Chi cerca trova. Non sempre, però. Ad esempio, nelle nostre grandi città è consueto non riuscire a trovare un taxi nelle ore di punta, e non solo. Leggo che a Milano in certe giornate il tentativo non va a buon fine nel 38% dei casi. A Roma si raggiunge il 44%, mentre a Napoli il disservizio tocca il 47%: musichetta, voce metallica e tanti saluti alla pazienza.
Le sacrosante lamentele dei consumatori si sprecano nel quasi disinteresse generale. Esse si scontrano con una regolamentazione che rappresenta un danno grave anche in termini economici. Si tratta di un mercato bloccato dove con le nuove licenze si procede a singhiozzo (sono poche e i tempi per il rilascio snervanti). E così la domanda resta insoddisfatta. La nostra mobilità urbana meriterebbe di vivere una vera stagione di liberalizzazione del servizio. Come succede da tempo in altri Paesi. E liberalizzarlo significherebbe l’avvio di un percorso di sistema aperto alla concorrenza. Laddove più soggetti – come taxi, Ncc e piattaforme digitali verrebbero ad assicurare al cliente una virtuosa pluralità dell’offerta e la fine di un deficit di cui ciascuno fa quotidiana esperienza nelle città italiane. Il settore necessita di semplificazioni. Quel che è stato fatto finora è un pannicello caldo. Le logiche di casta – altolà tipicamente illiberale – sembrano blocchi impossibili da rimuovere.
Urge un cambio di indirizzo culturale; vale a dire che il trasporto pubblico non coincide con il trasporto statale. L’equivoco, voluto, è tutto qui.
La svolta? Il decisore pubblico formuli regole certe (poche e chiare) con relativo rigoroso controllo; poi, la partita è legittimo che se la giochino operatori privati secondo il saggio criterio della concorrenza. Fine del monopolio e inizio di un vero mercato di mobilità urbana. Libero.
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