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A parte la Lega, che ripete la narrazione che basta un piccolo “aggiustamento” della legge Calderoli e che la trattativa per il trasferimento di alcune materie alle regioni del Nord andrà avanti, nel resto della maggioranza spira un’aria gelida. Il deposito delle motivazioni della sentenza con cui la Consulta ha bocciato il 14 novembre scorso molti punti dell’autonomia differenziata targata Lega ha confermato quanto già era evidente dalla lettura del dettagliato comunicato stampa: l’intervento dei giudici è stato tale che non solo la legge Calderoli andrà di fatto riscritta, ma che potrebbero non esserci più i presupposti per celebrare il referendum la prossima primavera. L’attesa è dunque tutta per la decisione della Corte di Cassazione, che a giorni dovrà stabilire se dopo l’intervento della Consulta i due quesiti di abrogazione totale e parziale presentati dalle opposizioni, dalle regioni di centrosinistra e dai sindacati Cgil e Uil restano ancora in piedi o sono superati.
In base alla sentenza 68 del 1978 della stessa Consulta, il referendum non si tiene più se vengono superati «i principi ispiratori» o i «contenuti normativi essenziali», superamento che secondo molti osservatori è avvenuto con la pronuncia del 14 novembre. Secondo altri osservatori, invece, il referendum di abrogazione totale potrebbe comunque restare in piedi per quel (poco) che resta della legge Calderoli. Anche per la delicatezza della questione, e per i suoi riflessi politici, l’udienza della Cassazione inizialmente prevista per oggi è ora attesa per la prossima settimana, probabilmente il 12 dicembre. In questo modo anche i proponenti dei quesiti hanno più tempo, fino a lunedì 9 dicembre, per stendere la memoria affidata alla penna di Giovanni Maria Flick.
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Nell’attesa di una decisione che potrebbe cambiare il corso della legislatura, dunque, da Palazzo Chigi (e da Forza Italia) si evitano commenti. Anche se Giorgia Meloni ha agito con i fatti, mantenendo personalmente la delega sul Sud quasi a farsene protettrice. Se i quesiti dovessero essere dichiarati superati sarebbe proprio lei, la premier, a tirare il respiro di sollievo più grande: passare i prossimi mesi sotto il tiro delle opposizioni, divise su tutto ma per una volta unite, e al contempo dover difendere una legge che non ha mai sentito sua e che è stata sostanzialmente una concessione alla Lega non è una prospettiva allettante. Al contrario, in caso di mancato referendum, la riscrittura della legge Calderoli prenderebbe tempi lunghi proprio per far stemperare un tema altamente divisivo.
Tutto sommato lo stop al referendum converrebbe anche al Pd, vista la difficoltà di centrare il quorum del 50% più uno degli elettori in epoca di alta astensione. Gli unici attori a premere per il sì al referendum sono a conti fatti la Lega di Matteo Salvini e la Cgil di Maurizio Landini: i leghisti potrebbero intestarsi il mancato raggiungimento del quorum con l’argomentazione che in questo caso l’astensione vale come voto a favore; il leader sindacale ha invece bisogno del traino dell’autonomia per centrare l’obiettivo di cancellare l’odiato Jobs act renziano.