La strada intrapresa è quella giusta. Riaccendere l’atomo significa infatti mettere in moto le turbine dello sviluppo: per l’Italia si stima un impatto economico complessivo di 50 miliardi circa al 2050. Grazie a una rete di partnership italiane ed europee che favoriscono la crescita e l’innovazione nel settore, il nostro Paese sta infatti muovendosi in questa direzione, consolidando il proprio ruolo come attore di primo piano nello sviluppo delle tecnologie nucleari avanzate. A fronte di un coro disfattista ampiamente minoritario, inoltre, l’Italia punta oggi a definire una strategia per il reintegro dell’energia nucleare nel mix energetico entro il 2027 e a coprire tra l’11% e il 22% della domanda elettrica nazionale entro il 2050.
Secondo le stime Ey, lo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e Italia potrebbe generare un mercato complessivo di circa 46 miliardi di euro per la filiera industriale italiana, con un valore aggiunto di 14,8 miliardi di euro e la creazione di circa 117mila nuovi posti di lavoro. Risulta dunque cruciale puntare a un piano di sviluppo delle competenze per coprire l’intero spettro di figure professionali necessarie attraverso, ad esempio, percorsi formativi specifici per tecnici, ingegneri e operatori del settore, con particolare attenzione alla progettazione e costruzione di impianti, alla gestione operativa dei reattori e allo smaltimento sicuro dei rifiuti radioattivi o ancora facendo leva sulla formazione di profili provenienti dagli istituti tecnici superiori.
“La strada per la decarbonizzazione richiederà l’adozione di una varietà di fonti energetiche per soddisfare la domanda di energia in modo sostenibile e sicuro. In questo contesto, l’energia nucleare sta emergendo come uno strumento essenziale nel contrastare il cambiamento climatico. Per questo, anche in Italia, risulta determinante la collaborazione tra il mondo istituzionale, accademico e industriale per consolidare il percorso verso la transizione energetica di cui questa energia ne rappresenta il futuro“, ha dichiarato Paola Testa, EY Europe West Energy & Resources Consulting Leader, soffermandosi poi su alcuni dati cruciali. “Le prospettive per il 2025 – ha spiegato – indicano che gli investimenti nel nucleare potrebbero avere un impatto economico complessivo di 50,3 miliardi di euro, beneficiando di 35,5 miliardi di ricadute indirette e indotte, con un risparmio annuo stimato tra 8 e 10 miliardi di euro sulle importazioni di energia“.
Come spiegato recentemente dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, peraltro, nel nostro Paese non torneranno le grandi centrali nucleari ma sarà il turno di nuove e più efficienti soluzioni. Gli Smr (Small Modular Reactors, reattori avanzati con una capacità massima di 300 MWe per unità ovvero circa un terzo della potenza di un reattore convenzionale), rappresentano infatti una delle opzioni più promettenti per il rilancio del nucleare in Italia, grazie alla loro flessibilità e ai potenziali vantaggi in termini di sicurezza. Secondo une recente analisi di Ey – Nucleare Italia: il punto della situazione – l’energia derivante da questo “nuovo” nucleare può svolgere un ruolo determinante nel percorso verso la decarbonizzazione e la stabilità energetica del Paese.
Sul fronte politico, dopo anni di stallo e di rimandi, c’è finalmente una chiara volontà di aprire l’Italia alle opportunità energetiche e di sviluppo legate al ritorno dell’atomo. L’Italia sta infatti intraprendendo un percorso legislativo volto a riconsiderare l’energia nucleare come una risorsa strategica all’interno del proprio mix energetico, in linea con gli obiettivi europei di decarbonizzazione e sicurezza energetica. Il disegno di legge recentemente approvato, si inserisce, infatti, in un contesto normativo europeo che disciplina la sicurezza nucleare, la gestione dei rifiuti radioattivi e la promozione di fonti energetiche a basse emissioni.
Il ddl – ha commentato Testa – “rappresenta un passo significativo verso la sostenibilità energetica. L’energia nucleare, se gestita in modo sicuro e responsabile, può contribuire alla riduzione delle emissioni di carbonio e garantire una fonte energetica stabile che possa affiancare le rinnovabili e mantenere stabile la baseline produttiva. I futuri decreti legislativi dovranno abilitare anche investimenti e fondi per la creazione di piattaforme di sviluppo tecnologico che si muovano nella realizzazione di alleanze industriali a presidio e protezione della filiera energetica e nucleare italiane ed europea. D’altronde, l’investimento nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie avanzate, come la fusione nucleare realizzabile in un futuro non troppo lontano, potrebbe portare a innovazioni cruciali per il futuro energetico del Paese“.
Si tratta di un percorso destinato a riportare l’Italia al centro di un percorso che interessa tutta l’Europa. E che, per una volta, si basa non su precetti ideologici ma su concrete possibilità di sviluppo. Facendo un paragone con gli altri Paesi europei, nel Vecchio Continente l’energia nucleare gioca un ruolo cruciale nella transizione energetica. La Francia ha una capacità nucleare installata di circa 61 GW, coprendo il 70% della domanda elettrica nazionale.
La Germania, invece, ha deciso di disattivare le proprie centrali nucleari entro il 2022, ma sta valutando la possibilità di riaprire il dibattito sul nucleare a causa delle crescenti preoccupazioni per la sicurezza energetica e la decarbonizzazione.