Il crollo dei principali titoli tecnologici ieri sul Nasdaq non influenza solo il mercato azionario, ma anche la politica monetaria statunitense. Oggi si apre la due giorni del Fomc, il comitato Fed che decide sui tassi, e il mercato fino a ieri mattina si attendeva che i Fed Funds restassero all’attuale livello 4,25-4,5 per cento. Fino a pochi giorni fa Goldman Sachs motivava questo attendismo come una scelta oculata da parte del presidente Jerome Powell (in foto): da una parte si sarebbero tenuti a bada i falchi che spingono per una politica restrittiva, dall’altro lato il tasso di disoccupazione (4,1% a dicembre) e inflazione (2,9%) non giustificano ulteriori riduzioni del saggio di sconto. Ultimo ma non meno importante, la stasi consente a Powell di sintonizzarsi con visto che tra i due non è mai scoppiato l’idillio (si fa per dire).
La crisi – si spera temporanea – dei produttori tradizionali di tecnologie per l’IA (Nvidia su tutte) potrebbe, però, cambiare le carte in tavola. L’analisi, che parte da una semplice e arguta considerazione, è stata effettuata da James Knightley, capo economista Usa di Ing. Il calo del 3,5% del Nasdaq a poco meno di un’ora dalla chiusura equivaleva a mille miliardi di dollari di capitalizzazione persa. Per quanto la cifra possa sembrarci mostruosa bisogna considerare che il patrimonio netto delle famiglie Usa è aumentato di oltre 50mila miliardi di dollari dall’inizio della pandemia. Se la situazione non peggiorasse, le ricadute sarebbero minime, ma se dovesse innescarsi una pesante correzione degli indici di Wall Street, allora la Fed dovrebbe vagliare il taglio dei tassi (e Trump sarebbe il primo a invocare questa decisione). Perché il risparmio finanziario negli Stati Uniti non è solo il motore delle imprese, ma anche dell’economia in quanto una quota di quei proventi viene utilizzata per i consumi.
Il 20% delle famiglie con redditi più alti spende lo stesso importo in dollari del 60% delle famiglie con redditi più bassi. Una gelata della domanda interna scatenerebbe comunque un movimento recessivo. E questo né gli Usa né Trump (che ha promesso una «nuova età dell’oro») possono permetterselo.