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    Un ponte tra accademia e impresa per il futuro del digital learning

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    In un’epoca in cui il lavoro cambia con una velocità inedita e la trasformazione digitale ridisegna ruoli e competenze, il volume Tecnologie per la formazione aziendale (Mondadori Università) rappresenta un’opera necessaria e tempestiva. Nato dall’incontro tra la ricerca accademica e la pratica aziendale, il manuale – a cura di Franco Amicucci e Paolo Ferri, con i contributi di Fabrizio Maimone e Francesca Scenini – affronta con rigore e chiarezza il tema della formazione digitale nelle organizzazioni, con un approccio sistemico e interdisciplinare.Il libro si distingue per il suo doppio registro: da un lato è pensato come manuale per studenti universitari, in particolare per coloro che si formano in ambito HR e formazione; dall’altro, è uno strumento operativo per i formatori aziendali, sempre più chiamati a padroneggiare un mix di metodologie e tecnologie in continua evoluzione. Questo duplice taglio è il punto di forza del volume: teoria e prassi si alternano in un dialogo continuo, arricchito da analisi storiche, casi concreti, riferimenti normativi e proposte metodologiche.Il testo parte da una riflessione critica sulla condizione italiana, dove – nonostante l’iperconnessione – i livelli di alfabetizzazione digitale restano preoccupantemente bassi. Il volume non si limita a fotografare il ritardo, ma offre strumenti concreti per colmarlo: una “cassetta degli attrezzi” per chi opera nella formazione, oggi chiamato a ripensare i modelli tradizionali alla luce delle tecnologie emergenti e delle nuove modalità di apprendimento.Uno dei contributi più originali è la ricostruzione storica del digital learning, dalle origini dell’e-learning alla più recente idea di apprendimento “nel flusso di lavoro”, che richiede l’accesso immediato e contestuale alla conoscenza. In questo contesto, il formatore assume un nuovo ruolo: da trasmettitore di contenuti a designer di esperienze, facilitatore, regista di un ecosistema ibrido e complesso.Ampio spazio è dedicato alle tecnologie emergenti – intelligenza artificiale, realtà aumentata, metaverso – e alle implicazioni etiche e organizzative della loro applicazione. Ma il libro non cede mai alla fascinazione tecnologica fine a sé stessa: ogni strumento è analizzato in relazione alla sua efficacia didattica e al suo impatto sull’apprendimento.A colpire è anche l’attenzione alle dimensioni informale e non formale della formazione, troppo spesso trascurate. L’autonomia del soggetto che apprende, il ruolo delle corporate academy, la learning agility e l’autoapprendimento diventano pilastri di una nuova ecologia della formazione, che richiede ambienti dinamici e strategie flessibili. LEGGI TUTTO

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    Reverse charge per contrastare l’evasione Iva

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    Negli ultimi anni il fenomeno delle false fatturazioni e dell’evasione Iva ha assunto proporzioni preoccupanti, soprattutto in alcuni settori economici. All’Erario mancano 15 miliardi di euro, poco meno di un settimo degli oltre cento miliardi di evasione annua. Un nostro lettore, Brunelli, che professionalmente si occupa proprio del contrasto a questi fenomeni, ha avanzato una proposta volta a contrastare queste pratiche fraudolente attraverso l’introduzione del meccanismo del reverse charge, un sistema già adottato in alcuni ambiti specifici.L’analisiLe operazioni di contrasto all’evasione fiscale e contributiva sono caratterizzate da un pattern ricorrente: spesso, infatti, si tratta di cittadini stranieri residenti in Italia che omettono completamente i versamenti Iva sul conto fiscale, generando un danno significativo per l’Erario. Molte di queste aziende utilizzano prestanome che vengono sostituiti ciclicamente, mentre la gestione reale resta nelle mani di soggetti non formalmente individuabili. Un ulteriore aspetto critico riguarda l’uso di fatture per operazioni inesistenti per abbattere il debito Iva, un meccanismo che ricorrentemente viene registrato dai media locali che danno maggiore risalto alle operazioni condotte da Finanza e Forze dell’ordine.Per ovviare a questa situazione il nostro lettore propone di applicare il meccanismo del reverse charge obbligatoriamente nei settori tessile e calzaturiero (caratterizzati da elevati livelli di evasione ma non soggetti alla reverse charge come l’edilizia e la sanità), o comunque per aziende con titolari o amministratori extracomunitari. Con questo sistema il committente riceverebbe una fattura senza Iva e sarebbe direttamente responsabile del versamento dell’imposta, eliminando così la possibilità di evasione da parte del fornitore.Le obiezioni della Cgia di MestreLa Cgia di Mestre, interpellata in merito, ha replicato alla proposta con un’analisi approfondita della normativa vigente, sollevando alcune criticità di carattere normativo e giuridico. Limiti imposti dalla Direttiva IVA 2006/112: Il reverse charge rappresenta una deroga al principio generale per cui l’Iva è dovuta dal soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio. Tale meccanismo può essere adottato solo nei casi espressamente previsti dalla Direttiva Europea, che limita l’applicazione del reverse charge a specifiche categorie di beni e servizi.Impossibilità di applicazione su base nazionale senza autorizzazione Ue: L’introduzione del reverse charge per settori non contemplati dalla direttiva richiederebbe una specifica autorizzazione della Commissione Europea. La Cgia nutre dubbi sulla possibilità di ottenere tale autorizzazione, in quanto il criterio proposto da Brunelli sembra basarsi sulla nazionalità del titolare piuttosto che sulla tipologia di transazione.Necessità di un procedimento formale: Qualsiasi estensione del reverse charge deve essere supportata da una richiesta formale alla Commissione Ue, che dovrà valutarne la conformità alla normativa vigente. La direttiva prevede solo due modalità di deroga: una richiesta ex art. 395 per contrastare l’evasione in modo strutturale, oppure una misura temporanea ex art. 199-ter per affrontare situazioni di emergenza fiscale. LEGGI TUTTO

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    Export in calo ad aprile: pesa l’annuncio dei dazi Usa

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    Il commercio estero italiano registra un rallentamento ad aprile 2025, segnando una flessione congiunturale del 2,8% per le esportazioni e un aumento modesto dello 0,3% per le importazioni. A comunicarlo è l’Istat, che evidenzia come il dato negativo sull’export sia fortemente condizionato dal crollo delle vendite verso i Paesi extra Ue (-7%), a fronte di un parziale recupero verso i partner comunitari (+1,5%).Sebbene il calo sia in parte spiegato da effetti statistici – in particolare il confronto con vendite straordinarie di mezzi di navigazione marittima registrate nei mesi precedenti – l’arretramento si inserisce in un contesto internazionale sempre più incerto e ostile per il commercio globale.A pesare, in particolare, è il clima negativo generato dall’annuncio dei nuovi dazi da parte dell’amministrazione Trump. Le misure protezionistiche statunitensi, che colpiscono vari comparti industriali europei, hanno riacceso le tensioni commerciali e alimentato timori di ritorsioni e contrazioni della domanda in mercati strategici. L’effetto si riflette nei dati: il Regno Unito – partner commerciale ancora rilevante malgrado la Brexit – segna un crollo delle importazioni italiane del 18,8%, mentre Turchia e Paesi Bassi registrano rispettivamente un -18,2% e un -8,7%.Il saldo commerciale si riduce drasticamente rispetto a un anno fa, attestandosi a +2,5 miliardi di euro (era +4,8 miliardi ad aprile 2024), mentre su base annua l’export cresce appena dello 0,4% in valore, a fronte di un calo volumetrico del 3,7% – segnale di un rallentamento reale degli scambi.Alcuni settori restano comunque trainanti, come il farmaceutico (+30,1%), i metalli di base (+5,5%) e l’agroalimentare (+4,6%). Ma la contrazione nei mezzi di trasporto, nei prodotti petroliferi raffinati e negli autoveicoli sottolinea la fragilità di comparti esposti alla domanda internazionale e alle catene globali del valore, già messe a dura prova negli ultimi anni. LEGGI TUTTO

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    Tasse 2025, cosa cambia con il decreto fiscale per lavoratori dipendenti e autonomi

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    Nel testo del decreto legge approvato in Consiglio dei ministri nella giornata di ieri, giovedì 12 giugno, sono state inserite una serie di urgenti disposizioni di natura fiscale per i lavoratori dipendenti e autonomi.Tra di esse spiccano quelle volte a semplificare la determinazione dei redditi da lavoro autonomo, come ad esempio quella che affronta la delicata questione della deducibilità delle spese di viaggio sostenute dal lavoratore all’estero, vitto e alloggio inclusi, anche nel caso in cui siano pagate con mezzi non tracciabili. Al contrario, così come accade per le imprese, per poter risultare deducibili le spese di rappresentanza vanno obbligatoriamente sostenute con strumenti di pagamento tracciabili sia in Italia che all’estero.Di sicuro uno degli scogli più grandi per quanto riguarda l’ultima finanziaria dal punto di vista applicativo era proprio la tracciabilità delle spese di trasferta. Così tanto che sia le aziende che gli stessi professionisti avevano chiesto dei chiarimenti fin dall’entrata in vigore a inizio anno del nuovo obbligo di tracciabilità.Sulla base di quanto determinato dalla legge di Bilancio, per quanto concerne il pagamento delle spese di trasporto e di vitto, è applicata una duplice stangata fiscale, dal momento che colpisce tanto il lavoratore quanto la ditta. Il primo “subisce” la tassazione del rimborso delle spese sostenute in trasferta, la seconda l’indeducibilità dei costi rimborsati ai suoi dipendenti. LEGGI TUTTO

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    Pensioni, che cosa cambia con i nuovi dati istat da luglio

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    I punti chiave

    Dal 2027 l’età pensionabile salirà a 67 anni e 3 mesi, in automatico, sulla base dell’incremento della speranza di vita certificato dall’Istat. Non si tratta solo di un aggiornamento tecnico: è una svolta che impatta sui bilanci pubblici, sulla spesa previdenziale e sulle scelte di vita di milioni di contribuenti italiani. Ecco tutto ciò che c’è da sapere.L’incrementoL’aumento è previsto dalla legge, che vincola l’età di pensionamento all’aspettativa di vita: più si vive, più si lavora. Ma il nodo economico è chiaro: il sistema pensionistico italiano, a ripartizione, deve mantenere un equilibrio tra chi versa e chi incassa, in un contesto di invecchiamento demografico e calo della natalità. Nel 2024, secondo l’Istat, il rapporto tra popolazione attiva e pensionati è sceso sotto 1,4:1, e senza correttivi strutturali è destinato a peggiorare.La pensione anticipataNel frattempo, anche la pensione anticipata si allontana: 43 anni e un mese di contributi per gli uomini, 42 e 1 per le donne, in un mercato del lavoro segnato da carriere intermittenti, discontinuità contrattuale e lavoro autonomo spesso precario. La Lega propone un congelamento dell’adeguamento, ma ogni deroga comporterebbe una crescita della spesa previdenziale, che oggi assorbe circa il 16% del Pil, uno dei livelli più alti in Europa. LEGGI TUTTO

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    Se hai uno di questi immobili devi pagare l’Imu anche sulla prima casa

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    Il prossimo 16 giugno i contribuenti saranno chiamati al versamento della prima rata dell’Imu, la tassa che tutti i proprietari di una seconda casa o casa di lusso sono tenuti a pagare.L’imposta municipale unica, come noto, non è dovuta per l’abitazione principale, cioè “l’unità immobiliare in cui il soggetto passivo e i componenti del suo nucleo familiare risiedono anagraficamente e dimorano abitualmente”.Inoltre, sono assimilati a prima casa specifiche fattispecie quali gli immobili che appartengono a cooperative edilizie a proprietà indivisa, i fabbricati destinati ad alloggi sociali, l’unità immobiliare assegnata al genitore affidatario e le unità immobiliari date in locazione a forze armate, forze di polizia, corpo nazionale dei vigili del fuoco.In taluni casi, però, anche sulla prima casa si è tenuti ad effettuare il versamento ed è il caso in cui l’immobile in questione rientra nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (cosiddette case di lusso).Ma cosa si intende per “case di lusso”? entriamo più nel dettaglio.Quali sono le case di lussoCome scritto sopra, i proprietari di immobili con categoria catastale A/1, A/8 e A/9 sono tenuti al versamento dell’Imu anche nel caso in cui questa rappresenti un’abitazione principale.Nello specifico, vengono comprese in queste categorie:La categoria A/1 comprende le abitazioni di tipo signorile.Con A8 le Ville.Con A9 i Castelli e palazzi di pregio storico o artistico.Non rientrano, invece, in questa categoria le case A7, cioè le villette che possono godere, pertanto, dell’esenzione Imu prevista per la prima casa.A fissare i criteri che individuano le case di lusso secondo il Fisco è l’art. 33 del d.lgs. 175/2014. Tra le caratteristiche principali che permettono la definizione di casa di lusso sono la superficie, che di norma dovrebbe essere superiore a 200 mq, la presenza di piscine di dimensione pari o superiore a 80 mq, l’ubicazione in aree di pregio e anche l’utilizzo di materiali di pregio tra cui, ad esempio, il marmo.Per calcolare l’IMU su una prima casa di lusso è fondamentale conoscere la rendita catastale, determinata dall’Agenzia delle Entrate in base alle caratteristiche dell’immobile e alla sua destinazione d’uso. LEGGI TUTTO

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    Il bilancio di tre anni di embargo verso Mosca: economia in recessione e bollette alle stelle

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    Era il 24 febbraio 2022 quando i carri armati russi varcarono il confine ucraino, scatenando non solo una tragedia umana ma anche un terremoto economico le cui scosse continuano a farsi sentire. A oltre tre anni dall’inizio del conflitto, il bilancio delle sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia è in chiaroscuro, con l’Italia e l’Europa costrette a fare i conti con bollette energetiche esplose, catene di approvvigionamento spezzate e un commercio internazionale in affanno. La guerra però continua.Se nel 2021 il Fondo Monetario Internazionale prevedeva per l’economia mondiale una crescita annua del 3,8%, oggi quel dato si è contratto al 3,3%, con l’Ue che ha subito il colpo più duro: +1,6% contro il +2,6% previsto. La frenata non è frutto del caso. Dietro questi numeri ci sono la crisi energetica che nell’autunno 2022 ha portato i prezzi dell’elettricità a triplicare, la stretta monetaria più aggressiva della storia dell’euro con la Bce che ha alzato i tassi di 400 punti base in un solo anno (anche se nell’ultimo anno sono stati tagliati fino al 2%) e il crollo dell’export verso la Russia e la Germania, quest’ultima sprofondata in recessione proprio per la sua dipendenza dal gas di Mosca. Ciononostante il commissario Ue all’Economia, Valdis Dombrovskis, ha recentemente affermato che sulle sanzioni «si sarebbe potuto fare di più».Per l’Italia il conto ammonta a 171,4 miliardi di euro tra il 2022 e il 2024, pari al 2,9% del Pil annuo. Una cifra che racchiude i 16,6 miliardi di mancate esportazioni verso Russia e Ucraina, i 22,9 miliardi persi nel commercio con la Germania e i 76,3 miliardi di maggiori costi per l’import di energia. Eppure, nonostante questo tsunami, il nostro Paese ha mostrato una tenuta migliore rispetto a partner come Francia e Germania, crescendo del 3,2% tra il 2021 e il 2024. Merito di un sistema produttivo diversificato, capace di assorbire meglio gli shock, ma anche di una dolorosa consapevolezza: la globalizzazione non è più un gioco a somma positiva. LEGGI TUTTO

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    Consob, il Tar respinge il ricorso Bpm

    Banco Bpm, da destra il presidente Tononi e l’Ad Castagna

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    Niente da fare per il ricorso di Banco Bpm. L’istituto guidato da Giuseppe Castagna si è visto respingere dal Tar del Lazio la richiesta di cancellare la delibera di Consob, che lo scorso 22 maggio ha sospeso per 30 giorni il periodo di adesione all’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Piazza Meda. Si tratta di un round vinto dal ceo di Piazza Gae Aulenti, Andrea Orcel, che vede cristallizzato il termine dell’Ops al 23 luglio con la speranza di ricevere buone notizie il prossimo 9 luglio. In quella data, infatti, i giudici amministrativi torneranno a esprimersi sul dossier Unicredit-Bpm, stavolta sul ricorso che la seconda banca italiana per attivi ha intentato contro le prescrizioni del Dpcm del governo ai sensi del Golden Power. In caso di vittoria, quel «20% o meno» di possibilità di andare avanti nell’Ops affermato nei giorni scorsi da Orcel diventerebbe molto più consistente.Dall’altro lato del fronte, il ceo di Bpm Castagna non appare per nulla domo dopo la sentenza dei giudici. «Prendiamo atto della decisione del Tar, anche se per noi non cambia il contesto», ha affermato insieme al presidente Massimo Tononi in una dichiarazione congiunta, «siamo ormai abituati da 7 mesi a non avere chiarezza sui tempi e sulle reali intenzioni dell’offerente su questa operazione». L’accusa nei confronti di Orcel, dalle parti di Piazza Meda, è che il banchiere per troppe volte abbia profilato la possibilità di tirarsi indietro dall’Ops senza mai arrivare a chiarire le sue reali intenzioni. Ma c’è un altro aspetto che sta a cuore all’istituto lombardo: «È innegabile che si tratta di un’Ops che ha una durata straordinaria (circa 8 mesi), contro una media delle ultime operazioni di 5 mesi. Inoltre, a causa della passivity rule, limita significativamente la nostra necessaria flessibilità strategica in un momento decisivo per il riassetto del settore del credito». I vertici di Bpm fanno notare, poi, che l’operazione è nata fin da subito «senza prermio» e che, ai valori attuali di Borsa, è a sconto tra il 7 e l’8 per cento «mentre nelle due precedenti operazioni straordinarie comparabili, il premio è stato del 45%» che se traslato sull’Ops di Unicredit equivarrebbe a «4,5 miliardi circa». Tononi e Castagna, infine, ribadiscono le loro preoccupazioni sulle cessioni di filiali proposte da Unicredit all’Antitrust europeo (209 sportelli). Levendite, in particolare, colpirebbero le province di Verona (dove la cessione di filiali sarebbe quasi totale, con 90 su 91 sportelli) e Novara (il 90% delle filiali). Da questi territori due associazioni di piccole e medie imprese – l’Api di Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli e la Confapi Industria&Impresa di Verona – si sono schierate contro l’Ops di Unicredit che acquisendo Bpm «potrebbe modificare la relazione tra banca e territorio in senso negativo» per le imprese. LEGGI TUTTO