamento del livello del mare (perché maggiore è la temperatura dell’acqua minore è la sua densità, e quindi maggiore il volume che occupa) e favorisce i fenomeni meteorologici estremi come gli uragani negli oceani e i grossi temporali nel bacino del Mediterraneo. Infatti tanto più sono caldi gli strati superficiali dell’acqua, maggiore è l’evaporazione dell’acqua e dunque l’umidità nell’aria che può intensificare le precipitazioni.#ImageOfTheDayThe marine heatwave sweeping across the Mediterranean Sea is hitting record highs, particularly in the central basinAccording to @CMEMS_EU, sea temperature anomalies have spiked to +5.5°C along the coasts of Italy, Greece and North Africa ♨️ pic.twitter.com/NcHpboKP60— 🇪🇺 DG DEFIS #StrongerTogether (@defis_eu) July 27, 2023Finora le temperature marine sono aumentate meno rispetto a quelle atmosferiche: in media di circa 0,9 °C rispetto ai livelli pre-industriali, mentre quella media dell’aria vicina al suolo è aumentata di 1,5 °C rispetto allo stesso periodo, cioè rispetto a prima che i paesi più ricchi cominciassero a diffondere grandi quantità di gas serra nell’atmosfera. Si stima che circa il 90 per cento del calore ceduto all’atmosfera dalle attività umane sia stato assorbito dagli oceani, che però hanno potuto assorbirne molto senza grosse ripercussioni per decenni.L’anomalia di temperatura, cioè la differenza rispetto alla temperatura media della superficie marina nel periodo 1971-2000, per la giornata del 24 luglio 2023 secondo i dati preliminari della NOAA; nell’Atlantico settentrionale e nel Mediterraneo si sono registrate temperature medie di 5 o anche 6 °C superiori alla media storica– Leggi anche: In Italia le grandinate sono aumentate LEGGI TUTTO

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    In Italia le grandinate sono aumentate

    I nubifragi, le trombe d’aria e le grandinate che negli ultimi giorni hanno colpito il Nord Italia, dal Friuli Venezia Giulia alla Lombardia, sono stati dovuti allo spostamento verso sud dell’anticiclone responsabile della precedente ondata di calore: l’incontro tra correnti d’aria fredda provenienti da nord con l’aria calda e umida sopra la Pianura Padana ha causato una serie di temporali molto intensi. È un fenomeno tipico della stagione estiva e che tuttavia secondo studi recenti è diventato più frequente negli ultimi anni, probabilmente per via del cambiamento climatico.«Dal 1999 al 2021 nel bacino del Mediterraneo le grandinate sono aumentate», spiega Sante Laviola, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (ISAC-CNR) ed esperto dell’uso dei satelliti per la meteorologia: «In particolare nell’ultimo decennio sono aumentate del 30 per cento, lo abbiamo misurato grazie ai satelliti». Laviola è uno degli autori di alcuni studi che hanno permesso di capire delle cose in più sulla grandine, un fenomeno meteorologico ancora relativamente poco compreso a causa della storica difficoltà di raccogliere dati al riguardo.Le grandinate possono verificarsi in qualunque punto del pianeta ma avvengono con frequenza molto maggiore in alcune regioni per via della morfologia del loro territorio: c’è più probabilità che si generino dove ci sono alte montagne che influiscono sulla circolazione delle masse d’aria nell’atmosfera. Ad esempio grandina con particolare frequenza nella grande pianura al centro degli Stati Uniti, tra gli Appalachi e le Montagne Rocciose, che è anche detta “Tornado Alley”, “corridoio delle trombe d’aria” (le trombe d’aria sono spesso associate alla grandine). Anche l’Italia, avendo due estese catene montuose, è molto soggetta a grandinate, specialmente nella Pianura Padana e ancora più in particolare in Friuli Venezia Giulia, le cui aree pianeggianti sono quasi completamente circondate dalle montagne.Non è comunque solo la forma del territorio a influire sulla probabilità che avvenga una grandinata, ma anche le condizioni atmosferiche, e per questo ci sono stagioni dell’anno in cui grandina più di frequente. In Italia la stagione delle grandinate è storicamente compresa tra aprile e ottobre, anche se in anni recenti sembra essersi estesa fino a novembre.È più probabile che grandini d’estate perché questo fenomeno si crea all’interno delle cosiddette nubi convettive, che sono dovute alla presenza di masse d’aria calda e umida nell’atmosfera e si possono riconoscere perché si sviluppano molto in verticale. Quando la superficie terrestre è particolarmente calda e lo è per molte ore al giorno, l’aria più vicina a terra sale verso l’alto portandosi dietro l’acqua evaporata dal suolo e dagli specchi d’acqua. Se salendo in quota le masse d’aria calda e umida incontrano aria più fredda, il vapore acqueo condensa, formando una nube: è detta convettiva perché in fisica si definisce “moto convettivo” quel fenomeno per cui un fluido riscaldato si muove verso l’alto, mentre quello più freddo e denso va verso il basso.«All’interno delle nubi convettive», spiega Laviola, «le correnti ascendenti e discendenti sollevano ingenti quantità di masse d’acqua sotto forma di goccioline. Nel percorso verso l’alto si accrescono, si raffreddano fino a superare un livello di temperatura che si chiama “zero termico”, cioè dove c’è il passaggio di stato dal liquido al solido: quindi l’acqua ghiaccia. Ai cristalli d’acqua ghiacciata si avvicinano altre goccioline che ghiacciano attorno al nucleo principale, che è l’embrione del chicco di grandine, e lo rendono più grande: immaginiamo nuclei di ghiaccio che si muovono in un mare di piccole goccioline, salendo e scendendo». A volte succede anche che chicchi diversi si uniscano, creando grandine di grosse dimensioni.Legnano poco fa … pic.twitter.com/m6beddy2DG— Roberto Luraghi (@LuraghiRoberto) July 24, 2023A un certo punto le masse di ghiaccio diventano così grandi che la forza di gravità vince la spinta verso l’alto delle correnti ascensionali e quindi inizia a grandinare.È ciò che è successo negli ultimi giorni nel Nord Italia: l’aria vicina al suolo era molto calda per l’ondata di calore causata dall’anticiclone, una zona di alta pressione in cui l’aria tende a spostarsi dall’alto verso il basso. Quando l’anticiclone si è spostato verso sud, l’aria vicina alla superficie ha cominciato a salire, arrivando poi a formare nubi convettive.Fino a qualche decennio fa la grandine poteva essere studiata con molti limiti perché essendo un fenomeno fugace e molto localizzato, cioè che si verifica per poco tempo, di solito mezz’ora al massimo, su aree circoscritte, c’è poco tempo per rilevarla e non è detto che si abbiano gli strumenti adeguati per studiarla: le dimensioni dei chicchi di grandine infatti si misurano a terra coi grelimetri, pannelli orizzontali con una superficie di circa 20 centimetri per 40 che si deforma all’impatto con i chicchi di grandine. In Italia sono sufficientemente diffusi solo in Friuli Venezia Giulia, una regione storicamente molto interessata dalla grandine.Nell’ultima ventina d’anni però le osservazioni dirette coi grelimetri e coi radar meteorologici hanno potuto essere ampliate grazie ai satelliti dotati di strumenti di radiometria a microonde, che permettono di rilevare la presenza di chicchi di grandine all’interno delle nubi, e di farlo per un ampio territorio contemporaneamente. Dato che non misurano i chicchi caduti a terra, restituiscono la probabilità di una grandinata e delle dimensioni dei suoi chicchi, ma grazie a dei modelli matematici possono comunque fornire dati utili agli scienziati per capire quanto spesso grandina in una regione. Permettono inoltre di studiare anche le grandinate che avvengono in mare.Laviola e i suoi colleghi hanno appunto sviluppato un modo per sfruttare i dati dei satelliti a questo scopo e così hanno scoperto che dal 1999 al 2021 la frequenza delle grandinate nel bacino del Mediterraneo è aumentata. Vale sia per le grandinate con chicchi con diametro compreso tra i 2 e i 10 centimetri, che danneggiano sempre le coltivazioni e anche altre cose progressivamente al crescere delle dimensioni, sia per le cosiddette supergrandinate o grandinate estreme, quelle con chicchi dal diametro superiore ai 10 centimetri, che sono distruttive per qualunque cosa.In una delle recenti grandinate in Friuli è stato peraltro battuto il record europeo per chicco di grandine col diametro maggiore: 19 centimetri.Can confirm 19 cm based on the cloth pic.twitter.com/7OGda2s932— Federico Pavan (@PavanFederico00) July 25, 2023Il gruppo di ricerca di cui fa parte Laviola ha anche cercato di capire se il recente aumento delle grandinate possa essere legato al cambiamento climatico. Il problema è che 22 anni di dati non sarebbero sufficienti per dirlo, dato che «tutto quello che accade a una scala inferiore a cinquant’anni non è climatologia». Per questo i ricercatori hanno indagato sui cinquant’anni precedenti utilizzando altri tipi di dati: non sulla grandine, dato che non ce ne sono, ma su altre variabili atmosferiche che però hanno una forte influenza sulla probabilità di grandinate e su cui invece sono disponibili dati storici europei per il bacino del Mediterraneo a partire dal 1949.Una di queste variabili è la temperatura superficiale del Mediterraneo, che influenza la probabilità di grandinate perché più è alta più evaporazione genera: e questa è in aumento da decenni a causa del cambiamento climatico. Le altre sono un indice che dice quanta energia potenziale c’è nell’atmosfera che può generare moti convettivi, la temperatura media alla quota in cui si genera la convezione e l’altezza dello zero termico, cioè la quota in cui l’acqua liquida diventa ghiaccio: tutte queste variabili sono aumentate dal 1949 a oggi, anche per via del cambiamento climatico. E indirettamente hanno permesso di ricostruire che in questi decenni le condizioni favorevoli alle grandinate sono state sempre più frequenti.«Se gli ultimi settant’anni hanno dimostrato un trend in crescita, è abbastanza inverosimile che la tendenza cambi in futuro», conclude Laviola, «ma per il futuro abbiamo degli scenari, non previsioni. Aumenteranno le grandinate? Probabilmente sì, ma non sicuramente sì». LEGGI TUTTO

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    Il grande caldo nell’emisfero boreale

    Caricamento playerDa alcuni giorni in parte dell’Europa, del Nord Africa, dell’Asia e del Nord America si registrano temperature massime molto al di sopra della media per questo periodo dell’anno. Secondo le previsioni in Europa si potrebbero raggiungere nuovi record, specialmente in Italia dove per Sicilia e Sardegna sono previste massime fino a 48 °C martedì. Negli Stati Uniti la grande ondata di calore sta interessando in particolare il sud e gli stati occidentali, con una massima di 53,9 °C registrata nella Death Valley in California, spesso uno dei posti più caldi del pianeta. In Cina sono stati raggiunti i 52,2 °C secondo le prime rilevazioni provvisorie: se confermate, sarebbe un nuovo record per la temperatura più alta mai registrata nel paese.L’Europa sta affrontando una seconda ondata di calore in appena una settimana, con temperature alte soprattutto in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Il caldo interessa inoltre buona parte del bacino del Mediterraneo ed è causato da un sistema di alta pressione proveniente dal Nord Africa, che ha ridotto la probabilità di precipitazioni e portato a condizioni in parte comparabili con quelle dell’agosto del 2021, quando in alcune zone della Sicilia si erano registrate massime intorno ai 48,8 °C.Nei giorni scorsi il ministero della Salute aveva segnalato un alto livello di rischio a causa del caldo in 16 città. Secondo le previsioni martedì 18 luglio ci sarà un aumento marcato delle temperature massime e minime, probabilmente con nuovi record. A Roma si prevedono massime intorno ai 42-43 °C, al di sopra del record dei 40,5 °C registrato nell’agosto del 2007. Il fronte di aria calda in arrivo da sud-ovest sull’Italia è mostrato in buona parte delle elaborazioni effettuate utilizzando dati satellitari, che rilevano gli spostamenti di masse d’aria a diverse temperature nell’atmosfera.⚠️🔴♨️🇮🇹The arrival of the severe #heatwave over #Italy is visible in the RGB Airmass product by #eumetview.Look at the red area of very warm air slowly extending on the peninsula and the islands in the latest 12hrs(until 14.30UTC) #Caronte #Weather @Giulio_Firenze @climatemon pic.twitter.com/ar00cqHj1R— antonio vecoli 🛰️🇪🇺#️⃣ (@tonyveco) July 16, 2023In Spagna sono previste temperature massime ben al di sopra dei 40 °C in buona parte del centro-sud del paese, zone in cui fa già solitamente molto caldo d’estate, ma anche in questo caso con probabili nuovi record rispetto alle rilevazioni degli anni scorsi.#Predicción de #temperaturas máximas y mínimas para #hoy y sus variaciones (2/2). https://t.co/nkt7p7WaxU pic.twitter.com/0lsHkfuS1Q— AEMET (@AEMET_Esp) July 17, 2023L’ondata di caldo sul Mediterraneo e il Sud Europa è dovuta a un anticiclone, cioè un sistema di alta pressione, che si presenta spesso in estate e che comporta periodi con poche piogge, scarsa nuvolosità e poco vento. A differenza dei fronti di bassa pressione, gli anticicloni si muovono più lentamente e possono interessare per giorni, talvolta settimane, estese porzioni di territorio. La loro permanenza in aree dove solitamente fa già molto caldo, come la zona desertica del Sahara, li rende ancora più stabili e caldi. L’anticiclone attuale secondo le previsioni impiegherà almeno un paio di settimane per dissipare parte della propria energia, sotto forma di calore, prima di lasciare spazio alle piogge.Negli ultimi anni è stata osservata una maggiore permanenza degli anticicloni sull’Europa, così come la loro capacità di spingersi più verso nord rispetto a quanto avveniva alcuni decenni fa. Il cambiamento è ormai evidente, ma ricondurre singoli fenomeni agli effetti del riscaldamento globale è difficile e richiede molte analisi. In generale si è comunque osservato un cambiamento delle correnti atmosferiche, con andamenti compatibili con le ondate di caldo rilevate negli ultimi anni e con i prolungati periodi di siccità.Una analisi sull’ultima ventina di anni in Europa ha segnalato come le ondate di calore siano diventate più intense e frequenti. Lo scorso anno vari paesi europei come Spagna, Francia e Italia avevano superato in più occasioni i 40 °C di temperatura massima giornaliera. Il fenomeno era stato ricondotto da alcuni studi al cambiamento climatico, con avvisi sull’aumentato rischio di avere estati più calde con maggiore frequenza.Nel Nord America un altro sistema di alta pressione sta causando un marcato aumento delle temperature massime, con avvisi e allerte da parte delle autorità negli Stati Uniti e che nel complesso riguardano un’area in cui vivono oltre 100 milioni di persone. A Las Vegas, nel Nevada, le previsioni segnalano che si potrebbero raggiungere i 47,2 °C, segnando un nuovo record per la città. Non molto distante, a Phoenix in Arizona, la temperatura media giornaliera non è scesa sotto i 43 °C per più di due settimane, mentre a El Paso in Texas si è attestata intorno ai 38 °C.Una misurazione con un termometro non ufficiale della temperatura a Furnace Creek nella Death Valley, California, Stati Uniti (David McNew/Getty Images)In Asia la situazione non è migliore, con molti paesi che hanno dovuto affrontare più ondate di calore già a partire dallo scorso aprile. In Cina domenica 16 luglio è stato registrato un nuovo record con una temperatura massima di 52,2 °C nella città di Sanbao, nella regione autonoma dello Xinjiang. Il record precedente era di 50,3 °C ed era stato registrato nel 2015 nella depressione in cui si trova il lago di Ayding, sempre nello Xinjiang. Il territorio cinese è molto ampio e comprende aree climatiche diverse tra loro, di conseguenza sono frequenti forti sbalzi di temperatura in alcune aree. Negli ultimi anni, però, i fenomeni estremi sono diventati più frequenti e con maggiori effetti rispetto a un tempo.China just experienced its highest temperature in recorded history, topping out at an unbelievable 52.2°C (126°F).This crushes the country’s previous all-time high by 1.7°C (3°F). pic.twitter.com/CrmdgGgm7g— Colin McCarthy (@US_Stormwatch) July 16, 2023Parte della Cina sud-orientale si sta intanto preparando all’arrivo del tifone Talim, che porterà forti venti e piogge sulla costa. Alcune zone sono state evacuate e ci si attende che le precipitazioni diventino più intense entro martedì. Anche il Vietnam si sta preparando al passaggio del tifone e ha disposto l’evacuazione di circa 30mila persone nelle aree che si prevede saranno maggiormente interessate. Secondo le autorità locali, il tifone potrebbe essere uno dei più intensi degli ultimi anni per il golfo del Tonchino, nel Mar Cinese Meridionale.Il passaggio del tifone Talim a Hong Kong lunedì 17 luglio 2023 (AP Photo/Louise Delmotte)In Giappone sono stati diffusi avvisi alla popolazione per i rischi dovuti alle alte temperature, con massime intorno ai 40 °C. In Corea del Sud il presidente Yoon Suk-yeol ha detto di voler ripensare le strategie adottate per affrontare le ondate di calore e più in generale gli eventi atmosferici estremi, in particolare dopo le forti alluvioni che hanno interessato il paese negli ultimi giorni. Le piogge intense hanno causato inondazioni e allagamenti nei quali sono morte almeno 40 persone, mentre oltre 100mila hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Nel paese ci sono stati estesi blackout e la risposta delle autorità all’emergenza è stata giudicata carente.È probabile che nel corso di questa estate ci saranno altre ondate di calore, così come è possibile che l’anno in corso si riveli il più caldo mai registrato. Sull’andamento delle temperature potrebbe incidere anche “El Niño”, l’insieme di fenomeni atmosferici che si verifica periodicamente nell’oceano Pacifico e che influenza buona parte del clima del pianeta, contribuendo a un aumento della temperatura media globale.Domenica intanto la temperatura media globale della superficie marina (SST) ha raggiunto i 20,98 °C, con una nuova anomalia record rispetto al periodo di riferimento 1991-2020: 0,64 °C in più.La prima settimana di luglio è stata definita dall’Organizzazione meteorologica mondiale come la più calda mai registrata, sulla base dei dati preliminari finora raccolti, che saranno poi ulteriormente studiati e analizzati. Secondo gli esperti è probabile che da qui a fine agosto si registreranno nuovi record, dovuti sia agli effetti del riscaldamento globale dovuto alle attività umane sia all’influenza di El Niño. LEGGI TUTTO

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    Ci saranno probabilmente altri giorni “più caldi mai registrati” quest’estate

    Caricamento playerMartedì 4 e mercoledì 5 luglio sono stati definiti i giorni più caldi mai registrati, a pari merito. E già lunedì 3 luglio la stima della temperatura media globale aveva superato i record precedenti: gli ultimi giorni insomma sono stati i più caldi sul pianeta dal 1979. I dati del Servizio meteorologico nazionale degli Stati Uniti su cui sono basate le stime sono ancora preliminari, ma poco sorprendenti. Gli esperti avevano previsto che probabilmente nel corso di quest’estate sarebbero stati raggiunti record di questo tipo, e dicono anche che da ora alla fine di agosto ce ne saranno altri.All’effetto del riscaldamento globale dovuto alle attività umane si sono infatti aggiunti due fenomeni naturali che causano un aumento delle temperature: l’estate nell’emisfero boreale e El Niño, quel periodico insieme di condizioni atmosferiche che avviene nell’oceano Pacifico ma influenza il clima di gran parte del pianeta. A giugno ne è cominciato uno nuovo e per quest’anno ci si aspetta un particolare aumento della temperatura media.Tutti i record di questo tipo avvengono quando è estate nell’emisfero boreale, quello in cui si trova anche l’Italia, perché la temperatura superficiale ha variazioni più ampie sulle terre emerse che sugli oceani. Dato che ci sono molte più terre emerse nell’emisfero settentrionale rispetto a quello meridionale, è il primo a influenzare di più le variazioni della temperatura media globale. Le temperature medie più alte si registrano dunque durante l’estate boreale, quelle più basse durante l’inverno boreale.Negli ultimi anni i valori delle temperature medie globali sono cresciuti progressivamente: nell’agosto del 2016 la temperatura media era di 16,92 °C; secondo le prime stime, lunedì di questa settimana era di 17,01 °C mentre martedì e mercoledì di 17,18 °C. Possono sembrare valori relativamente bassi, ma per interpretarli correttamente va ricordato che nell’emisfero australe siamo in inverno e che parliamo di una media.La temperatura media globale giornaliera viene stimata utilizzando modelli computazionali, cioè simulazioni basate su grandi modelli calcolati con i computer, che sono usati per fare previsioni meteorologiche e si basano su tantissimi valori di temperatura misurati in giro per il mondo e da dati ottenuti dai satelliti.Quando riferendosi alla temperatura si dice “mai registrata” si intende tecnicamente dal 1979 ad oggi: in quell’anno le tecnologie satellitari raggiunsero un livello tale da permettere misurazioni accurate. Si può andare però anche molto più indietro nel tempo grazie allo studio della climatologia, che si basa su dati di tipo diverso: per esempio quelli che si possono ottenere dai sedimenti marini, dai prelievi a grande profondità di ghiaccio dei ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartide. Grazie alla climatologia sappiamo per esempio che per trovare un clima globale caldo come quello degli ultimi anni bisogna andare indietro di 120mila anni, al cosiddetto periodo Eemiano.I record degli ultimi giorni sono stati rilevati dal sistema di previsioni meteorologiche della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di meteorologia. È un sistema che permette di produrre stime molto velocemente, già il giorno successivo a quello su cui si vogliono ottenere informazioni. È meno avanzato di altri modelli, come l’“ERA5” del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), ma solitamente quando si tratta di variazioni notevoli delle medie globali, i risultati dei due modelli sono coerenti.Per ora l’ECMWF ha diffuso i propri dati relativi a lunedì 3 luglio e per tale giornata ha confermato il record. Sono diverse solo le stime della temperatura: per Copernicus due giorni fa è stata registrata una media globale di 16,88 °C, mentre il record dell’agosto del 2016 era di 16,80 °C. Le differenze con le stime statunitensi dipendono dai metodi leggermente diversi usati dai modelli computazionali e dai diversi insiemi di dati utilizzati. Sul fatto che siano giorni più caldi del solito sono comunque concordi.📈 According to preliminary data from the #ERA5 dataset, the global average 2m #temperature reached 16.88°C on Monday, breaking the previous record of 16.80°C from August 2016.Get the data 👉 https://t.co/V3rirrGxRD#Climate #ClimateChange pic.twitter.com/gwVEYxfPok— Copernicus ECMWF (@CopernicusECMWF) July 5, 2023– Leggi anche: È molto probabile che supereremo il limite di 1,5 °C entro il 2027 LEGGI TUTTO

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    Il 3 luglio è stato il giorno più caldo mai registrato

    Lunedì 3 luglio è stato il giorno più caldo mai registrato a livello globale, secondo i dati analizzati dai Centri nazionali per la previsione ambientale (NCEP), che fanno parte del Servizio meteorologico nazionale del governo degli Stati Uniti. La temperatura media globale ha raggiunto i 17,01 °C, segnando un nuovo massimo dopo i 16,92 °C che erano stati registrati nell’agosto del 2016. Al nuovo record hanno contribuito le varie ondate di calore che nell’ultimo periodo hanno interessato diverse aree del pianeta.La giornata di lunedì è stata la più calda da quando è iniziato il rilevamento della temperatura media globale utilizzando i dati satellitari, alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo. Le notizie sul giorno più caldo sono arrivate a pochi giorni di distanza dalle prime conferme sul mese di giugno appena finito, che si è rivelato il più caldo mai registrato nel Regno Unito.Le ondate di calore delle ultime settimane sono state attribuite alle condizioni atmosferiche locali in combinazione con l’arrivo del nuovo El Niño, sui cui effetti, soprattutto per quanto riguarda l’Europa, ci sono comunque ancora incertezze. Con “El Niño” si indica l’insieme di fenomeni atmosferici che si verifica periodicamente nell’oceano Pacifico e che influenza il clima in buona parte del pianeta, contribuendo tra le altre cose all’aumento della temperatura media globale. Gli effetti di El Niño sono diventati via via più significativi anche a causa degli effetti del riscaldamento globale dovuto all’aumento delle emissioni di anidride carbonica e altri gas serra, soprattutto per via delle attività umane.Nella parte meridionale degli Stati Uniti da settimane si registrano alte temperature ed eventi atmosferici estremi, mentre in Cina prosegue da giorni una intensa ondata di calore con temperature al di sopra di 35 °C in buona parte del paese. Nel Nord Africa sono state registrate temperature intorno ai 50 °C. In Antartide, dove ora è inverno, sono state rilevate anomalie nelle temperature con massime più alte del solito, che hanno contribuito a una accelerazione nella fusione del ghiaccio. In una delle stazioni di rilevamento antartiche è stata rilevata una temperatura di 8,7 °C, un nuovo record per il mese di luglio.In questa prima fase dell’estate le ondate di calore hanno interessato soprattutto la Spagna, ma sono state rilevate anomalie anche più a nord. Di recente è stato segnalato un aumento della temperatura nei mari attorno al Regno Unito e all’Irlanda, di 3-4 °C in più rispetto alla media registrata negli anni scorsi in questo periodo.È sempre difficile fare previsioni sull’andamento delle temperature nel breve periodo, ma secondo gli esperti è probabile che nel corso delle prossime settimane saranno superati nuovi record, sempre a causa di El Niño e di altri effetti riconducibili al cambiamento climatico. LEGGI TUTTO

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    Non si può ancora dire se il cambiamento climatico abbia avuto un ruolo nelle alluvioni in Romagna

    Caricamento playerUn gruppo di ricerca internazionale ha realizzato un primo studio per verificare se – ed eventualmente in quale misura – il cambiamento climatico dovuto alle attività umane abbia contribuito alle alluvioni di maggio in Romagna, e non ha trovato prove del fatto che abbia reso più probabili o intense le precipitazioni che le hanno causate. Tuttavia saranno necessarie altre ricerche, più approfondite, per dare risposte più chiare e definite sul tema e capire bene le eccezionali dinamiche atmosferiche che hanno portato alle alluvioni. Per questo gli scienziati che hanno partecipato allo studio non escludono ancora che il cambiamento climatico abbia avuto un ruolo.Le uniche analisi scientifiche che si possono fare molto a ridosso di un evento meteorologico estremo sono statistiche. In questo caso la quantità di pioggia responsabile delle alluvioni è stata confrontata con i dati sulle precipitazioni in Emilia-Romagna che partono dagli anni Sessanta. Poi sono state usate 19 diverse simulazioni climatiche computazionali per vedere se la probabilità che cadesse quella stessa quantità di pioggia nell’arco di 21 giorni di primavera sarebbe stata diversa in assenza del cambiamento climatico: nessuna simulazione ha indicato che quelle precipitazioni sarebbero state meno probabili o meno intense. Il limite di questa analisi, e la ragione per cui lo studio non è definitivo, è che non dice nulla sulle ragioni fisiche per cui tre cicloni si sono sono susseguiti in breve tempo e sono stati tanto persistenti, e non spiega se l’aumento della temperatura media globale abbia avuto un ruolo nel loro sviluppo.Lo studio è stato condotto dalla World Weather Attribution (WWA), una collaborazione tra scienziati esperti di clima che lavorano per diversi autorevoli enti di ricerca del mondo, tra cui l’Imperial College di Londra, l’Istituto meteorologico reale dei Paesi Bassi e il Laboratorio delle scienze del clima e dell’ambiente (LSCE) dell’Istituto Pierre Simon Laplace, un importante centro scientifico francese. Fu creata nel 2015 da due climatologi, la tedesca Friederike Otto e l’olandese Geert Jan van Oldenborgh, affinché la comunità scientifica potesse rispondere il più velocemente possibile e nel dettaglio alla domanda “c’entra il cambiamento climatico?” ogni volta che si verifica un evento meteorologico estremo particolarmente disastroso.Allo studio sulle alluvioni in Romagna hanno partecipato 13 scienziati. Hanno preso in considerazione i tre eventi di pioggia abbondante e concentrata nel tempo che sono avvenuti intorno al 2, al 10 e al 16 maggio e che sono stati causati tra tre diversi cicloni formatisi sul mar Tirreno. Il primo ha provocato l’esondazione di alcuni corsi d’acqua e un numero limitato di allagamenti; il secondo non ha causato inondazioni, ma ha contribuito a saturare di acqua il suolo, rendendo così più disastrosi gli effetti del terzo ciclone: a quel punto il terreno non poteva più assorbire le precipitazioni. Questo terzo evento ha causato l’esondazione di 23 corsi d’acqua, l’allagamento di numerosi centri abitati e campi coltivati, più di 400 frane e tutti i gravi danni che ne sono conseguiti.Complessivamente la quantità di pioggia caduta nei primi 21 giorni di maggio è stata la maggiore mai registrata in Emilia-Romagna in tre settimane consecutive tra aprile e giugno. È stato stimato che un evento del genere abbia un tempo di ritorno di 200 anni, un’espressione scientifica che significa che la probabilità che si verifichi in un dato anno è circa dello 0,5 per cento. Da quando abbiamo cominciato a registrare dati sulle precipitazioni questa probabilità non è aumentata, stando al confronto dei dati storici.«Si può dire che quello che è successo apre un campo di ricerca perché la successione degli eventi, i tre cicloni che hanno seguito la siccità, è stata straordinaria», commenta Davide Faranda, fisico del clima e ricercatore dell’LSCE e tra i membri del gruppo di ricerca che ha condotto lo studio del WWA. «È un evento senza precedenti e quindi è anche molto difficile trovare cose che gli somigliano nei dati storici, ma anche nelle simulazioni future o presenti. I metodi per studiare le catene di eventi li stiamo ancora sviluppando». Faranda sottolinea che il confronto sulla precipitazione cumulata, cioè sulla quantità d’acqua piovuta complessivamente nell’intervallo di tempo considerato, è solo un pezzo della storia, perché non dice nulla su come è piovuta.Gli scienziati della WWA hanno anche utilizzato le simulazioni climatiche, cioè dei programmi simili a quelli che si usano per fare le previsioni del tempo che mostrano che tipi di eventi meteorologici si potrebbero verificare in diversi scenari climatici in parti differenti del mondo. Ne esistono tanti diversi e nel caso dello studio sulle alluvioni in Romagna hanno dato lo stesso risultato: con o senza cambiamento climatico la bassissima probabilità che cada così tanta pioggia come successo a maggio non cambia.Tuttavia bisogna considerare che anche questa conclusione ha un limite. Sono state usate simulazioni che hanno una risoluzione spaziale di 12 chilometri, che cioè mostrano rappresentazioni dei fenomeni atmosferici in una superficie di 144 chilometri quadrati, spiega Erika Coppola, fisica del clima e ricercatrice del Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam (ICTP) di Trieste, che ha a sua volta partecipato alla studio: «Non è detto che su questa scala si riescano a vedere gli effetti di un clima più caldo sul territorio». La complessa geografia dell’Emilia-Romagna, stretta tra gli Appennini e il mare Adriatico, dovrebbe essere presa in considerazione su una scala minore per valutare meglio l’effetto della forma del territorio sui venti, ad esempio.All’ICTP possono fare anche simulazioni più sofisticate, con risoluzione di 3 chilometri, ma richiedono molta più potenza di calcolo, più tempo e una maggiore quantità di dati, e per questo hanno costi elevati: finora è stato possibile realizzarne prendendo solo alcuni intervalli di tempo definiti, non ci sono serie continue di dati che invece servirebbero per studiare eventi rari come la sequenza di cicloni che ha interessato la Romagna. «Una ragione in più per dire che bisognerebbe dare finanziamenti più sostanziosi alla ricerca», aggiunge Faranda.Parlando invece del modo in cui il risultato di questo primo studio potrebbe essere interpretato dall’opinione pubblica Faranda dice: «Frequento i social e so che il messaggio dello studio potrebbe essere riportato in modo impreciso. Io voglio dare il messaggio più veritiero possibile, non sono un attivista ambientalista ma uno scienziato, mi interessa dare il messaggio corretto, però non voglio che questo messaggio venga usato dagli scettici del cambiamento climatico per dire cavolate».La climatologia ha mostrato che in generale il riscaldamento globale ha reso e renderà più frequenti le alluvioni, ma questo non vale per tutte le parti del mondo. In altre zone si prevede invece un aumento della frequenza di altri fenomeni meteorologici estremi, come le siccità. Può anche succedere che in certe parti del mondo sia prevista una più alta frequenza di alluvioni in una specifica stagione dell’anno e meno precipitazioni nelle altre: l’Italia ha un territorio morfologicamente complesso e diverso nelle sue parti, per cui le conseguenze del riscaldamento globale potrebbero essere diverse da regione a regione.E potrebbero anche sembrare in controtendenza le une con le altre. «Il Mediterraneo per il ciclo dell’acqua è una zona veramente particolare del globo», spiega Federico Grazzini, meteorologo dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna (Arpae) e ricercatore all’Università di Monaco di Baviera, che ha a sua volta collaborato con la WWA: «In generale c’è una forte diminuzione delle piogge sulla quantità totale annuale, però questa tendenza si manifesta in tutte le stagioni tranne l’autunno: in autunno invece c’è una tendenza all’aumento. In media le piogge diminuiscono, ma quando piove sono più intense, e questo sul suolo ha effetti molto diversi». Grazzini sta lavorando a uno studio sulle precipitazioni sull’Italia centro-settentrionale che mostra che gli eventi di pioggia estremi stanno diminuendo in frequenza, ma aumentando in intensità.Gli scienziati della WWA ricordano sempre che i disastri legati a eventi meteorologici estremi vanno oltre gli eventi meteorologici presi singolarmente: sono sempre dovuti anche alla vulnerabilità della società ai loro effetti. Per questo nel caso delle alluvioni in Romagna hanno sottolineato che l’urbanizzazione e lo sfruttamento del territorio, molto elevato nella regione, aumentano i rischi legati alle piogge intense.La WWA pratica quella branca della climatologia relativamente nuova che è stata chiamata “scienza dell’attribuzione”: indaga i rapporti tra il cambiamento climatico ed eventi meteorologici specifici, una cosa più complicata di quello che si potrebbe pensare. Per poter dare risposte in tempi brevi, cioè prima che il ciclo delle notizie sposti l’attenzione delle persone su altri argomenti d’attualità, gli studi della WWA sono pubblicati prima di essere sottoposti al processo di revisione dei risultati da parte di altri scienziati competenti (peer-review) che nella comunità scientifica garantisce il valore di una ricerca, ma che richiederebbe mesi o anni di attesa. Tuttavia i metodi usati dalla WWA sono stati certificati come scientificamente affidabili proprio da processi di peer-review e i più di 50 studi di attribuzione che ha realizzato finora sono poi stati sottoposti alla stessa verifica e pubblicati su riviste scientifiche senza grosse modifiche.Gli scienziati che collaborano alla WWA lo fanno gratuitamente. LEGGI TUTTO

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    Qual è il legame tra il cambiamento climatico e le alluvioni in Emilia-Romagna

    Caricamento playerLe due alluvioni in Emilia-Romagna avvenute in pochi giorni questo mese sono state eventi meteorologici estremi. In particolare, le piogge che tra il 15 e il 17 maggio hanno causato numerose esondazioni e frane nel territorio compreso tra la provincia di Bologna e le Marche sono state classificate così dall’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (IRPI) del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), sia per la quantità d’acqua precipitata nell’arco di tempo considerato sia per l’ampia estensione geografica del fenomeno.È assodato e noto che il cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra legate alle attività umane è e sarà responsabile di un generale aumento degli eventi meteorologici estremi come alluvioni e siccità in molte parti del mondo, compresa l’Europa e il bacino del Mediterraneo. Il semplice fatto che avvenga un fenomeno meteorologico estremo però non significa di per sé che la causa sia il cambiamento climatico – se ne verificavano anche in passato – e le relazioni tra un singolo evento e l’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera sono complicate da ricostruire anche per i climatologi. Questo non significa che la crisi mondiale del clima non c’entri nulla con le alluvioni di questi giorni, al contrario. E secondo gli scienziati le attività di prevenzione dei danni da alluvione devono tenere ben conto del contesto della crisi climatica.Silvio Gualdi, geofisico e climatologo del Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), uno dei principali enti di ricerca che si occupano del tema in Italia, ha spiegato al Corriere della Sera che tra i fattori che probabilmente hanno influenzato le piogge sull’Emilia-Romagna c’è il riscaldamento globale perché «un’atmosfera più calda contiene una maggiore quantità di vapore acqueo che, quando si verificano queste condizioni meteorologiche, è quindi in grado di produrre molta più pioggia». Si deve anche considerare l’effetto della siccità che riguarda il Nord Italia dalla fine del 2020, «perché un terreno particolarmente secco non riesce ad assorbire le precipitazioni in modo efficace, pertanto la pioggia tende a scorrere sul terreno». E uno studio ha ricondotto tale siccità, che riguarda anche altri paesi europei, al cambiamento climatico: un altro collegamento che poteva sembrare scontato a livello intuitivo, ma che non era così immediato da provare scientificamente.In un’altra intervista al Corriere Massimiliano Pasqui, ricercatore dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e membro dell’Osservatorio Siccità, ha spiegato che «alluvioni e siccità sono eventi complementari che non si annullano. Per mesi i terreni hanno perso umidità ma seccandosi sono rimasti privi della capacità di assorbire l’acqua piovana che, cadendo nelle quantità enormi di queste ore, passa sopra le superfici riarse, spianando la via agli allagamenti».Gli eventi meteorologici sono influenzati da tanti fattori diversi e alcune delle condizioni che hanno portato alle alluvioni attuali sono state presenti anche in passato, prima che il riscaldamento globale fosse ai livelli di oggi. Come ha spiegato sempre al Corriere Paola Mercogliano, un’altra climatologa del CMCC: «Le attuali condizioni estreme sono simili a quelle che portarono all’alluvione del Po nel 1994 e nel 2000. Quindi non possiamo affermare che si tratti di eventi mai visti prima ma sicuramente il cambiamento climatico amplifica la loro frequenza e intensità».Nel 2020 il CMCC ha pubblicato un lungo rapporto intitolato Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia che spiega cosa sappiamo (e cosa no) delle conseguenze del cambiamento climatico in Italia, anche relativamente alle alluvioni. Chiarisce che a differenza delle variazioni di temperatura è più complesso studiare quelle nel regime delle precipitazioni, dato che «si verificano con spiccata eterogeneità spaziale»: dunque non si può fare un discorso generale che valga per tutta l’Italia, un territorio che per la sua conformazione fisica è molto diverso nelle sue parti, ma solo su contesti locali.Servirebbero maggiori studi, ma a grandi linee «gli eventi estremi di precipitazione sembrano essere aumentati in tutta Italia, in accordo quindi ad un’analisi sull’aumento in frequenza di eventi estremi di pioggia estesa a tutto l’emisfero Nord. Accanto a questo andamento ve ne è un secondo, riscontrato grazie all’analisi eseguita su lunghe serie storiche giornaliere, che evidenzia invece una diminuzione della quantità di precipitazione totale sull’anno specie per l’area meridionale».Per quanto riguarda le conseguenze degli eventi estremi, «cresce il rischio idraulico per i bacini di modesta estensione», come quelli dei fiumi romagnoli, perché «in caso di precipitazione intensa esondano prima di bacini più grandi».La meteorologia e la climatologia sono scienze complicate: producono previsioni associate a probabilità perché – dato che riguardano sistemi fisici molto grandi, vari e interdipendenti tra loro (l’atmosfera, gli oceani e i continenti, giusto per fare una prima distinzione grossolana) – si basano su un gran numero di dati diversi. La fisica dell’atmosfera insomma è molto lontana da quella delle sfere ideali che rotolano su piani inclinati a scuola.Per questo non è banale individuare nel dettaglio la relazione tra l’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera e un singolo fenomeno meteorologico come le alluvioni in Emilia-Romagna, e spesso non ha nemmeno tanto senso per il tipo di lavoro che richiede. Ci sono eventi meteorologici che sono più facilmente attribuibili al cambiamento climatico, come le ondate di calore; per altri, come le precipitazioni e le siccità, è più complicato.Negli ultimi vent’anni si è sviluppata una branca della climatologia, la cosiddetta “attribution science”, letteralmente “scienza dell’attribuzione”, che indaga questo ambito, sviluppando i metodi per trovare eventuali collegamenti, ma di solito viene praticata in caso di fenomeni molto vasti, come ad esempio la siccità che da più di un anno riguarda il Nord Italia, la Francia, la Spagna e altri paesi europei.Ma a prescindere da questo gli scienziati che si occupano di meteo, clima e dissesto idrogeologico in Italia sono concordi nel dire che bisognerebbe intervenire sull’adattamento ai cambiamenti climatici, e nello specifico alle precipitazioni intense che causano alluvioni, visto che si sa che sono rese più frequenti dalla crisi climatica e a maggior ragione nelle zone più a rischio. La Romagna è una di queste secondo le valutazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).Mappa dell’Italia colorata in base al valore di un indicatore che mostra la popolazione residente in aree allagabili nello scenario di pericolosità idraulica media, indicata da MPH (ISPRA)Mauro Rossi, ricercatore dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (IRPI) del CNR, ha spiegato nel podcast Start On Air che nel contesto di queste alluvioni bisogna considerare l’effetto di alcune scelte della gestione del territorio e di come si è tenuto conto (o meno) dei rischi legati alle sue caratteristiche specifiche. L’Appennino romagnolo e le zone collinari a nord sono infatti «altamente propense al dissesto» per loro natura.Per Rossi sono stati fatti degli errori sia sui versanti dei rilievi, dove si è disboscato e livellato il suolo in eccesso, favorendo il deflusso d’acqua verso valle, sia in pianura, in prossimità dei fiumi: «La gestione dei fiumi nel tempo ha favorito l’esposizione a certi fenomeni. Molti di questi fiumi sono di tipo pensile: significa che il livello del fiume adesso è sopra il piano campagna. Laddove sono stati costruiti degli argini e cedono, per tutta una serie di motivi, tutta la zona che sta intorno, essendo il livello dell’acqua più alto, si allaga». LEGGI TUTTO

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    Gli ibis a cui era stato insegnato a migrare in Toscana saranno guidati in Andalusia

    Tra i vari progetti per ripopolare l’Europa di specie animali che si erano estinte nel continente ce n’è uno particolarmente affascinante per il metodo con cui da quasi vent’anni viene portato avanti. È quello che riguarda gli ibis eremiti, uccelli molto diffusi fino al Seicento: alla fine dell’estate un gruppo di scienziati vola dall’Austria, dalla Svizzera o dal sud della Germania in direzione della Toscana a bordo di una coppia di velivoli leggeri allo scopo di farsi seguire da uno stormo di giovani ibis e insegnare loro a migrare verso un clima più mite, come facevano i loro antenati.Il progetto sta funzionando piuttosto bene, e oggi c’è una popolazione di circa 200 ibis che in primavera si riproduce a nord delle Alpi e sverna attorno alla laguna di Orbetello, in provincia di Grosseto. Quest’anno tuttavia, per la prima volta dal 2004, non ci sarà una migrazione a guida umana verso l’Italia, bensì verso la Spagna, e la causa è il riscaldamento globale.Nei secoli passati gli ibis eremiti passavano la maggior parte della primavera e dell’estate nell’Europa continentale e i mesi freddi in Africa, più precisamente nelle regioni che oggi fanno parte della Mauritania e del Senegal o dell’Etiopia e dell’Eritrea. Ma vennero cacciati a dismisura, fino all’estinzione, e i pochi superstiti, rimasti in Marocco e in Turchia, smisero di migrare. Negli ultimi decenni gruppi di ibis cresciuti negli zoo sono stati liberati in alcune parti d’Europa, ma perché la popolazione cresca al punto da essere autonoma e prosperare senza l’intervento umano è necessario che torni a migrare, perché d’inverno non ci sarebbe abbastanza cibo per sostenere un gran numero di ibis.Questa è la ragione per cui il gruppo di ricerca Waldrappteam, guidato dal biologo austriaco Johannes Fritz, ha cercato un modo per insegnare agli ibis la migrazione, scegliendo la Toscana come meta per questioni di fattibilità. Dal 2004, quasi ogni anno, il Waldrappteam – Waldrapp è la parola tedesca per “ibis” – ha guidato una ventina di giovani ibis nati in cattività fino a Orbetello. Nel 2011 per la prima volta una ibis tornò in autonomia a nord delle Alpi, facendo il percorso in senso contrario, e quando poi intraprese il viaggio di ritorno in Toscana fu seguita da un gruppo di ibis a cui la migrazione non era stata insegnata dagli umani, ma che avevano comunque l’istinto a volare verso zone più calde.Da allora la migrazione avviene spontaneamente e si è pian piano creata la piccola popolazione migratoria di oggi, composta da uccelli nati in cattività e da altri del tutto selvatici che hanno imparato la via per l’Italia dai loro simili. Tutto sembrava procedere nella giusta direzione per arrivare a una popolazione di 260 ibis, giudicata sufficientemente grande per sopravvivere in autonomia, senza il sostegno umano, se non fosse stato per le temperature eccezionalmente alte registrate in Europa lo scorso ottobre, che fanno parte di una tendenza legata al cambiamento climatico.Nei primi anni della migrazione in autonomia gli ibis iniziavano il viaggio attraverso le Alpi intorno ai primi giorni di ottobre. Da allora però la data di partenza si è via via spostata in avanti, probabilmente per via delle temperature più miti che ci sono state di anno in anno. L’ottobre del 2022 è stato il più caldo dal 1800 nel Nord Italia, anche in Austria, in Svizzera e nel sud della Germania sono stati registrati dei record, e gli ibis hanno cominciato a mettersi in viaggio solo verso la fine del mese. La partenza ritardata però è problematica: dei 60 ibis che passano l’estate nelle tre colonie più settentrionali della popolazione, solo 5 sono riusciti ad arrivare in Toscana da soli.Gli altri 55 hanno provato più volte ad attraversare le Alpi senza successo. «Gli ibis eremiti sfruttano le correnti ascensionali per volare più in alto durante la migrazione», spiega Johannes Fritz, «in particolare quando devono attraversare i passi di montagna. Abbiamo osservato che più avanti nel corso dell’anno hanno difficoltà ad attraversare le Alpi e riteniamo che sia perché all’avvicinarsi dell’inverno vengono a mancare le correnti ascensionali di cui hanno bisogno. Ce lo suggerisce anche la nostra esperienza di piloti».I 55 ibis che l’anno scorso erano rimasti bloccati a nord delle Alpi sono poi stati aiutati dal Waldrappteam, che li ha catturati e trasportati a sud delle montagne. Una volta liberati, hanno subito ripreso il viaggio e hanno raggiunto da soli la Toscana.Non è detto che anche quest’anno gli ibis eremiti si trovino ad affrontare lo stesso problema: anche se è in corso un generale aumento delle temperature, di anno in anno resta una certa variabilità e può darsi che il prossimo ottobre le condizioni meteorologiche facilitino la migrazione. Tuttavia sul lungo termine il cambiamento climatico potrebbe danneggiare il progetto di reintroduzione degli ibis eremiti e per questo il Waldrappteam ha deciso di insegnare una rotta migratoria alternativa agli ibis, che non richiede di superare le Alpi, ma solo i più bassi Pirenei: in Andalusia, nel sud della Spagna, esiste una colonia sedentaria di ibis e la migrazione a guida umana del 2023, che si terrà ad agosto, sarà diretta lì.In rosa la rotta per la migrazione a guida umana del 2023, in lilla quelle delle migrazioni degli ibis che svernano in Toscana (Waldrappteam Conservation & Research)Per il gruppo di ricerca sarà una sfida impegnativa perché il percorso di viaggio sarà nuovo per la componente umana della missione e lungo il triplo di quello verso la Toscana. «Ci sarà poi la complicazione di dover chiedere permessi di vario genere in due nuovi paesi, la Francia e la Spagna, e gli aspetti logistici relativi all’alimentazione degli ibis potrebbero essere difficili», aggiunge Fritz: «Ci preoccupano particolarmente le temperature e la siccità che potremmo incontrare lungo questa rotta migratoria. Ma ci stiamo preparando».Sebbene quest’anno nei cieli italiani non si vedranno i paraplani del Waldrappteam seguiti da un piccolo stormo di ibis, non significa però che il progetto di reintroduzione non riguarderà più l’Italia. Fritz e i suoi collaboratori continueranno a lavorare con i partner italiani, tra cui il Parco Natura Viva di Bussolengo, in provincia di Verona, per contrastare le morti di ibis dovute a errori dei cacciatori o a caccia illegale e per sostenere la popolazione che sverna a Orbetello.Secondo Fritz, anche con le difficoltà causate dal cambiamento climatico l’Italia potrà continuare a essere frequentata dagli ibis. Innanzitutto perché alcuni degli ibis reintrodotti in Austria passano l’estate in Carinzia e da lì non devono attraversare montagne tanto alte da risultare invalicabili a fine ottobre. Poi perché è in programma la creazione di una nuova colonia in Friuli e infine perché gli scienziati sono ottimisti sul fatto che anche tra gli uccelli che si accoppiano più a nord alcuni riusciranno a raggiungere la Toscana anche in futuro.«La nuova rotta migratoria e la creazione di una nuova area di svernamento è un’estensione del progetto che aumenterà la flessibilità ecologica della popolazione di ibis e speriamo che li aiuterà ad affrontare le conseguenze del cambiamento climatico», conclude Fritz: «Speriamo che il nostro progetto faccia da modello nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico per le popolazioni animali».– Leggi anche: Come si insegna a migrare agli uccelli LEGGI TUTTO