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    In Namibia è un brutto momento per i rinoceronti

    Nel 2022 il numero dei rinoceronti uccisi illegalmente in Namibia è quasi raddoppiato rispetto al 2021: sono stati 87, mentre l’anno precedente 45. Non era mai successo che così tanti rinoceronti morissero a causa del bracconaggio in un solo anno, stando ai dati del ministero dell’Ambiente, delle Foreste e del Turismo namibiano, che ha diffuso un aggiornamento lunedì.La Namibia, che si trova nel sud dell’Africa e si affaccia sull’oceano Atlantico, ospita la seconda più grande popolazione di rinoceronti bianchi (Ceratotherium simum) dopo il Sudafrica e un terzo dei rinoceronti neri (Diceros bicornis), che sono meno numerosi e a rischio di estinzione. Negli ultimi decenni entrambe le specie sono state decimate dalla caccia illegale, praticata da bracconieri interessati ai corni dei rinoceronti: sono molto richiesti come trofei ma soprattutto come ingredienti nella farmacologia tradizionale asiatica, richiesti in Cina e in Vietnam. Tra il 2011 e il 2021 furono quasi 10mila i rinoceronti uccisi illegalmente in Africa (più o meno un terzo della popolazione complessiva mondiale).Romeo Muyunda, portavoce del ministero dell’Ambiente namibiano, ha detto che sul totale di 87 rinoceronti uccisi 61 erano neri e 26 bianchi. Più della metà delle uccisioni sono avvenute nell’Etosha, il più turistico dei parchi nazionali della Namibia, che si trova nel nord del paese e ha un’estensione di 22mila chilometri quadrati: «Abbiamo notato con grande preoccupazione che il nostro parco nazionale più conosciuto, l’Etosha, è un’attrazione per il bracconaggio».Sia in Namibia che nei paesi vicini dove vivono molti rinoceronti, principalmente il Sudafrica e il Botswana, esistono da anni dei programmi di contrasto al bracconaggio, che tra le altre cose prevedono di tagliare i corni agli animali. I corni sono fatti di cheratina, la stessa sostanza di cui sono fatti i capelli e le unghie umane: a differenza delle zanne degli elefanti, che sono denti particolari, non contengono quindi terminazioni nervose, né hanno radici sensibili, per questo i rinoceronti non provano dolore se gli vengono segati. E come succede alle unghie, i corni ricrescono: servono circa due anni perché raggiungano le stesse dimensioni che avevano prima del taglio.Quando invece sono i bracconieri a tagliare i corni, lo fanno ferendo a morte i rinoceronti, che poi abbandonano a dissanguarsi.Servono molte risorse per tagliare i corni in maniera preventiva a un gran numero di rinoceronti, anche perché gli animali devono essere sedati per procedere con l’operazione. Per questo nonostante varie iniziative del genere la protezione dei rinoceronti continua a essere difficile.Secondo i dati dell’organizzazione Save The Rhino, in Africa vivono circa 22mila rinoceronti, di cui poco più di 6mila rinoceronti neri.– Leggi anche: Una delle strategie per proteggere i rinoceronti è tagliargli i corni LEGGI TUTTO

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    Exxon sapeva del riscaldamento globale fin dagli anni Settanta

    Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Science e basato su documenti interni della compagnia petrolifera Exxon rivela che l’azienda aveva a disposizione sin dagli anni Settanta un modello piuttosto accurato sugli effetti a lungo termine dei combustibili fossili sul clima.Per conto di Exxon alcuni ricercatori avevano previsto il riscaldamento globale, in misure simili a quelle effettivamente riscontrate finora. Oltre ad avere ignorato per decenni quei documenti senza renderli pubblici, l’azienda aveva a lungo contestato gli studi sul cambiamento climatico definendoli fino al 2013 «troppo incerti» e battendosi per evitare ogni limitazione all’uso dei combustibili fossili.Il nuovo studio pubblicato su Science, una delle più importanti riviste scientifiche al mondo, è stato condotto da un gruppo di ricerca dell’Università di Harvard e dell’Istituto Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico e guidato da Geoffrey Supran. Quest’ultimo ha definito le conclusioni dello studio e alcuni grafici originali degli anni Settanta in esso contenuti la «pistola fumante», ossia la prova definitiva che Exxon fosse a conoscenza degli effetti a lungo termine dell’uso dei combustibili fossili, a cominciare proprio dal petrolio e dal carbone.Non solo nel corso degli anni Exxon «sapeva qualcosa» sulle cause del riscaldamento globale che ufficialmente negava, ma ha avuto a disposizione modelli e risultati scientifici prima dei ricercatori indipendenti.Uno dei grafici “interni” e la sovrapposizione con i dati reali (Supran et al.)Gli oltre cento documenti e ricerche, condotte da dipendenti della stessa Exxon o commissionate dall’azienda petrolifera a ricercatori esterni fra il 1977 e il 2003, prevedevano un aumento della temperatura media globale di circa 0,2 °C ogni dieci anni come effetto delle emissioni di gas serra riconducibili alla combustione di petrolio e carbone. Le analisi smentivano la teoria, che all’epoca aveva un certo sostegno, che il pianeta potesse andare incontro a una nuova glaciazione e invece prevedevano in modo piuttosto accurato un riscaldamento influenzato dalle attività umane e «indotto dall’anidride carbonica». Gli scienziati della compagnia avevano indicato anche i primi anni del Duemila come la data in cui gli effetti sarebbero stati universalmente riconosciuti e “scoperti” dal grande pubblico e indicavano una quota di utilizzo di combustibili fossili sotto cui sarebbe stato necessario rimanere per evitare un aumento della temperatura media globale superiore ai 2 °C.– Leggi anche: Da dove arrivano le emissioni inquinantiLo studio definisce i risultati a disposizione di Exxon in quegli anni più accurati e completi rispetto a quelli con cui gli scienziati della NASA, e in particolare James Hansen, avvertirono il mondo dei rischi anni più tardi, nel 1988. Non è la prima pubblicazione che evidenzia come le grandi società petrolifere e aziende energetiche fossero a conoscenza degli effetti sulle temperature globali della combustione di petrolio e carbone: l’esistenza di ricerche interne in questo senso fin dagli anni Cinquanta dello scorso secolo è già stata dimostrata, ma questo studio presenta risultati più completi e circostanziati.Exxon è una delle più grandi compagnie petrolifere al mondo ed è proprietaria, fra gli altri, del marchio Esso con cui è sul mercato in Italia. Giovedì ha smentito queste conclusioni, contattata da BBC News: «La questione è già stata presentata più volte e in ogni occasione la nostra risposta è la stessa: chi dice che “Exxon sapeva” sostiene conclusioni errate».Exxon, così come altre grandi aziende del settore, per decenni ha respinto le conclusioni scientifiche sul riscaldamento globale causato dalle attività umane, definendole ora “speculative”, ora “cattiva scienza” e osteggiando fino a pochi anni fa ogni regolamentazione delle emissioni. Lo studio dell’Università di Harvard rivela invece che internamente la compagnia usava gli stessi modelli ed era a conoscenza degli effetti a lungo termine. LEGGI TUTTO