Unicredit è pronta a rivedere le condizioni di efficacia per la sua offerta pubblica di scambio sul Banco Bpm. L’istituto guidato da Andrea Orcel, infatti, tra giovedì e venerdì dovrebbe depositare in Consob il prospetto dell’offerta che riporterà come soglia di adesione il 50% più un’azione del capitale di Bpm. Un’asticella che al momento dell’annuncio era stata posta al 66,67% con l’aggiunta della postilla «Unicredit, tuttavia, si riserva di rinunciare parzialmente alla presente condizione di efficacia, purché la partecipazione venga a detenere sia comunque almeno pari al 50% del capitale sociale più una azione».
La discesa in campo a muso duro di Credit Agricole – che la scorsa settimana ha costruito una posizione potenziale nell’istituto al 15,1% e ha chiesto a Bce e Bankitalia di salire fino al 19,9% – ha portato Unicredit ad abbassare l’obiettivo a un più raggiungibile 50% più un’azione. Soglia, quest’ultima, che darebbe a Piazza Gae Aulenti il controllo dell’istituto ma non la capacità di mettere a terra tutte le sinergie previste (per aggregare le due banche ci vorrebbe una maggioranza in assemblea straordinaria dei due terzi del capitale votante). Ecco, dunque, che si ritorna al post su Linkedin del weekend firmato da Vincenzo Galimi, portavoce di Unicredit, il quale ha affermato che il rafforzamento di Agricole in Bpm non cambia nulla: serve comunque trovare un accordo con i francesi. In questa partita, del resto, entrambe le parti hanno i propri assi da giocare: da una parte il socio forte di Piazza Meda ha il suo peso azionario, dall’altra Unicredit può mettere sul piatto un allungamento del redditizio contratto di distribuzione dei fondi di Amundi (in scadenza al 2027), società controllata da Agricole che da Unicredit ha acquistato Pioneer nel 2017. Posto che questo tema – insieme al destino delle varie fabbriche prodotto assicurative e di risparmio gestito in Bpm – è quello che sta più a cuore a Parigi, Unicredit può aggiungere un rilancio cash che secondo Intermonte può arrivare fino a 3,7 miliardi. Basterà per farsi consegnare le azioni? Sarà solo una questione di prezzo, anche perché Agricole ha ribadito anche ieri «che non intende esercitare il controllo sulla banca» e che non fa parte «di accordi o patti parasociali» con altri soci. Da capire, inoltre, cosa intenderanno fare attori come Francesco Gaetano Caltagirone a cui fa capo il 2% di Bpm (e che ha pure rafforzato al 5,29% la sua posizione in Anima, sotto Opa dall’istituto guidato da Giuseppe Castagna) e la Delfin guidata da Francesco Milleri. Questi ultimi, infatti, controllano l’8,5% di Mps formando, proprio con Bpm che ha un altro 5% e Anima al 4%, quel nocciolo di investitori italiani a difesa di Rocca Salimbeni nell’ottica di costruire un terzo polo bancario, unendo il tridente Bpm-Mps-Anima.
Intanto, tornando ad Agricole, nella giornata di ieri è circolata la voce di una sostituzione (con trasferimento ad altro ruolo di vertice) per il numero uno di Credit Agricole Italia, Giampiero Maioli. L’istituto francese ha affermato che «Maioli è ceo di CA Italia e il rappresentante del gruppo in Italia» e che se ci fosse una nuova governance «sarebbe naturalmente oggetto di una comunicazione». Una dichiarazione che non smentisce nulla di una mossa che a Parigi avrebbero deciso da tempo.
Il banchiere regge le sorti delle attività italiane ormai da molti anni. Ora che va verso la scadenza del mandato in primavera, e vista la lunga battaglia che si profila con Unicredit, evidentemente sono maturati i tempi per un’accelerazione del cambio.