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    Nextalia e i Berlusconi nella formazione digital

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    Nuovo investimento di Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi (in foto). La holding H14 che fa capo ai tre figli di secondo letto di Silvio Berlusconi è entrata in Nextalia a seguito di un aumento di capitale riservato, andando così ad aggiungersi al gruppo già folto di investitori – tra cui Intesa Sanpaolo, UnipolSai, Fondazione Enpam, Confindustria e Bonifiche Ferraresi – che affiancano Francesco Canzonieri, fondatore della sgr che investe nelle eccellenze italiane per accelerarne la crescita sostenibile. H14, fondata nel 2022 e che lo scorso anno ha riportato un utile di 16,5 milioni di euro, distribuendo 4 milioni di dividendi, ha al suo attivo già importanti investimenti in realtà innovative quali tour operator online We Road e la startup tedesca Qualifyze. LEGGI TUTTO

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    Rai Way, riparte il risiko delle torri. Si va verso le nozze con Ei Towers

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    Delle possibili nozze tra Rai Way ed Ei Towers se ne parla da anni, questa volta però c’è ben di più delle semplici parole e potrebbe veramente arrivare l’aggregazione delle due società delle torri televisive. Secondo quanto riporta una nota ufficiale, il fondo infrastrutturale F2i (che controlla il 60% di Ei Towers), insieme al gruppo Mfe-MediaForEurope (l’ex Mediaset con il 40% sempre di Ei Towers) e Rai (che controlla circa il 65% di Rai Way) ieri hanno sottoscritto un memorandum non vincolante per l’avvio, anche con il coinvolgimento di Rai Way e della stessa Ei Towers, di «approfondimenti preliminari sugli aspetti industriali di una eventuale aggregazione» tra le due società delle torri per la trasmissione del segnale televisivo.Il memorandum prevede un periodo di esclusiva fino al 30 settembre 2025 e precisa i capisaldi della potenziale operazione: tra questi sono indicati il «mantenimento della quotazione della combinazione tra le due società nonchè la realizzazione della potenziale operazione con modalità che consentano di beneficiare dell’esenzione dall’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto, secondo quanto previsto dalla normativa rilevante in materia e una road map per la definizione dei termini della potenziale operazione entro la scadenza dell’esclusiva».La potenziale aggregazione – sottolinea sempre il comunicato – resta soggetta, tra l’altro, allo svolgimento delle attività di due diligence, alla negoziazione e sottoscrizione di accordi vincolanti e all’approvazione da parte degli organi deliberativi delle parti coinvolte, nonchè all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni regolamentari. LEGGI TUTTO

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    Tim, nuovo crollo su notizie positive

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    C’è un male oscuro che zavorra il titolo di Tim. Anche ieri, in una giornata seguita all’ennesima buona notizia come l’offerta vincolante da 700 milioni di euro per Sparkle, le azioni dell’ex monopolista sono state trascinate sul fondo del listino in Piazza Affari (-7,8% a 0,251 euro). Sgravata della parte più significativa del suo debito, con i ricavi stabilizzati nel settore della telefonia mobile e in crescita nei servizi alle imprese e nelle attività in Brasile, la prospettiva di un ritorno al dividendo è ormai pressochè certa. Eppure il titolo della società guidata dall’ad Pietro Labriola fatica a imboccare stabilmente la strada verso un giusto riconoscimento. Anche quando ha un guizzo come dopo le voci sulla trattativa tra il fondo britannico Cvc e Vivendi per rilevare il 23,7% delle quote in mano ai francesi, il corso azionario corregge nei giorni successivi anche se i colloqui non sono stati smentiti, il che vale come una conferma.A che si devono dunque le ondate di vendite che ogni volta vengono rovesciate sul titolo? Una prima risposta è che Tim rimane uno dei titoli italiani più venduti allo scoperto, un’attività di per sé legittima, ma quando questa forma di speculazione porta il titolo azionario a divergere così tanto dai fondamentali e dalle mosse vincenti dell’attuale management, vale domandarsi perchè mai la Consob non abbia ancora acceso i suoi fari per cercare di capire che cosa sta accadendo sul titolo. Resta peraltro sullo sfondo l’indiscrezione che vede Cvc Capital Partners in manovra con l’obiettivo di acquistare la partecipazione di Vivendi, per poi proseguire nella strategia che prevede il lancio di un’Offerta pubblica d’acquisto per ottenere il controllo totale di Tim e procedere probabilmente al delisting dalla Borsa Italiana. Una mossa che avrebbe ben più di una ragione, dal momento che mantenere il titolo quotato significa assistere quotidianamente allo stillicidio di vendite fuori da ogni logica economica, se non quella essenzialmente speculativa, che schiaccia il titolo su valori lontani dal suo potenziale reale. Prova ne è che una banca d’affari autorevole come Barclays appena dieci giorni fa aggiornava il suo rating su Tim da «neutral» a «buy», con un prezzo obiettivo rivisto al rialzo a 0,38 euro per azione. Allargando lo sguardo al prezzo obiettivo medio, come indicato dal sito Market Screener, si scopre che gli analisti convergano tutti su un minimo di 0,32 euro (c’è chi si spinge fino a 0,42 euro), vale a dire quasi il 30% più alto del valore di chiusura di ieri. Possibile che si sbaglino tutti? Certo Cvc ha capito che il valore degli asset di Tim è ben diverso, da qui l’idea di cassare dal listino il titolo Tim e magari procedere a uno spezzatino per valorizzare le varie componenti singolarmente, un’attività che dovrebbe offrire ritorni interessanti. È chiaro, tuttavia, che essendo le telco un settore strategico e soggetto al golden power, un’operazione di questo tenore potrebbe avvenire solo con il benestare del governo, al quale dovrebbero essere garantiti quanto meno i livelli occupazionali e il presidio sulle attività d’interesse nazionale. Ammesso e non concesso che ciò avvenga, solo in seguito sarebbe possibile pensare più in grande e dare concretezza ad alcune voci circolate nei mesi scorsi negli ambienti finanziari: vale a dire la riduzione del numero degli operatori infrastrutturati sul mercato italiano da 4 a 3, procedendo con una fusione delle attività di Iliad e Tim. LEGGI TUTTO

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    Bpm e sindacati siglano l’accordo

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    È arrivata la tanto attesa fumata bianca tra Banco Bpm e sindacati sul piano di ricambio generazionale. L’intesa, firmata da tutte le sigle sindacali (Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin), prevede 1.600 uscite complessive a fronte di oltre 1.000 assunzioni. L’accordo, arrivato dopo l’appello all’unità fatto dal segretario generale della Fabi Lando Maria Sileoni, prevede 1.100 prepensionamenti con adesione su base volontaria, al fondo di solidarietà, che si aggiungono ai 500 realizzati senza accordo sindacale. L’istituto guidato da Giuseppe Castagna (in foto) si è impegnato per 800 nuove assunzioni con ricorso prioritario al contratto di apprendistato e ulteriori 100 risorse con contratto a tempo determinato che si vanno ad aggiungere alle 113 assunzioni già effettuate nel corso di quest’anno. Nell’ambito dell’accordo è stata sottoscritta un’intesa per un premio aziendale che prevede il pagamento cash di 1.600 euro (che sale a 2.100 euro per chi opterà per l’opzione in servizi welfare). Istituito anche un nuovo strumento di conciliazione dei tempi vitalavoro attraverso la conversione del premio welfare in giornate di permesso aggiuntive fino a massimi 5 giorni. «Le intese raggiunte costituiscono un segno tangibile della volontà di Banco Bpm di ricercare sempre le migliori soluzioni per le persone e offrire il necessario supporto per affrontare le sfide che attendono il gruppo in accordo con tutte le organizzazioni sindacali», ha sottolineato Roberto Speziotto, responsabile delle Risorse Umane dell’istituto di Piazza Meda. LEGGI TUTTO

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    Calcoli, requisti e novità: così si può andare in pensione a 64 anni

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    La recente manovra di bilancio introduce importanti novità per chi desidera andare in pensione anticipata a 64 anni. Con un approccio bilanciato, il governo ha approvato un emendamento che facilita l’uscita dal mondo del lavoro per alcuni, ma con requisiti più stringenti per altri.Chi può accedere?Il provvedimento riguarda i lavoratori che hanno iniziato a versare contributi dal 1996 e che sono iscritti a forme di previdenza complementare. Per questi, a partire dal 2025, sarà possibile sommare la pensione obbligatoria con la rendita maturata attraverso il fondo pensione per raggiungere la soglia minima richiesta per il pensionamento anticipato.Ad esempio, un lavoratore con una pensione Inps di 1.300 euro e una rendita integrativa di 350 euro potrà accedere alla pensione anticipata, raggiungendo la soglia di 1.650 euro mensili.Nuovi requisiti contributivi e soglie minimeTuttavia, il quadro si complica con l’introduzione di due misure restrittive:Gli anni di contributi richiesti saliranno gradualmente da 20 a 25 nel 2025, fino a raggiungere 30 anni nel 2030.La soglia d’importo necessaria passerà da 3 a 3,2 volte l’assegno sociale (circa 1.708 euro mensili) dal 2030.Questi nuovi criteri si applicheranno anche a coloro che non utilizzano la rendita integrativa, ampliando l’impatto della norma.E per chi non ha una previdenza complementare?I lavoratori che non dispongono di un fondo pensione potranno continuare ad andare in pensione a 64 anni con le regole attuali, senza subire aumenti degli anni di contribuzione richiesti o delle soglie di importo.Una misura di equilibrioL’emendamento tenta di bilanciare esigenze opposte: da un lato, rendere più flessibile l’accesso al pensionamento anticipato; dall’altro, garantire la sostenibilità del sistema previdenziale italiano, messo a dura prova dall’invecchiamento della popolazione.Prospettive future LEGGI TUTTO

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    Cassa Depositi e Prestiti, 81 miliardi per un’Italia più competitiva, coesa e sostenibile

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    La Cassa Depositi e Prestiti (CDP) ha annunciato oggi l’approvazione del nuovo Piano Strategico 2025-2027. L’obiettivo è ambizioso: impegnare 81 miliardi di euro in tre anni per stimolare investimenti complessivi di 170 miliardi, rafforzando la competitività del sistema italiano, la coesione sociale e territoriale, la sicurezza economica e promuovendo una transizione energetica equa.Quattro priorità per il futuroIl piano si fonda su quattro assi strategiciCompetitività: Supportare imprese, infrastrutture e Pubblica Amministrazione per favorire innovazione e crescita.Coesione sociale e territoriale: Interventi mirati per sostenere le aree meno avvantaggiate del Paese.Sicurezza economica: Ridurre le dipendenze dall’estero sviluppando tecnologie e filiere nazionali.Just Transition: Accelerare la transizione energetica con interventi inclusivi che non lascino indietro nessuno.Le iniziative di CDP si articoleranno lungo cinque ambiti principali:Business. Con 70 miliardi di euro, CDP finanzierà infrastrutture, Pubblica Amministrazione e imprese, anche attraverso la sua società Simest. Tra gli obiettivi figurano il supporto a settori strategici come idrico e transizione energetica e la promozione di partenariati pubblico-privati.Advisory. CDP amplierà il supporto tecnico alla Pubblica Amministrazione per migliorare l’efficacia della spesa pubblica, favorendo la realizzazione di progetti di qualità e l’accesso ai fondi europei.Equity. Previsto un programma di 4 miliardi per sostenere imprese innovative e favorire la crescita del private equity e del venture capital, con un focus su intelligenza artificiale e innovazione tecnologica.Real Asset. Un miliardo sarà dedicato alla rigenerazione urbana e al sostegno al settore turistico, con l’introduzione del nuovo “Service Housing” per lavoratori dei servizi pubblici e privati essenziali.Internazionale. Con un focus sull’Africa, CDP rafforzerà la cooperazione internazionale aprendo nuove sedi e intensificando i rapporti con le istituzioni europee e le banche multilaterali.Un modello operativo rinnovato. Per aumentare l’efficacia territoriale, CDP trasformerà sei sedi in hub macroregionali (Milano, Verona, Bologna, Napoli, Roma, Palermo), migliorando il dialogo con gli stakeholder locali. Inoltre, la diversificazione delle fonti di raccolta includerà nuovi strumenti ESG e digitali, come il primo Digital Bond su blockchain. LEGGI TUTTO

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    Smart working, assenze e periodo di prova: ecco le principali novità del DDL lavoro

    Avv. Alessandra Maniglio, Head of Employment & Benefit Deloitte Legal

    Avv. Alessandra Maniglio, Head of Employment & Benefit Deloitte LegalLo scorso 10 dicembre, dopo due mesi dall’approvazione alla Camera dei Deputati, è stato approvato dal Senato senza emendamenti il cosiddetto DDL Lavoro, quindi senza modifiche sostanziali alla norma già approvata. Ecco, quindi, una carrellata su alcune delle novità.Una norma molto attesa con un utile effetto chiarificatore è quella che riguarda il periodo di prova nei contratti a tempo determinato e prevede finalmente una disciplina chiara, introducendo un criterio univoco di periodo di prova “legale”: 1 giorno effettivo di prova ogni 15 giorni di calendario per i contratti a termine. Questo periodo di prova non potrà in ogni caso essere inferiore a 2 giorni, non potrà eccedere i 15 giorni nei contratti fino a sei mesi e 30 giorni tra 6 mesi e 12 mesi. Il concetto di proporzionalità del periodo di prova rispetto alla durata del rapporto di lavoro era già stato introdotto con il cosiddetto “Decreto Trasparenza” dell’agosto 2022. Ferma l’importante tutela per i lavoratori e gli utili spunti per superare problemi interpretativi applicativi il concetto di proporzionalità, restano purtroppo alcuni dubbi interpretativi circa la portata del richiamo alle condizioni più favorevoli eventualmente contenute nei contratti collettivi; si tratta ovviamente solo di previsioni più favorevoli per i lavoratori e probabilmente le previsioni più favorevoli dovrebbero essere quelle di parti di prova più brevi? Su questo non vi è certezza e quindi non si potrà che attendere le prime prassi interpretative e le decisioni giudiziali.Anche le novità in tema di smart working sono state confermate: ogni datore di lavoro ha una serie di oneri di comunicazione telematica al Ministero legati alla formalizzazione di un accordo di lavoro agile con i propri dipendenti. Entro 5 giorni dall’avvio della prestazione dovrà indicare la data di inizio e di cessazione, ma dovrà comunicare, sempre in via telematica, anche ogni evento modificativo della durata, nonché la cessazione del periodo di lavoro agile, entro i cinque giorni successivi alla data in cui si verifica l’evento modificativo. Per semplificare la gestione di tutti questi oneri di comunicazione e durante la modalità agile, sarà preferibile stipulare accordi a tempo indeterminato con facoltà di recesso, limitando così l’onere di comunicazione ulteriore al solo caso di effettiva cessazione del lavoro agile.È stata confermata in toto la disciplina dell’assenza ingiustificata equiparata alle dimissioni diretta ad evitare comportamenti opportunistici dei lavoratori che a volte utilizzano l’assenza ingiustificata per ottenere il licenziamento e quindi l’accesso alla Naspi. La nuova norma prevede che, nel caso in cui lavoratore che non si presenti al lavoro senza giustificarsi per un periodo eccedente il termine previsto dal contratto collettivo (nel caso in cui il CCNL non preveda un termine, il periodo di assenza rilevante sarà quello eccedente 15 giorni), il datore di lavoro debba comunicare all’ITL territorialmente competente l’assenza. In tale eventualità, ferma la possibilità per l’ITL di verificare la veridicità della comunicazione, il rapporto di lavoro è considerato cessato per dimissioni. Il lavoratore avrà però la facoltà di dimostrare di non avere potuto giustificare l’assenza per una causa di forza maggiore o per un fatto imputabile al datore. La norma non fornisce dettagli operativi e non sembra lasciare al datore di lavoro la facoltà di attivare un procedimento disciplinare per assenza ingiustificata. L’unico dato che sembra essere certo è che, dopo l’entrata in vigore del Decreto, in caso di assenza ingiustificata prolungata i datori di lavoro si troveranno nella concreta difficoltà di sapere come gestire correttamente tale evento. Non è chiaro se la procedura presso l’ITL sia obbligatoria o se il datore di lavoro possa comunque attivare un procedimento disciplinare per assenza ingiustificata. Non è nemmeno chiaro con che tempi il lavoratore assente ingiustificato potrà eccepire la sua impossibilità di giustificare l’assenza. La norma ha quindi sicuramente un obiettivo condivisibile, ma rischia, purtroppo, di avere un impatto critico nell’operatività aziendale generando dubbi e incertezze. LEGGI TUTTO

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    Bonus mamme disoccupate: aumenta l’assegno dei Comuni. Ecco a chi spetta

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    I punti chiave

    È cresciuto del 5,4%, quest’anno, il cosiddetto Bonus mamme disoccupate, con un contributo massimo mensile di 404,17 euro (per un totale di 2.020,85 euro distribuiti in cinque rate). Dal 2025 è previsto un ulteriore adeguamento dello 0,8%, che farà salire l’importo complessivo a 2.037 euro, suddivisi in rate mensili da 407,4 euro. Pensato per le mamme a basso reddito, questo sostegno economico, fondamentale per molte famiglie, può essere richiesto entro sei mesi dalla nascita del bambino o dall’ingresso in famiglia di un minore adottato o in affidamento preadottivo. Ma vediamo più nel dettaglio in cosa consiste, chi può beneficiarne e come richiederlo.Cos’èNoto ufficialmente come assegno di maternità comunale, il Bonus mamme disoccupate è una misura prevista dall’articolo 74 della legge n. 151 del 2001. Si tratta di un contributo economico erogato dall’Inps su richiesta del Comune di residenza, rivolto a chi si trova in una situazione di difficoltà economica. Questo assegno, spesso chiamato anche assegno di maternità di base, è rivolto alle mamme che non hanno copertura previdenziale oppure che ne hanno una limitata a un importo stabilito annualmente.Come funzionaL’assegno di maternità comunale si rivolge principalmente alle neo-mamme disoccupate o con redditi molto bassi. Tuttavia, è bene sottolineare che non è necessario essere ufficialmente prive di lavoro per fare domanda: ciò che conta è rispettare i requisiti economici stabiliti. Come detto, la gestione di questa prestazione avviene a livello comunale, ma i fondi sono erogati dall’Inps. Il bonus si distingue dall’assegno di maternità statale, che viene concesso alle mamme con lavori atipici o discontinui, purché abbiano versato almeno tre mesi di contributi nei 18 mesi precedenti la nascita o l’ingresso in famiglia del minore.Quali requisitiL’assegno comunale di maternità è riservato a specifiche categorie di persone. Ecco chi può richiederlo: cittadine italiane, comunitarie o straniere con regolare permesso di soggiorno; mamme che rispettano un determinato limite di reddito, per il 2024 l’indicatore Isee non deve superare i 20.221,13 euro per ottenere l’importo completo; donne che non beneficiano già di altre forme di assegno di maternità, come quello statale. Un aspetto interessante è che, nel caso in cui la mamma abbia diritto a entrambe le prestazioni (comunale e statale), può essere erogata una quota differenziale, che copre la differenza tra i due importi. Inoltre, è fondamentale che non si abbia copertura previdenziale, o che se ne abbia una limitata a un importo definito annualmente. LEGGI TUTTO