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    Le foto dell’eclissi totale di Sole

    Caricamento playerIn un’ampia area del Nord America lunedì è stata visibile un’eclissi totale di Sole: l’evento non è di per sé insolito – c’è un’eclissi all’incirca ogni anno e mezzo – ma ha attirato grandi attenzioni perché ha interessato un’area fortemente popolata e facilmente accessibile per le osservazioni. I media statunitensi da giorni si occupano dell’eclissi e moltissime persone si sono organizzate per osservare il fenomeno nelle aree in cui era visibile, anche spostandosi da altre regioni degli Stati Uniti. LEGGI TUTTO

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    Dobbiamo decidere che ora è sulla Luna

    Una delle cose che bisogna fare per procedere con il programma spaziale Artemis, pensato per riportare gli esseri umani sulla Luna, è stabilire che ora è sul nostro satellite naturale. È una questione più complicata di quanto possa sembrare e la NASA, l’Agenzia spaziale europea (ESA) e altre agenzie spaziali internazionali ci stanno lavorando da tempo. Sui giornali se ne riparla in questi giorni perché il 2 aprile il governo statunitense ha diffuso una circolare che riassume le ragioni per cui serve decidere un orario lunare standard entro la fine del 2026, indirizzata alla NASA stessa e a tutte le altre agenzie federali coinvolte.Sulla Luna la forza di gravità è inferiore a quella della Terra perché la Luna ha una massa inferiore a quella del nostro pianeta. La Teoria generale della relatività, formulata da Albert Einstein nel 1915, mette in relazione gravità, spazio e tempo, e comporta che il tempo misurato da due orologi scorre diversamente se sperimentano una attrazione gravitazionale diversa come quella della Terra e della Luna. Per un osservatore sul nostro pianeta, un orologio lunare va più veloce per via della differenza di gravità.
    Più specificamente un orologio sulla Luna inizialmente sincronizzato con uno sulla Terra sarebbe avanti di circa 56 microsecondi (cioè di 56 milionesimi di secondo) dopo 24 ore, di 112 dopo 48 ore e così via. Per la vita quotidiana sulla Terra durate nell’ordine dei microsecondi sono piuttosto trascurabili, ma si tratta di differenze che possono dare problemi quando bisogna programmare lanci di astronavi, allunaggi e orbite satellitari tra agenzie spaziali di 36 paesi diversi e aziende private. Sono tutte attività che necessitano estrema precisione.
    Per le missioni Apollo, che portarono esseri umani sulla Luna tra il 1969 e il 1972, la NASA utilizzò come indicazione temporale il fuso orario centrale degli Stati Uniti, perché l’agenzia spaziale aveva il proprio centro di controllo a Houston, in Texas. Ma si servì contemporaneamente anche del tempo trascorso dal lancio (mission elapsed time, abbreviato con MET) per evitare fraintendimenti con gli astronauti.
    Il programma Artemis però ha ambizioni maggiori rispetto alle missioni Apollo, tra cui la realizzazione di Gateway, una piccola base orbitale che sarà assemblata intorno alla Luna, e quella di un’eventuale base sul suolo lunare, e, sul lungo periodo, le basi per future missioni verso Marte. La misura del tempo serve per trasmettere informazioni sulle localizzazioni di oggetti in movimento, che nel caso di Artemis coinvolgeranno altre agenzie spaziali e aziende oltre alla NASA, e per tutte queste ragioni è necessario fissare un orario lunare standard di cui si tenga conto nelle comunicazioni tra Terra, satelliti, basi lunari e astronauti.
    Per stabilire questo orario, il “tempo coordinato lunare” (LTC), ci sono vari aspetti da tenere in considerazione, menzionati anche nella circolare del governo statunitense.
    Uno è che l’orario lunare dovrà essere riconducibile al tempo coordinato universale (UTC), il fuso orario usato come riferimento globale per la Terra, quello che fa da punto di partenza per calcolare tutti gli altri – ad esempio attualmente in Italia siamo nel fuso orario formalmente indicato come UTC+2, due ore avanti rispetto allo UTC. A certificare l’ora esatta nello UTC è l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU), una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite, grazie a una rete di orologi atomici, dispositivi estremamente precisi che sfruttano i livelli di energia (orbitali) degli elettroni all’interno degli atomi per calcolare il tempo con un margine di errore molto basso.
    Per decidere il tempo coordinato lunare la NASA, l’ESA e le altre agenzie spaziali coinvolte nel programma Artemis stanno considerando l’ipotesi di installare degli orologi atomici in punti diversi della Luna. Ne servirebbero almeno tre per ottenere una misura del tempo precisa che tenga conto di tutti gli effetti relativistici, dovuti principalmente alla gravitazione.
    Attualmente l’ora esatta dello UTC viene periodicamente trasmessa dalla Terra ai satelliti e alle sonde nello Spazio, in modo che siano sincronizzati con il fuso orario di riferimento. Avere degli strumenti che misurino il tempo in maniera affidabile e in autonomia direttamente sulla Luna ridurrebbe sensibilmente la necessità di sincronizzare di continuo l’orario dalla Terra, un’attività che richiede antenne terrestri potenti e un costante lavoro di aggiornamento, dunque un grande dispendio di energia per la trasmissione dei dati.
    Secondo i piani della NASA più aggiornati il primo allunaggio umano di Artemis avverrà nel settembre del 2026, mentre nel settembre del 2025 partirà una missione che porterà in orbita attorno alla Luna e poi di nuovo sulla Terra senza mettere piede sul satellite quattro astronauti. Anche la Cina progetta di portare delle persone sulla Luna: entro il 2030. L’India vorrebbe farlo entro il 2040.
    Come dice la recente circolare del governo statunitense, per definire il tempo coordinato lunare serviranno degli accordi internazionali tra i paesi coinvolti all’interno di Artemis (la Cina, così come la Russia, non lo è), e gli enti che già oggi si occupano degli standard di misura.

    – Approfondisci: Che ora è sulla Luna? LEGGI TUTTO

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    Henrietta Lacks «ha avuto giustizia»

    I discendenti di Henrietta Lacks, la donna le cui cellule sono state usate senza consenso per decenni nei laboratori di tutto il mondo rendendo possibili grandi progressi medici, hanno raggiunto un accordo con la Thermo Fisher Scientific, l’azienda statunitense di biotecnologie a cui avevano fatto causa nel 2021. La famiglia di Lacks aveva accusato l’azienda di aver continuato a riprodurre e a vendere le cellule della donna, chiamate HeLa dalle iniziali del suo nome, traendone profitto e tentando di assicurarsi i diritti di proprietà intellettuale sui prodotti che quelle cellule avevano contribuito a sviluppare, senza chiedere il consenso della famiglia o condividere i guadagni.Martedì 1 agosto, giorno in cui Henrietta Lacks avrebbe compiuto 103 anni se non fosse morta nel 1951, alcuni dei suoi discendenti hanno parlato durante una conferenza stampa dicendo di aver raggiunto con la Thermo Fisher un accordo extragiudiziale: i termini non stati resi pubblici ma la famiglia ha detto di aver ottenuto «giustizia» e di ritenere questo accordo «un sollievo». La Thermo Fisher, che ha sede nel Massachusetts, ha fatto una dichiarazione annunciando a sua volta l’accordo: «Le parti sono liete di essere state in grado di trovare un modo per risolvere la questione al di fuori del tribunale».La causa, come ha spiegato uno dei legali della famiglia di Lacks, si basava sul fatto che la Thermo Fisher avesse fatto la scelta consapevole di riprodurre in massa le cellule della donna, «approfittando di un sistema medico ingiusto dal punto di vista razziale». Nella causa si sosteneva che la scelta di Thermo Fisher Scientific di continuare a vendere cellule HeLa potesse «essere intesa solo come la scelta di abbracciare un’eredità di ingiustizia razziale radicata nella ricerca statunitense e nei sistemi medici».Henrietta Lacks era una donna afrodiscendente e lavorava nei campi di tabacco della Virginia, così come i suoi antenati schiavi. Morì per un tumore al collo dell’utero nel 1951, a 31 anni, nel reparto per sole persone nere dell’ospedale Johns Hopkins di Baltimora. Le cellule furono prelevate dal suo corpo mentre era in cura e sotto anestesia, e dopo la sua morte cominciarono a essere analizzate e sono state coltivate, replicate e commercializzate fino a oggi. Sono la prima linea cellulare umana immortalizzata (cioè con vita potenzialmente infinita) mai ottenuta e negli anni hanno reso possibili grandi progressi medici: tra le altre cose sono state usate per ottenere il primo vaccino contro la poliomielite, e nella ricerca sul virus del morbillo, sull’HIV e sull’ebola. Sono state anche le prime cellule umane di cui si sono contati i cromosomi e le prime a essere clonate.Né a Henrietta Lacks né ai suoi familiari fu però mai chiesto il consenso per usare quelle cellule. Non solo: fino agli anni Settanta nessuno nella famiglia Lacks seppe che erano così importanti. Successivamente, anche dopo che tutta la storia era stata resa pubblica e era stato generalmente riconosciuto che Henrietta Lacks avesse subito un’ingiustizia, la sua famiglia non ricevette per molto tempo alcuna forma di risarcimento.La storia di Lacks è stata raccontata nel libro La vita immortale di Henrietta Lacks della giornalista Rebecca Skloot, a cui si deve la notorietà fuori dal mondo scientifico della storia di Lacks, della sua famiglia e delle cellule HeLa. I proventi del libro e poi di un film del 2017 realizzato da HBO e interpretato da Oprah Winfrey hanno negli anni finanziato l’Henrietta Lacks Foundation, una fondazione che dal 2010 sostiene con borse di studio e altri aiuti economici le famiglie delle persone, soprattutto afrodiscendenti, i cui corpi e i dati biologici furono usati in passato nella ricerca scientifica senza consenso.Nel 2020 l’Howard Hughes Medical Institute, la più grande organizzazione non profit privata di ricerca biomedica degli Stati Uniti, aveva effettuato una grande donazione alla Henrietta Lacks Foundation provando a rimediare, almeno simbolicamente, agli errori del passato. Altre donazioni erano poi arrivate sia da parte di importanti scienziati che da aziende che si occupano di biotecnologie.Prima dell’accordo con la Thermo Fisher Scientific, nel 2013 i familiari di Lacks avevano ottenuto un altro risultato importante dopo che il sequenziamento del genoma delle cellule HeLa era stato inserito in una banca dati pubblica senza chiedere il loro consenso. La condivisione di quei dati era importante per molte ricerche scientifiche, ma costituiva anche una violazione della privacy della famiglia perché il genoma di una persona è in gran parte uguale a quello dei suoi familiari. Alla fine, la famiglia Lacks aveva raggiunto un accordo con il National Institutes of Health (NIH), agenzia del dipartimento della salute degli Stati Uniti: l’accesso ai dati sul genoma delle cellule HeLa è da allora regolato da un comitato di cui fanno parte due membri della famiglia.Durante la conferenza stampa, uno degli avvocati della famiglia Lacks, Chris Ayers, ha detto che presenterà delle cause simili a quella contro la Thermo Fisher contro altre aziende farmaceutiche o società di biotecnologie. «La lotta contro coloro che traggono profitto, e hanno scelto di trarre profitto, dalla storia e dalle origini profondamente immorali e illegali delle cellule HeLa proseguirà», ha commentato. LEGGI TUTTO

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    Gli Stati Uniti non lasciano in pace i limuli

    Negli Stati Uniti continuano a essere estratte grandi quantità di sangue blu dai limuli per effettuare test di sicurezza sui prodotti farmaceutici, nonostante sia disponibile ormai da tempo un’alternativa sintetica impiegata soprattutto in Europa. L’alta domanda del sangue dei limuli – che sono imparentati più con scorpioni, zecche e ragni che con i granchi – ha un forte impatto sulla popolazione di questi animali e sugli ecosistemi marini, anche perché la loro pesca non è sempre regolamentata a sufficienza.L’utilità del sangue dei granchi in ambito farmaceutico fu scoperta nella seconda metà degli anni Cinquanta dal ricercatore statunitense Frederik B. Bang, che spiegò come la sostanza fosse utile per immobilizzare i batteri, senza ucciderli. Nel sangue del limulo c’è infatti un composto chimico che rende possibile l’identificazione dei batteri: la sostanza si aggrega intorno a loro e crea una sorta di barriera, evitando che si formi una colonia batterica più grande. Per questo il composto viene solitamente indicato come “coagulogen” e negli anni è diventato sempre più importante per le aziende farmaceutiche, perché rende possibile l’identificazione di contaminazioni batteriche nelle sostanze che dovranno entrare in contatto con il nostro organismo, come per esempio un vaccino. Se nella soluzione da testare si forma un coaugulo dopo avere inserito il coagulogen, significa che questa è contaminata e che deve essere scartata.Gli Stati Uniti sono tradizionalmente tra i principali produttori di sangue blu, anche perché per molto tempo i limuli abbondavano lungo la costa orientale del paese, quella che dà sull’oceano Atlantico. Gli animali vengono raccolti a mano dalle spiagge, oppure pescati dai fondali utilizzando le reti. Dopo essere stati ammassati a centinaia, vengono trasportati agli impianti che si occupano di effettuare il prelievo del loro sangue. In ogni limulo viene inserito un lungo ago fino al suo cuore e viene avviata l’estrazione, con gli animali ancora vivi. La procedura porta a estrarre circa la metà del sangue in circolazione in ogni limulo.Al termine dell’estrazione, gli animali vengono restituiti ai pescatori, che hanno il compito di metterli nuovamente in mare. In altri casi, i limuli vengono venduti per essere uccisi e utilizzati come esche. Il tutto avviene nel contesto di una grande area grigia, perché molte regole adottate per tutelare gli animali in altri processi industriali non si applicano strettamente ai limuli. Vengono pescati, ma non per essere mangiati; sono impiegati per il settore farmaceutico, ma non negli iper regolamentati test clinici; sono sì animali, ma non a sangue caldo, di conseguenza non sono soggetti a molte leggi per la tutela dell’impiego degli animali in ambito sanitario.(Insider Business via YouTube)Secondo i dati raccolti da NPR, la radio pubblica statunitense, solo nel 2021 cinque aziende sulla costa orientale hanno estratto sangue blu da oltre 700mila limuli, il dato più alto registrato dal 2004 quando si è iniziato a tenere traccia delle attività intorno a questo animali. Si stima che il sangue estratto venga impiegato in media in 80 milioni di test effettuati in giro per il mondo. Il settore ha dunque continuato a espandersi, ma non è stato regolamentato e soprattutto non sono state introdotte iniziative per usare il metodo alternativo, che si ottiene attraverso processi di clonazione e senza disturbare i limuli.Un primo test alternativo fu reso disponibile nel 2003, ma la sua adozione era progredita molto a rilento anche in attesa di ricerche sulla sua affidabilità. Nel 2020 l’azienda farmaceutica statunitense Eli Lilly fu tra le prime ad adottarlo, in concomitanza con la pandemia da coronavirus e la necessità di verificare la sicurezza dei propri prodotti a base di anticorpi. La società dovette però richiedere una particolare autorizzazione alla Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale che tra le altre cose si occupa di farmaci, perché il test non era e non è ancora presente nella Farmacopea degli Stati Uniti, il codice farmaceutico contenente regole comuni per la qualità delle medicine.In Europa le cose erano andate diversamente perché già nell’estate del 2020 la Farmacopea europea aveva autorizzato e aggiunto il nuovo test, definendolo utile per avere un’alternativa e soprattutto per ridurre l’impatto sui limuli del prelievo di sangue blu, e in generale sugli ecosistemi marini. Un comitato di esperti dell’organizzazione omologa statunitense decise invece di non cambiare le cose, sostenendo che fossero necessari ulteriori approfondimenti. Due anni dopo il comitato fu sciolto, ma i membri di quello successivo non cambiarono orientamento e ancora oggi non ci sono notizie su una revisione delle regole per riconoscere in maniera più ampia e diffusa la sostanza alternativa al sangue blu dei limuli.Le aziende farmaceutiche hanno comunque margini per cambiare i metodi con cui svolgono i loro test, con le adeguate autorizzazioni come avvenuto nel 2020 con Eli Lilly. La grande azienda farmaceutica Roche ha iniziato a utilizzare la versione alternativa in alcuni processi di produzione e ha detto di volere estendere i test in altri ambiti, in modo da ridurre la dipendenza dal sangue blu. Molte altre società del settore preferiscono invece proseguire con il vecchio metodo, come dimostrato anche dall’aumento dei limuli coinvolti nei prelievi degli ultimi anni.A differenza del nostro, il loro sangue non è rosso ma quasi trasparente e assume una colorazione azzurro-blu appena entra in contatto con l’aria. Il fenomeno è dovuto all’ossidazione del rame presente nel loro sangue (nel nostro c’è il ferro, da qui il colore diverso). Dopo il prelievo vengono effettuati alcuni trattamenti per estrarre il coagulogen vero e proprio, che sarà poi utilizzato per i test. Non è chiaro quanto sia traumatico il prelievo per questi animali, che sembrano comunque riprendersi del tutto a pochi giorni di distanza dalla procedura. Alcune ricerche hanno indicato però che i prelievi rendono meno reattivi i limuli con evidenti conseguenze sulle loro capacità di riprodursi.Il sistema circolatorio dei limuli ricorda molto quello dei ragni ed è quindi diverso dal nostro. I limuli hanno ampie cavità che mettono direttamente in contatto il sangue con i tessuti, varchi ideali per i batteri che si trovano nella sabbia e che sono alla ricerca di un ospite da colonizzare. Il coagulogen evita che questo possa avvenire, incapsulando immediatamente i batteri formando il coagulo. Questa condizione ha permesso ai granchi di crescere in ambienti ricchi di batteri senza particolari problemi e di esistere da circa mezzo miliardo di anni.(AP Photo/Kathy Willens)Ora le loro popolazioni lungo la costa orientale degli Stati Uniti rischiano di ridursi sensibilmente, a quanto sembra non tanto per la pratica in sé dei prelievi, ma per il modo in cui i limuli vengono catturati sulle spiagge o rigettati in mare. Secondo documenti e registrazioni raccolte da NPR che riguardano le aziende che se ne occupano, gli operatori prendono i limuli soprattutto dalla coda, perché è più pratico e rapido, ma è sconsigliato perché può causare danni. Se si feriscono alla coda, questi animali sono più a rischio di non riuscire a girarsi, nel caso in cui si ribaltino trovandosi con le zampe all’aria. Il ribaltamento è una circostanza che si può verificare soprattutto quando le femmine si spostano dal fondale per deporre le loro uova.Maneggiarli in modo scorretto fa quindi aumentare il rischio che i limuli si riproducano di meno, peggiorando ulteriormente la situazione. I regolamenti su come trattarli sono decisi a livello statale, di conseguenza cambiano molto a seconda dei luoghi di raccolta così come cambiano le eventuali sanzioni nei confronti di chi non li rispetta.La minore disponibilità di limuli ha inoltre effetti sulle popolazioni di altri animali, come il piovanello maggiore (Calidris canutus, un uccello migratore diffuso in molte aree del mondo, ma che negli Stati Uniti è stato indicato come specie minacciata). Circa il 94 per cento di questi uccelli è scomparso negli ultimi 40 anni, in parte anche a causa della mancanza di quantità sufficienti di uova dei limuli, una importante fonte di energia per le loro migrazioni verso l’Artico.In una fase storica in cui si parla molto di sostenibilità e di impatto ambientale delle attività industriali, secondo i naturalisti sarebbe opportuno stimolare il dibattito anche intorno ai limuli e alle conseguenze del prelievo del loro sangue blu. L’alternativa altrettanto efficace per i test dovrebbe essere promossa soprattutto dalle istituzioni, in modo da indurre un cambiamento in un settore essenziale legato alla salute di tutti. LEGGI TUTTO

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    È stato approvato il primo vaccino per le api

    Questa settimana il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha approvato l’uso del primo vaccino per api al mondo. È un vaccino sviluppato dall’azienda biotecnologica Dalan Animal Health, che si occupa di salute degli insetti e sicurezza alimentare. L’obiettivo è quello di contrastare la diffusione di una malattia delle api detta “peste americana”, che è nata negli Stati Uniti e si è poi diffusa in tutto il mondo, causata dal batterio sporigeno Paenibacillus larvae.La peste americana è un problema molto serio per gli apicoltori perché è altamente contagiosa e non ha soluzione se non quella di bruciare le api infette e tutto l’alveare. L’amministratrice delegata dell’azienda Annette Kleiser ha definito l’approvazione del vaccino una «svolta nella protezione delle api da miele».Il vaccino di Dalan Animal Health prevede che una versione inattiva del batterio venga iniettata dagli apicoltori nella pappa reale di cui si nutrono le api regine, raggiungendo in questo modo anche le loro ovaie. Le api regine sono quelle che generano tutte le api dell’alveare, quindi è sufficiente vaccinare loro perché l’immunità al batterio si trasferisca a tutte le larve, che sono quelle suscettibili di infezione (che non colpisce invece le api adulte).Le infezioni in una colonia cominciano quando le giovani larve ingeriscono le spore di Paenibacillus larvae, che sono molto resistenti e possono sopravvivere in natura per oltre trent’anni. Le spore proliferano nell’intestino delle larve che muoiono lasciando resti altamente contagiosi per le altre larve e quindi portando a una rapida diffusione della malattia. Per gli apicoltori è piuttosto facile riconoscere quando un alveare è infetto perché le larve diventano vischiose e hanno un odore rancido.L’attenzione della ricerca scientifica e delle aziende biotecnologiche per le api deriva dal fatto che queste hanno un ruolo molto importante nell’equilibrio degli ecosistemi naturali grazie alla loro attività di impollinatrici, ma che sono da tempo in pericolo, oltre che per via di malattie come la peste americana anche a causa dei pesticidi usati in agricoltura e di alcune attività umane. Secondo i dati del dipartimento dell’Agricoltura, negli Stati Uniti il numero di colonie di api da miele è in costante calo dal 2006.Inizialmente il vaccino sarà distribuito solo ad alcuni apicoltori selezionati, ma si prevede che verrà messo in commercio già nel corso di quest’anno.– Leggi anche: Ci sono buone notizie per le api LEGGI TUTTO

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    Perché in Europa non c’è il gran freddo che ha colpito il Nord America

    Caricamento playerIl gran freddo che negli ultimi giorni ha colpito gli Stati Uniti, causando la morte di almeno 57 persone secondo il conteggio di NBC News, non è insolito. Periodicamente, durante l’inverno, grandi masse d’aria fredda si espandono sul Nord America portando tempeste di neve: era successo anche nel febbraio del 2021, quando in Texas si registrarono alcune delle temperature più basse dei precedenti 30 anni e almeno 250 persone morirono per le conseguenze.Questi fenomeni meteorologici sono legati al vortice artico, l’ampia area di bassa pressione che si trova sopra al Polo Nord. Sull’Europa non ha effetti analoghi per via delle diverse caratteristiche geografiche dei due continenti: mentre in buona parte degli Stati Uniti venivano registrate temperature inferiori alle medie stagionali degli ultimi decenni, infatti, in Europa ha fatto meno freddo del solito.The US braces for extreme cold weather but other parts of the world – including Europe and the Arctic – are unusually warm. Please heed all warnings and stay safe.Note that even in an era of climate change, we will still see cold weather.https://t.co/5bCBRoHfWj pic.twitter.com/6NlmFbuOos— World Meteorological Organization (@WMO) December 22, 2022In Canada e Stati Uniti il meteo dell’ultima settimana è stato profondamente influenzato da un’estensione del vortice artico. Generalmente il vortice è “trattenuto” sopra l’estremo Nord da una corrente a getto, cioè un veloce flusso d’aria che si trova a sud del Polo, che soffia da ovest a est e che è più caldo. La corrente a getto fa da barriera al vortice artico come se fosse il bordo di una ciotola: l’aria fredda sopra il Polo, che è più pesante, è arginata da questa aria relativamente più calda, che crea una specie di barriera. Ma quando le temperature nell’Artico aumentano, parte del vortice di venti freddi, che sono un po’ meno freddi, può oltrepassare il bordo della “ciotola”, superando i consueti limiti della corrente a getto e arrivando così sulle zone continentali.Quest’aria per il clima artico ha temperature maggiori del solito, ma rispetto alle temperature continentali è molto fredda e causa fenomeni meteorologici estremi, come le recenti tempeste di neve.Il Nord America e l’Europa si trovano a latitudini simili (quella di New York è simile a quella di Napoli). Tuttavia succede raramente che i due continenti siano colpiti contemporaneamente da ondate di freddo, e in Nord America questi fenomeni invernali sono molto più frequenti e intensi. Le ragioni delle differenze sono diverse, ha spiegato qualche giorno fa Giulio Betti, meteorologo del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e dell’AMPRO, l’associazione dei meteorologi professionisti.La prima è che sebbene anche l’Europa possa essere influenzata dal vortice polare, l’aria che la raggiunge passa prima sul Nord Atlantico invece che sul Canada: in generale d’inverno l’aria sulle masse di terra è più fredda di quella presente al di sopra degli oceani, e questo vale in particolare a nord dell’Europa per via della calda corrente del Golfo, la ragione principale per cui il clima nordeuropeo è più mite di quello canadese e nordamericano.Le coste nordamericane al contrario sono sottoposte all’influsso di correnti marine fredde. L’Europa invece può contare anche, oltre che sulla corrente del Golfo, sul mar Mediterraneo, un altro “serbatoio” di calore.– Leggi anche: Il freddo causato dal vortice artico è influenzato dal cambiamento climatico?Un’altra ragione per cui il Nord America è più esposto all’aria fredda proveniente da nord ha a che fare con le montagne. Le Montagne Rocciose, che si allungano da nord a sud dalla Columbia Britannica, in Canada, al Nuovo Messico, negli Stati Uniti, non costituiscono un ostacolo per i venti settentrionali. Viceversa contribuiscono a dirigerli verso est.In Europa la catena montuosa principale, cioè le Alpi, è invece disposta in senso latitudinale e quindi fa da barriera per l’aria fredda proveniente da nord, contribuendo al clima mite dell’Italia. Gli Urali, le montagne che dividono la Russia europea da quella asiatica, sono disposti in senso longitudinale, ma nonostante questo hanno a loro volta un ruolo che aiuta a bloccare l’aria fredda: quella che proviene dalla Siberia, cioè la grande massa continentale fredda più vicina. Questa regione è comunque molto più lontana dall’Europa rispetto alla distanza che c’è tra nord del Canada e Stati Uniti, dunque «non sempre riesce a influenzare le condizioni meteorologiche del continente», ha spiegato Betti.La neve e il freddo di questi ultimi giorni hanno colpito in modo particolare la contea di Erie, nello stato di New York, dove si trova la città di Buffalo: solo lì sono morte 27 persone, di cui la metà all’aperto, e si teme che questo numero possa aumentare. «Sfortunatamente stiamo ancora trovando cadaveri», ha detto lunedì il commissario della polizia della città Joseph Gramaglia, parlando delle attività di soccorso.– Leggi anche: Il riscaldamento globale c’è, anche se fa un gran freddo LEGGI TUTTO

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    Martedì gli Stati Uniti dovrebbero annunciare il primo esperimento di fusione nucleare con produzione netta di energia

    Secondo diversi giornali internazionali, martedì il dipartimento dell’Energia del governo degli Stati Uniti annuncerà il risultato di un importante esperimento in cui gli scienziati sono riusciti per la prima volta a realizzare una fusione nucleare con una produzione netta di energia (che cioè genera più energia di quella necessaria per innescarla): sarebbe la prima volta e rappresenterebbe una svolta fondamentale nelle ricerche che riguardano la produzione di energia tramite la fusione nucleare, una tecnologia che un giorno potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui produciamo energia elettrica sulla Terra. I risultati dell’esperimento erano già stati anticipati domenica dal Financial Times.Negli ultimi anni c’erano già stati esperimenti di fusione nucleare andati a buon fine, ma nessuno era mai riuscito a produrre più energia di quanta fosse necessaria per far funzionare i macchinari usati negli esperimenti (per questo si parla di “produzione netta” di energia). Il risultato è stato ottenuto dal Lawrence Livermore National Laboratory, in California.La fusione nucleare è la stessa reazione attraverso la quale si crea energia sul Sole e che lo tiene acceso: è un processo difficilissimo da ricreare sulla Terra, ma che potrebbe portare a ottenere energia senza la produzione di emissioni di anidride carbonica, un obiettivo che i ricercatori inseguono dagli anni Cinquanta. A differenza della “fissione nucleare” – il processo già in uso nelle centrali nucleari per la produzione di energia termica, che produce scorie radioattive altamente pericolose – la fusione può ottenere grandi quantità di energia con scorie trascurabili. Anche se, come sembra, il risultato sarà confermato, una produzione di energia stabile attraverso la fusione nucleare potrebbe essere lontana ancora decenni.– Leggi anche: C’è un importante progresso nella fusione nucleare Un’illustrazione che rappresenta il bersagliamento di un nucleo atomico da parte di raggi laser per raggiungere le condizioni necessarie alla fusione nucleare (Lawrence Livermore National Laboratory via AP) LEGGI TUTTO