Prestito ponte. Questa espressione evoca al contribuente italiano pessimi ricordi. Perché richiama alla discutibile pratica dell’iniezione di denaro pubblico in aziende in stato di drammatica emergenza. E l’orticaria in noi lievita allorché tali erogazioni di moneta sonante sono avvenute e avvengono con una certa regolarità quasi sempre verso le stesse realtà vieppiù decotte. A testimoniare l’inefficacia di queste operazioni. È stato così fino a qualche momento fa con Alitalia. Invece lo è ancora nel caso dell’ex Ilva di Taranto, oggi commissariata e che perde 65 milioni al mese.
I prestiti ponte sono interventi di corto respiro che non aiutano a uscire dalle situazioni di accertata e prolungata precarietà. E a proposito dell’Ex Ilva (oggi la vicenda sicuramente più eclatante) per dire di come continuano a circolare idee viziate di massimalismo statalista mi sono imbattuto nella seguente dichiarazione del segretario generale della Fiom (metalmeccanici della Cgil) Michele De Palma: «Il governo italiano e il Paese non possono permettersi di privatizzare un’azienda strategica dal punto di vista del futuro perché vanno date garanzie». Per il sindacalista la strada da percorrere per imprimere una svolta definitiva è quella della «partecipazione dello Stato in equity nel capitale dell’azienda». In estrema sintesi De Palma dice che lo Stato deve continuare a rimanere nell’Ex Ilva. Guai a privatizzarla, insomma. Verrebbe da rispondere a intemerate di questo tipo che la storia nel nostro Paese dimostra come il rapporto opaco tra Stato e grandi imprese o presunte tali ha prodotto molte più criticità che risultati apprezzabili.
La via d’uscita dalla drammatica crisi in cui versa l’Ex Ilva è al contrario di ciò che asserisce il sindacalista della Fiom proprio quella di lavorare a una sua vera privatizzazione, ovviamente individuando sul mercato interlocutori per davvero credibili e con una visione strategica.
www.pompeolocatelli.it