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    Deliveroo entra nell’orbita Doordash

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    Il colosso americano Doordash conquista Deliveroo e si dota di una base per espandere le sue attività di consegne nel Vecchio Continente, verso cui aveva già fatto un primo passo nel 2021 con l’acquisizione della piattaforma finlandese Wolt. Il cda di Deliveroo ha accettato la proposta formulata dagli americani raccomandandola ai propri azionisti che, se aderiranno, riceveranno 180 pence ad azione, con un premio del 29% sui corsi di Borsa, e vedranno valorizzata Deliveroo 2,9 miliardi di sterline (circa 3,4 miliardi di euro). LEGGI TUTTO

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    Messina: “Intesa resta fuori dal caos”

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    «L’amministratore delegato deve concentrarsi sulla gestione dell’organizzazione e non sulla partecipazione teorica a qualcosa che è già molto caotico; non c’è bisogno che un altro attore contribuisca a creare ulteriore confusione nel mercato». Carlo Messina, da poco riconfermato per il suo quinto mandato al timone di Intesa Sanpaolo, ieri ha lanciato un messaggio chiaro durante la conferenza telefonica con gli analisti sui conti del trimestre. Rispondendo a una domanda sulla possibilità per la banca di acquisire quote di minoranza, il banchiere ha parlato di una grande confusione sul mercato e «nessuno ha bisogno di un ulteriore player che entri e ne crei altra» quindi «questo conferma la mia opinione, che è molto molto meglio rimanere focalizzati su portare risultati per gli azionisti». Quindi la banca «sta realizzando importanti sinergie senza bisogno di fare acquisizioni ed evitando i rischi collegati».Alla «confusione» del risiko, insomma, Intesa Sanpaolo risponde con i risultati: un utile netto del primo trimestre oltre le attese a 2,6 miliardi (+13,6%) che salirà oltre 9 miliardi a fine anno. E poi 1,8 miliardi di dividendi maturati nei tre mesi che si aggiungono al saldo 2024 di 3 miliardi e al buyback da 2 miliardi. «Abbiamo uno dei dividend yield più elevati del settore bancario europeo e questo ci permette di restituire almeno 8,2 miliardi, considerando il dividendo di maggio, il buyback di giugno e l’acconto previsto a novembre. Ulteriori distribuzioni di capitale verranno quantificate alla fine dell’anno», ha spiegato Messina. Aggiungendo che ulteriori distribuzioni di capitale saranno quantificate a fine esercizio. Tornando alla trimestrale, il gruppo ha compensato il calo del margine di interesse con le commissioni, salite del 7 per cento. Il risultato dell’attività assicurativa ammonta a 462 milioni, rispetto ai 424 milioni del quarto trimestre 2024 e ai 455 milioni del primo trimestre 2024. Il risultato della gestione operativa è pari a 4,2 miliardi, in crescita del 36,6% rispetto al quarto trimestre 2024.Sul fronte del supporto all’economia reale, nel primo trimestre del 2025 Intesa ha erogato 15 miliardi di nuovo credito a famiglie e imprese in Italia, e 21 miliardi complessivamente a livello di gruppo. Circa 640 aziende italiane sono state riportate in bonis da posizioni di credito deteriorato nel primo trimestre 2025 e circa 145mila dal 2014, preservando rispettivamente circa 3.200 e 722mila posti di lavoro. I vertici della banca si attendono un Pil in crescita dello 0,7% nel 2025 e dell’1% nel 2026. «Le aziende italiane stanno riprendendo a fare investimenti. E questo lo vediamo anche dal fatto che gli impieghi stanno crescendo», ha spiegato Messina. «Secondo me ci sarà un rimbalzo nella seconda parte dell’anno, con una chiara ripresa degli impieghi per le imprese. Per le famiglie vediamo che i mutui stanno andando bene. Sul fronte delle commissioni siamo molto positivi. Sul fronte del wealth management e protection ci aspettiamo una crescita a doppia cifra delle commissioni». LEGGI TUTTO

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    Generali, oggi il consiglio per avviare il dossier Ops

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    Si preannuncia tutt’altro che formale la riunione odierna del consiglio d’amministrazione di Generali. All’ordine del giorno non solo la formazione dei comitati endoconsiliari, necessari per il funzionamento del board, ma anche l’apertura del dossier più spinoso del momento: l’Offerta pubblica di scambio lanciata da Mediobanca su Banca Generali, asset chiave del risparmio gestito controllato al 50,2% proprio dal Leone di Trieste.Per uno strano (fino a un certo punto) gioco del destino oggi l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, sarà a Roma per illustrare al capo di gabinetto della premier Giorgia Meloni, Gaetano Caputi, per illustrare l’operazione che dovrebbe portare alla creazione di un campione italiano del wealth management. Ecco perché la riunione del board di Generali è ancor più delicata, trattandosi di un’operazione dove intrecci azionari e potenziali conflitti d’interesse abbondano. A proporre l’offerta, infatti, è Mediobanca (attualmente sotto Ops del Monte Paschi), primo azionista Generali con il 13,1%. L’eventuale acquisizione sarebbe pagata con i titoli del Leone in portafoglio. Una mossa che vedrebbe la compagnia incassare azioni proprie da custodire per almeno un anno senza possibilità di dismissione. Il paradosso è evidente: Generali si troverebbe a cedere un asset strategico ricevendo in cambio pezzi di se stessa, per altro sottoposti a vincolo.Ma c’è di più. A dover valutare l’operazione è un cda composto, per dieci membri su tredici, da consiglieri eletti nella lista presentata proprio da Mediobanca. Inclusi lo stesso Sironi e l’amministratore delegato Philippe Donnet. In un simile contesto, il comitato per le parti correlate assume un ruolo cruciale come unico presidio di indipendenza. Sarà probabilmente guidato da Fabrizio Palermo, consigliere espresso dalla lista di minoranza Caltagirone, ex ad di Cdp e ora alla guida di Acea.Spetterà a questo organismo che dovrà essere composto da membri realmente indipendenti stabilire un percorso rigoroso per disinnescare i numerosi conflitti di interesse. Primo atto, la nomina di advisor legali e finanziari privi di legami pregressi con le due controparti. Il comitato avrà un proprio budget e sarà coinvolto in ogni fase dell’analisi, comprese eventuali interlocuzioni tra management e Mediobanca. LEGGI TUTTO

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    Hai una di queste borse in casa? Potrebbe valere migliaia di euro

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    Il mercato del vintage è un settore da tempo molto solido e in continua ascesa, con un numero di appassionati che cresce di anno in anno: più aumentano i collezionisti e più ci sono persone disposte a investire cifre importanti per accaparrarsi i pezzi di maggior pregio e interesse, e in questo non fa eccezione il commercio di borse da donna storiche.Uno degli esemplari più amati è senza dubbio la “Jackie O”, modello firmato Gucci e reso celebre da Jacqueline Kennedy Onassis, tanto da diventare uno dei suoi elementi distintivi: tra gli anni ’60 e ’70 questa borsetta spopolò, entrando di diritto nella storia della moda. Così tanto che negli anni ’90 fu riportata in auge dalla maison fiorentina sotto la direzione dello stilista Tom Ford.Possedere la riedizione del celebre accessorio significa avere in casa un oggetto che può tranquillamente essere rivenduto a 1.500 euro online. Nel caso in cui si fosse dei fortunati possessori di un modello originale di Jackie O, specie quelli in pelle o tela monogram, può voler dire avere un tesoretto del valore di 4mila euro, con oscillazioni di prezzo che variano a seconda della rarità.Quando si parla di borsette vintage non può non venire in mente la Chanel 2.55, una delle più iconiche in assoluto: disegnata da Coco Chanel in persona nel febbraio 1955, fu allora un modello innovativo rispetto alle diffusissime pochette perché dotato di una catenella che consentiva di portarla a tracolla. Con le sue tipiche CC dorate, la borsetta matelassé, la classica impuntura a rombi, è un pezzo tuttora in produzione e ambito dalle donne, ma avere un originale in buone condizioni significa poterlo rivendere almeno a 4mila euro.Altro pezzo iconico è di certo la Birkin di Hermès: dedicata all’attrice Hjane Birkin, questo modello fu creato negli anni ’80. Realizzata a mano, è una borsetta a produzione limitata tuttora molto apprezzata, e le versioni in pelle classica, in ottime condizioni e accompagnate da certificato di autenticità, possono far schizzare il valore di un esemplare fino a 20mila euro. LEGGI TUTTO

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    L’allarme di Elkann e De Meo: “Modificare la strategia Ue per le auto”

    Meglio tardi che mai. Certe affermazioni, però, avrebbero dovuto essere fatte tempo fa e, soprattutto, a mo’ di tormentone nei confronti della Commissione Ue. Il quotidiano francese Le Figaro pubblica, infatti un’intervista congiunta al presidente e Ceo ad interim di Stellantis, John Elkann, e al numero uno di Groupe Renault, l’italiano ed ex Fiat, Luca De Meo. L’allarme che entrambi lanciano è rivolto alla Commissione Ue, rea di aver adottato regole per le quali «le auto sono diventate sempre più pesanti, sempre più costose, sempre più complesse e che la gente, per la maggior parte, semplicemente non se le può permettere», sottolinea di De Meo. Peccato che le Case automobilistiche, tranne qualche rara eccezione, nel momento in cui hanno subito l’ideologia green del «tutto elettrico», a partire dal 2035, si siano colpevolmente dimenticate del mercato, cioè dei consumatori, gli stessi che ora De Meo pone tardivamente in primo piano.Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, da parte sua tarda a fare chiarezza sul Piano d’azione, ovvero sulla revisione delle linee guida del Green Deal automotive che dovrebbe virare, come si auspica, nel riconoscimento della neutralità tecnologica. Dovrebbe, però, visto che dagli uffici della presidente affermano che Ursula non ha intenzione di fare passi indietro sulle regole approvate nella scorsa legislatura, muovendosi così nella direzione opposta rispetto a quanto reclamano i vertici dello stesso Ppe di cui fa parte, cioè Manfred Weber e il nostro Antonio Tajani. La confusione in atto non fa altro che rendere lo scenario sempre più complesso a danno di lavoratori del settore e componentisti.«Quello di cui abbiamo bisogno è un obiettivo: rapidità decisionale e certezze. Non chiediamo aiuti, solo che ci lascino lavorare, innovare e portare alla gente veicoli più puliti, ma anche accessibili, che desiderano e di cui hanno bisogno», aggiunge Elkann nell’intervista a Le Figaro.E De Meo: «Il mercato automobilistico europeo è in calo ormai da cinque anni, e l’unico dei grandi mercati mondiali che non ha ritrovato il suo livello pre-Covid. Al ritmo attuale, potrebbe più che dimezzarsi nell’arco di un decennio». Quindi, rincara la dose, considerando «un disastro il livello delle vendite: c’è in gioco una questione strategica, anche per gli Stati per i quali il settore rappresenta 400 miliardi di euro di entrate fiscali l’anno in Europa».Ecco, allora, profilarsi un asse franco-italiano tra Stellantis e Renault (porterà a qualcosa di più concreto? A un matrimonio come più volte ipotizzato, ma puntualmente smentito?). L’intervista a due organizzata da Le Figaro mirerebbe, secondo fonti parigine, ad aumentare la pressione nei confronti della Commissione. «Stellantis e Groupe Renault, che insieme pesano il 30% del mercato, vogliono produrre e vendere auto popolari in Europa e per l’Europa», rimarca De Meo. Altra precisazione comunque tardiva dopo che nel Vecchio continente il segmento della compatte è stato accantonato, in quanto meno remunerativo per i costruttori, accendendo così il semaforo verde ai rivali cinesi.«In proposito, Francia, Italia e Spagna sono i Paesi più interessati: le loro popolazioni sono gli acquirenti di queste auto i cui prezzi sono aumentati, e ne sono anche i produttori. E insieme pesano più della Germania in termini di produzione. È importante che questi Paesi facciano della promozione della loro industria la loro priorità», spiega Elkann. Peccato, però, che la produzione in Italia sia tornata ai livelli del 1957 e che ci siano marchi gloriosi, come Maserati e Lancia, in stato comatoso.Ancora il presidente di Stellantis: «L’Ue si è concentrata, nella sua legittima ambizione ambientale, sul solo tema delle auto nuove e sul solo obiettivo dei veicoli a zero emissioni. Ma ciò che è importante per il nostro ambiente è sostituire i 250 milioni di auto in circolazione che sono inquinanti e la cui età media non smette di aumentare: è di 12 anni in Europa (dato che viene ribadito da tempo e che continua a restare invariato, ndr) e arriva fino a 17 anni in Grecia. La decarbonizzazione può davvero accelerare rinnovando il parco auto con tecnologie varie, innovative e competitive, rivitalizzando così la domanda. Non crediate che siamo nostalgici del XX secolo. Siamo industriali del XXI secolo, capaci di offrire al maggior numero di persone una gamma di prodotti completa: dal tutto elettrico, all’ibrido, e al termico di nuova generazione».Ma perché lo stesso Elkann, ai primi segnali di rigetto da parte del mercato del progressivo rafforzamento della visione elettrica, non ha chiamato a rapporto Tavares per dirgli che la strategia in atto cominciava a rivelarsi perdente?De Meo, da parte sua, come presidente della stessa Acea, ha sempre cercato di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, criticando le linee guida Ue ma senza l’incisività necessaria, per poi esaltare gli investimenti del comparto sul «tutto elettrico».Le conclusioni del capo di Groupe Renault: «Occorre essere chiari, il mercato non compra quello che l’Europa vuole che noi vendiamo. Sostituire la totalità dei volumi attuali con l’elettrico, in queste condizioni, non ci riusciremo». Complimenti per avere aperto gli occhi davanti alla realtà dei fatti. LEGGI TUTTO

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    Al via lo Starting Finance Investment Meeting 2025: a Roma l’evento che insegna ai giovani il valore della consapevolezza finanziaria

    Un evento dinamico, partecipativo e giovanile, pensato per formare e ispirare le nuove generazioni sull’importanza dell’educazione finanziaria. È questo l’ambizioso ma concreto obiettivo dello Starting Finance Investment Meeting 2025 (SFIM), in programma il 9 maggio dalle ore 8.30 alle 19.00 al Palazzo dei Congressi dell’Eur a Roma. Organizzato da Starting Finance – l’azienda italiana che si occupa di formazione e informazione economico-finanziaria, con la più grande community di under 35 in Italia interessati al settore – lo SFIM di Roma si propone un obiettivo ambizioso ma sempre più urgente: promuovere cultura e consapevolezza economicofinanziaria, così come trasformare il concetto di benessere finanziario in una priorità culturale per le nuove generazioni, così come lo sono oggi il benessere fisico e quello psicologico.«Siamo accanto a Starting Finance da anni perché questo progetto ha un’anima vera: non è solo formazione, ma anche sfida. Vogliamo contribuire a preparare i giovani a entrare nei grandi cantieri dell’innovazione finanziaria», ha commentato invece Stefano Achermann, CEO di Be Shaping the Future, intervenuto ieri alla Camera dei Deputati alla conferenza stampa di presentazione dell’evento. Non solo. Come ha sottolineato infatti l’On. Andrea Tremaglia, «viviamo in una realtà di interconnessione economica globale e con un debito pubblico italiano elevato. È dunque fondamentale che i cittadini, specie i più giovani, siano in grado di comprendere e gestire responsabilmente le proprie finanze».Un concetto, questo, ribadito anche da Gianluigi Guida, CEO di Binance Italy: «L’educazione finanziaria è la base per prendere decisioni consapevoli. I giovani oggi devono poter leggere dati, capire scenari, investire responsabilmente. Questo evento è fondamentale perché apre due strade: da una parte permette e noi l’accesso a una community giovane che guarda al futuro, dall’altra offre ai giovani la possibilità concreta di crescere e lavorare in un settore in continua trasformazione».Un palco con i protagonisti dell’economia italianaIl cuore dell’evento sarà il main stage, sul quale si alterneranno oltre 40 protagonisti del mondo finanziario italiano e internazionale tra cui: Carlo Cottarelli (Direttore del Programma di Educazione per le Scienze Economiche e Sociali dell’Università Cattolica), Benedetto Vigna (AD di Ferrari), Matteo Del Fante (AD di Poste Italiane), Daniele Caprini (Head of Group Planning and Control di Enel), Gianluca Corti (CoCEO di Wind Tre), Stefano Achermann (CEO di Be Shaping the Future), Andrea Busi (AD di Directa SIM), Gianluigi Guida (CEO di Binance Italy), Francesco Gattei (Chief Transition & Financial Officer e Direttore Generale di Eni), Pasqualino Monti (AD di Enav) e molti altri.Agli interventi si affiancheranno anche momenti di confronto diretto tra i giovani e i leader aziendali: un’occasione unica per un laureando o neolaureato di interloquire con i vertici delle più importanti aziende italiane in un dialogo che vuole essere un vero ponte intergenerazionale tra chi guida oggi l’economia italiana e chi la guiderà domani. «Lo SFIM non è solo un evento frontale – ha spiegato Marco Scioli, founder di Starting Finance –, ma un’esperienza immersiva che unisce contenuti ad alto valore, networking, simulazioni di investimento e momenti di intrattenimento. È nato come un piccolo format e oggi ospita migliaia di partecipanti: la domanda cresce, come cresce la necessità di portare la finanza nella vita reale dei giovani».Un ecosistema per apprendere, sperimentare e ispirarsiLo SFIM 2025 non è solo speech e interviste. È pensato come una vera e propria cittadella della cultura economico-finanziaria: attorno al main stage si svilupperanno infatti gli stand degli sponsor, dove i partecipanti potranno mettersi alla prova con quiz, live trading, talent program, academy digitali, laboratori di abilità finanziaria e attività pensate per apprendere anche divertendosi.Tra le iniziative più attese: «Oggi più che mai fare business significa avere un impatto sociale – ha sottolineato Andrea Busi, AD di Directa SIM – e l’educazione finanziaria è lo strumento chiave per dare ai giovani la possibilità di costruire il proprio futuro con consapevolezza». «Lo SFIM è molto più di un evento per giovani – ha commentato invece Leonardo Donato, editore di Fortune Italia -. È un laboratorio sul linguaggio e sui valori dell’economia di domani. Non vogliamo parlare solo di denaro, ma di etica e impatto. I giovani che saliranno sul palco o ascolteranno in platea sono i manager del futuro: dobbiamo capire cosa li guida, cosa li ispira». LEGGI TUTTO

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    Evasometro 2.0, come funziona e a chi è rivolto: il piano del Fisco

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    I punti chiave

    Il sistema fiscale italiano si prepara a un salto di qualità nel contrasto all’evasione, con l’introduzione di strumenti digitali potenziati capaci di incrociare dati finanziari e patrimoniali, anche oltreconfine. L’obiettivo è colpire in modo selettivo quei contribuenti che, pur disponendo di ingenti risorse, accumulano debiti con l’Erario superiori ai 50 mila euro, sottraendo capitali al circuito produttivo nazionale.L’evasometroL’Agenzia delle Entrate, in sinergia con la Guardia di Finanza, sta rilanciando l’utilizzo dell’“evasometro” in una versione tecnologicamente avanzata, più efficace nell’individuare soggetti ad alto rischio fiscale. Il nuovo sistema, presentato in Senato dal Generale Luigi Vinciguerra, responsabile del terzo Reparto operazioni della Guardia di Finanza, mira a contrastare con maggior forza l’evasione strategica, quella che si muove tra debiti fiscali e patrimoni nascosti.L’integrazione tra banche datiAlla base del rafforzamento c’è l’integrazione tra banche dati nazionali e internazionali, resa possibile anche dagli strumenti di scambio automatico di informazioni previsti dal Common Reporting Standard(CRS). L’incrocio tra i dati forniti dagli intermediari finanziari, le segnalazioni sospette e l’archivio dei rapporti bancari permetterà di profilare i contribuenti secondo un indicatore di rischio, attivando controlli selettivi e mirati.Il sistemaIl sistema, attivo dal 2019, viene ora reso più preciso grazie all’automatizzazione delle analisi e all’aggiornamento continuo dei dati. La Guardia di Finanza ha infatti richiesto che le informazioni finanziarie vengano aggiornate su base mensile, per garantire un monitoraggio costante dei movimenti e delle anomalie.Il quadroSecondo dati disponibili, circa 3,45 milioni di conti correnti intestati a italiani risultano aperti presso banche estere, con una giacenza complessiva che sfiora i 200 miliardi di dollari. Se una parte di questi capitali è regolarmente dichiarata, non manca una fetta consistente nascosta in giurisdizioni opache come le Cayman o le Isole Vergini Britanniche. Fondi che, rimanendo fuori dal perimetro bancario italiano, riducono la capacità del sistema di finanziare imprese e famiglie. LEGGI TUTTO