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    Lavori e regolarità contributiva: senza Durc niente pagamento

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    I punti chiave

    Nella gestione condominiale uno degli aspetti più delicati riguarda i rapporti con le imprese incaricate di eseguire lavori o fornire servizi. Un tema fondamentale, spesso sottovalutato, è quello legato alla regolarità contributiva dell’impresa, certificata attraverso il Durc (Documento unico di regolarità contributiva).Quando il condominio affida lavori a un’impresa (ad esempio per la manutenzione straordinaria, il rifacimento della facciata o interventi sugli impianti) l’amministratore ha l’obbligo di verificare che il Durc sia regolare prima di procedere a ogni pagamento. Questo documento attesta che l’impresa è in regola con i versamenti dovuti agli enti previdenziali (Inps, Inail, Casse edili, etc.) ed è quindi uno strumento di tutela non solo per i lavoratori, ma anche per il committente, cioè per il condominio stesso.Che cosa succede se il Durc non è regolareSe il Durc risulta negativo o scaduto il condominio deve sospendere il pagamento all’impresa. Questo non è solo un consiglio di prudenza, è un vero e proprio obbligo di legge. Infatti, in base all’articolo 29 del Decreto Legislativo 276/2003, il committente che paga un appaltatore non in regola con i contributi rischia di essere considerato responsabile in solido: ciò significa che potrebbe essere chiamato a pagare direttamente all’Inps, all’Inail o ad altri enti le somme dovute dall’impresa.In sostanza, se il condominio paga nonostante il Durc irregolare, i creditori previdenziali potranno rivalersi direttamente su di esso. E può non trattarsi solo di cifre limitate: in alcuni casi il debito contributivo di un’impresa può raggiungere anche importi molto elevati, mettendo in seria difficoltà il bilancio condominiale.Quando si deve controllare il DurcIl Durc deve essere richiesto e controllato:- Prima di stipulare il contratto, per verificare che l’impresa sia già in regola al momento dell’affidamento dell’incarico;- Prima di ogni pagamento, il Durc, infatti, ha validità limitata (normalmente 120 giorni) e potrebbe non essere più valido al momento del saldo;- È importante che l’amministratore condominiale svolga questa verifica in modo puntuale e documentato, anche per evitare possibili contestazioni future da parte dei condòmini.Cosa fare se il Durc è irregolareSe il Durc risulta irregolare, il pagamento va sospeso e l’impresa deve essere invitata a regolarizzare la propria posizione contributiva. Solo dopo che avrà presentato un Durc positivo sarà possibile procedere al saldo delle fatture.Se l’impresa non riesce o non vuole regolarizzarsi, il condominio potrà anche risolvere il contratto e, se necessario, affidare i lavori a un’altra impresa, chiedendo eventuali risarcimenti per i danni subiti.Se il condominio paga lo stessoQualora, nonostante il Durc negativo, l’amministratore dovesse procedere ugualmente al pagamento, i rischi sono concreti, e possono comportare:- Responsabilità diretta verso gli enti previdenziali, che potranno agire per il recupero dei contributi non versati;- Responsabilità personale dell’amministratore per mala gestione, con possibili azioni di responsabilità da parte dei condòmini;- Maggiori costi per il condominio, che potrebbe trovarsi a pagare due volte, all’impresa e agli enti previdenziali. LEGGI TUTTO

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    La buona notizia sul Pil

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    Le buone notizie meritano sempre di essere evidenziate con il rilievo dovuto. In Italia succede raramente perché la storia è nota sono gli interessi di parte a dettare la linea della comunicazione. E così quando in questi giorni l’Istat certifica una crescita del prodotto interno lordo migliore del previsto, ecco che il dato viene riferito e commentato per lo più con una certa dose di sopportazione. Quasi fosse una cattiva notizia anziché buona. Cioè, un segnale concreto di crescita sostanzialmente inapprezzato dai troppi che perseguono la strada dell’interpretazione ideologica della realtà. Ma, malgrado loro, la realtà esiste. E allora ecco il dato fornito dall’Istat che ci permette di manifestare un realistico ottimismo: nel primo trimestre del 2025 crescita del Pil dello 0,3 per cento. Un buon avvio di anno, significativo anche nel confronto con le maggiori economie industriali europee, leggi Francia e Germania. Infatti, le indicazioni che provengono da quei Paesi sono sulla falsariga dell’Italia seppur con una piccola differenza in negativo. Se poi aggiungiamo l’altra ottima notizia diffusa nei giorni scorsi a proposito della conferma dei record dell’occupazione, i motivi per esprimere soddisfazione non mancano tenuto conto del quadro complessivo dell’economia globale, perlomeno complicato. LEGGI TUTTO

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    Banche alla prova dei tassi Bce

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    Come di consueto, la prima a svelare i propri conti trimestrali sarà Intesa Sanpaolo. Domani, con il ceo Carlo Messina (nella foto) fresco di rinnovo ai vertici, la prima banca italiana avrà tutti i riflettori del mercato puntati addosso: un po’ perché la sua posizione di leader di settore funge da benchmark per gli altri istituti nazionali ed europei, un po’ perché nel primo trimestre 2025 si riversano i primi effetti concreti dei tagli ai tassi d’interesse della Banca centrale europea. Le stime di Bloomberg e Barclays si attendono un utile fra i 2,4 e i 2,5 miliardi nel periodo tra gennaio e marzo con una crescita del 4% su base annua. I ricavi, attesi a 6,7 miliardi, dovrebbero rispecchiare un lieve calo del margine d’interesse a fronte di un incremento fra il 5 e il 9% delle commissioni. Le antenne degli osservatori saranno dritte anche per recepire eventuali messaggi da Messina, che finora ha sempre sostenuto di voler rimanere fuori dal gioco delle acquisizioni in atto in questo momento in Italia (Generali compresa).Il secondo istituto a varare i suoi conti sarà Banco Bpm, nella serata di mercoledì. Su questi numeri sarà forte l’attenzione di Unicredit, che ha in corso un’offerta pubblica di scambio proprio su Piazza Meda e sta valutando se ritirarsi o meno dalla scalata in seguito a prescrizioni piuttosto stringenti sul fronte Golden Power. Le previsioni degli analisti per l’istituto guidato da Giuseppe Castagna sembrano essere positive. Le stime sul mercato vedono un utile netto del periodo di 444 milioni, ben al di sopra dei 370 milioni dello stesso periodo del 2024. Un risultato che si poggerà, stimano gli analisti di Intesa Sanpaolo, su 1,45 miliardi di ricavi, frutto di un aumento delle commissioni (+7,8% sul trimestre precedente) e un calo del margine d’interesse (-5,1%). Se i conti di Piazza Meda dovessero confermarsi forti allora anche il titolo potrebbe reagire positivamente, rendendo ancor più complicato per il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, evitare di mettere in conto un rilancio nella sua Offerta pubblica di scambio.Tra le cinque maggiori banche, il calendario dei conti proseguirà con Bper, l’istituto guidato da Gianni Franco Papa anch’esso con un’offerta in corso sulla Banca Popolare di Sondrio. Secondo quanto riporta Intermonte, attraverso la sua testata Websim, l’utile netto dovrebbe attestarsi in calo su un anno fa a 371 milioni, con ricavi stabili a 1,36 miliardi e una dinamica di commissioni e margine d’interesse in linea con il trend di mercato. LEGGI TUTTO

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    Shell mette nel mirino la British Petroleum. Ma attaccherà solo dopo un calo del titolo

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    Shell valuta un’acquisizione storica: quella di Bp. Secondo Bloomberg, la major anglo-olandese avrebbe avviato con i propri consulenti analisi preliminari per un’eventuale offerta sulla rivale britannica, in attesa però di ulteriori cali delle azioni Bp e del prezzo del petrolio, condizioni che renderebbero l’operazione più vantaggiosa. Il dossier è ancora in fase iniziale ma segnala un cambio di marcia nelle strategie di Shell, che solo pochi giorni fa aveva ribadito, per bocca dell’ad Wael Sawan (in foto), di preferire il riacquisto di azioni proprie piuttosto che acquisizioni su larga scala.Il quadro è reso ancora più dinamico dal contesto di mercato: le azioni Bp sono sotto pressione e il petrolio è ai minimi da oltre tre anni. L’Opec+, sotto la guida dell’Arabia Saudita, ha annunciato due aumenti consecutivi della produzione a maggio e giugno per punire i membri che hanno superato le quote concordate, come Iraq e Kazakhstan. Una mossa paradossale in un momento di domanda debole e tensioni globali, che ha già avuto effetti pesanti sui mercati: il prezzo del Wti è passato da 71 a 58 dollari al barile in meno di un mese, una flessione del 18%. L’ultima settimana di contrattazioni ha visto un ulteriore calo del 7%, vanificando ogni residua speranza di rimbalzo.Questa fase di debolezza ha però conseguenze opposte per le grandi compagnie petrolifere: se da un lato erode margini e fiducia degli investitori, dall’altro può rappresentare un’opportunità per operazioni di consolidamento a basso costo. Shell, con una capitalizzazione quasi doppia rispetto a Bp (149 miliardi di sterline contro circa 80), è oggi in una posizione dominante e potrebbe sfruttare la situazione per rafforzarsi ulteriormente, magari innescando un’operazione che darebbe vita a un colosso in grado di competere con ExxonMobil e Chevron. Ma i rischi non mancano: un’acquisizione di queste dimensioni attirerebbe sicuramente l’attenzione delle autorità Antitrust e richiederebbe una profonda integrazione di due realtà complesse. LEGGI TUTTO

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    Treni, aerei e bus: tra scioperi e mobilitazioni maggio nero per chi viaggia

    Lasciate ogni speranza, o voi che viaggiate. È un maggio di fuoco, passione, attese, incertezze e cancellazioni quello che attende gli utenti delle ferrovie, ma anche degli aeroporti e del trasporto pubblico locale. Un calendario in costante aggiornamento che è possibile consultare sulla tabella presente sul sito del ministero dei Trasporti.L’antipasto, decisamente impegnativo, verrà servito tra 48 ore. Martedì 6 maggio, dalle 9 alle 17, scatta infatti uno sciopero nazionale di 8 ore del personale ferroviario e degli appalti ferroviari. La causa è il “mancato raggiungimento degli accordi per il rinnovo del Contratto collettivo mobilità attività ferroviarie e per il rinnovo del contratto aziendale del Gruppo Fs, entrambi scaduti il 31 dicembre 2023″, dichiarano in una nota congiunta Filt Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti.I treni, come si legge sul sito di Trenitalia, potranno dunque “subire cancellazioni o variazioni”. “La mobilitazione – spiegano i sindacati nella nota – si rende necessaria in quanto, sebbene nel corso del negoziato si siano fatti significativi passi in avanti, non si è ancora trovato un punto di mediazione coerente con le richieste delle organizzazioni sindacali”. “Sollecitiamo – proseguono le tre sigle sindacali – le controparti ad attivare una no-stop già a partire dalle 18 dello stesso 6 maggio in quanto è urgente dare una risposta coerente in termini di salario, normativa e welfare ai circa 100mila lavoratori e lavoratrici a cui si applicano i due contratti. Lo sciopero rappresenta un atto di responsabilità e determinazione per difendere la dignità del lavoro, la sicurezza e il futuro del settore ferroviario italiano”.Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, riferiscono infine Filt Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti, “ci ha convocato lunedì 5 maggio e in quella sede affronteremo oltre alle questioni all’ordine del giorno come sciopero e contratto anche temi irrisolti come le aggressioni al personale e il dumping contrattuale in quanto una serie di imprese ferroviarie si ostina a non applicare il Ccnl mobilità attività ferroviarie”.Trenitalia, invece, fa sapere che la fascia di interesse sarà quella delle 9 alle 17 e che i passeggeri che intendono rinunciare al viaggio possono chiedere il rimborso a partire dalla dichiarazione di sciopero fino all’ora di partenza del treno prenotato per i treni Intercity e Frecce, e fino alle ore 24 del giorno antecedente lo sciopero stesso, per i treni Regionali. In alternativa possono riprogrammare il viaggio, a condizioni di trasporto simili, non appena possibile, secondo la disponibilità dei posti.Lo sciopero di martedì non sarà affatto un caso isolato. Sono una trentina le proteste in programma, sia nazionali sia territoriali che riguardano ferrovie, aeroporti e trasporto pubblico locale, come risulta dal sito del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Si comincia lunedì con 8 ore di stop proclamato dal personale settore funicolari della società Anm di Napoli e di 4 ore dei lavoratori della Soc. Autolinee toscane provincia di Prato.Il 7 sarà colpito il tpl in Abruzzo per lo stop di 4 ore del personale della società Tua e in Lombardia dove incrocerà le braccia il personale della Autoguidovie delle province di Milano, Pavia, Cremona, Monza e Brianza aderente a Usb lavoro privato. L’8 su iniziativa della Filt Cgil si fermerà per per 4 ore il personale della Sitaf, concessionaria dell’autostrada A32 Torino-Bardonecchia.Il 9 maggio il focus si sposta sul comparto aereo. In tutta Italia il 9 maggio è prevista una mobilitazione del personale aereo aderente a Cub Trasporti, per quattro ore (dalle 13.00 alle 17.00). Nella stessa giornata si ferma il trasporto pubblico locale della provincia di Brescia, dalle 17.30 alle 21.30. L’11 si fermano per 24 ore macchinisti, capitreno e coordinatori mobilità della società Eav di Napoli (sindacato Orsa) mentre il 13 è la volta dei dipendenti di Busitalia Sita nord regione Umbria che si fermano per 24 ore (Usb lavoro privato). LEGGI TUTTO

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    Imprese, la risposta di Cascasco ad Orsini: “FI ha già presentato piano industriale per Paese”

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    Con una nota arriva la risposta di Maurizio Casasco, deputato di Forza Italia e responsabile del dipartimento economia del partito, alle parole pronunciate oggi dal presidente di Confindustria Emauele Orsini sulla necessità di un piano industriale.Le parole di Casasco”È importante sottolineare – spiega Casasco – che Forza Italia, dopo avere ascoltato le categorie produttive e il mondo del lavoro, ha già elaborato e presentato a Milano lo scorso gennaio un articolato “Piano industriale per l’Italia e per l’Europa”. Forza Italia, attraverso il proprio segretario nazionale Antonio Tajani ha poi consegnato il documento completo a tutti i partiti e il Partito Popolare Europeo lo ha fatto suo al Congresso di Valencia, votando la nostra risoluzione sulla competitività. Un documento strutturato, di analisi, che individua le priorità e propone soluzioni immediate e di medio termine per rafforzare le competitività e la produttività del nostro Paese e dell’Europa, stimolando gli investimenti in R&D e la capacità di fare innovazione”. LEGGI TUTTO

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    Dazi, un boomerang sul Pil degli Usa

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    Perché Donald Trump si è fissato con i dazi? E perché il Pil americano del primo trimestre 2025, cioè l’inizio della presidenza Trump, è stato addirittura negativo: -0,3%? Rispondere a queste due domande è l’occasione per chiarire alcune relazioni contabili tra le grandezze economiche aggregate. Può essere utile per comprendere anche le prossime mosse tra Usa ed Europa. E dovete crederci: non sono questioni troppo tecniche o complesse.Partiamo dal Pil, di cui si parla sempre per misurare la salute dell’economia nazionale. Ebbene si può dire che il Pil è il reddito nazionale (Y), cioè la somma di tutti i redditi prodotti nel Paese. Il Pil è uguale alle spese che genera, che sono di tre tipi: i consumi (C, per semplicità uniamo quelli privati delle famiglie e quelli pubblici dello Stato); gli investimenti (I); e la differenza tra export e import (X, cioè tra la parte di produzione nazionale che viene venduta all’estero, meno quella parte di consumi prodotti però oltre confine). In altri termini X è la bilancia commerciale. Contabilmente: Y=C+I+X. Nello stesso tempo, con un’altra equivalenza, il Pil (Y) cioè il nostro reddito, è uguale alla somma di quello che spendiamo (C) con ciò che invece risparmiamo (S). Se del reddito nazionale avanza qualcosa, allora significa che è stato generato risparmio. Quindi, S=Y-C: il risparmio è uguale al reddito meno i consumi. Infine, si può concludere che – sostituendo il risparmio nella formula del reddito nazionale – S=I+X: il risparmio nazionale finanzia gli investimenti, più o meno la bilancia commerciale.Basta aver presente queste semplici formule contabili per capire cosa vuole fare Trump e cosa sta succedendo nel mondo.In Usa le importazioni superano di gran lunga le esportazioni: la bilancia commerciale è negativa, X è negativo. Ma il Pil invece no, cresce (almeno fino al 2024) a ritmi sostenuti. Quindi, se Y è positivo nonostante il deficit commerciale, significa che negli Usa si consuma più di quanto si produce e si risparmia meno di quanto si investe. La differenza viene colmata dalle importazioni, che contabilmente sono un debito verso l’estero. Ecco perché Trump mette i dazi: vuole abbassare le importazioni e alzare in valore di X. Quello che non è chiaro è come possa pensare che questo accada senza una parallela contrazione dei consumi, che quindi annullerebbe l’effetto dazi rispetto al Pil. Ma questa è un’altra storia, che riguarda gli effetti futuri.Si può però dire che un’idea degli effetti futuri si è avuta con il dato del Pil del primo trimestre 2025 uscito a fine aprile e risultato negativo. E’ stato l’esito del boom delle importazioni accumulate in vista dei dazi, annunciati in aprile ma attesi dal mercato già da gennaio. In pratica quell’X della formula del reddito nazionale ha mandato il rosso l’intero Y, anche a parità di consumi e investimenti. Mentre in Europa e in Italia è successo l’esatto opposto: per noi la X della bilancia commerciale è esplosa in positivo, grazie al boom delle esportazioni. E infatti abbiamo registrato un Pil più alto delle previsioni grazie al saldo super positivo della bilancia commerciale. LEGGI TUTTO

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    Ops Bpm, Orcel fermo davanti al guado

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    La decisione definitiva non è ancora stata presa. Ma al momento il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, è più orientato a gettare la spugna sull’Offerta pubblica di scambio lanciata su Banco Bpm piuttosto che a proseguire. A frenare Piazza Gae Aulenti è il combinato disposto tra la mancata concessione dello Sconto Danese a Piazza Meda sull’operazione Anima (che pesa per 1 miliardo) e le stringenti prescrizioni del Golden Power. Certo è che, prima di rinunciare, Orcel non lascierà nulla di intentato. Essenziale, dunque, sarà il confronto con le autorità competenti per cercare di smussare gli aspetti più discutibili (non certo il problema Russia, sul quale il Golden Power è irremovibile) delle prescrizioni.Unicredit, quindi, si prenderà tutto il tempo necessario, visto che può legittimamente tirarsi indietro fino al 30 giugno. Quando il quadro sarà finalmente chiaro, allora arriverà il verdetto definitivo (tra l’altro, al momento le adesioni all’Ops stanno andando molto a rilento). Certo è che per Orcel sarebbe un grosso smacco dover rinunciare. Nel mercato italiano, infatti, non esiste altra preda che sia allo stesso tempo aggredibile in termini dimensionali e attraente sul fronte delle fabbriche prodotto di fondi e assicurazioni (che Unicredit non ha). Di colpo, infatti, Piazza Gae Aulenti si ritroverebbe con undici milioni di clienti e una quota di mercato nel credito del 15%, concentrata in particolar modo nelle regioni più ricche del Nord Italia. Non finisce qui, perché Banco Bpm ha in pancia i fondi d’investimento di Anima, le assicurazioni di Bpm Vita, una quota di peso nel credito al consumo di Agos e nella società di pagamenti Numia. Oltre a Banca Aletti e Banca Akros. A fare gola è anche un’altra constatazione: entro il 2027 Bpm punta a realizzare il 50% dei propri ricavi (stimati a circa 5,9 miliardi in totale per quell’anno) attraverso le sue fabbriche prodotto. Non male in un contesto di mercato in cui la politica monetaria sembra orientata a normalizzarsi, con tassi che dovrebbero essere più bassi rispetto ai picchi degli scorsi anni. E, soprattutto, un’occasione irripetibile per una banca ambiziosa che deve trovare un modo per conservare e accrescere le performance sorprendenti degli ultimi anni. C’è, nei mercati core, ovvero Italia e Germania, un target in grado di garantire prospettive analoghe? La risposta è no, ed è ancora più indigesta la possibilità – dopo l’eventuale rinuncia di Unicredit – che porterebbe a un matrimonio tra Bpm e Mps, che potrebbe essere completato da un perimetro destinato a espandersi a Mediobanca e Banca Generali. Ne nascerebbe un gruppo integrato, una piccola Jp Morgan italiana, che guarda caso è proprio il progetto accarezzato da Orcel fin da quando era merchant banker.Il dubbio è sui margini di trattativa con il Golden Power. In larga parte le prescrizioni – che hanno una durata di 5 anni – sono ispirate a un’idea di Unicredit che probabilmente va precisata negli ambienti di governo. In un’Italia dove l’azionario ha avuto ottime performance e i Btp hanno beneficiato di promozioni delle agenzie di rating e politiche di bilancio prudenti, mantenere l’esposizione di Anima a titoli italiani non è certo una iattura. E se è vero, come fa sapere Unicredit, che il mantenimento della rete di sportelli non è mai stato un problema e c’è una disponibilità ad aumentare il supporto alle imprese (incontrandosi a metà strada sulla richiesta di mantenere il rapporto depositi/impieghi di Bpm), allora l’unico nodo resta l’addio a Mosca. Ostacolo che col passare del tempo può farsi più piccolo (Unicredit sta riducendo le attività). LEGGI TUTTO