Nel 2015 venivano contesi dai maggiori quotidiani internazionali e facevano sognare molti self made man italiani: erano la prova vivente, con il loro gruppo da 100 miliardi di dollari e oltre, che per chiunque era possibile scalare la piramide fino in cima. Oggi Stefano Pessina e la moglie Ornella Barra, soci di maggioranza relativa di Walgreens Boots Alliance, raccolgono mestamente i resti di quegli strepitosi successi. La crisi del colosso farmaceutico sembra inarrestabile, tanto che a Wall Street il titolo ora capitalizza 8,5 miliardi dopo aver perduto nel 2024 il 60% del valore. Non sorprende perciò di apprendere che Walgreens è già nell’orbita del potenziale salvatore Sycamore Partners, un fondo di private equity specializzato nell’acquisizione di realtà in crisi. Ma già a maggio a Wall Street circolavano indiscrezioni sulla cessione da parte di Walgreens del ramo inglese facente capo a Boots, a 12 anni dall’acquisto. Tra i potenziali compratori figuravano il miliardario indiano Mukesh Ambani e il fondo Apollo Global Management. La trattativa si interruppe per una distanza tra le parti di 3-5 miliardi. Ora però la situazione è più complessa e i mercati evidenziando il forte debito e la crisi del settore farmaceutico che sta investendo soprattutto l’America, spingono per una soluzione che potrebbe materializzarsi entro il 2025 comportando anche il delisting da Wall Street. Va segnalato che Moody’s valuta il titolo Ba2, molto vicino all’alto rischio di insolvenza.
Walgreens è controllata al 16,9% da Pessina insieme alla moglie Ornella Barra. Tutto era cominciato con la piccola azienda fondata da suo padre, specializzata nella distribuzione di prodotti farmaceutici in provincia di Napoli. Insieme alla moglie, il self made man pescarese aveva dato vita tramite acquisizioni e alleanze a una delle maggiori realtà mondili: 315mila dipendenti, 13.000 punti vendita tra Stati Uniti (8.000), Europa e Regno Unito e un portafoglio di brand noti: Walgreens, Boots, Duane Reade, No7 Beauty Company, Benavides in Messico e Ahumada in Cile. A ciò aveva aggiunto le controllate GuoDa e Nanjing Pharmaceutical Company Ltd (Cina). A ottobre il ceo Tim Wentworth dinanzi agli ultimi deludenti dati non ha esitato a presentare il 2025 come «l’anno della revisione radicale, questa volta avremo bisogno di più tempo» per affinare la strategia industriale.
Evidentemente la parola «revisione» nascondeva le manovre per l’imminente riassetto tra scenari di vendita e piani di ristrutturazione. Del resto, per il 2024 le stime parlano di una perdita di oltre 8,5 miliardi a fronte di vendite per 147,7 miliardi. Sicché Wentworth ha già annunciato la chiusura di 1.200 negozi precisando che solo 6.000 delle 8.000 sedi sono redditizie: in sintesi, le attività non remunerative dovranno chiudere. E se il mercato delle farmacie italiane, per affrontare le sfide concorrenziali future, guarda sempre di più ad una farmacia dal volto umano, negli Usa è chiamato ad affrontare ben altre sfide. Secondo quanto riportato da Pharmacy Scanner, alla base della crisi dei retailer ci sono la sempre più aggressiva concorrenza online (Amazon anzitutto), la carenza di personale dovuta a salari non gratificanti e il costo crescente dei farmaci (l’Adderall, che cura il deficit dell’attenzione da iperattività, è passato in poco tempo da 25 a 400 dollari). Intanto la multinazionale raggiunta dalla Cnn ha preferito non commentare.
L’emittente tv ha quindi rilanciato le voci sulla trattativa Walgreen-Sycamore precisando che l’operazione prevede la vendita preventiva di asset «per rendere l’acquisizione finanziariamente più gestibile». Il riferimento è alla cessione della catena britannica Boots, definita da Neil Saunders, ceo di GlobalData, «una soluzione elegante per ricavare valore per gli investitori».