In un contesto economico già complesso, emerge un dato preoccupante per l’intero sistema produttivo italiano: la Pubblica amministrazione accumula debiti commerciali per 58,6 miliardi di euro, il rapporto più elevato dell’Ue in relazione al Pil. A denunciare la situazione è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che sottolinea come, nonostante qualche miglioramento, il problema persista.
Sebbene le amministrazioni statali abbiano migliorato i tempi di pagamento negli ultimi anni, il ritardo nello smaltimento dello stock accumulato penalizza in modo particolare le piccole imprese. Queste ultime, a differenza delle realtà più strutturate, hanno un potere negoziale limitato e rischiano di subire passivamente l’abuso di posizione dominante da parte di funzionari pubblici. «Le piccole imprese sono spesso vittime predestinate dell’abuso della posizione dominante di cui dispongono i dirigenti/funzionari degli organi costituzionali», si legge nel rapporto.
I dati della Ragioneria generale dello Stato sono chiari: nel 2023, a fronte di 185,1 miliardi di euro in fatture ricevute, ne sono stati pagati 174,5, lasciando 10,6 miliardi di scoperto. La situazione non migliora nel 2024, con altri 5,8 miliardi non pagati nei primi sei mesi. La Cgia avverte che il Pnrr potrebbe aggravare ulteriormente il fenomeno, dato l’aumento dei lavori pubblici e la richiesta, sempre più frequente, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento lavori o delle fatture.
Il cuore del problema risiede soprattutto nello Stato centrale, che nel 2023 ha pagato solo il 92,8% delle fatture ricevute, rispettando i tempi di legge in appena il 69,3% dei casi. Alcuni ministeri presentano ritardi significativi: il dicastero del Lavoro salda le fatture con un ritardo medio di 13 giorni, seguito da Cultura (10,9) e Interno (10,7). Per contro, i dicasteri più efficienti nel pagare sono stati l’Ambiente con 20,91 giorni di anticipo, l’Università con 15,45 e il Made in Italy con 13,85. Sempre nel 2024, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha pagato con un anticipo medio di 8,48 giorni.
Nel 2024 tra le Amministrazioni centrali che registrano un comportamento non conforme alla legge, si segnalano, in particolare, l’Ansfisa (Authority dei trasporti) che ha onorato le fatture ricevute con 20,64 giorni di ritardo , l’Anas con 15 e l’Aran (l’agenzia pubblica per la contrattazione) con 13,12 . Secondo l’Ufficio studi della Cgia, è da deplorare anche il comportamento tenuto dall’Anci che nel proprio sito Internet ha come ultimo dato disponibile medio annuo quello ascrivibile al 2018.
A complicare ulteriormente la situazione, c’è la recente sentenza della Corte di Cassazione secondo cui i ritardi della Pa sono considerati un evento prevedibile, quindi le imprese che non incassano non possono giustificare il mancato versamento delle imposte. Una decisione che, secondo Cgia, «viola uno dei principi cardine del nostro stato di diritto: la legge deve essere osservata da tutti, sia dai soggetti privati sia da quelli pubblici».
Per uscire da questa spirale negativa, la Cgia propone una soluzione chiara: consentire la compensazione automatica tra i crediti certi e liquidi che le imprese vantano verso la Pa e i debiti fiscali. Una misura che garantirebbe ossigeno immediato alle piccole imprese, evitando il paradosso di chi non riceve i pagamenti dallo Stato ma deve comunque versare le imposte.
La Cgia, pur riconoscendo gli sforzi compiuti per ridurre i tempi di pagamento, evidenzia che il problema dei debiti commerciali della Pa rimane una criticità strutturale da risolvere con urgenza. La tenuta finanziaria di migliaia di imprese, infatti, dipende dalla capacità dello Stato di rispettare gli impegni.