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    Gli utili di Nvidia pesano più di Fed e dell’inflazione

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    Nvidia condannata a stupire. Il mercato attende al varco i numeri del colosso dei chip (in arrivo stasera) per capire quanto è alta la brama di intelligenza artificiale. Bank of America ha osservato che, in base al mercato delle opzioni, gli utili di Nvidia rappresentano un rischio maggiore per l’S&P 500 rispetto al report sull’occupazione, a quello sull’inflazione o alla riunione della Fed. Le attese sono molto alte con fatturato in crescita a 33 miliardi di dollari (dai 30 miliardi del trimestre precedente) e profitti per 17,4 miliardi. L’asso nella manica di Nvidia, divenuta questo mese la maggiore società al mondo per valore di mercato, è il segmento Data Center che è più che raddoppiato in un anno e rappresenta quasi il 90% dell’intero fatturato. I giganti tech – da Google a Microsoft passando per Amazon – hanno tutti annunciato maggiori spese in infrastrutture di intelligenza artificiale. Indicazioni tutte a vantaggio delle aziende hardware AI, ossia Nvidia in primis. LEGGI TUTTO

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    Imprese, l’Italia del terzo settore sempre più digitale. Il report di Fondazione Cariplo

    Nella corsa all’informatizzazione, al lavoro che sempre più spesso richiede competenze digitali, l’Italia se la sta cavando molto bene. Soprattutto gli Enti del terzo settore (Ets) presentano un quadro positivo e incoraggiante, con un incremento dell’adozione dell’Intelligenza artificiale e della comunicazione sulle proprie iniziative.Il divario tra grandi e piccole e medie impreseIl gap tutt’ora da superare rimane però tra le grandi realtà e quelle più piccole, soprattutto sulla trasparenza dei dati finanziari. È questo il quadro emerso durante un evento promosso da Goodpoint, Fondazione Cariplo e Rete del dono, che si è tenuto presso la sede di Assolombarda per approfondire il tema del rapporto tra aziende ed Enti del terzo settore, soprattutto per la rapidissima evoluzione della sostenibilità.Lo studioGoodpoint ha presentato i risultati di uno studio inedito, condotto tra maggio e luglio 2024, sull’efficacia della comunicazione degli Ets italiani alle aziende. Questo si basa sull’Ace Index – Attractive corporate engagement, un protocollo innovativo, costruito sulla base delle risposte ricevute da una survey alle aziende rispetto alle informazioni che cercano dal non profit.L’analisi, realizzata attraverso il Centro Studi impresa e sociale avviato da Goodpoint, ha coinvolto un campione rappresentativo di 100 enti del Terzo settore in Italia, suddivisi in quattro fasce di dimensione.I risultatiSecondo i dati emersi, gli Ets italiani sono mediamente molto bravi a raccontare ciò che fanno. Oltre l’80 per cento comunica in modo efficace mission e progetti ma lo sono meno a dare evidenza dei risultati generati. Ci riesce in maniera ottimale solo il 5% che ha capacità di valutazione dell’impatto generato dai progetti.Ci sono quindi ancora margini di migliorabilità e nonostante la maggior parte degli Enti faccia corporate fundraising (l’insieme delle attività che un’organizzazione non profit può realizzare con le imprese per raccogliere fondi a sostegno dei progetti o della propria mission), non riescono a trasferire informazioni chiare alle aziende sulle possibili collaborazioni e, in particolare, sul coinvolgimento dei dipendenti, che è prioritario per le imprese ma sul quale solo il 10 per cento degli Ets racconta case history specifiche.La difficoltà di comunicazioneSebbene abbiano esperienze decennali e competenze fortissime, e siano capaci di produrre forte innovazione sui propri temi, gli Ets tendono a non usare abbastanza evidenze che invece le aziende considerano cruciali: solo il 35 per cento del campione fornisce dati recenti, studi e ricerche sui propri temi focus.È, come detto, la trasparenza finanziaria, l’elemento su cui c’è maggiore differenza tra le grandi e le piccole: mentre gli Ets di grandi dimensioni tendono a comunicare in modo più completo e trasparente le informazioni finanziarie, negli enti più piccoli queste sono quasi totalmente assenti.Va però sottolineato, come mostra lo studio, che l’eccellenza non dipende dalle dimensioni: la top 10 del campione include non solo enti grandi ma anche quattro enti di medie dimensioni e due enti piccoli, dimostrando che l’efficacia comunicativa non è esclusiva delle organizzazioni più grandi.L’obiettivo del lavoroA spiegarlo nel suo intervento, la responsabile della ricerca di Goodpoint, Veronica Strocchia: “Questo studio ha l’obiettivo di aiutare gli Ets ad adottare linguaggi, messaggi e trasparenza che rispondano alle esigenze delle aziende, per favorire un nuovo dialogo tra impresa e sociale che possa massimizzare l’impatto sociale e portare benefici a entrambi”.La maturità digitalePer quanto riguarda la “maturità digitale del Terzo settore”, secondo i risultati dell’osservatorio di Rete del dono, monitorata attraverso il “Digital Check Up”, uno strumento di autovalutazione pensato per aiutare le organizzazioni non profit a ottenere una fotografia del proprio stato di salute digitale, emerge che gli Ets hanno una forte presenza online, con l’89 per cento che dispone di un sito web, usato principalmente per informare sui progetti. Questo rappresenta una solida base su cui sviluppare maggiore trasparenza e governance.In ultimo sul fronte Seo, si evidenziano margini di miglioramento in quanto oltre il 50 per cento degli Ets non sa se il proprio sito sia facilmente rintracciabile sui motori di ricerca, dimostrando poca attenzione alla propria visibilità online. L’adozione degli strumenti di intelligenza artificiale è promettente, con il 25 per cento delle organizzazioni che dichiara di utilizzarli per elaborare contenuti, in linea con i risultati 2023 dell’Osservatorio del Politecnico di Milano.La gestione della communityQuesto è un aspetto molto positivo, con il 78 per cento degli Ets dotato di database contatti, elemento cruciale per una strategia di fundraising efficace. Anche la comunicazione mostra segnali incoraggianti: il 50 per cento degli Ets pianifica regolarmente le proprie azioni e utilizza piattaforme di email marketing per ottimizzare le campagne.Nei social network, la presenza è solida, con Facebook al 95 per cento, seguito da Instagram all’85 per cento, YouTube al 60 per cento e LinkedIn al 53 per cento, suggerendo un interesse strategico per la comunicazione aziendale. Ci sono opportunità per incrementare il coinvolgimento attivo della community, creando interazioni più dinamiche e dialogo diretto. LEGGI TUTTO

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    L’Antitrust abborda l’ammiraglia Msc-Moby. Faro acceso sul balzo del costo dei biglietti

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    L’acquisizione del 49% di Moby da parte di Msc finisce nel mirino dell’Antitrust. Il rischio è che si creino restrizioni alla concorrenza. Il Garante ha così avviato un’istruttoria nei confronti di Shipping Agencies Services (Sas), società del gruppo Msc, di Moby e di Grandi Navi Veloci (Gnv) per verificare l’esistenza di possibili restrizioni della concorrenza a seguito dell’acquisizione del 49% del capitale di Moby da parte di Sas e del successivo ingente finanziamento concesso da quest’ultima a Moby.«I mercati interessati, estremamente concentrati, sono quelli del trasporto marittimo di merci e di passeggeri su alcune rotte tra il continente e le isole maggiori dove sono presenti solo Moby e Gnv o al massimo un terzo operatore», spiega una nota dell’Authory presieduta da Roberto Rustichelli (in foto). Si tratta, aggiunge l’Antitrust, di mercati caratterizzati da significative barriere all’entrata. Il 13 novembre l’Autorità ha effettuato ispezioni nelle sedi di Moby e Grandi Navi Veloci, di Onorato Armatori e Marinvest. Il termine di chiusura della procedura è stato fissato dall’Agcm al 31 marzo del 2026.L’acquisizione del 49% di Moby, i cui traghetti operano nelle rotte dalla Sardegna verso Livorno e Civitavecchia, da parte di Msc risale al settembre dello scorso anno (ma annunciata a marzo 2022) ed è stata seguita pochi mesi dopo da un finanziamento che ha scongiurato il fallimento del gruppo guidato da Vincenzo Onorato che conta oltre 5mila dipendenti. Il gruppo Moby ha offerto piena collaborazione all’Agcom, mettendo a disposizione ogni informazione utile in un’ottica di massima trasparenza. LEGGI TUTTO

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    LMDV Capital punta sul socialARTvertising e investe in Outdoora

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    LMDV Capital, il Family Office di Leonardo Maria Del Vecchio, annuncia oggi un nuovo investimento. Il target è Outdoora, start-up innovativa focalizzata sulla progettazione e lo sviluppo del socialARTvertising. Il socialARTvertising rappresenta una nuova tappa nell’evoluzione della comunicazione: una piattaforma media che fonde la bellezza della urban art e il suo potere rigenerativo con i valori e il ruolo sociale dei brand, sfruttando le illimitate opportunità offerte dalla tecnologia e dai media digitali. Attraverso il socialARTvertising, murales artistico-pubblicitari superano i confini fisici, prendendo nuova vita sulle piattaforme digitali e diffondendo messaggi su scala globale grazie al linguaggio universale dell’arte.Nata a Milano nel 2023, Outdoora si avvale dell’esperienza pluridecennale nel mondo della comunicazione e del digitale dei suoi tre fondatori, Daniele e Davide Guastoni e Filippo De Montis. Un progetto che permette ai brand di creare connessioni autentiche con persone, società e territorio, affrontando le sfide cruciali della comunicazione contemporanea: attenzione, coerenza e responsabilità.“Siamo estremamente felici e orgogliosi di poter lavorare con il team di LMDV per lo sviluppo di Outdoora. Il socialARTvertising rappresenta l’anello di congiunzione tra la comunicazione esterna e il marketing esperienziale, un mercato che solo in Italia vale oltre 4 miliardi di euro e che cresce ogni anno a doppia cifra. Grazie al socialARTvertising, i brand possono interagire con il pubblico in un racconto unico, sostenibile e di grande valore sociale. Con questa partnership puntiamo a rafforzare il nostro ruolo di leader di mercato, con un’offerta sempre più ampia di spazi e servizi, in Italia e all’estero,” ha dichiarato Filippo De Montis, co-fondatore e A.D. di Outdoora.“Questo investimento rappresenta un’altra tappa fondamentale per LMDV Capital, che continua a sostenere idee innovative con il potenziale di rivoluzionare i mercati,” ha affermato Leonardo Maria Del Vecchio, fondatore di LMDV Capital. “Outdoora incarna perfettamente i valori del Made in Italy: creatività, qualità e un forte legame con il territorio. Crediamo fermamente nella capacità delle realtà italiane di innovare e di esportare nel mondo non solo prodotti, ma anche cultura e valori. Il socialARTvertising, con la sua combinazione di arte, tecnologia e sostenibilità, rappresenta un esempio eccellente di come il Made in Italy possa guidare nuove frontiere della comunicazione.”L’investimento di LMDV Capital si configura come un aumento di capitale dedicato, mirato a sostenere lo sviluppo dell’azienda. I fondi raccolti saranno impiegati per nuove assunzioni sul territorio italiano, con l’obiettivo di rafforzare il team e rispondere alle crescenti esigenze del mercato. Questa operazione segna un’importante continuità con la tradizione della famiglia Guastoni, che dal 1956 ha costruito VG Pubblicità, una delle concessionarie pubblicitarie di riferimento in Italia, mantenendo salde le radici aziendali e puntando su una crescita orientata al lungo termine. LEGGI TUTTO

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    “La crescita Usa può trainare le multinazionali europee”. Intervista all’investirore Luca Burei

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    Si dice che ne faccia parte anche Elon Musk, ma le identità dei soci di Tiger 21, gruppo americano che riunisce una attentissima selezione (solo su invito con criteri finanziari e morali di ingresso molto rigidi) di investitori internazionali, sono rigorosamente protette da privacy. Tra i pochissimi membri invitati a farne parte vi è anche un italiano: Luca Burei, investitore nella Borsa americana con il suo family office e nei mercati immobiliari americano, spagnolo e italiano, imprenditore (Ravioli Burei), ha un trascorso di top manager per oltre 20 anni in L’Oreal e un bagaglio di esperienze che lo hanno portato a vivere e lavorare in 3 continenti e 14 paesi.Luca BureiBurei, come è arrivato nel tempio della finanza americana?Dopo i master in economia alla Bocconi e all’Insead, sono entrato in L’Oreal. A 34 anni sono stato il più giovane direttore generale dell’azienda e il primo “straniero” a ricoprire il ruolo di DG della Francia presso la sede centrale, a Parigi. Sono stato poi Presidente e CEO di L’Oreal in America Latina. Ho ampliato poi nel 2015 il mio focus alle imprese, creando una mia un’attività imprenditoriale e di private equity, creando una joint venture per le Americhe con l’azienda di biscotti Colussi e sviluppando il mio marchio di pasta fresca ripiena. Ho poi avviato un’attività di snack biologici in partnership con un grande player internazionale della distribuzione, Dufry.Nel frattempo ha anche avviato un’attività finanziaria in Lussemburgo.Ho sempre coltivato una passione per i mercati azionari, culminata nell’apertura del mio family office in Lussemburgo. Investo nei mercati internazionali, in particolare U.S., spagnolo e europeo/italiano, e nel 2018 ho aggiunto anche il segmento immobiliare. Da investitore sono entrato in connessione con Tiger 21 (acronimo di “The Investment Group for Enhanced Results in the 21st Century”, ndr), un club dove i membri condividono esperienze, si aiutano reciprocamente ed influenzano stakeholders esterni. Ci riuniamo ogni mese e le regole delle riunioni sono che l’ego rimane alla porta, occorre portare idee e fare avanzare i progetti. Un luogo dove si impara molto e si diventa più modesti.Come vede i mercati azionari post elezione di Trump?L’elezione del nuovo presidente ha portato a uno scenario caratterizzato da un effetto positivo nei listini sia del nuovo che del vecchio continente, seguito nei mercati europei da situazioni di volatilità. La crescita dell’economia statunitense può a mio avviso avere un effetto positivo su alcune grandi multinazionali europee esposte agli Stati Uniti, ma l’impatto delle politiche protezionistiche di Trump rappresenta un rischio per la catena di valore globale. Come investitori internazionali stiamo monitorando attentamente la reazione delle economie europee a queste dinamiche. Mentre un dollaro forte tende ad avvantaggiare l’export europeo, le incertezze su possibili nuove barriere commerciali impongono prudenza. Dall’altra parte, l’indebolimento del dollaro (auspicato dal neo presidente) porterebbe ad un miglioramento della bilancia commerciale e favorirebbe flussi di capitale verso gli Stati Uniti. Nel complesso, il panorama rimane misto e richiede una strategia di portafoglio diversificata e flessibile.Perché è più facile essere imprenditori in USA anzichè in Europa?Negli Stati Uniti la finanza per le startup si presenta come un ecosistema vibrante e ricco di opportunità, invece in Europa prevale un modello più tradizionale e bancario. La maggiore diversificazione delle fonti di finanziamento negli USA, che include strumenti come il venture capital e il private equity, permette agli imprenditori di accedere a capitali anche in assenza di garanzie reali, favorendo così lo sviluppo di progetti innovativi e ad alto rischio. Al contrario, la dipendenza dal credito bancario in Europa limita le possibilità di crescita delle startup, in particolare per quelle che operano in settori ad alta intensità tecnologica. Questa disparità tra i due modelli ha un impatto significativo sulla competitività delle imprese europee a livello globale.Il vento favorevole americano per le startup arriverà anche in Europa? LEGGI TUTTO

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    “Sofidel ‘Regina’ da 4 miliardi”

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    Il Gruppo Sofidel controllato dalle famiglie Lazzareschi e Stefani è tra i leader mondiali (sesto nella classifica per dimensioni) nella produzione di carta per uso igienico e domestico. Fondato nel 1966, oggi è presente in 12 Paesi europei e negli Usa (in 11 Stati) con 33 stabilimenti, impiega oltre 8.500 dipendenti, ha una capacità produttiva di 1.850.000 tonnellate l’anno (comprese ST Paper e di CLW Tissue di recente acquisizione) e sotto la guida del ceo Luigi Lazzareschi stima ricavi 2025 di oltre 4 miliardi. Il gruppo opera attraverso quattro linee di business: Consumer Brand e B-Brand, Private Label, Away-From-Home (AFH), Parent Reels (Bobine). Regina è il marchio più noto, presente nella maggior parte dei mercati di riferimento. Altri brand sono Sopalin, Le Trèfle, Hakle, Softis, Nalys, Cosynel, KittenSoft, Lycke, Nicky e Papernet.Dottor Lazzareschi, visti i numeri e il settore in cui operate, non le sembri banale se le chiedo come siete riusciti a mettere insieme questo piccolo grande impero in un tempo relativamente breve se si considera l’inizio dell’espansione?«Siamo senza dubbio una discreta realtà internazionale. La risposta però non ha nulla di travolgente: con tanto lavoro e con tanta passione».Si ritiene più un imprenditore o un manager?«Preferisco sentirmi imprenditore».Da Pracando (Villa Basilica, provincia di Lucca) all’America. Quando inizia la vostra storia?«Nel 1966 con mio padre Giuseppe ed Emi Stefani. Affittarono una piccola cartiera che produceva carta per sacchetti per pane e frutta poi trasformata per fare carta crespata, la prima tipologia di carta per uso igienico e domestico».Ma quando prende forma il processo di espansione internazionale?«Dalla seconda metà degli anni ’90. Il primo investimento fu in Francia ma molto vicino al confine con la Germania».I punti di forza?«L’avere cercato di vedere nel lungo periodo. Inoltre i nostri siti sono stati posizionati in modo da poter ottimizzare la distribuzione dei prodotti in Europa e ora anche in America».Tra i vostri marchi più celebri c’è Regina: i rotoloni che non finiscono.«L’idea nacque nel 1992. Concentrare tanto prodotto in poco spazio si è rivelato utile per noi che produciamo, per il distributore e per il cliente finale».La tv commerciale è ancora fondamentale nella vendita del prodotto?«Sì, ma i budget pubblicitari si sono spostati sempre di più verso il digitale. Su alcuni mercati la nostra percentuale di spesa in ambito digitale è superiore alla tv».Sofidel vanta un modello d’impresa capace di coniugare crescita e rispetto dell’ambiente.«Abbiamo investito per tempo in politiche ambientali perché ci crediamo. Del resto ne siamo ripagati con ritorni importanti».Ad esempio?«Attrazione di talenti, incentivi fiscali, incremento della credibilità e della fiducia, anticipazione delle normative più rigide».Prossimi investimenti?«Gas sintetico, biogas e un progetto in due impianti inglesi dove utilizzeremo l’idrogeno».Asia. Potenziale mercato o temibile concorrente?«Il concetto è molto ampio. La Cina ad esempio è già un mercato molto sviluppato nonché il principale produttore mondiale di carta tissue. Ha un alto potenziale l’India, dove i consumi sono ancora molto bassi ma la mia generazione resterà legata all’Europa e al Nord America».C’è futuro per l’economia europea?«Sì. Anche se molto dello sviluppo dovrà basarsi su transizione energetica e trasformazione digitale».Prevedete un eventuale sbarco in Borsa?«No. Per adesso siamo riusciti a sostenerci con le nostre risorse».E un ingresso nel salotto di Mediobanca?«Siamo un’azienda di provincia». (sorriso ammiccante).Sicché lei conferma che ormai la vera ricchezza industriale dell’Italia sta appunto in tante aziende di provincia.«Sì anche se io non sono mai stato favorevole al detto piccolo e bello. La fortuna italiana si è basata sui distretti industriali oggi un po’ in sofferenza perché le proprietà passano di mano perdendo la loro dimensione territoriale a favore di logiche più globalizzate».Il suo auspicio?«Le piccole aziende diventino grandi».Un consiglio da imprenditore al premier Giorgia Meloni?«Sostenere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane».In che modo la digitalizzazione cambierà il mondo della carta?«La stampa è già stata sostituita dal digitale ma una tipologia di carta che non può essere sostituita è senza dubbio quella per uso igienico e domestico».Il futuro sarà ancora di carta?«Difficile rispondere ma con Regina i sogni non finiscono mai».Crede nella fortuna?«No. Credo nel lavoro. E per il lavoro penso di avere sacrificato una parte importante della mia vita». LEGGI TUTTO