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Il “dazio” monetario dell’euro troppo forte: il nostro export frenato dal crollo del dollaro


C’è una cosa che non ti dicono mai davvero: la politica monetaria è poesia. O, almeno, una forma di incantesimo. Si pronunciano formule svalutazione, fluttuazione, tassi e la realtà cambia forma. Il mondo si muove perché qualcuno, da una stanza insonorizzata della Federal Reserve, ha fatto sentire la voce di un dollaro.

In queste settimane il dollaro si è svalutato del 10 per cento rispetto all’euro. È un movimento che non urla, ma fa rumore. Eppure pesa, come un dazio. Perché sì, svalutare una moneta può avere lo stesso effetto di una barriera doganale. Solo che è più elegante, meno visibile, più tecnico, più ipocrita. È guerra commerciale, ma con i guanti. Quando l’America non vuole (o non può) alzare nuovi muri sulle merci straniere, può farlo sulla valuta. Un dollaro più debole rende le importazioni più costose e le esportazioni più competitive. È un dazio invisibile che si spalma sui prezzi senza bisogno di firmare nulla. È come se, d’improvviso, comprando un’auto europea, il consumatore americano scoprisse che gli costa di più, non per colpa dell’Europa, ma per via del vento.

Un tempo si parlava di guerra delle valute. Ora è tutto più sfumato. Ma l’effetto resta. Svalutare significa far lavorare la moneta al posto delle armi. È una forma di protezionismo senza dichiarazione. È diplomazia alchemica. E, a ben guardare, non c’è molta differenza tra un dazio del 10% e una perdita del 10% sul valore della moneta. Entrambi scoraggiano ciò che viene da fuori. Certo, il meccanismo è più complesso. La Fed non svaluta a comando. Agisce sui tassi, modula le aspettative, legge l’inflazione come si legge l’oracolo. Ma ogni mossa è anche politica, anche se giurano che non lo è. Jerome Powell (presidente della Federal Rreserve) non parla come Trump, ma sa bene che il valore del dollaro è anche una leva di potere geopolitico. È il bastone invisibile. Nel frattempo l’Europa osserva. Un euro più forte penalizza le sue esportazioni. Chi vende fuori dall’eurozona rischia di perdere competitività. Ma non può o non vuole agire come gli americani. La BCE resta incatenata al suo mandato: inflazione, stabilità, niente acrobazie. L’euro resta un progetto incompleto, senza un Tesoro comune, senza un vero governo fiscale. E allora, ogni volta che il dollaro scende, l’Europa si trova a dover scegliere tra il silenzio e la reazione. Di solito sceglie il silenzio.

Ma qui sta la vera questione.

Chi comanda nel mondo globale? Chi può permettersi di trasformare una fluttuazione in una strategia? Chi riesce a fare politica economica? Gli Stati Uniti lo fanno da sempre. Possono permettersi di indebolire il dollaro senza perdere il trono. Perché il dollaro resta, in fondo, la moneta del mondo, solo un po’ ammaccata. E ogni sua oscillazione è un battito che si sente ovunque.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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