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    Viaggio di Meloni in Arabia saudita: in vista nuove cooperazioni. La premier oggi sul Vespucci

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaRafforzare la cooperazione, dalla Difesa ad altri settori strategici. Si inquadra in questa strategia la missione di Giorgia Meloni in Arabia Saudita, dove oggi salirà a bordo dell’Amerigo Vespucci, lo storico veliero della Marina impegnato in un tour mondiale, e poi domenica ad Al’-Ula, città patrimonio dell’Unesco, incontrerà il principe Mohammed bin Salman, prima di spostarsi lunedì in Bahrein per un’altra breve visita ufficiale.Sicurezza energetica e investimentiDa capo del governo Meloni ha scelto di impostare relazioni pragmatiche e ringraziando re Salman e l’erede al trono per gli auguri, appena insediata a Palazzo Chigi manifestò l’interesse alla «cooperazione in materia di sicurezza energetica, investimenti e diritti umani». I primi due capitoli sono fra i dossier centrali della missione in Arabia Saudita, inizialmente programmata in autunno e poi slittata.Loading…Intese da firmareAd Al’-Ula volerà anche una delegazione di imprenditori italiani, nonché manager di società partecipate. E saranno firmate intese. Ci sarà anche Roberto Cingolani, l’amministratore delegato di Leonardo, che un anno fa ha siglato un memorandum di intesa con l’Arabia Saudita per opportunità di collaborazione nell’aerospazio e difesa, e si accinge a definire un accordo in materia di elicotteri. Sullo sfondo c’è anche il concreto interesse dei sauditi a entrare a far parte del Gcap, il programma di Italia, Gran Bretagna e Giappone per la creazione di un nuovo caccia da combattimento: un avvicinamento su cui si starebbero facendo passi avanti.Riad attore strategicoPer Roma, Riad è un attore strategico nello scacchiere mediorientale: è condivisa la necessità di lavorare alla soluzione per due popoli e due Stati, e un dossier di comune preoccupazione è la libera navigazione del Mar Rosso, insidiata dagli Houthi. Il rapporto con i sauditi è strategico per il governo anche sul fronte del Piano Mattei, e i due Paesi sono con India, Usa, Ue, Francia, Germania ed Emirati Arabi Uniti, coinvolti nel progetto di corridoio economico fra India, Medio Oriente ed Europa. Bin Salman, con la sua Vision 2030, punta a una diversificazione dell’economia saudita oltre il petrolio, e l’Italia vuole porsi come partner privilegiato del Regno in questo percorso. Anche in questo senso, ad esempio, vanno il memorandum siglato nel 2023 tra i due governi per la promozione degli investimenti, e quello di una decina di giorni fa per rafforzare la cooperazione su transizione e sicurezza energetica. LEGGI TUTTO

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    Centrosinistra, la ricetta Franceschini scuote il Pd: «Andiamo da soli». Schlein: restiamo su temi concreti

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di lettura«When Pd is in trouble, follow Franceschini». Che tradotto dall’inglese maccheronico del Transatlantico significa che per capire dove va il Pd bisogna guardare dove va lui, Dario Franceschini: già segretario dem dopo Walter Veltroni, più volte ministro e parlamentare fin dove arriva la memoria dei cronisti, si è schierato con Bersani prima che Bersani vincesse le primarie, idem con Renzi, e contro tutti i pronostici idem con Schlein. Per questo il nuovo lodo franceschiniano, lanciato tramite classica intervista a Repubblica, fa discutere i dem di prima mattina: che vorrà dire? dove vuole andare a parare? Tanto che la stessa segretaria cerca e ottiene al telefono subitanee rassicurazioni: «Non è un messaggio contro la tua leadership, anzi punta a rafforzarla».Schlein: «Preferisco temi concreti»La replica della segretaria dem arriva il giorno dopo: «Preferisco i temi concreti, non entrerei in questo dibattito» si limita a dire Elly Schlein in un’intervistata al Mattino di Padova.Loading…Il lodo FranceschiniIntanto eccolo, il lodo Franceschini: «Si dice spesso che la destra si batte uniti. Io mi sono convinto che la destra la battiamo marciando divisi. I partiti sono diversi e lo resteranno, è inutile fingere che si possa fare un’operazione come fu quella dell’Ulivo», è la sua realistica analisi. Da qui la proposta: «Si vada ognuno per proprio conto, valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale. È sufficiente stringere un accordo sul terzo dei seggi che si assegnano con i collegi uninominali per battere i candidati della destra».Alleanza solo elettoraleNon si tratta, si spiega in giornata, di un liberi tutti. L’attuale Rosatellum prevede una scheda unica con il candidato del collegio uninominale e le liste dei partiti che lo sostengono, quindi non sono possibili desistenze vecchia maniera: l’alleanza va siglata. Ma un conto è un’alleanza “tecnica”, elettorale, un conto è la costruzione di una coalizione con un capo politico e con un programma dettagliato. Pochi punti in comune, visto che la presentazione di un programma dell’alleanza è prevista dal Rosatellum, e ognun per sé con i suoi temi da proporre agli elettori. Uno schema che per altro (ed è questa la rassicurazione data a Schlein) presuppone che il partito che prenderà più voti esprimerà il premier in caso di vittoria.Presa di distanza dal M5sTutto sommato lo schema non fa una piega, anche se non sembra poter scaldare i cuori, e serve da una parte a prendere le distanze dai continui diktat del leader del M5s Giuseppe Conte e dall’altra a legittimare la tanto evocata nascita di un partito centrista. «Per allargare l’offerta elettorale è utile un partito che parli di più ai moderati, che recuperi l’astensionismo di quell’area, che contenda i voti a Forza Italia», sottolinea Franceschini, che lancia anche un messaggio agli eredi del Cavaliere: «Se Berlusconi fosse rimasto in vita, non avrebbe accettato a lungo di stare in un centrodestra guidato dalla destra estrema… Con una legge tutta proporzionale Forza Italia sarebbe arbitra dei governi per i prossimi vent’anni». LEGGI TUTTO

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    Il fratello di Musk a Palazzo Chigi con Stroppa e la moglie di Bocelli. Incontro con Giuli e saluto a Meloni

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaVisita a sorpresa di Kimbal Musk, il fratello minore di Elon, a Palazzo Chigi. Con in testa un cappello da cowboy, che indossa di consueto, Kimbal Musk ha fatto il suo ingresso nella sede del governo intorno alle 16.30 assieme ad Andrea Stroppa, il referente italiano del patron di Tesla e SpaceX. «Lo abbiamo accompagnato in un giro in diversi ministeri per capire come funziona, abbiamo un progetto», ha spiegato – senza entrare però nei dettagli – Veronica Berti, moglie del tenore Andrea Bocelli, che era nel gruppo di persone con cui l’imprenditore americano è giunto in Piazza Colonna.Stretta di mano con MeloniLa tappa principale di questo mini-tour per ministeri, è servita per un incontro con il ministro della Cultura, Alessandro Giuli (con Giorgia Meloni solo una stretta di mano al volo in corridoio) e subito si è trasformata in un caso politico.Loading…La protesta delle opposizioniIl Pd, rilevando «con sconcerto che Palazzo Chigi sembra essersi trasformato in una dependance di Musk», ha chiesto, con Irene Manzi, di spiegare i contorni dell’incontro, di precisare il “misterioso progetto” che coinvolge i ministeri italiani. «Non siamo una colonia di Trump, esigiamo chiarezza», chiede con forza Elisabetta Piccolotti di Avs, mentre Riccardo Magi, da +Europa ironizza: «Con Kimbal Musk a Chigi siamo a Fratelli d’America», non mancando però di chiedere a Giuli di «chiarire in Parlamento».Giuli non si sbilanciaSi è parlato «solo di cose belle», ha replicato a stretto giro il ministro Giuli evitando però di entrare nei dettagli: «E’ troppo presto per anticipare» qualcosa, «però si parla di cose belle. Che riguardano l’Italia? Anche – ha risposto -, di più non posso dire sennò si va troppo avanti». Parole non sufficienti per i parlamentari dei 5 stelle in Commissione Cultura: «Giuli, in qualità di Ministro, ha il dovere di rispondere e non di fare battutine criptiche», hanno scritto ricordando che Palazzo Chigi è «una sede istituzionale» e «non casa sua» e che per questo «ha l’obbligo di spiegare pubblicamente cosa si sono detti, quali temi sono stati affrontati e quali eventuali accordi o progetti sono stati discussi».Da Kimbal Musk proposte per la valorizzazione culturaleUna serie di progetti per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano: è questo, a quanto filtra, l’oggetto dell’incontro a palazzo Chigi tra il fratello di Elon Musk, Kimbal, e il ministro della Cultura Alessandro Giuli. Nessun dettaglio nello specifico ma la precisazione che si tratti non di una ma di alcune proposte, “una serie di idee” da approfondire: di certo «non si è affatto parlato di Starlink», si precisa da ambienti ministeriali che sottolineano il fatto che il luogo scelto dipenderebbe solo dalla circostanza che «Giuli si trovava già lì». Né si dovrebbe trattare di progetti legati al settore musicale, come la presenza della moglie del tenore Andrea Bocelli potrebbe evocare. Trattandosi di personaggi di caratura internazionale «semplicemente si conoscono» e dovendo avere una serie di appuntamenti in Italia il fratello di Musk si sarebbe rivolto a persone con cui ha già dei contatti. LEGGI TUTTO

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    Soldi ai partiti, Fratelli d’Italia prima con 26 milioni. Per la Lega record di erogazioni liberali

    Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaA dieci anni dall’abolizione del finanziamento pubblico della politica i partiti continuano la loro ricerca di risorse per alimentare le proprie macchine organizzative. La cura dimagrante di personale e sedi ha permesso alla maggior parte dei bilanci di uscire dalle zone pericolose del disavanzo. Ma il carburante non è mai abbastanza. Lo dimostra il tentativo maldestro di cambiare l’intero sistema del 2 per mille (la quota dell’Irpef che il contribuente può destinare al sostegno dei partiti) con un emendamento del governo al decreto Fisco dello scorso novembre: l’obiettivo era quello cambiare la normativa in modo da destinare alle forze politiche anche la quota di chi non esplicita la scelta (l’inoptato che oggi rimane nelle casse dello Stato diversamente da quanto accade invece per l’8 per mille destinato alle confessioni religiose).Un movimento da cento milioni di euroSul provvedimento, come noto, è arrivato l’altolà del Quirinale e non se ne è fatto più nulla. Per ora. In compenso è salito di 4,691 milioni nel 2024 il tetto di spesa delle risorse che provengono dalla destinazione volontaria del due per mille dell’Irpef. Ci sono poi altri due “affluenti”: le quote associative e le erogazioni liberali (che sono per la gran parte versamenti fatti dagli eletti al proprio partito). E, infine, va citata una quarta risorsa, stavolta pubblica, che però è di natura diversa: si tratta delle fondi riservati ai gruppi parlamentari che sono riservati alle attività istituzionali e non alle iniziative di partito. La somma complessiva restituisce un numero tondo: circa 100 milioni complessivi per l’anno 2023. Più di un quarto (26 milioni di euro) appartiene a Fratelli d’Italia grazie ai 14 milioni di euro assicurati ai gruppi di Senato e Camera (i più numerosi nell’attuale Parlamento).Loading…Duexmille: scelte in crescitaIl due per mille è un meccanismo che continua a portare sempre più ossigeno alle casse dei partiti. Nelle dichiarazioni dei redditi del 2024 (anno d’imposta 2023) i contribuenti hanno destinato col due per mille una cifra pari a 29,79 milioni di euro (+23,8% sull’anno precedente). Per avere un termine di paragone, nell’edizione del 2015 erano stati erogati ai partiti 11,7 milioni di euro. Il Partito democratico continua a guidare la graduatoria e ha superato il tetto di 10 milioni di euro con 628.782 contribuenti che hanno scelto il partito guidato Elly Schlein. Al secondo posto Fratelli d’Italia che, dopo il balzo dello scorso anno (sfruttando la corrente ascensionale che ha portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi passò da 3,132 a 4,807 milioni di euro) continua a crescere anche se a un ritmo più moderato: è stato scelto da 382.457 contribuenti con un 5,658 milioni di euro. Completa il podio il M5s (239.240 cittadini con un importo spettante pari a 2,7 milioni). Se si sommano i numeri dei due soggetti in cui è stata divisa amministrativamente la Lega (la “vecchia” Lega Nord per l’Indipendenza della Padania e la nuova “Lega per Salvini Premier”) il quarto posto spetta al movimento guidato da Matteo Salvini (1,62 milioni di euro).Quote associative ed erogazioni liberaliUn’operazione di addizione va fatta anche per ricostruire il valore complessivo di quote associative ed erogazioni liberali della galassia leghista. La Lega vanta il primato alla voce dei contributi volontari: oltre 9 milioni di euro (mezzo milione arriva dal vecchio Carroccio) con la rete di “Leghe regionali” che raccoglie 4,2 milioni di euro. Un lungo elenco di contributori in cui a deputati e senatori si alternano a numerose società. Il primo partito di maggioranza, Fratelli d’Italia, raccoglie una somma maggiore per quote associative (2,878 milioni di euro) rispetto all’alleato di Governo ma le erogazioni liberali si fermano sotto quota 4 milioni di euro. Comunque un livello doppio rispetto alla principale forza di opposizione: da eletti e sostenitori il Pd ha ottenuto meno di due milioni (1,873). Cifra lontana dagli alleati-avversari del Movimento 5 Stelle (3,2 milioni) che però non può contare su quote annuali (e per questo perde terreno nella graduatoria complessiva). Nel 2023 Forza Italia ha incassato complessivamente contribuzioni per 2 milioni di euro: 700mila euro sono arrivati dalla famiglia Berlusconi (100mila a testa da ciascuno dei cinque figli di Silvio Berlusconi, altrettanti dal fratello Paolo e da Fininvest).Il contributo ai gruppi parlamentariCome detto, c’è una quarta fonte di finanziamento alla politica: il contributo ai gruppi parlamentari. Va detto che si tratta di risorse riservate a soggetti giuridici diversi rispetto al partito (i gruppi parlamentari devono presentare una propria rendicontazione annuale) e che hanno un vincolo di destinazione (attività istituzionali). Ma la “casa madre” è identica e permette di sommarle alle altre voci per arrivare a un totale complessivo. I fondi sono distribuiti in base alla consistenza numerica dei gruppi: Fratelli d’Italia, quindi, spadroneggia con 14,191 milioni tra Camera e Senato. Il Pd è lontano con 8,855. Il podio si chiude con 7,3 milioni di euro. Se si guardano a tutte le voci, Fratelli d’Italia è stato nel 2023 primo partito nelle urne ma anche nei contributi: 26,711 milioni di euro. Segue il Pd, unico sopra i 20 milioni. La Lega è leggermente sotto. A vincere la sfida centrista tra gli ex alleati Azione e Italia viva è la prima: 3,5 milioni per la formazione di Carlo Calenda contro i 3,1 milioni della creatura di Matteo Renzi. LEGGI TUTTO

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    Santanchè: no a dimissioni per falso in bilancio, passo indietro se andrò a processo per la Cig Covid

    Per il resto Santanchè tiene il punto: «Ci si difende nei processi, non ci si difende sui giornali, io sarò una che non patteggerò mai, vado fino in fondo».La Russa: credo Santanchè stia valutando. Lo farà beneDa registrare anche le dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa, considerato il padrinoi politico di Santanchè. «Credo stia valutando e sono sicuro che valuterà bene».Nuove rivelazioni di ReportIntanto Report, in una puntata che andrà in onda domenica, svela che l’uomo a cui la ministra ha ceduto Visibilia è «Altair D’Arcangelo, indagato per associazione per delinquere, evasione fiscale, frode, riciclaggio e autoriciclaggio». Il conduttore Sigfrido Ranucci ha scritto sui social: «Nel 2023 gli sono stati sequestrati 40 milioni di euro. È l’immancabile uomo che gestisce gli affari della Wip Finance, la misteriosa società anonima svizzera a cui Daniela Santanchè ha venduto Visibilia qualche settimana fa».In cerca di una exit strategyNella maggioranza molti sono convinti che, per fare un passo indietro, Santanchè voglia dalla premier una sorta di presa di responsabilità, che giustifichi il gesto per il bene del governo. Perché fino ad ora FdI ha tenuto una linea garantista con altri suoi esponenti rinviati a giudizio. Si starebbe cercando, insomma, una exit strategy. Un’ipotesi vagliata è stata quella di dare a Santanchè l’incarico di capogruppo al Senato, al posto di Lucio Malan che finirebbe al ministero. Ma il diretto interessato la liquida come «una voce infondata: il ministro è Daniela e noi la sosteniamo».Stessa reazione da parte di Gianluca Caramanna, deputato di Fdi e consigliere istituzionale del ministero del Turismo, indicato da molti come il possibile sostituto di Santanchè. «Sono solo chiacchiericci. Il nostro ministro sta lavorando molto bene. Andiamo avanti» ha detto da Madrid, dove partecipa alla fiera internazionale del turismo Fitur. LEGGI TUTTO

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    Perché il referendum sul Jobs act divide il Pd

    Ascolta la versione audio dell’articolo5′ di letturaIl meno che si possa dire è che la Corte costituzionale, decidendo di non ammettere il quesito di abrogazione totale della legge Calderoli sull’autonomia differenziata, ha scompaginato i piani di Elly Schlein. Anche se il quorum del 50% più uno degli aventi diritto sarebbe stato molto difficile da raggiungere (negli ultimi 25 anni il quorum è stato raggiunto solo una volta, nel 2011 su nucleare e acqua pubblica), agli occhi della segretaria del Pd la campagna referendaria di primavera aveva il compito di cementare attorno alla battaglia contro la legge “Spacca Italia” la futura traballante coalizione dei centrosinistra. Una coalizione divisa su molto altro, a partire dalla politica estera: appena mercoledì scorso si è visto in Aula alla Camera il solito copione sull’Ucraina, con il Pd che vota sì all’invio di armi assieme ai centristi (Italia Viva, Azione e Più Europa) e con il M5s fermamente contrario assieme ad Alleanza Verdi/Sinistra. Invece la foto di tutti i leader del campo largo davanti alla Cassazione per il deposito delle firme contro la legge Calderoli, ormai qualche mese fa, era lì a testimoniare che si poteva ripartire da un’importante battaglia comune.Senza più l’autonomia, restano in campo solo i quesiti divisiviE ora? Niente campagna di primavera contro il governo. A restare in campo sono gli altri cinque quesiti, tutti divisivi: quello che punta a facilitare la richiesta di cittadinanza italiana da parte degli stranieri (gli anni di residenza necessari scenderebbero da 19 anni a 5), presentato da Più Europa con il segretario Riccardo Magi, non è stato firmato da un M5s sempre attento a non intestarsi impopolari battaglie pro migranti fin dai tempi dei decreti sicurezza del governo Conte 1; e gli altri quattro contro quel che resta del renziano Jobs act, presentati dalla Cgil di Maurizio Landini, oltre ad essere naturalmente indigesti al leader di Italia Viva Matteo Renzi ed anche alla calendiana Azione, stanno provocando più di qualche mal di pancia all’interno dello stesso Pd. In pochi giorni, una vera e propria slavina.Loading…La battaglia schleiniana contro il Jobs act per recuperare l’asse con la CgilQui serve un piccolo passo indietro. Ai tempi del Jobs Act, la riforma del lavoro attesa a Bruxelles che mirava a cancellare l’articolo 18 per i nuovi assunti e al contempo ad estendere le tutele ai lavoratori autonomi e precari, Renzi era premier e segretario del partito e naturalmente tutti i democratici diedero il loro voto favorevole in Parlamento. Anche l’allora minoranza di sinistra di Pier Luigi Bersani. Nel frattempo il cuore della riforma, ossia il contratto unico a tutele crescenti, è stato fortemente ridimensionato dagli interventi della Corte costituzionale. E per di più l’effetto del referendum, se passasse, non sarebbe quello del ritorno al vecchio Statuto dei lavori ma il ripristino della successiva riforma del governo Monti, addirittura peggiorativa in materia di indennizzo per licenziamento senza giusta causa (24 mensilità invece di 36).L’obiettivo di “derenzizzizzare” il partito…Dunque, cui prodest? Chiaro che la motivazione principale della segretaria del Pd, che ha confermato il sostegno alla Cgil («io i quesiti sul Jobs act li ho firmati»), è per così dire strumentale: portare avanti la derenzizzazione del partito annunciata già durante la campagna per le primarie di due anni fa e, soprattutto, ricostituire l’asse privilegiato con la Cgil di Landini spostando decisamente a sinistra l’asse della proposta politica. «Sui temi economici e sociali Schlein ha registrato non solo un avanzamento elettorale ma anche una riconnessione elettorale ma anche una riconnessione sentimentale con mondi che ci avevano abbandonato – è la versione del Nazareno per bocca di uno dei fedelissimi della segretaria, Marco Sarracino -. Nella stagione del Jobs act rompemmo non solo con il sindacato (e qui si intende la sola Cgil, ndr) , ma anche con il mondo della scuola e con chi votò per il referendum sulle trivelle… Fu uno dei punti più bassi della storia politica»…. e la rivolta di cattolici e riformistiQuestione di punti di vista, certo, e nel Pd hanno sempre convissuto varie anime. Solo che mezzo partito non ci sta a veder buttare al macero la propria storia e ritiene assurdo e senza precedenti che un partito sostenga un referendum contro una riforma promossa dallo stesso partito solo pochi anni fa e solo per motivi ideologici, senza reali effetti pratici. Lo dice chiaramente il costituzionalista ed ex parlamentate del Pd Stefano Ceccanti, animatore lo scorso week end a Orvieto della kermesse dei riformisti di Libertà Eguale che ha visto il ritorno in campo dell’ex premier Paolo Gentiloni: «Il Pd che oggi va alla battaglia contro una riforma sostenuta ieri da tutto il Pd è un cortocircuito difficile da spiegare ai nostri elettori, un boomerang garantito – è l’allarme di Ceccanti -. Il mio invito è quello di ritirare la sola scheda sulla cittadinanza, non votando così sui quesiti sul Jobs act». E lo dice chiaramente anche il senatore dem Graziano Delrio, animatore della contemporanea kermesse di Milano dei cattolici democratici con Romano Prodi, Pierluigi Castagnetti e la new entry Ernesto Maria Ruffini: «Noi abbiamo approvato il jobs act, a suo tempo, per il superamento di diverse carenze nella difesa dei diritti dei lavoratori: le dimissioni in bianco, i cocopro, la precarietà, ed era previsto già da allora anche il salario minimo, battaglia del Pd. Sui punti specifici ci possono essere differenze ma non rinnego quello che facemmo, perché mandò avanti il Paese: non approvo il referendum, non mi pare che il complesso del Jobs act meriti una battaglia politica di cancellazione». LEGGI TUTTO

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    Telemarketing selvaggio, Maerna (FdI): entro l’estate possibile riforma a tutela degli utenti

    Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaEstate 2025, se non intervengono altre priorità legislative. È questo l’orizzonte temporale che si prospetta per il varo, almeno in prima lettura, di nuove norme contro le telefonate commerciali indesiderate secondo il relatore delle sei proposte di legge attualmente sul tavolo delle commissioni Trasporti e Attività produttive della Camera. Ospite di Parlamento 24, Umberto Maerna (FdI) ha fatto il punto sul fenomeno delle chiamate insistenti e ripetute da parte di call center commerciali moleste – fenomeno che interessa un po’ tutti i possessori di cellulare o di una utenza telefonica fissa – e sulle possibili norme di contrasto all’attenzione del Parlamento.Al momento, le norme in esame puntano innanzitutto a introdurre nella nostra normativa sulle chiamate commerciali imperniata sul Registro delle opposizioni il cosiddetto opt-in. “Significa che si richiede il consenso esplicito del consumatore a chiamarlo, in modo che non possa mai chiamare telefonate indesiderate”, spiega Maerna. Un’altra proposta riguarda le sanzioni: far sì “che siano più severe per chi non rispetta le regole, con la cosiddetta responsabilità solidale che estende la responsabilità non solo ai counselor che effettuano le chiamate ma anche alle aziende committenti e agli operatori delle telecomunicazioni”.Loading…Nodo spoofing e formazione dei call centerTema centrale anche l’introduzione di misure contro il cosiddetto spoofing, la pratica di falsificare il numero di telefono del chiamante, fenomeno in rapida crescita a livello globale. In pratica, si tratta di evitare che sui cellulari possano arrivare chiamate sconosciute, dando al consumatore la certezza di sapere chi cerca di contattarlo. Altre proposte prevedono un rafforzamento della formazione del personale dei call center, “per garantire che siano informati sulle normative vigenti” a tutela dei cittadini e l’istituzione di un Osservatorio nazionale, “che appunto garantisca che tutto venga eseguito secondo le norme che verranno auspicabilmente approvate”.I suggerimenti di consumatori e operatoriNel corso delle ultime settimane le commissioni IX e X hanno svolto una serie di audizioni per sentire il parere delle associazioni dei consumatori, degli operatori dei call center delle imprese del settore. Nel primo caso, il principale suggerimento è quella di “introdurre l’obbligo di registrare l’intera conversazione”, obbligo da attribuire agli operatori dei call center a maggiore tutela del cittadino-cliente contro pratiche commerciali scorrette e “per evitare tagli o misunderstanding nella comprensione” della proposta commerciale. Dal fronte degli operatori di telemarketing il timore, a fronte di un riassetto normativo, riguarda “la tutela dei livelli occupazionali e di formazione dei lavoratori”. Assoutenti “ha invece suggerito di istituire un registro delle autorizzazioni, non delle opposizioni. Cioè in pratica, non io (utente, ndr) che chiamo per dire non voglio le chiamate, ma io che chiamo per segnalare; ’chiamatemi pure’”. Federconsumatori ha infine segnalato “l’urgenza di contrastare il fenomeno dello spoofing, che genera danni patrimoniali”, contro il quale occorre garantire la riconoscibilità delle numerazioni. LEGGI TUTTO

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    Piantedosi: «Almasri espulso perché pericoloso»

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaIl cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish è stato rilasciato nella serata del 21 gennaio «per poi essere rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto. Il governo ha dato la disponibilità a rendere un’informativa di maggiore dettaglio sul caso in questione. Sarà quella l’occasione utile per approfondire e riferire su tutti i passaggi della vicenda, ivi compresa la tempistica riguardante la richiesta, l’emissione e l’esecuzione del mandato di cattura internazionale, che è poi maturata al momento della presenza in Italia del cittadino libico». Così il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi al question time al Senato sul caso Almasri.«A seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma – ha continuato -, considerato che il cittadino libico era “a piede libero” in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte Penale Internazionale, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato» ai sensi della legge. «Il provvedimento è stato notificato all’interessato al momento della scarcerazione e, nella serata del 21 gennaio, ha lasciato il territorio nazionale». Per Piantedosi l’espulsione in quel momento «era la misura più appropriata, anche per la durata del divieto di reingresso».Loading… LEGGI TUTTO