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    Mps in roadshow per Mediobanca

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    Il ceo di Mps, Luigi Lovaglio (foto), ha concluso ieri a Londra la prima serie di incontri con fondi comuni e investitori istituzionali a cui ha spiegato il senso e la bontà dell’offerta di scambio su Mediobanca. Non vi sono conferme, anzi sono più le smentite, sul fatto che tra i fondi incontrati vi fossero anche gli esponenti di Blackrock, uno dei principali soci istituzionali di Piazzetta Cuccia (possiede il 4,23% del capitale). L’esito degli incontri viene però commentato positivamente da ambienti vicini a Siena. Una conferma di ciò viene del resto anche dal comportamento dei due titoli in Borsa, con Mps che ieri ha chiuso alla pari (-0,1%) e Mediobanca che ha migliorato leggermente (+0,6%). LEGGI TUTTO

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    Cdp spinge per la rete unica. “Oggi assetto non ottimale”

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    La compresenza contemporanea di FiberCop e di Open Fiber nel panorama nazionale della fibra ottica non è un sinonimo di efficienza. Parola di Dario Scannapieco, ad di Cdp (socia di maggioranza di Open Fiber col 60% e presente nella concorrente attraverso F2i; ndr). «Oggi l’assetto industriale di quel settore non è ottimale e ci sono duplicazioni», ha dichiarato ieri a margine del Forum Multistakeholder a Milano. Proprio FiberCop ha registrato di recente le dimissioni dell’ad Luigi Ferraris dopo meno di sette mesi dalla sua nomina, perché convinto della necessità di almeno 3 miliardi di investimenti in più rispetto alle stime per rinnovare una rete fissa ormai datata. Parallelamente, Open Fiber si trova alla vigilia di un aumento di capitale da un miliardo di euro per garantire l’operatività del gruppo e completare la rete entro giugno 2026. L’operazione sbloccherà altri 2 miliardi di finanziamenti bancari.Con la sua sintesi Scannapieco ha sostanzialmente interrogato gli addetti ai lavori sul cui prodest. L’idea di una rete unica nazionale appare come una soluzione per ottimizzare gli investimenti e garantire una copertura più ampia ed efficiente del territorio nazionale. E forse non è un caso che in FiberCop per lo sviluppo della rete sia arrivato un ex Open Fiber come Stefano Paggi. In ogni caso la discussione riguarderà gli investitori privati e pubblici. Scannapieco ha, inoltre, escluso per ora un aumento del proprio coinvolgimento in Tim per il 23,7% di Vivendi che è oggetto di attenzione da parte di primari gruppi di private equity come Cvc, Apax e Bain. «Cdp ha una quota del 9,8% e per il momento non abbiamo contezza di altre cose», ha tagliato corto. Lo stesso contegno viene tenuto nei confronti di Aspi anzi, per meglio dire, di Hra, la holding che ne detiene l’88,6% e che vede Cdp al 51% e Blackstone e Macquarie con il 24,5% ciascuno. «Il dialogo con i fondi rispetto al piano di Autostrade per l’Italia procede costruttivamente», si è limitato a dire Scannapieco che, anche qui, deve mediare tra esigenze di investimenti e di ritorno economico. LEGGI TUTTO

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    StM, con l’utile a picco crolla in Borsa del 10%

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    Cortocircuito in casa Stm dopo i conti del quarto trimestre 2024. A mandare in tilt il titolo dei chip italo-francesi, che ha perso il 10,7% a 21,21 euro (ai minimi dal 2020), non sono stati però solo gli ultimi numeri di bilancio. A pesare sono state più che altro le previsioni sul primo trimestre, inferiori alle attese degli analisti; la domanda debole prevista nei settori industriali e automobilistico; e una «mancanza di visibilità sul 2025» come ammesso dallo stesso ad Jean-Marc Chery.«La flessione odierna è meno drastica rispetto al crollo del 25 luglio scorso (che ha visto evaporare 4,6 miliardi di euro di capitalizzazione, con un -13%), ma più marcata rispetto al -2,81% registrato dopo la pubblicazione dei conti del terzo trimestre», rileva Gabriel Debach, analista di eToro secondo cui «dopo il downgrade di Barclays con target abbassato a 20 euro e rating declassato a underweight (sottopesare in portafoglio) il mercato sembra sposare questa visione». Per il primo trimestre del 2025 l’attesa è di ricavi netti per 2,51 miliardi di dollari contro una stima media degli analisti di 2,73 miliardi di dollari, secondo quanto riportato da Bloomberg. Per Stm il prossimo «sarà un anno di transizione: è troppo presto per dare visibilità o guidance sul 2025, ma pensiamo che sarà possibile accelerare la nostra crescita nel 2026 e nel 2027», ha spiegato lo stesso Chery. LEGGI TUTTO

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    Renexia stringe sul maxi-parco eolico

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    Il più grande parco eolico offshore galleggiante del Mediterraneo sta prendendo forma. La nuova frontiera dell’energia pulita fluttuerà sulle onde con Med Wind, il principale progetto di Renexia, la società del Gruppo Toto attiva nelle rinnovabili e guidata dal direttore generale Riccardo Toto. Attualmente è in corso l’iter autorizzativo dell’impianto, per il quale l’investimento totale ammonta a oltre 9 miliardi di euro, con ricadute a livello regionale e nazionale e ulteriori investimenti per i 25 anni di gestione.Med Wind prevede fino a 190 turbine, ormeggiate a oltre 80 chilometri dalla costa trapanese, con 2,8 gigawatt di potenza installata con due corridoi di esportazione collegati alla Sicilia. «Nell’attuale contesto socioeconomico è importante incrementare la produzione nazionale di energia derivante dall’eolico offshore», ha affermato Toto, intervenuto ieri all’evento La Ripartenza, organizzato a Milano dal vicedirettore del Giornale, Nicola Porro. Così ha spiegato «limiteremo le oscillazioni del costo dell’energia, soggetto alle crisi internazionali, perseguendo un efficace ed equilibrato energy mix, che a sua volta deve tener coto delle tecnologie capaci di raggiungere gli obiettivi di breve, medio e lungo periodo». Med Wind soddisferà il 3% del fabbisogno energetico complessivo del Paese, incrementando del 45% l’energia prodotta in Italia da fonte eolica. Per completare un progetto così ambizioso, Renexia punta a realizzare una filiera industriale specializzata che possa garantire una produzione italiana di turbine eoliche.Ad agosto è stato firmato un protocollo d’intesa con MingYang, uno dei più grandi produttori al mondo di turbine, e il Mimit, proprio per avviare un modello industriale che in Europa ancora non esiste, con la realizzazione di una fabbrica sul suolo nazionale. LEGGI TUTTO

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    Generali pronta a smarcarsi sui Btp

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    nostro inviato a VeneziaLa spinosa questione Natixis ruba la scena in riva alla Laguna al nuovo piano industriale delle Generali, il quarto a firma Philippe Donnet. All’Investor Day svoltosi ieri a Venezia, il ceo del Leone di Trieste ha cercato a più riprese di liquidare la faccenda, non senza una certa vis polemica. A contribuire a spostare nuovamente il radar sui rischi dell’intesa con i francesi sono state le parole pronunciate dal direttore finanziario del gruppo triestino, Cristiano Borean. Alla domanda se durante l’arco del piano l’ammontare di Btp in pancia a Generali – attualmente di circa 36 miliardi – aumenterà o diminuirà, il cfo non ha colto l’assist per rassicurare, anzi. «La strategia che il gruppo sta perseguendo – ha risposto – è quella di continuare la diversificazione non solo su Btp e titoli governativi, ma sull’intera asset allocation sulle diverse asset class». «Inoltre ha aggiunto Borean – stiamo valutando le ultime evoluzioni della nuova Solvency II che sarà nota credo l’anno prossimo e che permetterà di avere una maggiore comprensione di quale sia l’intensità di capitale richiesta per questo tipo di investimenti».Dal canto suo Donnet ha difeso a spada tratta la joint venture con Natixis, definendola «una fantastica opportunità, unica e trasformativa» relativamente al business del risparmio gestito, che permette di fare un salto in avanti, mantenendo il completo controllo degli asset di Generali. Qui il manager transalpino con passaporto italiano tira fuori dal cilindro due esempi problematici Pioneer e Axa IM, entrambe cedute in toto rispettivamente da Unicredit e Axa per dare maggiore enfasi al fatto che Trieste invece manterrà il 50% della nuova società. «Si fa molta confusione tra il proprietario dell’asset e il gestore dell’asset. La decisione di investimento rimane saldamente in mano a Generali. Anzi, sarà anche meglio rispetto a prima in quanto avremo più controllo sugli investimenti, non daremo mandati di gestione a società terze a cui poi vanno anche pagate le commissioni», ha tagliato corto Donnet. Il quale, incalzato a più riprese su questo tema spinoso – che coinvolge 630 miliardi di risparmi degli italiani – si è mostrato stupito del fatto che nessuno obietti nulla quando alcune casse di previdenza italiane danno mandati di gestione a società americane.«Siamo più forti che mai», ha ribadito più volte il ceo anche in riferimento alla ricanditatura sua e del suo team in vista dell’assemblea di maggio convocata anche per il rinnovo del cda. Il piatto forte del nuovo piano è la maggiore remunerazione dei soci con oltre 7 miliardi di dividendi nell’arco del triennio, cui si aggiungono almeno 500 milioni l’anno di buyback. L’utile per azione è visto segnare un più 8-10% medio annuo con flussi di cassa netti attesi superiori a 11 miliardi (dai 9,5 miliardi del piano 2022-24); prevista una crescita media annua del risultato operativo pari all’8-9% nel settore Danni e del 4-5% nel settore Vita. Gli investimenti su intelligenza artificiale e tecnologia ammonteranno a 1,2-1,3 miliardi, mentre per l’M&A la dote prevista è di 1,5 miliardi. LEGGI TUTTO

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    L’oro balza al picco di 2.850 dollari mentre i caveau londinesi si svuotano

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    Torna forte l’appetito verso l’oro, bene rifugio per eccellenza. Il futures con scadenza aprile 2025 si è spinto fino a 2.853 dollari l’oncia al Comex di New York, frantumando il precedente massimo storico che risaliva allo scorso ottobre. Ieri un assist è arrivato dal dietrofront del dollaro statunitense a seguito del deludente Pil Usa, che si combina con la crescente incertezza legata agli effetti delle politiche che intende portare avanti l’amministrazione Trump. Proprio il timore in vista di un’imminente ondata di dazi trumpiani anche sulle materie prime ha innescato un aumento delle spedizioni di oro negli Stati Uniti, con conseguente carenza di lingotti nei caveau della Bank of England (Boe), la banca centrale britannica. Stando a quanto riferito dal Financial Times, i trader hanno accumulato scorte di oro per un controvalore di 82 miliardi di dollari nelle ultime settimane; l’attesa per il ritiro dei lingotti d’oro conservati dalla Boe è così lievitata da pochi giorni a un periodo compreso tra quattro e otto settimane a causa del boom delle richieste. I flussi totali di oro negli Stati Uniti potrebbero essere molto più alti in quanto ci sono state anche spedizioni a caveau privati di proprietà di Hsbc e JPMorgan. Contestualmente, dalle elezioni americane dello scorso novembre, trader e istituzioni finanziarie hanno spostato 393 tonnellate di oro nei caveau della borsa merci Comex di New York, comportando un’impennata delle scorte di quasi il 75%, arrivando a 926 tonnellate, livello più alto degli ultimi due anni e mezzo.Tornando ai riscontri macro arrivati ieri da oltreoceano, il Pil della prima economia al mondo si è fermato a un +2,3% annualizzato nel quarto trimestre, deludendo le attese e innescando ulteriori acquisti sui Treasury i cui rendimenti sono ridiscesi a ridosso di area 4,5% (per il decennale). LEGGI TUTTO

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    “I dazi sui fertilizzanti russi danneggeranno gli agricoltori italiani”. L’allarme di Coldiretti e Filiera Italia

    Ettore Prandini

    Le nuove sanzioni sui fertilizzanti provenienti dalla Russia e dalla Bielorussia sono “sbagliate” e rischiano di provocare un ulteriore aumento dei costi per gli agricoltori europei. È quanto denunciano Coldiretti e Filiera Italia dopo la presentazione da parte della Commissione europea di una proposta che prevede l’innalzamento delle tariffe sui fertilizzanti originari o esportati direttamente o indirettamente dai due Paesi nel mercato dell’Ue. L’aumento graduale previsto porterà, dopo tre anni, a una tariffa aggiuntiva sul dazio compresa tra 315 e 430 euro per tonnellata. Durante il periodo transitorio, queste “tariffe proibitive” si applicheranno anche alle merci importate oltre determinati volumi. Inoltre, le importazioni dai due Paesi non potranno beneficiare dei contingenti tariffari che attualmente permettono l’accesso al mercato con tariffe più basse. “Si tratta di un provvedimento che per i fertilizzanti provocherà un ulteriore aumento del prezzo rispetto a quanto già registrato nell’ultimo periodo, considerato che l’Ue è fortemente dipendente dal mercato estero e si rifornisce tradizionalmente da un gruppo ridotto di fornitori, tra cui proprio i due Paesi oggetto del provvedimento”, affermano Coldiretti e Filiera Italia.Le associazioni sottolineano che “non possiamo accettare un aumento dei costi che vada a penalizzare le nostre imprese rispetto a fattori di produzione di cui l’Europa ci ha reso dipendenti da Paesi terzi”. Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, evidenzia che “la fine della guerra è certamente la priorità assoluta, ma dobbiamo tuttavia avere ben chiaro che nelle trattative di una possibile pace si discuta anche la venuta meno delle sanzioni alla Russia, che per noi hanno chiuso un mercato di grande interesse”. Anche Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, esprime la sua contrarietà: “Inaccettabile che ancora una volta a pagare il conto siano gli agricoltori e quindi la filiera agroalimentare europea. L’aumento dei costi di produzione andrà a colpire principalmente il settore cerealicolo, già fortemente provato da costi di produzione alle stelle e al di sopra del prezzo di vendita”.La Russia, ricordano le associazioni, è attualmente il più grande esportatore mondiale di urea, grazie alla sua elevata capacità produttiva derivante dalla grande disponibilità di materie prime e da minori vincoli ambientali. La proposta della Commissione arriva inoltre “in un momento di grande insicurezza geopolitica, anche alla luce del recente insediamento di Trump”. L’Ue, al momento, non ha una capacità produttiva sufficiente a coprire la domanda interna, e l’introduzione delle nuove tariffe porterà a un’impennata dei costi, riducendo la competitività dei produttori europei, minacciando la sovranità alimentare dell’Unione e facendo aumentare i prezzi per i consumatori.A fronte di questa situazione, Coldiretti lancia un appello per raddoppiare gli investimenti sull’innovazione e la digitalizzazione delle campagne, portandoli a 6 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, per aiutare le imprese a contenere i costi di produzione e contrastare i cambiamenti climatici. L’appello è stato presentato alla Fieragricola Tech di Verona, in un incontro con la partecipazione del presidente Ettore Prandini e del segretario generale Vincenzo Gesmundo. “Le tensioni internazionali che si riflettono sui principali fattori di produzione, dall’elettricità al gasolio fino ai fertilizzanti, unite agli effetti delle calamita naturali che negli ultimi tre anni sono costate 20 miliardi all’agricoltura italiana, rendono sempre più necessaria la messa in campo di strategie per proteggere le colture e contenere i costi, proprio a partire dalla digitalizzazione dell’agricoltura”, sottolinea Coldiretti. Le nuove tecnologie permettono di ottimizzare l’uso delle risorse, come l’acqua, grazie a centraline meteo collegate a satelliti, e di migliorare l’efficienza delle operazioni riducendo i consumi energetici con attrezzature di precision farming.Secondo un’analisi Coldiretti sui dati Smart Agrifood, il fatturato delle tecnologie 4.0 e 5.0 per l’agricoltura è cresciuto del 19% in un solo anno, raggiungendo 2,5 miliardi di euro di investimenti. Le aree agricole che impiegano strumenti avanzati coprono oltre 1 milione di ettari, pari al 9% del totale. A Fieragricola Tech è stato presentato anche il nuovo Polo Digitale promosso da Coldiretti Next nell’ambito del Pnrr, che include il primo grande censimento sul livello di digitalizzazione delle imprese agricole italiane, coinvolgendo circa diecimila aziende. Entro il 2030, secondo Coldiretti, un’azienda agricola italiana su cinque adotterà strumenti di gestione basati sull’intelligenza artificiale. “L’intelligenza artificiale può costituire una risorsa preziosa per l’economia nazionale, purché si tenga sempre conto dei suoi limiti e degli aspetti etici legati al suo utilizzo, evitando che essa soppianti il ruolo centrale dell’essere umano”, conclude Coldiretti. LEGGI TUTTO

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    L’amore trionfa nei sogni dell’AI Angel di Sisal

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    Che gli italiani fossero un popolo di sognatori è cosa ben nota nel mondo, ma che sia l’amore a trionfare nei loro sogni è un dato che lascerebbe sorpreso persino Sigmund Freud. Eppure è così, come ha rivelato Sisal a poco più di un mese dal lancio dell’innovativo AI Angel Numera: fra i sogni ricorrenti degli italiani c’è proprio l’amore in ogni sua forma e al risveglio in tanti scelgono di comprenderne il significato e successivamente di sfidare la fortuna. LEGGI TUTTO