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    L’intelligenza artificiale e quei mestieri che (ora) sembrano fantascienza

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    È tra gli argomenti più caldi e dirompenti del momento l’intelligenza artificiale. Non solo e non tanto perché abilita nuove funzioni, ma anche e soprattutto perché, a ritmo spedito, sta riconfigurando il mondo, stravolgendo gli equilibri di potere e impattando sulle economie, oltre a sollevare nuove questioni sia di etica e sia di sostenibilità dei sistemi. Non poteva che tenerne conto il Festival dell’Economia di Trento, che non a caso all’AI dedica ben nove panel, tutti secondo prospettive diverse e con ospiti di rilievo esperti in materia. A partire da Daron Acemoglu, premio Nobel per l’Economia 2024 e docente del Mit di Boston, che il 25 maggio interverrà sul tema «La lotta infinita tra potere e progresso nell’era dell’intelligenza artificiale». Altra presenza di spicco in arrivo è l’archistar Carlo Ratti, direttore del Massachusetts Institute of technology city lab, che torna al Festival per il secondo anno consecutivo per illustrare – domenica 25 maggio – come l’intelligenza artificiale sposta i confini dell’innovazione nel cambiamento delle città. LEGGI TUTTO

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    Perché la decisione di Moody’s fa tremare Trump e i mercati

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    Moody’s cala la scure sul debito pubbico americano. L’agenzia, infatti, ieri sera ha abbassato il rating degli Stati Uniti da “Aaa” a “Aa1”, togliendo di fatto al Paese l’ultima “tripla A” tra le tre grandi sorelle del credito internazionale. Una decisione che pesa come un macigno e che arriva in un momento delicato per l’economia a stelle e strisce.A preoccupare Moody’s è la traiettoria di progressivo peggioramento imboccata dal debito federale, arrivato a quota 36mila miliardi di dollari, il 98% del Pil. Ma soprattutto, ciò che manca – e che l’agenzia sottolinea senza giri di parole – è una strategia credibile per rientrare dal deficit. Gli interessi da pagare sul debito superano già la spesa per la difesa e rischiano di diventare, entro il 2035, la voce più pesante del bilancio pubblico, assorbendo fino al 30% delle entrate. LEGGI TUTTO

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    Moody’s declassa il rating degli Stati Uniti

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    Moody’s ha declassato il rating degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1. Gli Stati Uniti godevano della tripla A dal 1919 ma il cambiamento dell’outlook sul debito sovrano nel 2023 ha fatto optare per il taglio anche Moody’s, ultima delle tre grandi agenzie di rating che non aveva ancora effettuato un downgrade. Di fatto gli investitori non potevano più ignorare i 36mila miliardi di dollari di debito pubblico e i piani dell’amministrazione Trump per nuovi tagli alle tasse solo parzialmente coperti da quelli a sanità, transizione ecologica e welfare.Le motivazioni del taglio del ratingMoody’s ha abbassato il suo giudizio perché “se riconosciamo la forza economica e finanziaria degli Usa, crediamo che questa non compensi più il declino dei parametri fiscali”. In particolare «il debito federale è cresciuto bruscamente a causa dei continui deficit». Secondo l’agenzia di rating il deficit sarà “trainato principalmente dall’aumento dei pagamenti per interessi sul debito, dalla crescita della spesa per prestazioni sociali e da un livello relativamente basso di entrate fiscali”. La nota dell’agenzia è terminata così: “successive amministrazioni americane e il Congresso hanno fallito nel concordare misure per invertire il trend di ampi deficit fiscali annuali e di aumenti nei costi degli interessi. Non crediamo che le attuali proposte fiscali prese in considerazione porteranno a riduzioni pluriennali e materiali nelle spese automatiche e obbligatorie e nei deficit”. LEGGI TUTTO

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    Fisco, i professionisti sono più affidabili

    Marco Natali, presidente nazionale di Confprofessi

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    Lo studio condotto dall’Osservatorio delle libere professioni di Confprofessioni offre un quadro chiaro e inatteso: nel 2022, il 57 % dei liberi professionisti ha conseguito un punteggio ISA superiore a otto, contro il 44,1 % della media di tutti i contribuenti. «Un risultato che sfata il pregiudizio che il professionista sia un evasore e conferma invece la capacità dei nostri colleghi di essere i contribuenti più affidabili sul fronte della compliance fiscale», commenta con orgoglio il presidente di Confprofessioni Marco Natali, durante il webinar di presentazione del report.Ma da cosa nasce questo vantaggio strutturale? Il report individua due fattori principali. Da un lato, gli studi professionali a differenza di molte altre imprese hanno dovuto organizzarsi in fretta, adottando sistemi di rendicontazione rigorosi anche per rispondere alle crescenti esigenze di trasparenza dei committenti, specialmente pubbliche amministrazioni e grandi aziende. Dall’altro, il lavoro che molti professionisti svolgono, direttamente o indirettamente, con enti pubblici impone processi di controllo più stringenti, che a loro volta elevano la qualità complessiva della dichiarazione fiscale.Un contributo sostanziale arriva dalle nuove professioni, più strutturate e orientate alla digitalizzazione, che funzionano ormai come vere e proprie imprese, con sistemi di pianificazione e controllo di gestione all’avanguardia. «Le aggregazioni multidisciplinari spiega Natali permettono di offrire servizi più completi e qualitativi, di fronte alle esigenze sempre più complesse di imprese e cittadini». Questa trasformazione culturale, secondo il presidente, non solo migliora i risultati degli studi, ma si traduce anche in una compliance superiore.Non è però tutto rose e fiori: un confronto tra settori mette in luce il ritardo di altre categorie economiche. Il commercio all’ingrosso ha migliorato le proprie performance ISA, avvicinandosi al 41 % di affidabilità, mentre il commercio al dettaglio peggiora. Il manifatturiero si distingue come l’unico macrosettore a tenere il passo dei professionisti; il settore agricolo, invece, sprofonda al 37,2 % e segna un trend’ in calo.Guardando al futuro, il presidente di Confprofessioni riconosce i limiti degli ISA: «Sono uno strumento più grezzo dei precedenti studi di settore, ma comunque un passo avanti. Ciò che serve, però, è una revisione complessiva delle strategie di contrasto a evasione ed elusione. Occorre integrare le 161 banche dati dell’Amministrazione finanziaria e ripensare l’intero sistema fiscale». Natali individua tre pilastri su cui intervenire: semplificazione e riduzione degli adempimenti, equità orizzontale, cioè stesso prelievo a parità di reddito, e pari opportunità negli incentivi. «Se professionisti e imprese devono competere sullo stesso piano, vanno garantite a entrambi le stesse condizioni di accesso a bonus e detrazioni, a partire dall’ultimo decreto che finalmente ha riconosciuto la neutralità fiscale delle operazioni di aggregazione degli studi», ricorda. LEGGI TUTTO

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    “Nell’eolico un’occasione anche per gli addetti Ilva”

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    In un contesto ancora segnato dall’instabilità la sicurezza energetica nazionale torna centrale nel dibattito sulle fonti rinnovabili. Tra le tecnologie su cui l’Italia può contare per affrancarsi da oscillazioni esterne e sviluppare una filiera industriale nazionale, l’eolico offshore galleggiante rappresenta una delle opzioni più promettenti. Ne abbiamo parlato con Riccardo Toto, direttore generale di Renexia, che pone l’accento sul decreto Fer 2, il provvedimento che regola gli incentivi alle rinnovabili innovative, tra cui appunto l’eolico offshore.Dottor Toto, cosa modifichereste del decreto Fer 2?«Non coglie appieno l’opportunità di creare un’industria nazionale. Al largo delle nostre coste, come indicato nell’analisi di scenario Terna Snam, abbiamo un potenziale al 2040 di 15 Gigawatt che può essere sfruttato dalle turbine eoliche galleggianti. La previsione contenuta nel Fer 2 di soli 3,8 Gigawatt per l’eolico offshore sino al 2028 non costituisce una quantità sufficiente a far partire una industria nazionale. Inoltre, per partecipare alle aste basta il parere positivo della valutazione di impatto ambientale, non l’autorizzazione unica, che è l’atto che consente di avviare i lavori. In sostituzione dell’autorizzazione unica non è prevista alcuna garanzia e va sottolineato che il processo per ottenerla è quello che garantisce al territorio di avere voce in capitolo sull’investimento sulle aree di propria pertinenza. Così si rischia di favorire progetti che non hanno i requisiti per ottenere l’autorizzazione unica, penalizzando quelli realmente realizzabili, con ricadute negative sulla sicurezza energetica e quindi sui prezzi futuri. Inoltre, sarebbe utile e giusto inserire un obbligo da parte degli operatori dei campi eolici offshore a investire nel nostro Paese per la costruzione degli stessi. Mi riferisco soprattutto al fatto che c’è la reale possibilità di creare una grande filiera in questo settore, anche con il coinvolgimento di grandi realtà nazionali. Questo tipo di meccanismo lo riteniamo giusto e utile al fine di portare ricchezza al nostro paese ed è già adottato in altri Paesi».Le rinnovabili comportano oneri in bolletta per i cittadini«È un punto da chiarire. Attualmente gli italiani pagano in media 60 euro l’anno per incentivare vecchie rinnovabili, ma questi costi si esauriranno entro il 2030-2031. A fronte di 15 GW di nuovi impianti di eolico offshore galleggiante il costo sarebbe mediamente inferiore a 6 euro l’anno a famiglia, una cifra minima rispetto ai benefici ambientali, economici e industriali».Quali vantaggi economici porta l’eolico offshore?«Si tratta di una tecnologia innovativa in grado di creare nuove professioni e generare un giro d’affari di 60 miliardi di euro, con circa 10.000 posti di lavoro. Se la riscrittura del decreto prevedesse l’allaccio alla rete a partire dal 2031, in coincidenza con la fine degli attuali oneri in bolletta, l’impatto sarebbe ancora più sostenibile».La vostra fabbrica di turbine, la cui sede potrebbe essere ubicata a Taranto o a Brindisi, potrebbe offrire opportunità ai lavoratori ex Ilva?«Sì. Il nostro progetto prevede l’assunzione di circa 3.000 persone, a patto di poter produrre turbine per 2 Gigawatt l’anno; quindi, serve alzare il contingente a 15 Gigawatt. Anche il comparto acciaio sarebbe coinvolto: l’eolico offshore richiederebbe fino a 8 milioni di tonnellate, in linea con la riconversione di industrie oggi in crisi. È un’occasione concreta per creare un sistema nazionale autosufficiente, un progetto industriale di Paese sarebbe non solo opportuno ma giusto».Come si inserisce il progetto Med Wind in questo scenario?»Med Wind è il più grande progetto di parco eolico galleggiante del Mediterraneo e da solo può coprire il 3% del fabbisogno energetico nazionale. Con un investimento di oltre 9 miliardi, di cui 3 in Sicilia, prevede l’impiego di 1.000 persone nei 5 anni di costruzione e altrettante per i 30 anni di esercizio. È il volano ideale per la nascita della filiera industriale che auspichiamo. Lavoriamo con Regione Siciliana, enti locali e nazionali per sensibilizzare il governo sull’urgenza di rivedere il Fer 2 e sbloccare questi investimenti che guardano al futuro».Alla luce dei problemi in Spagna, come gestire l’integrazione dell’eolico offshore nella rete elettrica? LEGGI TUTTO