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Perché c’è una certa attenzione per una nuova variante del coronavirus

Da alcune settimane le principali istituzioni sanitarie stanno tenendo sotto controllo una nuova variante del coronavirus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia iniziata nel 2020, che presenta numerose mutazioni ed è stata rilevata in almeno tre continenti. È stata chiamata ed è alquanto diversa dalle varianti già in circolazione, con differenze soprattutto nella proteina “spike”, che il virus utilizza per legarsi alle cellule e replicarsi portando avanti l’infezione.

Per ora la variante non suscita particolari preoccupazioni, considerati i livelli di immunizzazione ormai raggiunti tra la popolazione, ma offre comunque nuovi elementi sulla circolazione del coronavirus in una fase in cui pochissime persone fanno ancora i test e sono state ridotte al minimo le attività di rilevazione delle nuove infezioni da parte delle istituzioni.

L’identificazione di BA.2.86 ha qualcosa in comunque con quanto avvenne con la variante nella seconda metà del 2021. All’epoca quella versione del virus si era fatta notare in alcuni paesi dell’Africa meridionale per avere caratteristiche molto particolari, tali da determinare nei mesi successivi nuove ondate di COVID-19 in buona parte del mondo. Le cose da allora sono però cambiate enormemente grazie all’immunizzazione offerta dai vaccini o a quella naturale (e molto più rischiosa) ottenuta con la malattia: secondo gli esperti è improbabile che BA.2.86 possa causare ondate simili a quelle di Omicron.

BA.2.86 è stata legata ad 6 casi in quattro paesi: Regno Unito, Stati Uniti, Israele e Danimarca. Il numero di infezioni dovuto alla variante è sicuramente più alto, ma non essendoci più sistemi di rilevazione paragonabili a quelli di un paio di anno fa è difficile fare stime sull’effettiva diffusione della variante. Anche per questo motivo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) l’ha definita «variante da tenere sotto controllo», in attesa che siano effettuati nuovi studi e analisi sulle sue caratteristiche e sulla sua presenza tra la popolazione.

Stando alle prime , comunque, la proteina “spike” di BA.2.86 ha almeno 34 differenze significative rispetto a BA.2, una delle subvarianti di Omicron già nota da tempo. L’ipotesi è che il virus sia mutato in seguito a un caso di COVID-19 durato a lungo, come avvenuto in passato con altre varianti con numerose mutazioni. Le differenze riguardano alcune aree della proteina “spike” cui si collegano gli anticorpi neutralizzanti prodotti dal nostro organismo per impedire al virus di legarsi alle cellule. C’è quindi la possibilità che la nuova variante riesca a eludere parte delle difese immunitarie maturate con precedenti infezioni o in seguito alla vaccinazione.

Per fare valutazioni più accurate sarà necessario raccogliere un maggior numero di campioni da persone infettate da BA.2.86, ma la loro ricerca potrebbe non essere semplice. La maggior parte delle persone ha smesso di fare tamponi e test quando ha sintomi simili a quelli influenzali, di conseguenza è probabile che negli ultimi mesi molte persone abbiano avuto un’infezione da coronavirus senza saperlo, e che magari l’abbiano trasmessa a qualcun altro. Il fatto che la variante sia stata identificata in posti distanti tra loro e con casi all’apparenza non collegati suggerisce inoltre che BA.2.86 sia già particolarmente diffusa.

Nonostante qualche titolo allarmato sui giornali, è comunque presto per trarre qualche conclusione o preoccuparsi più di tanto, considerato che BA.2.86 potrebbe fare la fine di diverse altre varianti rilevate nell’ultimo anno, che sono sostanzialmente scomparse nel giro di qualche mese. Nel caso di un’infezione, la maggior parte delle persone dovrebbe comunque sviluppare sintomi molto lievi grazie all’immunità ormai acquisita, ma è bene ricordare che ci sono persone fragili più a rischio di altre, che potrebbero avere complicazioni anche a distanza di quasi quattro anni dall’inizio della pandemia.

Per ora in Italia la situazione continua a rimanere sotto controllo. Negli ultimi giorni si è rilevato un minimo aumento dei casi rilevati, dei pochi che ancora si sottopongono ai test, comunque non paragonabile all’aumento dei casi (comunque contenutissimo se paragonato alle ondate dei primi tempi) rilevato tra aprile e maggio.


Fonte: https://www.ilpost.it/scienza/feed/


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