La politica monetaria, o meglio quella parte dedicata al tasso di sconto, impostata dalla Federal Reserve è sempre più ago della bilancia dell’andamento dei mercati finanziari regolamentati. I quali sono ulteriormente sospinti verso l’alto o il basso dalle valutazioni degli analisti, che a loro volta sono influenzati dagli algoritmi in tandem con l’intelligenza artificiale. L’ultimo avviso ai naviganti è arrivato a seguito delle decisioni Fed sulla previsione di ridurre da 4 a 2 volte il tasso di sconto per il 2025, variazione che produrrà un differenziale inferiore dello 0,5 per cento. La notizia ha provocato un pesante calo del Dow Jones, malgrado la percentuale sia insignificante per l’accesso ai finanziamenti. Finanziamenti che, è bene sottolineare, sono essenzialmente soggetti allo spread imposto da ogni istituto bancario in ragione del merito creditizio, ovvero dalla capacità del debitore di restituire quanto concesso in un tempo prestabilito; una capacità che in passato era determinata dai fondamentali finanziari del settore di appartenenza, mentre ora dipende anch’essa dagli algoritmi.
In questo scenario mondiale, destabilizzato dai conflitti e sottostante a una tecnologia sempre più invasiva, economia e finanza debbono ritrovare un strada per risalire la china della crescita e trasferirne i benefici ad ogni strato sociale. Se fossimo nel secolo scorso e le aspettative dell’economia fossero basate sui fondamentali, ritrovare la strada sarebbe più semplice, ma nel secolo dell’evoluzione tecnologica iper-rapida è assai più complesso addentrarsi nelle ipotesi che sortiranno dalla miscela esplosiva formata da algoritmi e AI.
In ogni ambito del modus operandi di finanza ed economia, gli algoritmi si sostituiscono sempre più all’uomo nei processi decisionali: in alcuni casi hanno la capacità di cambiare sia i destini dei portafogli degli azionisti sia delle imprese e della loro capacità di trovare investitori. La sorte dei titoli azionari è infatti sempre più indirizzata dalla complessità degli algoritmi, condizione che sovente manda in confusione interi indici, com’è successo nella risposta di Nyse e Nasdaq: i due maggiori indici del globo, all’annuncio della Fed sui tassi, hanno perso il primo il 2%, il secondo si è avvicinato al doppio, in soldoni 50 billion per il Nyse, 40 billion il tecnologico. In meno di tre ore le azioni di entrambi i panieri hanno perso decine di milioni di dollari di valore, in ragione di una notizia che avrà una incidenza reale sull’economia del 2025 non certo catastrofica. Senza dimenticare che nelle sedute successive dei listini europei si è ripetuto lo stesso panico distorsivo, con cali abnormi rispetto alla mossa della Fed.
Varrebbe la pena domandarsi quali saranno le prossime interferenze sugli indici azionari.
Questi saranno infatti sempre più improntati a valori teorici desunti da calcoli di una sequenza di istruzioni del tandem algoritmi-AI, che dovranno consentire di risolvere tutti i quesiti di interferenze, quali per esempio guerre ed epidemie, difficoltà di big appartenenti a settori strategici e crisi immobiliari dovute a grandi bolle finanziarie. Come è accaduto con la crisi sistemica Usa del 2008.