La finanza europea ha un nuovo fronte caldo, e si chiama Commerzbank. Il governo tedesco è intervenuto a gamba tesa contro UniCredit, chiedendo ufficialmente al colosso bancario italiano di rinunciare al suo progetto di acquisizione. “Continuiamo a sostenere una Commerzbank indipendente”, ha dichiarato senza mezzi termini Lars Klingbeil, ministro federale delle Finanze, lasciando intendere che Berlino è pronta a difendere la seconda banca privata tedesca da ogni tentativo di scalata straniera.
L’avanzata di Orcel
Nel silenzio operoso della finanza milanese, Andrea Orcel – amministratore delegato di UniCredit – ha costruito pazientemente la sua avanzata. Prima l’ingresso nel capitale a settembre 2024, poi il raddoppio della partecipazione diretta, fino a superare la soglia simbolica del 20% dei diritti di voto. Con questo movimento, UniCredit è oggi il maggiore azionista della banca tedesca, scalzando il governo federale, che controlla ancora il 12% delle quote.
Il messaggio di Berlino
Ma se l’Italia si muove, la Germania non resta a guardare. Il messaggio di Berlino è chiaro: Commerzbank è un asset strategico e sistemico, e deve restare tale. L’operazione italiana è stata definita “non coordinata e non amichevole” e – secondo fonti tedesche – è già stata oggetto di un richiamo formale alla banca milanese. Il governo ha anche annunciato di non avere alcuna intenzione di cedere la propria quota, congelando di fatto ogni ipotesi di takeover. Dietro le dichiarazioni ufficiali, però, si gioca una partita ben più complessa. Da un lato c’è la visione di Orcel, che ambisce a costruire un campione bancario europeo capace di reggere il confronto con i giganti francesi e tedeschi. Dall’altro, c’è il nervo scoperto della politica tedesca, che teme di vedere un pezzo importante del proprio sistema finanziario finire sotto controllo straniero. L’Europa delle banche, insomma, si scopre tutt’altro che integrata.
La risposta romana
E mentre Berlino alza i toni, Roma non resta immune dalle turbolenze. Dopo il blitz tedesco, UniCredit si è ritrovata sotto i riflettori anche in patria, dove da mesi cerca di portare a termine un’altra mossa strategica: l’acquisizione di Banco Bpm. L’operazione, lanciata lo scorso autunno, è stata bloccata prima dalla Consob e poi da Palazzo Chigi, che ha fatto scattare il golden power per impedire la fusione. Il governo Meloni ha invocato la tutela della “sicurezza nazionale” e sigillato l’affare con un decreto ad hoc. Orcel ha risposto con un ricorso al Tar del Lazio. La sentenza, attesa per il 16 luglio, potrebbe cambiare le regole del gioco: se il tribunale darà ragione a UniCredit, il golden power italiano rischia di perdere forza nel settore finanziario. Se invece sarà confermata la posizione del governo, sarà Bruxelles a dover intervenire, visto che la Commissione europea ha già espresso forti perplessità. Secondo il diritto comunitario, infatti, le fusioni bancarie sono materia dell’Unione, non dei singoli Stati membri.
L’Ops di Mps
Il risiko delle banche italiane non finisce qui. A rendere lo scenario ancora più incandescente ci ha pensato il Monte dei Paschi di Siena, che ha lanciato un’Ops ostile su Mediobanca.
Una mossa impensabile fino a pochi mesi fa, e che ha ottenuto il via libera sia dalla Bce che dall’Antitrust. L’obiettivo dichiarato è raggiungere almeno il 35% del capitale della storica Piazzetta Cuccia, aprendo un nuovo fronte interno che minaccia di ridisegnare i vertici del potere bancario nazionale.