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    Webuild batte l’Argentina in tribunale. Salini ottiene rimborso da 147 milioni

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    Si risolve a favore di Webuild una vicenda durata oltre 27 anni. Un arbitrato internazionale decennale, infatti, ha assegnato al gruppo delle costruzioni guidato da Pietro Salini la somma di 147 milioni di dollari a seguito di una controversia con l’Argentina in merito al progetto per la realizzazione e concessione del collegamento autostradale Rosario-Victoria, che comprende anche un ponte di oltre 600 metri.Il gruppo, come riportato da GAR – Global Arbitration Review, ha visto riconosciuti i propri diritti riguardo al progetto argentino, i cui lavori sono stati completati nel 2004 e la cui concessione è stata rescissa nel 2014, davanti al Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie sugli Investimenti, un organo della Banca Mondiale che risolve le controversie tra Stati e investitori esteri, secondo quanto previsto dai trattati bilaterali di investimento. Nel 1998, infatti, il governo argentino che stava intraprendendo un piano di privatizzazioni per attrarre investitori esteri aveva firmato con Webuild un contratto di concessione di 25 anni. Il progetto, tuttavia, ha dovuto affrontare notevoli difficoltà, coincise in particolare con la crisi economica dell’Argentina, a cui sono seguiti ritardi nei pagamenti, il fallimento di un accordo di finanziamento con la Banca Interamericana di Sviluppo e l’emanazione della Legge di Emergenza nel 2002. La legge aveva sganciato il valore del peso argentino dal dollaro statunitense, convertito in pesos i contratti pubblici originariamente stipulati in dollari e congelato le tariffe dei pedaggi, con un impatto significativo sulla sostenibilità finanziaria della concessione. Fatti, quest’ultimi, davvero pesanti per un’azienda, soprattutto se si considera che nel 2002 l’Argentina registro un’inflazione annua di circa il 41%, secondo i dati ufficiali dell’Instituto Nacional de Estadistica y Censos. LEGGI TUTTO

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    Auto, immatricolazioni in ripresa ad aprile. La quota di Stellantis in flessione al 30,6%

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    Il dato delle immatricolazioni di auto in Italia ad aprile è positivo (+2,7%), anche se sotto di 3,5 punti rispetto a marzo. Ancora giù, invece, le vendite di furgoni: -9,2%. È comunque grazie al noleggio a lungo (+25,8%) e a breve termine (+12,8%), insieme alle aziende che acquistano privatamente, che il mercato resta sopra la linea di galleggiamento. Il canale dei privati segna, invece, una flessione del 4,9%. Tutti numeri che portano Dataforce a prevedere, per quest’anno, vendite per 1,605 milioni di auto, in crescita del 2,3% sul 2024. Più pessimista, invece, il Centro studi Promotor che stima un volume di immatricolazioni di 1,485 milioni. «Un livello decisamente infimo – commenta il presidente Gian Primo Quagliano- rispetto alla situazione ante-crisi e che non consente la regolare sostituzione delle auto di un parco circolante che, nel 2023, aveva toccato quota 40.915.229 unità».Secondo Quagliano, «il miracolo di un circolante che cresce, mentre le vendite restano su livelli infimi, si spiega con il fatto che gli italiani, per continuare a usare l’auto, mantengono in esercizio un numero notevole di vetture usate che in tempi normali sarebbero state già rottamate. In aprile sono state acquistate 475.733 auto usate (+6,5%), quasi 2 milioni (+5,2%) nel quadrimestre». Resta sempre impietoso il raffronto con il 2019 pre-Covid e crisi varie: -20,5% sull’aprile di quell’anno. Salgono le auto elettriche (+108%), ma la quota resta sempre bassa (4,8% ad aprile). Bene, sottolinea Dataforce, le full hybrid e le plug-in: +33%. Quasi invariate le benzina (-0,88%) e male l’opzione con motori Diesel (-18%).Tra i gruppi, Stellantis rimane stabile (-0,1%), ma quota in calo al 30,6% in aprile. Positivi questi marchi: Peugeot +48,2%, Jeep +30,1%, Opel +4,4%%, Alfa Romeo +42,3%, Ds +229,1%; sempre male Lancia (-77,4%) e Maserati (-18,4%), mentre Fiat (-19,7%) attende l’«effetto Grande Panda» e Citroën segna -19,5%.Continua l’avanzata cinese sul nostro mercato: Saic con Mg fa +50,6% per una quota nel mese del 3,9%, Byd consolida l’1,2% di penetrazione, mentre Omoda si avvicina all’1%. Giù Dr, che importa veicoli dalla Cina e li omologa per l’Europa con i suoi marchi. Il calo del 18,6% sarebbe da inquadrare nel momento di espansione dell’azienda guidata da Massimo Di Risio nel Vecchio continente. LEGGI TUTTO

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    “Musk fatto fuori”, “Falso”. Il giallo del nuovo Ceo di Tesla

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    Tesla alla ricerca di un nuovo Ceo per sostituire il fondatore Elon Musk. Anzi no. È un vero e proprio giallo quello che chiama in causa la casa automobilistica specializzata in elettriche. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il consiglio di amministrazione della società avrebbe iniziato a cercare un nuovo amministratore delegato “contattando diverse società” specializzate nel fornire consulenza sulla ricerca, con l’obiettivo di avviare un processo formale all’interno dell’azienda. Musk verrebbe cacciato per il crollo delle azioni e degli utili di Tesla, ma non sarebbero mancate le critiche per i troppi impegni con il suo lavoro di capo del Dipartimento per l’Efficienza Pubblica (DOGE), che pure sembra volgere al termine. Ma non è tardata ad arrivare la smentita.”Questo è assolutamente falso (e questo è stato comunicato al giornale prima della pubblicazione della notizia). L’amministratore delegato di Tesla è Elon Musk e il consiglio di amministrazione ha grande fiducia nella sua capacità di continuare a portare avanti l’entusiasmante piano di crescita che ci attende” quanto scritto su X il presidente di Tesla Robyn Denholm. Il miliardario sudafricano non è rimasto in silenzio. Musk ha infatti denunciato l'”estrema violazione dell’etica” da parte del Wall Street Journal, reo di aver pubblicato “un articolo deliberatamente falso, che non include una smentita inequivocabile da parte del consiglio di amministrazione di Tesla!”. LEGGI TUTTO

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    Stellantis a fari spenti ricavi giù, stime sospese

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    Primo trimestre difficile per Stellantis come per i big tedeschi Volkswagen e Mercedes. Nel caso di Stellantis il calo dei ricavi del 14%, a 35,8 miliardi, è dovuto «ai minori volumi di veicoli consegnati(1,217 milioni, -9%), al mix geografico sfavorevole e alla normalizzazione dei prezzi». Stellantis ha anche deciso di sospendere la guidance per il 2025 a causa delle incertezze legate ai dazi, alla loro evoluzione e alla «difficoltà di prevederne i possibili impatti sui volumi di mercato e sul panorama competitivo».L’alleggerimento dei dazi sul settore, annunciato dal presidente americano Donald Trump, non risulterebbe infatti sufficiente a rassicurare le aziende che ora puntano tutto sulla prudenza. Il commento del presidente e Ceo ad interim John Elkann: «Apprezziamo le misure di allentamento sui dazi decise dalla Casa Bianca e, mentre valutiamo ulteriormente l’impatto delle politiche tariffarie sulle nostre attività Usa, ci auguriamo di continuare a collaborare con l’amministrazione americana per rafforzare la competitività dell’industria automobilistica locale e stimolare le esportazioni».Guardando ai tedeschi, per Volkswagen il calo trimestrale dell’utile netto (2,19 miliardi) è del 41% a causa delle minori vendite di modelli di lusso, dei maggiori costi fissi e di «effetti eccezionali». A pesare è soprattutto la sempre maggiore concorrenza in Cina, mercato principale per i tedeschi. La redditività del gruppo, inoltre, è scesa al 3,7%, dal 6,8% dell’anno precedente. Questo calo ha già portato all’annuncio, durante l’inverno, di 35mila tagli di posti di lavoro in Germania e allo stop produttivo in due impianti, azione mai avvenuta nella storia di Volkswagen.Crollo dell’utile netto (1,73 miliardi) anche per Mercedes: -43 percento. La stessa Mercedes starebbe trattando con i rappresentanti del governo Usa per espandere la produzione Oltreoceano. LEGGI TUTTO

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    Milleri: “Apprezzo Nagel. L’Ops? Aspetto tutti i dati”

    Francesco Milleri, ceo di EssilorLuxottica.

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    «L’Ops di Mediobanca su Banca Generali? È difficile esprimere un giudizio, mancano dettagli concreti». Ha risposto così Francesco Milleri, presidente di Delfin e EssilorLuxottica, a margine dell’assemblea del colosso dell’occhialeria che si è tenuta ieri a Parigi. «Come Delfin siamo coinvolti in entrambe le parti, Mediobanca e Generali, con un investimento più o meno simile. Gradiremmo che questo tipo di operazioni non avessero né un vinto né un vincitore», ha spiegato Milleri. La cassaforte della famiglia Del Vecchio è azionista sia di Mediobanca (con il 19,8%) che di Generali (con il 9,9%). Secondo il manager, l’operazione dovrebbe rafforzare entrambe le società.«Dalla parte di Generali ha aggiunto non ho sentito alcun tipo di indicazione, né su come reagisce il board e non ho ancora parlato con l’ad Philippe Donnet. Quando capiremo dal board della compagnia se approva questo deal e se ci dirà cosa vuol fare con queste azioni, potremo esprimere un giudizio informato». Dal punto di vista della visione industriale, per Milleri quella di Mediobanca è la più facile da capire: «Nagel alcune cose le già fatte, sta cambiando la forma della banca- Forse è stato un po’ spinto, ma questo compito spetta agli azionisti finanziari che vogliono migliorare la performance delle società. Lui sta cercando di cambiare il ruolo di Mediobanca, c’è da apprezzarlo. Poi se questa operazione è giusta, lo vedremo quando avremo i dettagli».Quanto alla prossima assemblea di Piazzetta Cuccia del 16 giugno, Delfin non ha ancora preso una decisione. Infine, a proposito della partecipazione del 2,7% in Unicredit, Milleri ha detto che si stanno facendo valutazioni: «Noi, anche se in forma particolare, siamo gestori e non siamo azionisti. Quindi abbiamo un approccio da buon padre di famiglia. In tre anni il portafoglio di Delfin ha generato una plusvalenza infinita e quindi la prudenza dice che a un certo punto dovremo vendere e non rimpiangere», ha proseguito. LEGGI TUTTO

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    Sala lascia il Tesoro ed entra a Nexi dopo la battaglia coi francesi in StM

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    Cambio ai vertici del Dipartimento dell’Economia del Tesoro. Marcello Sala ha rassegnato le dimissioni contestualmente alla sua nomina a presidente di Nexi. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha indicato come suo successore l’avvocato Francesco Soro, manager pubblico con una lunga esperienza istituzionale. A Sala vanno «i ringraziamenti e la gratitudine per il lavoro svolto finora e gli affettuosi auguri per il futuro incarico», ha reso noto il ministero dell’Economia.Sala, direttore generale con delega alle partecipate, ieri ha assunto la presidenza di Nexi senza poteri esecutivi, soluzione che consente di rispettare il divieto di pantouflage, ovvero l’inibizione dagli incarichi in società già sotto vigilanza pubblica. La sua nomina, sostenuta da Cdp e dai fondi azionisti di Nexi, arriva dopo la bocciatura del suo ingresso nel board di StM da parte del cds a trazione francese. Sala era stato individuato come nome ad hoc per tutelare le prerogative italiane in un gruppo dove lo Stato francese sta interferendo a gamba tesa nella gestione industriale.Ieri, infatti, StM ha confermato che taglierà circa mille posti di lavoro in Francia con dimissioni su base volontaria da attuarsi entro il 2027 nei due siti di Tours e Crolles. Le uscite attese sono pari al 9% dell’organico nel Paese e a oltre un terzo dei 2.800 licenziamenti previsti dal piano di taglio dei costi. In Italia, invece, è ancora in corso il confronto con i sindacati al tavolo aperto al Mimit. La fuga in avanti dell’azienda potrebbe avere ripercussioni negative sulla trattativa in corso nel nostro Paese. StM, infatti, conta circa 11.500 dipendenti in Francia e 12.700 in Italia. LEGGI TUTTO