Torna forte l’appetito verso l’oro, bene rifugio per eccellenza. Il futures con scadenza aprile 2025 si è spinto fino a 2.853 dollari l’oncia al Comex di New York, frantumando il precedente massimo storico che risaliva allo scorso ottobre. Ieri un assist è arrivato dal dietrofront del dollaro statunitense a seguito del deludente Pil Usa, che si combina con la crescente incertezza legata agli effetti delle politiche che intende portare avanti l’amministrazione Trump. Proprio il timore in vista di un’imminente ondata di dazi trumpiani anche sulle materie prime ha innescato un aumento delle spedizioni di oro negli Stati Uniti, con conseguente carenza di lingotti nei caveau della Bank of England (Boe), la banca centrale britannica. Stando a quanto riferito dal Financial Times, i trader hanno accumulato scorte di oro per un controvalore di 82 miliardi di dollari nelle ultime settimane; l’attesa per il ritiro dei lingotti d’oro conservati dalla Boe è così lievitata da pochi giorni a un periodo compreso tra quattro e otto settimane a causa del boom delle richieste. I flussi totali di oro negli Stati Uniti potrebbero essere molto più alti in quanto ci sono state anche spedizioni a caveau privati di proprietà di Hsbc e JPMorgan. Contestualmente, dalle elezioni americane dello scorso novembre, trader e istituzioni finanziarie hanno spostato 393 tonnellate di oro nei caveau della borsa merci Comex di New York, comportando un’impennata delle scorte di quasi il 75%, arrivando a 926 tonnellate, livello più alto degli ultimi due anni e mezzo.
Tornando ai riscontri macro arrivati ieri da oltreoceano, il Pil della prima economia al mondo si è fermato a un +2,3% annualizzato nel quarto trimestre, deludendo le attese e innescando ulteriori acquisti sui Treasury i cui rendimenti sono ridiscesi a ridosso di area 4,5% (per il decennale).
Il prezzo del metallo prezioso ha guadagnato oltre il 6% questo mese proprio in virtù del calo dei rendimenti dei
Treasury e un dollaro in flessione. Un sostegno è arrivato anche dalla decisione della Federal Reserve di Jerome Powell di mantenere invariati i tassi di interesse, in quella che è stata considerata come una «pausa da falco».