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    Pirelli: “Sinochem non ha il controllo”

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    Il cda di Pirelli ieri ha certificato la fine del controllo di Sinochem. È il primo passo per adeguarsi alle regole statunitensi e riconquistare piena operatività nel principale mercato per la Bicocca. Accelerare sulla governance è fondamentale per evitare che la presenza cinese le impedisca l’accesso per il divieto all’import di software cinesi o russi dal 2027.La decisione è arrivata a maggioranza con nove consiglieri favorevoli. Il voto ha evidenziato una spaccatura interna. Su quindici membri otto rappresentano gli interessi cinesi, quattro sono espressione di Camfin (la holding del vicepresidente esecutivo Marco Tronchetti Provera che ha il 26,4%) e tre dei fondi. Determinanti sono stati proprio questi ultimi che, insieme a due consiglieri indipendenti in quota cinese, hanno sostenuto la posizione della perdita del controllo, mentre la consigliera cinese Tang Grace si è astenuta.La relazione finanziaria, su proposta dell’ad Andrea Casaluci, specifica che «a seguito dell’emanazione del dpcm Golden Power è venuto meno il controllo di Mpi Italy (veicolo di Sinochem) e dunque dello stesso gruppo cinese, ai sensi dei principi contabili Ifrs 10. Il decreto, infatti, stabilisce che si debba garantire l’assenza di collegamenti organizzativi-funzionali tra Pirelli e Sinochem in quanto la prima è depositaria del brevetto Cyber Tyre per gli pneumatici intelligenti che assume rilevanza strategica nazionale. Circostanza confermata dal processo sanzionatorio da parte di Palazzo Chigi per la compresenza di manager cinesi nel cda della Bicocca. Secondo l’Ifrs 10, il controllo richiede potere decisionale sulle attività rilevanti, «esposizione ai rendimenti variabili» (l’incasso dei dividendi) e la capacità di influenzarli (nomina del cda). Venuto meno questo equilibrio anche a causa delle limitazioni del dpcm Sinochem, primo azionista con il 37%, non può considerarsi controllante.La verifica, spiega una nota, è stata sollecitata dal collegio sindacale e dal management, supportati da primari studi legali e società di revisione. Il tema era particolarmente delicato anche perché Consob aveva chiesto una presa di posizione.La contestazione cinese, dall’altra parte, si fonda sulla sussistenza del patto parasociale fra Camfin e Sinochem che integrerebbe la nozione di controllo ai sensi dell’articolo 93 del Tuf in base al quale il possesso della maggioranza dei diritti di voto, anche attraverso patti parasociali, determina una «influenza dominante» nelle decisioni aziendali. L’azionista asiatico, a fine consiglio, ha espresso in un comunicato «profondo disappunto e ferma opposizione riguardo alla valutazione sul controllo espressa da Pirelli» preannunciando, dunque, il ricorso alle vie legali per «assicurare la naturale tutela degli interessi» di Mpi. LEGGI TUTTO

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    Al via il 730 precompilato: caricati 1,3 miliardi di dati

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    A partire da domani pomeriggio i contribuenti potranno consultare online sul sito dell’Agenzia delle Entrate i modelli 730 semplificato, 730 ordinario e il modello Redditi precompilati con i dati già in possesso dell’amministrazione finanziaria o trasmessi da soggetti terzi, come datori di lavoro, farmacie e banche. A partire dal 15 maggio sarà possibile modificare e inviare i modelli, con scadenze fissate al 30 settembre 2025 per il 730 e al 31 ottobre per il modello Redditi.Secondo il provvedimento firmato dal direttore dell’Agenzia, Vincenzo Carbone, sono oltre 1,29 miliardi i dati pre-caricati nelle dichiarazioni 2025. La parte del leone la fanno ancora una volta le spese sanitarie, con oltre un miliardo di documenti trasmessi. Seguono i premi assicurativi (più di 98 milioni di dati), le certificazioni uniche di lavoratori dipendenti e autonomi (quasi 75 milioni) e i bonifici per le ristrutturazioni edilizie (10,5 milioni). Crescite significative rispetto al 2024 si registrano per le ristrutturazioni condominiali (+32%), per le erogazioni liberali (+13%) e per le spese scolastiche. LEGGI TUTTO

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    Piazzetta Cuccia, azionisti a un bivio. Parte il monopoli delle partecipazioni

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    Di quel 13,1% del capitale di Generali detenuto da Mediobanca si può dire che è stato il cuore della finanza italiana, per mezzo secolo. La quota è cambiata nel tempo, ma intorno ad essa si sono svolte battaglie di ogni tipo perché rappresentava un legame indissolubile: quello tra Piazzetta Cuccia e il destino della compagnia triestina. Da ieri il legame si scioglie. O, meglio, si può sciogliere. Deciderà il mercato. Vediamo bene come e perché.L’Offerta pubblica di scambio che Mediobanca lancia su Banca Generali si rivolge al 100% del capitale. Ai soci di Banca Generali non viene però offerto cash, bensì azioni Generali: quelle del pacchetto del 13,1 percento. Il rapporto stabilito dall’offerta è di 1,7 azioni Generali per ogni titolo Banca Generali. Ai prezzi del 25 aprile (ultimo giorno prima dell’annuncio) il cambio corrispondeva a una valutazione di Banca Generali di 54,17 euro. Ieri sera, dopo che il mercato ha fatto i suoi calcoli per tutto il giorno, il prezzo era sceso un po’, a 53,72, comunque a premio rispetto al prezzo di chiusura (51,2 euro, +4,9%).Per avere successo, l’operazione richiede di fatto l’adesione di Generali. Mediobanca ha infatti posto la condizione di avere almeno il 50%+1 azione. Avendo Generali il 50,17% di Banca Generali, senza il suo apporto l’Ops fallisce. Dunque, in questa ipotesi, Generali riceverà il 6,3% di azioni proprie, che sommate al 3,25% già in portafoglio, porteranno il totale al 9,5 percento. A quel punto il suo azionariato avrà Delfin come primo socio (9,9%) Caltagirone secondo con il 6,8%, e Unicredit al terzo con il 6,6% ma con il nuovo e inedito ruolo di primo azionista industriale della compagnia, essendo Mediobanca scesa nel frattempo a zero.Le altre azioni Generali (circa il 6,3%) saranno infatti finite ai tanti soci di Banca Generali, istituzionali e retail, nessuno al momento con quote rilevanti. Bisognerà vedere se, nei prossimi giorni, si muoveranno pacchetti di Banca Generali proprio a questo fine.Per quanto riguarda l’Ops lanciata da Mps su Mediobanca, si può dire che quella di Piazzetta Cuccia su Banca Generali diventa in qualche modo concorrente. Almeno in teoria. Infatti, per i soci Mediobanca, delle due l’una: o approvare l’Ops di Mediobanca su Banca Generali, nell’assemblea fissata per il 16 giugno; ovvero bocciarla per poi aderire all’Ops di Mps che partirà successivamente. Fare diversamente non avrebbe un senso razionale: se Nagel convincesse la maggioranza dei suoi soci della bontà del suo progetto, essi non dovrebbero poi andare a consegnare le azioni a Mps, che ha idee alternative. In questa chiave sarà determinante il mercato: come si comporterà? Valuterà l’operazione su Banca Generali come strategica o come una mossa difensiva rispetto a Monte Paschi? LEGGI TUTTO

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    Colpo di coda di Mediobanca. “Vogliamo Banca Generali”

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    Mediobanca risponde all’attacco di Mps e spariglia le carte del risiko: l’istituto di Piazzetta Cuccia ha lanciato un’Ops da 6,3 miliardi sul 100% delle azioni di Banca Generali da pagare interamente in azioni del Leone. Con l’operazione, si legge in una nota, «il rapporto tra Mediobanca e Generali da finanziario si trasforma in una forte partnership industriale». A oggi, infatti, il 40% circa dell’utile netto del gruppo guidato da Alberto Nagel deriva dal dividendo che ogni anno viene distribuito dalle Generali di cui possiede il 13,1 per cento. Se l’Ops andrà in porto non sarà più così.Per ogni 10 azioni di Banca Generali portate in adesione verranno corrisposti 17 titoli della compagnia triestina. Il prezzo implicito di offerta è di 54,17 euro per azione, con un premio dell’11,4% rispetto ai prezzi del 25 aprile, prima dell’annuncio e del 6,5% sulla base del prezzo medio dei tre mesi. L’Ops è subordinata alle relative autorizzazioni e dovrebbe arrivare sul mercato a settembre per concludersi ad ottobre. Non solo. Mediobanca è sotto passivity rule quindi le servirà il via libera di un’assemblea ordinaria (visto che non sarà richiesta una modifica dello statuto o una variazione del capitale), con una maggioranza del 50% più un’azione.Nagel ieri ha specificato che con questa mossa si viene a creare «un leader italiano nella gestione del risparmio che la nostra premier aveva evocato». Il riferimento è al possibile Golden Power del governo su Mediobanca-Banca Generali alla luce dei paletti messi a Unicredit su Banco Bpm. «Parleremo con le strutture preposte che sono Palazzo Chigi e il Mef», ha aggiunto.Il lancio dell’offerta è subordinato anche a un impegno di Generali a vincolare il pacchetto del 6,5% ricevuto per un periodo di 12 mesi a partire dal completamento dell’offerta, scaduto il quale può esser ceduto. Quindi, le azioni Generali andrebbero per la metà ai soci minori di Banca Generali, le altre a Generali con lock up di un anno. Alla scadenza, il vertice del Leone potrà scegliere se annullare tutto o parte del pacchetto, trasferirlo agli azionisti del Leone attraverso programmi di buyback o di incentivazioni di breve o lungo termine oppure cederlo a terzi. «Se ci sarà interesse da qualcuno, si faranno vivi», ha detto Nagel. Sottolineando che «questa operazione la guardiamo da 5 anni almeno», che si tratta di «una manovra di crescita, non per rendere una cosa più difficile ad altri» e che può essere considerata una controfferta da proporre nell’assemblea convocata per il 16 giugno agli azionisti di Mediobanca in alternativa a quella arrivata dal Monte dei Paschi.Durante la conferenza stampa l’ad di Mediobanca ha specificato che nascerebbe una realtà con 210 miliardi di masse totali, 4,4 miliardi di ricavi e una rete di 3.700 professionisti. In termini di raccolta e di agenti, però, il gruppo leader di settore resta Intesa con Fideuram (che tra l’altro di recente ha strappato proprio a Mediobanca un top banker di prima fascia che ha portato in dote alla divisione private un tesoretto da 1 miliardo di euro di masse). Gli asset under management comunicati al 31/12/24 sono, infatti 394 miliardi per Fideuram, 103,8 miliardi per Banca Generali e 44,8 miliardi per Mediobanca Premier. LEGGI TUTTO

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    Engineering chiama Bisio. E studia il ritorno in Borsa

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    Engineering avvia una nuova fase di sviluppo e innovazione sotto la guida di Aldo Bisio, il manager che potrebbe firmare il ritorno del gruppo in Piazza Affari.L’ex ad di Vodafone Italia entra nella società specializzata nei processi di digitalizzazione per le aziende e la Pubblica amministrazione al posto di Maximo Ibarra. Un giro di poltrone tutto in salsa tlc visto che Ibarra è in carica dal 2021, dopo l’esperienza in WindTre. Il passo indietro di Ibarra, per «motivi personali», consegna a Bisio un’azienda sana.Sotto la sua guida del manager colombiano, il gruppo controllato dai fondi Bain e Renaissance Partners è arrivato a contare circa 14mila dipendenti e oltre 80 sedi distribuite in Europa, Stati Uniti e Sud America. Il fatturato è salito a quasi 1,8 miliardi di euro, generati da oltre 70 società controllate in 21 Paesi. «Negli ultimi mesi ho maturato la volontà di prendermi del tempo per valutare nuovi progetti professionali e avviare una nuova fase della mia carriera», ha spiegato Ibarra. «Ho dato la disponibilità a rimanere nel gruppo fino al prossimo 1 settembre per garantire un efficace e completo passaggio di consegne. Continuerò, inoltre, ad essere un investitore in Engineering, fiducioso del percorso dei prossimi anni grazie alla solidità delle sue ambizioni e dei suoi valori».D’altra parte, il nuovo ad è un manager di razza, Bisio è stato amministratore delegato di Vodafone Italia dal 2014 al 2024. Prima di entrare in Vodafone, ha lavorato per Ariston Thermo e per McKinsey ed è stato direttore generale di Rcs Quotidiani. Attualmente, Bisio siede anche nel consiglio di amministrazione di Coesia, produttore di soluzioni industriali per l’imballaggio. Nel ringraziare Ibarra, il presidente di Engineering, Gaetano Micciché, ha aggiunto che «Bisio saprà guidare Engineering in una nuova fase di sviluppo e innovazione». Cosa c’è nei programmi del gruppo? «Questa seconda fase potrebbe riportare in Borsa dopo l’uscita del 2016», spiega una fonte ricordando che «l’idea è nelle corde dei soci già da qualche anno e Bisio potrebbe fare da traghettatore verso questo nuovo ambizioso obiettivo». Una cosa è certa, per Bisio la crescita è tutto e sosterrà Engineering nello sviluppo internazionale. LEGGI TUTTO

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    Unicredit e la nuova frontiera assicurativa. Monte Paschi conferma l'”avanti tutta”

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    La controffensiva del ceo di Mediobanca, Alberto Nagel, ha nuovamente ribaltato lo scenario del risiko bancario in corso. Tra gli spettatori interessati della vicenda c’è sicuramente Unicredit, che si è già portata a casa una fetta importante di Generali (il 6,7%) potendo agevolmente salire fino al 10% nel colosso assicurativo che ora rischia di perdere il suo primo azionista. Qualora l’operazione Mediobanca-Banca Generali dovesse andare in porto, allora Piazzetta Cuccia non avrebbe più quel 13,1% che finora le ha garantito di dare le carte, un vuoto che potrebbe essere colmato proprio dall’avanzata dell’istituto guidato da Andrea Orcel (in foto), che peraltro nell’ultima assemblea dei soci ha votato insieme all’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone (avversario per antonomasia di Mediobanca) che ha il 6,9% delle Generali. In un Leone public company, Unicredit affiancata da un patto composto da soci forti come per l’appunto Caltagirone e Delfin (con il 9,9%) potrebbe di fatto esercitare un forte ascendente su Trieste. Tutto questo, a patto che alla fine Intesa Sanpaolo (che oggi confermerà ai vertici il ceo Carlo Messina) non decida di sferrare una zampata, cambiando direzione dopo le dichiarazioni di disinteresse dello stesso Messina. L’affare Generali-Natixis, sia che si passi da Intesa o da Unicredit, a questo punto rischia seriamente di finire su un binario morto. In ogni caso, tornando a Mediobanca, non è affatto scontato che alla fine le authority competenti non intervengano per bloccare l’Ops di Mediobanca su Banca Generali, dal momento che la decisione di procedere con la sola assemblea ordinaria (e quindi il solo 50% +1 dei voti) per autorizzare un’operazione così trasformativa è ritenuta da più fonti alquanto controversa.Dal canto suo, Mps (che ha in atto un’offerta su Mediobanca) almeno apparentemente non sta facendo una piega. Da quanto filtra, a Siena si ritiene che l’offerta di Mediobanca su Banca Generali non sia affatto alternativa ma, anzi, potrebbe addirittura essere un’opportunità. Lo stesso numero uno di Rocca Salimbeni, Luigi Lovaglio, aveva detto più volte che la partecipazione in Generali non era «strategica» e che avrebbe potuto essere utilizzata per rafforzare la posizione del futuro gruppo Mediobanca-Mps proprio nel wealth management. Quindi, secondo una certa interpretazione, la mossa di Nagel anticiperebbe di una giocata quello che verosimilmente avrebbe potuto fare anche Mps. Secondo fonti vicine a Siena, Mediobanca con il blitz di ieri non ha fatto altro che confermare la valenza del progetto sottostante all’offerta di Mps. Lo stesso Nagel, sebbene in conferenza stampa abbia sostenuto che il progetto Mediobanca-Banca Generali sia alternativo rispetto a Mps-Mediobanca, ha precisato che le due offerte proseguiranno su binari differenti. LEGGI TUTTO

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    Pirelli sblocca il mercato USA: viene meno il controllo del socio cinese

    Pirelli in Cina

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    “È venuto meno il controllo di Sinochem” su Pirelli. Lo ha deliberato il cda del gruppo italiano, “ai sensi del principio contabile Ifrs 10, con voto a maggioranza”. Il cda ha dunque approvato il bilancio al 31 dicembre 2024 con il voto favorevole di 9 su 15 consiglieri. Hanno votato contro il presidente Jiao Jian e i consiglieri Chen Aihua, Zhang Haitao, Chen Qian, Fan Xiaohua, mentre Tang Grace si è astenuta. Sempre dalla nota si apprende che il board proporrà all’assemblea degli azionisti, convocata il prossimo 12 giugno, la distribuzione di un dividendo di 0,25 euro per azione, rispetto a 0,198 euro sul 2023, per un totale di 250 milioni di euro. LEGGI TUTTO

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    Il Pd “smemorato” attacca sul risiko bancario

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    Nel risiko bancario italiano, l’offerta pubblica di scambio lanciata da Mediobanca su Banca Generali ha scatenato nuove polemiche politiche, pur in assenza, almeno per ora, di interventi governativi. Le opposizioni, capitanate da Pd e +Europa, accusano l’esecutivo di eccessivo interventismo, evocando la gestione contestata del Golden Power su altre operazioni, come quella di UniCredit su Banco Bpm.”Il governo sul risiko bancario ha interferito fin troppo. Ora lasci fare il mercato, evitando su tutte le operazioni in corso – compresa l’iniziativa promossa oggi da Mediobanca su Banca Generali – un interventismo dannoso e controproducente”, ha dichiarato Antonio Misiani, responsabile economico del Partito Democratico. Misiani ha sottolineato come il caso UniCredit-Banco Bpm rappresenti “il più macroscopico” dei “pasticci” dell’esecutivo Meloni, accusandolo di aver usato il Golden Power non per difendere la sicurezza nazionale, ma per alterare gli equilibri di mercato. Da qui l’annuncio di un’interrogazione parlamentare volta a ottenere chiarimenti sulle basi giuridiche delle decisioni del governo.Su toni simili Benedetto Della Vedova, deputato di +Europa, ha affermato: “Il Golden Power usato dal Governo Meloni su operazioni bancarie italiane non serve l’interesse nazionale ma le ambizioni del Governo di imporre una torsione politica alle dinamiche di mercato”. Della Vedova ha anche sottolineato l’anomalia del doppio ruolo del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che sarebbe al tempo stesso “arbitro e giocatore”, essendo il Tesoro azionista di maggioranza relativa di Mps.Emerge, però, un elemento di coerenza intermittente da parte delle opposizioni. Se oggi PD e +Europa accusano il governo di manipolare il mercato scegliendo “figli e figliastri” – non intervenendo ad esempio su Mps-Mediobanca e Bper-Pop Sondrio mentre agiva su UniCredit-Banco Bpm – va ricordato che lo stesso Pd ha chiesto il Golden Power sull’annunciata joint venture tra Generali e Natixis, temendo un’eccessiva influenza francese sulla gestione del risparmio italiano. Un liberalismo, dunque, a corrente alternata, che evidenzia quanto nel risiko.Occorre poi ricordare che l’iniziativa di Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, nasce come mossa difensiva per contrastare l’Ops lanciata da Mps, sostenuto da soci come Delfin e Caltagirone, a loro volta azionisti di Piazzetta Cuccia. Sul piano industriale, la fusione creerebbe un player di gestione patrimoniale da 210 miliardi di masse gestite e una forza di raccolta di 15 miliardi l’anno. Tuttavia, l’operazione può avere effetti dirompenti anche su altri fronti: se Mediobanca riuscisse nell’intento, uscirebbe dall’azionariato del Leone lasciando campo aperto a una nuova possibile competizione per il controllo della compagnia assicurativa triestina dalla quale non sarebbero certo esclusi i grandi player nazionali del settore. Insomma, tutto il contrario della descrizione di un sistema sclerotizzato dagli interventi di Palazzo Chigi e del Tesoro.In questo contesto, invece, va sottolineato come le accuse dell’opposizione pecchino di una certa smemoratezza storica. Se oggi il Pd e +Europa si ergono a paladini della neutralità del mercato, non va dimenticato che la crisi di Mps stessa è figlia di una lunga stagione di commistione tra politica e finanza, in cui la Fondazione Monte dei Paschi – dominata dal centrosinistra locale – ha orientato la banca verso operazioni “politicamente gradite” piuttosto che perseguire una sana e prudente gestione. Lo stesso schema si è replicato in istituti come Banca Marche, CariChieti, CariFerrara e Banca Etruria, tutti risolti nel 2015 e tutti legati ad aree politicamente influenzate dal Pd.Anche in episodi più antichi, come il tentativo di scalata di Unipol a Bnl nel 2005, il legame tra il Partito Democratico (e le sue formazioni antenate) e la finanza italiana è stato evidente. Dunque, il moralismo odierno suona quantomeno stonato: la storia insegna che il Pd non è mai stato estraneo né alle grandi stanze della finanza né ai salottini del potere politico.Va ricordato, infine, che anche all’interno della maggioranza di governo non mancano voci critiche: Forza Italia ha formalmente messo a verbale il suo dissenso sull’applicazione del Golden Power all’Ops UniCredit-Banco Bpm. E, comunque, anche in questo caso le motivazioni non sono peregrine perché attengono alla difesa del risparmio e al finanziamento all’economia reale, sebbene sia sempre preferibile lasciare al libero gioco del mercato. LEGGI TUTTO